SINTESI DELLA TEORIA DI MARX

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


SINTESI DELLA TEORIA DI MARX

Il giovane Marx inizia a percorrere la strada dell'umanesimo ateistico prendendo le mosse dalla critica di Feuerbach a Hegel. Feuerbach aveva capito che la filosofia di Hegel non era che una "teologia laicizzata" ed era convinto che per compiere una rivoluzione del pensiero, in direzione dell'ateismo, fosse sufficiente affermare un'antropologia materialistica o un materialismo naturalistico.

Questa posizione si trova anche in vari esponenti della Sinistra hegeliana. Marx la condivide, ma non la considera sufficiente per scardinare l'hegelismo, sia perché Feuerbach non vede il legame tra filosofia e politica (nel senso che non vuole diventare un filosofo impegnato politicamente contro lo Stato prussiano, fortemente reazionario), sia perché non vede il legame tra società e religione (cioè ritiene che basti passare dalla fede alla ragione per cambiare società e non capisce che per superare la religione bisogna prima trasformare la società).

Peraltro Marx salva di Hegel una cosa che Feuerbach aveva sottovalutato: le leggi della dialettica, che nel metodo sono rivoluzionarie, in quanto considerano positivamente la contraddizione e la negatività (che non vanno negate ma superate), pur essendo fortemente conservatrici nelle finalità che perseguono: Hegel infatti era il filosofo per eccellenza dello Stato prussiano.

La critica più forte che muove contro Hegel è quella rivolta alla Filosofia del diritto, che è la parte più politica di Hegel. Qui Marx fa capire che mentre per Hegel la prima istanza era lo Stato e la società civile soltanto un suo prodotto derivato, in una realtà democratica dovrebbe essere il contrario: uno Stato al servizio della società civile. Prima d'individuare però chi doveva essere il soggetto in grado di operare un ribaltamento di questa prospettiva, cioè il proletariato, Marx dovrà trasferirsi a Parigi, dove verrà a contatto con gli esponenti del socialismo utopistico.

I testi che scrive prima del famoso Manifesto del partito comunista (1848), sono generalmente indirizzati contro la filosofia tedesca (Hegel, Feuerbach e la Sinistra hegeliana: La sacra famiglia, L'ideologia tedesca, Tesi su Feuerbach ecc.), contro anche l'esponente più significativo del socialismo piccolo-borghese, Proudhon (Miseria della filosofia, 1847), contro le contraddizioni antagonistiche dell'economia borghese (Manoscritti economico-filosofici del 1844).

In Francia Marx matura la convinzione che lo Stato fa soltanto gli interessi delle classi più forti e che la democrazia che professa è puramente formale, per cui va abbattuto. Anche l'idea dell'uguaglianza giuridica di fronte alle leggi, così tanto sbandierata dalla rivoluzione francese e da ogni democrazia borghese, resta una pura ipocrisia, essendo dominante nella società la disuguaglianza sociale ed economica.

Di qui il suo progressivo interesse per le questioni storiche, economiche e politiche, in particolar modo per la questione della proprietà privata dei mezzi produttivi, considerata fonte di tutti gli antagonismi. Chi più soffre di questa mancanza di proprietà, il proletariato industriale, deve essere anche quello che vi pone fine, compiendo la rivoluzione, che è destinata a diventare una rivoluzione mondiale, in quanto il capitalismo ha superato i confini nazionali.

Il primo approccio di Marx all'economia politica porta una data precisa, il 1844, anno della stesura dei Manoscritti economico-filosofici, pubblicati postumi. Ciò che critica è anzitutto l'idea che gli economisti borghesi hanno di considerare il capitalismo non un sistema storico dell'economia, ma un sistema naturale, non superabile. Questo modo di mistificare la realtà viene definito da Marx col termine di "ideologia".

Per indicare la natura dell'opposizione tra capitale e lavoro salariato, Marx usa il termine di "alienazione", non alla maniera di Hegel, che la vedeva come il movimento dello spirito che si fa altro da sé, per potersi riappropriare di sé in modo arricchito, ma la usa come un'esperienza sociale frustrante (neppure però alla maniera di Feuerbach, per il quale era un'esperienza negativa della coscienza religiosa).

Il lavoratore è alienato per almeno quattro motivi:

  1. ciò che produce non gli appartiene, anzi egli stesso appartiene al capitale;
  2. la sua attività lavorativa non è creativa, ma è un lavoro forzato, tipico della persona indigente, obbligata ad accettare qualunque condizione;
  3. il lavoro è anche monotono e ripetitivo, in quanto dominato dai ritmi dalla macchina;
  4. il rapporto che l'operaio ha con gli altri è solo conflittuale, sia perché deve lottare per non essere sfruttato come uno schiavo, sia perché teme continuamente di perdere il lavoro.

L'uomo può recuperare la propria essenza umana soltanto abolendo la proprietà privata dei mezzi produttivi e facendo del lavoro non solo un mezzo di sussistenza, ma anche il primo bisogno vitale; e nella società in cui il libero sviluppo di ciascuno sarà condizione del libero sviluppo di tutti, dovrà vigere il principio: "Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni".

Una tale impostazione del problema porta Marx a elaborare una sorta di materialismo storico-dialettico, in cui gli aspetti storici sono quelli economici, mentre quelli dialettici appartengono al meglio della filosofia hegeliana. La storia può essere esaminata in maniera "scientifica", i cui principali aspetti da analizzare sono quelli socioeconomici (in particolare è l'interesse che determina il rapporto tra le classi).

Tutti gli aspetti economici sono costituiti da due fattori fondamentali che interagiscono tra di loro: le forze produttive (i lavoratori, i mezzi produttivi, le conoscenze tecnico-scientifiche) e i rapporti produttivi (il modo di produrre, la ripartizione dei prodotti e i rapporti giuridici di proprietà). L'insieme di questi due fattori si chiama struttura: tutto il resto è sovrastruttura (politica, etica, filosofia, diritto, religione ecc.). Ad ogni struttura corrisponde una determinata sovrastruttura. I mutamenti della struttura non avvengono grazie alle sovrastrutture, ma in maniera necessaria, indipendente dalla volontà degli uomini, praticamente quando non è più possibile continuare a riprodursi. Sarà Engels a precisare che la dipendenza della sovrastruttura dalla struttura è valida soltanto in ultima istanza e che proprio nella sovrastruttura si prende consapevolezza delle contraddizioni della struttura. Lenin invece dirà che non c'è affatto bisogno di aspettare che il capitalismo giunga a maturazione; anzi, per abbatterlo, bisogna approfittare dei suoi momenti di debolezza.

L'analisi dei rapporti tra struttura e sovrastruttura segna il distacco tra il giovane Marx (che è tale fino allo scioglimento della Lega dei comunisti, nel 1851) e il Marx maturo, quello che a Londra inizia ad approfondire gli argomenti di economia politica, frequentando il British Museum. La differenza stava appunto nel fatto che Marx smette di credere possibile una rivoluzione comunista prima che si siano esaurite le spinte propulsive del capitalismo. Egli cioè matura una netta sfiducia nelle capacità delle masse a liberarsi spontaneamente delle proprie catene. Solo che, invece di elaborare la necessità di costituire un partito di militanti professionisti, avente capacità di organizzare le masse con forme pubbliche e clandestine di attività sovversiva (come farà Lenin), si limita a svolgere un'elaborazione ulteriore, molto approfondita, sul piano economico, di quelle stesse tesi che aveva già formulato a partire dal 1844.

In un certo senso lo stesso Manifesto del 1848, che pur rappresenta il vertice della consapevolezza politica di Marx (cui però bisogna aggiungere le riflessioni inerenti alla I Internazionale, alla Comune di Parigi e al Programma di Gotha), attesta l'assenza di una vera strategia politica rivoluzionaria indirizzata alla conquista del potere.

Nel Manifesto infatti si sviluppa soltanto un'analisi della funzione storica della borghesia, che viene vista in maniera progressiva, in quanto netta oppositrice del feudalesimo. Poi viene fatta un'analisi della storia come "lotta di classe", all'interno della quale si fa ancora coincidere la "storia" con la "storia scritta", trascurando il fatto che l'intera storia "non scritta" non aveva conosciuto alcuna "lotta di classe" (Engels rimedierà successivamente a questa svista). Vi è anche un'analisi del rapporto tra proletari e comunisti, tralasciando del tutto il ruolo dei contadini e la possibile alleanza strategica con gli operai ch'essi avrebbero potuto realizzare in funzione anti-borghese. Infine viene fatta un'analisi critica del socialismo utopistico o comunque non-scientifico, omettendo del tutto l'esigenza di cercare alleanze tattiche con esponenti o partiti socialisti per la conquista del potere politico.

Di rilievo resta il fatto, in relazione alla necessità di compiere una lotta di classe, che Marx arriverà a capire che l'esistenza delle classi non solo è legata a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione, non essendo un fatto naturale, ma anche che in epoca borghese queste classi, in rapporto ai mezzi produttivi, si riducono sostanzialmente a due e che la soppressione delle loro differenze non è possibile senza una transitoria "dittatura del proletariato", in quanto la classe egemone non si lascia espropriare spontaneamente. Marx tuttavia non arrivò mai a ipotizzare che in una società in cui tutta la proprietà venga statalizzata, si possa formare una classe di intellettuali e di burocrati in grado di dominare, in maniera politica e amministrativa, il resto della popolazione (come accadrà appunto nel cosiddetto "socialismo reale").

I "falsi socialismi" criticati nel Manifesto sono sostanzialmente tre:

  1. quello reazionario che rifiuta la borghesia industriale per riportare la storia al feudalesimo corporativo e religioso della piccola borghesia e del sistema patriarcale in agricoltura (Sismondi, Disraeli, Bauer, Hess ecc.);
  2. quello conservatore di chi pensa di poter rimediare ai guasti del capitalismo senza voler superare il concetto di proprietà privata (Marx si riferisce a Proudhon, che voleva redistribuire la proprietà privata, tramite le cooperative, senza eliminarla, ma la sua analisi si potrebbe applicare all'idea di "Stato sociale");
  3. quello critico-utopistico di Saint-Simon, Fourier e Owen, i quali non sanno riconoscere al proletariato industriale alcuna vera funzione storica d'avanguardia, preferendo rivolgersi a tutte le classi per compiere pacifiche azioni riformistiche.

La rivoluzione comunista per Marx non poteva essere compiuta che da una classe totalmente priva di proprietà e che quindi non avesse nulla da perdere: questa classe non poteva essere che il proletariato industriale, padrone solo della propria forza-lavoro.

Marx non ha mai messo in discussione la rivoluzione industriale né lo sviluppo tecnico-scientifico delle forze produttive operato dalla borghesia, ma semplicemente che fosse soltanto la borghesia ad appropriarsi del frutto del lavoro degli operai, lasciando a questi ultimi un misero salario per riprodursi. Dunque i mezzi di produzione andavano socializzati non solo nell'uso (come aveva fatto la borghesia, concentrando la produzione nelle fabbriche), ma anche nella proprietà. Marx non voleva una "socializzazione della miseria" ma della ricchezza.

Marx tuttavia non ha mai parlato di "statalizzazione permanente dei mezzi produttivi", anche perché prevedeva che lo Stato, una volta posta la "socializzazione" di tali mezzi, avrebbe dovuto progressivamente estinguersi, essendo, per sua natura, uno strumento tipicamente borghese, separato dalla società e usato per difendere la proprietà privata. Lo Stato poteva essere utilizzato dal proletariato solo per reprimere l'inevitabile resistenza armata della borghesia. Nelle mani dello Stato - viene detto nel Manifesto - avrebbero dovuto esserci, transitoriamente, fino al superamento del concetto stesso di "Stato": la proprietà fondiaria, la produzione industriale, una banca nazionale e i mezzi di trasporto.

Analizzando l'esperienza della Comune di Parigi (1871), Marx arriva formulare i seguenti principi:

  1. l'esercito permanente va sostituito con gli operai armati;
  2. il Parlamento va sostituito con delegati eletti a suffragio universale, direttamente responsabili del loro operato, revocabili in qualunque momento, retribuiti con un salario di livello medio operaio;
  3. queste caratteristiche, applicate alla politica, possono estendersi anche all'amministrazione;
  4. la separazione dei tre poteri classici della democrazia borghese va sostituita con la democrazia diretta della Comune, aventi funzioni legislative ed esecutive nello stesso tempo;
  5. separazione della chiesa dallo Stato;
  6. istruzione gratuita.

Il fine della rivoluzione comunista è l'autogestione economica o l'autogoverno dei lavoratori, in assenza persino di un "potere politico", in quanto il "potere pubblico" non potrà più essere "politico", cioè potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra.

Lo sviluppo vero e proprio della dialettica (su basi naturalistiche) non verrà fatto da Marx, bensì da Engels, nelle sue tre opere fondamentali dedicate a questo argomento: Anti-Dühring (1878), Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca (1888) e Dialettica della natura (1883). Ma non vi saranno apporti significativi rispetto alle leggi già scoperte da Hegel. In pratica vengono precisate le tre leggi fondamentali:

1) trasformazione della quantità in qualità (e viceversa)

Engels afferma che in natura le variazioni qualitative possono essere ottenute dal sommarsi graduale di variazioni quantitative, che culmina con un salto (non-graduale) di qualità; la nuova qualità è considerata altrettanto reale di quella originaria e non è più ad essa riconducibile. Più in generale, ogni differenza qualitativa è collegata ad una differenza quantitativa e viceversa: non esistono le categorie metafisiche "quantità" e "qualità" bensì esse costituiscono due poli di un'unità dialettica. Esempio: se scaldiamo dell'acqua noi non modifichiamo lo stato liquido dell'acqua, ma se portiamo il calore a 100 gradi di temperatura, l'acqua si trasforma in vapore. Nelle condizioni inverse un forte raffreddamento trasforma l'acqua in ghiaccio. Quindi il grande cambiamento avviene per balzi e non gradualmente.

2) unità e compenetrazione degli opposti

Tutta la natura costituisce una universale interconnessione di corpi, dalle stelle agli atomi, interagenti tra loro. L'unità è considerata temporanea, mentre il processo di mutamento è continuo. Esempio: noi abbiamo i piedi per terra per la forza di attrazione proveniente dal centro del pianeta, ma grazie alla forza di repulsione del nostro corpo, non ne veniamo schiacciati.

Queste due forze contrapposte sono in contraddizione. La contraddizione è fonte di tutto il movimento, del cambiamento della vita e del suo sviluppo. Non si può pensare a materia senza movimento. Se è vero che la materia non si crea, non si distrugge, ma si trasforma, questo vale anche per il movimento. Quindi nell'universo a tutte le azioni attrattive corrispondono altrettante azioni repulsive e la somma di tutte le azioni attrattive è pari alla somma di tutte le azioni repulsive e sono queste forze contrapposte a regolare anche l'equilibrio.

3) negazione della negazione

La nozione di sviluppo non è mai retroattiva. In natura uno non è uguale a uno. Un uomo non è mai uguale a un altro. Nemmeno noi stessi siamo uguali a noi stessi, in quanto in ogni attimo avviene il nostro invecchiamento. Le fasi di sviluppo di un processo non si ripetono mai nello stesso modo e vanno dall'inferiore al superiore, dal semplice al complesso. Inoltre ogni sintesi è a sua volta la tesi di una nuova antitesi che darà luogo ad una nuova sintesi che risolve le contraddizioni precedenti e genera le sue proprie contraddizioni.

TESI FONDAMENTALI DEL CAPITALE

  1. Marx ritiene che le leggi dell'economia borghese non siano naturali e quindi eterne, ma storiche e destinate a essere superate dalle leggi dell'economia socialista. Il capitale vuole porsi come critica dell'economia politica borghese, i cui principali rappresentanti sono Smith e Ricardo.
  2. Egli ritiene che le contraddizioni dell'economia borghese siano antagonistiche, cioè irrisolvibili dalla stessa economia che le produce, in quanto vige la netta separazione tra lavoro e capitale, tra produzione e proprietà dei mezzi produttivi.
  3. Egli ritiene che le contraddizioni principali sono prima di tutto nel momento stesso della produzione, mentre quelle secondarie sono nel momento della circolazione delle merci.
  4. Le contraddizioni antagonistiche della produzione hanno un'origine storica, che corrisponde alla genesi dell'accumulazione capitalistica, connessa all'espulsione dei contadini dalle campagne, alla fine dell'autoconsumo, alla nascita dei mercati, al superamento delle corporazioni artigiane, all'accumulo di ricchezze dovute al colonialismo, al sorgere delle prime manifatture, all'applicazione della scienza e della tecnica alle esigenze produttive dell'imprenditore privato, ecc. Per quanto riguarda l'Inghilterra egli pone la nascita del capitalismo nel XVI sec., ma intravvede significative anticipazioni nell'Italia comunale. Prima del capitalismo è esistito il feudalesimo, lo schiavismo e il comunismo primitivo (quest'ultimo senza divisione in classi contrapposte).
  5. Il capitalismo è caratterizzato dalla produzione generalizzata di merci, che hanno un valore d'uso (in quanto socialmente utili) e un valore di scambio, che si verifica nel mercato. Il valore di scambio è dato dalla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrre una merce. Questo valore non coincide esattamente col suo prezzo di mercato, poiché per decidere questo prezzo entrano in gioco vari altri fattori (p. es. l'abbondanza o la scarsezza di una merce o della materia prima per produrla). Il prezzo di una merce può essere o al di sopra o al di sotto del suo effettivo valore (al di sotto quando p.es. bisogna lanciare un nuovo prodotto sul mercato o quando si vuole abbattere la concorrenza), però Marx è convinto che, in condizioni normali, la somma complessiva dei prezzi delle merci esistenti in una società corrisponda o equivalga alla somma complessiva del lavoro contenuto in esse, cioè al loro valore intrinseco.
  6. Caratteristica peculiare del capitalismo non è la produzione finalizzata al consumo, ma all'accumulazione di denaro, il quale tende ad aumentare rispetto all'investimento iniziale. Tale aumento non proviene dal denaro in sé, che è un semplice mezzo di scambio, e neppure dallo scambio, poiché questo avviene sempre tra equivalenti (il capitalista vende ciò che ha già acquistato come compratore: merce contro materia prima). Il plusvalore del denaro investito si forma nella stessa produzione è l'unica merce che produce valore supplementare rispetto al proprio uso è la forza-lavoro dell'operaio. Il capitalista compra la merce-lavoro a un prezzo corrispondente alla sua riproduzione (salario), ma beneficia di un valore supplementare, poiché l'operaio è l'unica merce che produce più del suo valore. Se p. es. un operaio lavora otto ore al giorno per un determinato salario e gli servono quattro ore per coprire il costo del suo salario, cioè per riprodursi, le altre quattro ore le regala al capitalista, quindi pluslavoro produce plusvalore.
  7. Plusvalore e profitto non sono identici. Se il saggio del plusvalore è dato dal rapporto tra plusvalore e capitale variabile (salario), il saggio del profitto deve tenere conto anche del fatto che l'imprenditore ha fatto degli investimenti nel capitale costante (macchinari ecc.). P.es. se il capitale variabile è 6 e il plusvalore è 4, il saggio del plusvalore è 4/6, cioè 2/3, moltiplicato per 100 avremmo 66,6%. Se a questi valori si aggiunge 1 per il capitale costante, il saggio del profitto è 4/7, cioè 57,1%.
  8. Per aumentare il plusvalore l'imprenditore cerca o di allungare la giornata lavorativa, mettendo le macchine in produzione 24 ore al giorno e obbligando gli operai ad accettare i turni di lavoro (plusvalore assoluto), oppure tende a ridurre quella parte di giornata necessaria a integrare il salario, introducendo strumenti o metodi di lavoro più efficienti (plusvalore relativo). In ogni caso tende ad aumentare lo stress psicofisico e diminuire la creatività individuale, in quanto l'operaio diventa sempre più un'appendice della macchina.
  9. L'aumento di produttività genera il fenomeno delle crisi cicliche di sovrapproduzione, in quanto gli operai non hanno mezzi sufficienti per acquistare le merci che hanno prodotto. Ciò provoca distruzione di beni e disoccupazione (quest'ultima attenua la tendenza al progresso tecnico e viene utilizzata per tenere bassi i salari).
  10. Altro fenomeno caratteristico del capitalismo e dell'anarchia produttiva, in quanto gli imprenditori tendono a produrre non ciò che serve alla collettività ma ciò che permette i più alti profitti.
  11. L'esigenza di rinnovare continuamente il capitale costante, per ottenere maggiori profitti e per far fronte alla concorrenza, provoca la caduta tendenziale del saggio di profitto. Il plusvalore infatti non è generato dalle macchine in sé, ma dal lavoro vivo, pagato coi salari.
  12. Anarchia produttiva, concorrenza spietata, crisi di sovrapproduzione ecc. provocano espropriazione di molti piccoli imprenditori da parte dei più grandi (concentrazione della produzione, cioè formazione di monopoli, e anche centralizzazione dei capitali in poche strutture finanziarie). Il contrasto tra carattere sociale della produzione, che avviene nelle aziende, e appropriazione privata dei profitti diventa sempre più marcato e porta a contraddizioni irrisolvibili e sempre più acute.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26/04/2015