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DIALETTICA MARXIANAI - II OSSERVAZIONI SULL'IMPIEGO DELLA DIALETTICA NEL PENSIERO MARXIANO 1) Da Hegel a Marx, evoluzione del metodo 2) La dialettica in Marx:
3) Implicazioni della dialettica marxiana:
4) Il rapporto dello storicismo marxiano con quello hegeliano 1) Da Hegel a Marx, evoluzione del metodo Il merito della scoperta del metodo dialettico va ascritto a Hegel, il quale ha interpretato il divenire storico come un procedimento di tesi-antitesi-sintesi, ovvero di: posizione, (sua) contraddizione, contraddizione della contraddizione (ovvero risoluzione della contraddizione stessa). E' questa la legge a porsi, secondo Hegel, a base del divenire storico. Egli infatti vede nell'Idea ovvero nell''astratto", il 'succo' stesso del divenire dialettico: la dialettica essendo il movimento attraverso il quale l'Idea si aliena da se stessa e, successivamente, ritorna a se stessa. Due sono perciò i punti attorno a cui ruota il pensiero hegeliano: a) il movimento dialettico; b) l'Idea che, attraverso tale movimento (di tesi-antitesi-sintesi), esce da sé (si aliena) e infine ritorna a se stessa. Tale pensiero è la somma di due concetti: quello di dialettica e quello di Spirito, Pensiero o Idea: è insomma la 'dialettica dell'Idea'. Anche il pensiero marxiano viene definito 'dialettico': e tuttavia una tale definizione non è di per sé sufficiente e richiede un'integrazione: il pensiero di Marx è infatti definito 'materialismo dialettico'. Perché materialismo dialettico? Perché in esso il binomio tra Idea e dialettica viene superato, in funzione di un altro più realistico binomio: quello tra materia (ossia il mondo, la concretezza, e in generale le reali forze che muovono il mondo e che si muovono in esso…) e dialettica. In altri termini, quello descritto da Marx non è il movimento dell'Idea nella storia, bensì quello della storia stessa, intesa come l'insieme delle forze sociali reali (in eterna trasformazione) che la costituiscono. Da una posizione ingenua, che ha tuttavia indiscutibilmente il merito di inquadrare una tale problematica (quella dialettica) a un livello astrattamente logico, si passa così a una evoluzione realistica e 'scientifica' della stessa; in questo senso il marxismo costituisce un innegabile avanzamento rispetto alla filosofia hegeliana. [Si badi però che, merito non indifferente di Hegel, è l'aver fondato un paradigma di ricerca divenuto oggi tanto indispensabile quanto spesso inconsapevole: quello che intende la verità o la ricerca su un dato argomento come comprensione del suo sviluppo storico, ovvero in una parola come lo studio della sua evoluzione. Un paradigma, quello evolutivo, che è stato fatto proprio forse più dalla ricerca scientifica che da quella filosofica: si pensi ad esempio alle moltissime discipline scientifiche che - partendo dalla psicologia per arrivare alla cosmologia - hanno fatto della problematica storica ed evolutiva il nodo essenziale, quando non fondamentale, della propria indagine.] Tornando a Marx, e allo sviluppo che nel suo pensiero ha avuto il metodo dialettico, è da notare come tale evoluzione 'materialista' implichi anche - dati i diversi presupposti che ne sono a base - un profondo cambiamento e uno 'snaturamento' di quello stesso metodo, come veniva inteso da Hegel. Oggetto di questo scritto è appunto la differenza tra i due diversi metodi nonché, ovviamente, il funzionamento peculiare della dialettica marxiana (ovvero materialistica e scientifica). 2) La dialettica in Marx La filosofia marxiana è tanto diversa, non solo quanto a ideali politici, ma anche quanto all'uso che in essa viene fatto della metodologia di Hegel, che alcuni studiosi hanno cercato di mostrare come in realtà tale filosofia non sia veramente dialettica. Per costoro infatti, il pensiero di Hegel (con la sua visione idealistica e quindi 'astratta' del divenire) è stato solo uno spunto, quasi una traccia per Marx, il quale ha successivamente sviluppato - seppure a partire da Hegel - una concezione della storia troppo scientifica, troppo realistica per poter essere correttamente definita come una concezione dialettica (ovvero basata su tesi-antitesi-sintesi) - e ciò anche se a tale definizione si aggiunga il termine 'materialista'. Tale visione, fondamentalmente errata, di un Marx non dialettico, ha tuttavia delle basi molto solide, che riposano su alcuni elementi di ambiguità presenti nella stessa teoria marxiana. Si mostrerà infatti, qui avanti, come il pensiero di Marx (e di Engels) contenga al suo interno alcune distinzioni che ne rendono - qualora rimangano sottintese - estremamente difficile una comprensione del tutto chiara e coerente. La distinzione fondamentale che bisogna fare è quella tra due diversi modi in Marx di intendere la dialettica: quello dialettico in senso proprio, e quello tale solo in senso improprio (vedremo più avanti perché improprio, e cosa ciò implichi). a - La dialettica propriamente detta Sin dagli scritti giovanili, Marx riconosce esplicitamente il proprio debito nei confronti di Hegel (filosofo amato e quasi venerato, ma anche a tratti duramente criticato per le sue posizioni politiche), inquadrando essenzialmente tale debito nella scoperta fatta da Hegel della forza della negatività come motore della storia e del divenire. Da questo punto di vista, Marx è e resta un pensatore genuinamente dialettico. La sua visione del divenire storico infatti, implica che i differenti periodi che ne scandiscono l'evoluzione conoscano - schematicamente parlando - prima una parabola ascendente (all'interno della quale sviluppano i propri presupposti positivi) e successivamente una parabola discendente (nella quale invece le forze produttive, oramai troppo sviluppate, finiscono per superare i presupposti alla base di tale periodo, entrando in contraddizione con esso, e determinandone così la crisi). Anche qui dunque - come in Hegel - è evidente come a una fase positiva ne segua una negativa, che in sostanza contraddice la prima (ecco appunto la tesi e la sua antitesi!). Vi è poi il terzo momento, quello in cui avviene il superamento della contraddizione precedentemente delineata (quella cioè tra le 'nuove' forze produttive e quelle sovrastrutture che in una determinata società detengono, per ragioni ormai meramente storiche, il potere direttivo). E' qui riconoscibile in qualche modo l'idea hegeliana della sintesi, ovvero del superamento della contraddizione precedente (se vogliamo, la 'contraddizione della contraddizione'). In questi termini, la concezione marxiana è pienamente dialettica, con tutto ciò che questo comporta: essa infatti adombra una concezione deterministica della storia, secondo la quale l'autonomo sviluppo delle forze produttive (ovvero sociali) determina necessariamente, a un certo punto della propria maturazione, uno scollamento tra le due dimensioni che sono alla base di qualsiasi società: quella strutturale e quella sovra-strutturale (i poteri politici e le tradizioni culturali, ideologiche, ecc.) Ogni paradigma sociale è dunque destinato a generare da se stesso la propria contraddizione e successivamente il proprio superamento. E' qui chiaramente visibile il processo per tesi, antitesi e sintesi, con le sue implicazioni 'idealistiche': ovvero l'ineluttabilità del divenire storico e dei suoi passaggi, che lo rendono in qualche modo esprimibile attraverso uno schema astratto, ideale (quale può essere ad esempio la schematizzazione marxiana della storia come susseguirsi di differenti periodi: società tribale, schiavistica, feudale, ecc.). Ma vi è anche, nella filosofia marxiana, un differente uso del concetto di dialettica, che offusca quello precedente, velandone il rigore e la linearità, con la conseguenza - come abbiamo già detto - che alcuni studiosi dubitano che il suo sia un pensiero 'genuinamente' dialettico. b - La 'dialettica' come compenetrazione Finora abbiamo analizzato la parte unidirezionale del pensiero di Marx, quella che - basandosi su un processo evolutivo che culmina nell'insorgere di una contraddizione, la quale trova poi la propria soluzione nel costituirsi di una nuova organizzazione sociale - può correttamente e indiscutibilmente definirsi dialettica. Esiste tuttavia anche un altro aspetto, connesso peraltro con l'aspirazione di Marx verso la scientificità e verso il 'realismo', che tende ad attenuare tale univocità, e che - proprio per tale ragione - ha ingenerato in alcuni il sospetto che il suo non sia un pensiero veramente dialettico. Una tale componente della dottrina marxiana è effettivamente parte della metodologia dialettica, ma in modo improprio. E ciò perché, pur oltrepassando il livello puramente meccanico dell'idea di causalità - quella per la quale non esiste un rapporto di opposizione o giustapposizione, ma solo di consecuzione lineare tra cause e effetti -, essa non implica comunque la triade dei concetti (tesi, antitesi e sintesi) che caratterizzano la dialettica propriamente detta (e nemmeno, in senso stretto, la diade tesi ed antitesi). Questo secondo aspetto lo possiamo scorgere molto chiaramente nel rapporto stabilito da Marx tra i livelli differenti e concomitanti (in un certo senso, giustapposti) presenti in ogni struttura sociale. Stiamo parlando ovviamente della 'struttura' e della (o delle) 'sovrastruttura', la compresenza delle quali si articola in un'azione reciproca della prima sulla seconda e di questa sulla prima. Tale aspetto della dialettica marxiana implica appunto che vi sia un'interazione o azione reciproca tra livelli coesistenti (economici, politici, ideologici, …), l'effetto della quale dovrebbe essere per essi di reciproco sostegno (anche se, nei periodi 'di crisi', essa diviene piuttosto di reciproco ostacolo.) In quest'ambito, alla tradizionale unidirezionalità della dialettica hegeliana si sostituisce una bidirezionalità, che implica - assieme a un'azione delle strutture sulle sovrastrutture - anche una retroazione delle sovrastrutture sulle strutture, ciò che manda in crisi la linearità della dialettica classica. In altri termini, si accavallano nel pensiero marxiano due punti di vista, quello propriamente dialettico e un altro che, pur ispirandosi effettivamente alla metodologia dialettica, sarebbe più correttamente definibile come 'organicista'. E' questo secondo aspetto a confondere la linearità della deduzione marxiana della storia, togliendole almeno parte della sua originaria unidirezionalità. Attraverso di esso, forse, la teoria marxiana perde una buona dose del suo rassicurante determinismo, ma senza dubbio guadagna molto - rispetto alla semplice metodologia di Hegel - in credibilità scientifica (e ciò poiché si apre maggiormente alle molteplici sfaccettature che caratterizzano la complessità reale della storia.) Abbiamo dunque fatto il punto sulla dialettica in Marx:
3) Implicazioni della dialettica marxiana Tale osservazione ci aiuta non solo a inquadrare la diversità tra i due pensieri dialettici per eccellenza - quello marxista/marxiano e quello hegeliano - ma anche a comprendere con maggiore precisione il tipo peculiare di dialettica che sta alla base dell'intera teoria marxiana. Qui di seguito si intende prima di tutto fare una precisazione sulla concezione evolutiva di Marx delle forze produttive - ovvero su come esse possano mutare per diversi ordini di motivi, ma mai per ragioni astratte o ideali; in secondo luogo si intende parlare del ruolo assunto dalla libera azione/decisione umana nella storia - ovvero della questione, lungamente dibattuta, se e entro che limiti la filosofia di Marx sia una filosofia rigorosamente deterministica -. a - il 'realismo' scientifico Mentre la dialettica storica hegeliana ha un fondamento puramente ideale (per il quale l'evoluzione concreta di una determinata fase storica riposa sull'evoluzione di un'idea astratta, in essa incarnata, che si rovescia nell'idea opposta, ecc.), il divenire storico secondo Marx si configura come trasformazione di strutture sociali e produttive concrete che - come si è detto - finiscono, ad un certo stadio della propria evoluzione, per porsi in conflitto con un insieme di tradizioni, credenze, poteri consolidati, sviluppatisi parallelamente a quelle stesse forze, anche se in un diverso momento del loro sviluppo. In altri termini insorge, in una certa fase evolutiva, una contraddizione tra le strutture sociali e produttive e quelle politico-ideologiche, dovuta al superamento delle seconde da parte delle prime, e quindi a una separazione tra di esse. In ciò sta il nocciolo della dialettica di Marx, la 'forza della negatività' che è insita nel divenire storico. A partire da una tale osservazione, diviene utile individuare le possibili cause alla base dell'evoluzione delle strutture economiche e produttive. Questa disamina ci mostrerà inoltre più chiaramente quale differenza sussista tra il pensiero idealista di Hegel e quello materialista (e scientifico) di Marx. Non è possibile, in sostanza, individuare un unico tipo di fattore causale per i cambiamenti che - prima o poi - inevitabilmente si verificano in ogni struttura socio-economica [con tale termine si intende qui designare il tipo di organizzazione che, in un determinato contesto sociale, è alla base del complesso delle attività economiche e produttive; vi sono infatti (è bene ricordarlo) differenti paradigmi, o modi, di questa organizzazione: da quello tribale che caratterizza il periodo preistorico a quello asiatico, schiavista, feudale, capitalista, socialista, ecc.] E nemmeno si possono ricondurre a una o più categorie concettuali fisse tali mutamenti, per altro potenzialmente infiniti. Anche in questo emerge la matrice materialistica e 'realista' - contrapposta a quella idealista - del pensiero di Marx: nel suo rifiuto di imprigionare (quantomeno oltre certi limiti) il divenire storico in schemi astratti, in 'pregiudizi aprioristici' che pretendano una validità universale, a prescindere dalle circostanze contingenti che fanno da cornice agli avvenimenti via via in esame. D'altronde, se Hegel aveva attribuito ai movimenti dialettici una natura in ultima analisi sempre ideale o spirituale, Marx all'opposto attribuisce a questi una radice e un'origine sempre e solo materiale e concreta. Inoltre, se è vero che la categoria della causalità, motore della storia - cioè dell'evoluzione delle condizioni sociali della produzione: delle forze produttive, o dei presupposti economici della produzione - non può essere individuata in uno o più ordini di cause stabiliti una volta per sempre, è vero anche che queste - secondo Marx - non hanno né possono mai avere una natura meramente ideale. Sia che alla base del divenire delle strutture vi siano ragioni 'tecnologiche' (ad esempio, lo sviluppo di nuovi macchinari, o magari di nuove tecniche agricole, che sconvolgono i meccanismi alla base della produzione in una data società), oppure ragioni interne o sociali (lo sviluppo di una vasta classe 'antagonista', o di contraddizioni che, elidendo dall'interno un dato contesto sociale, lo portano gradualmente a modificare la propria struttura e quindi la propria fisionomia), o ragioni esterne o in ogni caso accidentali (un classico, soprattutto per le società antiche, sono le incursioni/invasioni di popoli stranieri; ma vi possono essere anche motivazioni quali una crescita o un calo demografico, oppure pestilenze, malattie, ecc.), o altre ragioni ancora - come anche tutti o parte di questi fattori che agiscono assieme -, il motore dell'evoluzione storica non può mai essere di natura puramente ideale, cioè ideologica. La storia, nella visione marxiana, non è mai il prodotto delle idee, bensì piuttosto di concrete esigenze a livello produttivo, ed eventualmente delle contraddizioni e dei conflitti che queste possono determinare a livello sociale. Semmai è vero dunque il contrario, e cioè che cambiamenti a livello strutturale creano inevitabilmente altri cambiamenti di tipo 'ideologico', ingenerando differenti aspettative politiche e culturali negli individui che compongono la società. Ma lasciamo a questo proposito parlare lo stesso Marx, laddove ad esempio egli dice: "A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura." E' chiaro ora come quello che abbiamo definito il pensiero 'realista' di Marx, implichi un'assoluta preminenza dei fattori materiali (i quali - si badi bene - non vanno sempre e necessariamente identificati, quantomeno in prima istanza, con i fattori sociali, potendo al contrario identificarsi con invenzioni o scoperte piuttosto che con malattie, carestie, ecc.) nel determinare quelle contraddizioni che sono alla base del divenire dialettico della storia. [Questa impostazione, basata su una preminenza pressoché assoluta dei fattori economici strutturali nella determinazione del divenire sociale, è stata da alcuni studiosi e storici successivi - ad esempio da Weber, il quale per altro si muove pur sempre in un ambito di ricerca materialistico e scientifico - fortemente mitigata.] b - Il posto della libertà umana nella filosofia marxiana L'idea di un'assoluta preminenza dei fattori materiali su quelli politici e culturali rimanda a un'altra questione, centrale e molto dibattuta nel pensiero di Marx, soprattutto tra i continuatori della sua filosofia. E' la discussione riguardo alla possibilità per l'uomo di determinare o influenzare - anziché per così dire esserne un attore inconsapevole, o un esecutore involontario - la dialettica storica. Io credo che si possa affermare, anche a partire da quanto si è precedentemente detto, che la capacità dell'uomo di modificare attivamente il corso storico, ovvero di determinarne o influenzarne concretamente il movimento dialettico, riposi fondamentalmente su due tipi di intervento:
Secondo Marx dunque, il ruolo dell'uomo e della libera iniziativa umana nella storia è sì reale, e tuttavia è anche complessivamente marginale (oltre che, ovviamente, quasi sempre inconsapevole), e in ogni caso spesso, soprattutto quando agisca a livello culturale o politico, difficilmente accertabile. 4) Il rapporto dello storicismo marxiano con quello hegeliano In conclusione, bisogna osservare come nella sua visione storicistica entrino in gioco anche fattori di natura contingente, cui spesso capita di avviare o di porre in essere (quantomeno in parte) cambiamenti a livello strutturale, i quali in seguito si dimostreranno all'origine delle "rivoluzioni sociali". Oltre che per i fattori materiali, nella teoria marxista si affaccia così un certo spazio, come motore attivo del divenire storico, per il fattore della casualità, uno spazio che le è invece totalmente negato all'interno della filosofia hegeliana (nella quale appunto, 'materia' è sinonimo di alienazione, ovvero di casualità e disordine, elementi contingenti che nulla hanno da spartire col 'filo rosso' della dialettica storica, ossia coi passaggi dialettici alla base della storia dello Spirito: si veda a tale proposito la Fenomenologia dello Spirito). Possiamo concludere questa breve disamina del pensiero materialista e dialettico di Marx, rilevando come esso abbia raccolto effettivamente sul piano metodologico l'eredità della dialettica hegeliana (nonostante, per svariati ordini di motivi, alcuni studiosi tendano a dubitare di ciò o a attenuare tale influenza), ma sottolineando anche come di questa egli abbia conservato soltanto quegli aspetti che non costituiscono un ostacolo, e che anzi favoriscono e rendono possibile, una comprensione materialistica - e scientifica - dei processi storici. |