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PER LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICAIntroduzione Nel 1859, dopo 15 anni di studio matto e disperatissimo, svolto in condizioni finanziarie molto precarie e periodicamente interrotto o disturbato da vicende politiche più o meno impegnative o dall'attività giornalistica per autofinanziarsi, Marx partorì quella che può essere definita la prima grande "introduzione generale" alla sua opera più importante: Il capitale. In quest'opera, il cui titolo è Per la critica dell'economia politica, la "Prefazione" contiene l'unica sintesi autobiografica pubblicata da Marx. Le linee fondamentali del Capitale sono qui già tracciate, e la metodologia d'affronto dell'economia politica, cui Marx resterà fedele, pur con travagli interiori e continue precisazioni, sino agli ultimi anni della sua vita, viene sintetizzata nella stessa "Prefazione". Marx era un ricercatore incredibilmente scrupoloso, dalla cultura vastissima, dall'intelligenza assolutamente straordinaria, disposto a dare alle stampe solo ciò di cui si sentiva sufficientemente sicuro. Infatti, prima di questa Critica aveva pubblicato, nel campo dell'economia politica, soltanto due opere scientifiche: Miseria della filosofia (1846-7), contro Proudhon, e Lavoro salariato e capitale (1849), per l'Associazione degli operai tedeschi di Bruxelles. Gli occorsero quindi altri dieci anni di studi nel British Museum di Londra prima di concludere questa prima generale Critica dell'economia politica, un'opera che, dei cinque argomenti previsti: capitale, proprietà fondiaria, lavoro salariato, Stato, commercio estero, mercato mondiale, era riuscita ad affrontare in maniera sistematica solo i primi due, nella speranza che l'editore tedesco Duncker, accorgendosi del valore dell'opera, attraverso la mediazione di Lassalle, gli stipulasse un contratto per poterla proseguire, a vantaggio anche della tristissima situazione materiale della propria famiglia. Ma sappiamo bene che senza l'aiuto frequente di Engels difficilmente i Marx ce l'avrebbero fatta. Quando Engels recensì l'opera, si sentì indotto ad affermare che se fino a Hegel e ai suoi epigoni la Germania non poteva competere, nell'analisi scientifica dell'economia politica, con le altre nazioni europee, ora anche questo gap era stato finalmente superato, per quanto ciò fosse avvenuto - dirà più avanti, con quel sottile acume che sempre lo caratterizzerà - dopo il totale fallimento politico del movimento rivoluzionario operaio degli anni 1848-49 e, in particolare, dopo la rinuncia ad esercitare dall'estero una qualunque influenza politica sulla Germania, da parte delle correnti emigratorie democratiche e socialiste. Questo per dire che sia Marx che Engels avrebbero volentieri fatto a meno di approfondire gli studi teorici di economia, pur di veder realizzato praticamente il socialismo, sulla cui necessità vitale per i destini dell'Europa non solo loro due, ma anche tantissimi intellettuali progressisti, non borghesi, avevano da tempo piena convinzione. Non dobbiamo infatti dimenticare che le teorie del socialismo scientifico non si innestavano soltanto sulle acquisizioni filosofiche della dialettica hegeliana e dell'economia politica inglese, ma anche su tutte quelle teorie ed esperienze del socialismo utopistico, di matrice anglo-francese. In particolare Engels considerava il Marx di quest'opera di critica dell'economia politica come l'unico tedesco che fosse riuscito ad applicare in maniera conseguente i principi della dialettica hegeliana, svolgendoli secondo una concezione della storia fondata in chiave materialistica. Engels fu il primo a capire che il vero erede di Hegel non era il materialismo delle scienze naturali, né il recente neokantismo e neppure l'ateismo antropologico di Feuerbach, ma era il materialismo storico-dialettico di Marx, cui lui stesso aveva dato un contributo teorico di non poco conto. Anzi, tra i due - come noto - fu Engels il primo a interessarsi di economia politica, con lo studio sulla Situazione della classe operaia in Inghilterra, pubblicato a Lipsia nel 1845, e prima ancora, con l'altro studio - definito da Marx "geniale" - sulle categorie economiche borghesi, Abbozzo di una critica dell'economia politica, pubblicato negli "Annali franco-tedeschi" del 1843-44. Entrambi erano arrivati alle medesime conclusioni percorrendo strade diverse: più concrete quelle di Engels, più astratte quelle di Marx. Prima di concludere la sua recensione, Engels fa un'importante sottolineatura sul metodo scelto da Marx nello scrivere la sua Critica. Allo stato attuale degli studi scientifici, egli ritiene che la scelta di Marx di non fare un'opera di "storia dell'economia" o "dell'economia politica", ma una sorta di "logica" (oggi diremmo di "fenomenologia") dell'economia borghese, sia stata la soluzione migliore. In fondo l'economia politica inizia dall'analisi della merce, ed è dunque giusto partire dalle contraddizioni di questa categoria, la prima delle quali - e qui va dato a Marx il merito d'averlo rilevato - è che dietro lo scambio materiale dei prodotti vi sono delle relazioni sociali antagonistiche, che gli economisti borghesi avevano del tutto trascurato o sottovalutato, se non addirittura taciuto o mistificato. E' importante questa precisazione, poiché ci fa capire che cosa abbiamo ereditato del socialismo scientifico e che cosa invece dobbiamo ancora sviluppare. Dal 1859 alla caduta del "socialismo reale" sono passati 130 anni, in cui la critica delle idee dei classici del marxismo è servita più che altro o a ribadire varianti estremistiche o settarie del marxismo (in primis il trotskismo) o a negare del tutto la necessità di una transizione dal capitalismo al socialismo. E' dunque venuto il momento di cercare, all'interno di un discorso storico vero e proprio, quegli elementi culturali che hanno fatto da background motivazionale, genetico, a quelle contraddizioni socioeconomiche evidenziate dall'analisi fenomenologica di Marx e di Engels. E' necessario compiere un'operazione del genere per due ragioni:
Come il marxismo s'è posto il compito d'inverare la dialettica hegeliana, rinunciando alla sua forma mistica, così il nuovo socialismo laico-democratico deve porsi il compito d'inverare il socialismo scientifico, rinunciando alla sua forma deterministica (che sul piano politico si traduce in una forma di autoritarismo). In questo tentativo di ricerca creativa si è appena agli inizi, proprio perché il compito non è più quello di superare il capitalismo in taluni suoi aspetti salvaguardandone altri (p.es. l'uso della scienza e della tecnica), ma quello, molto più urgente, dati i rapporti gravemente squilibrati tra natura e storia, di chiedersi se la transizione da operare non sia piuttosto quella dalla "civiltà" alla "post-civiltà", cioè quella di uscire completamente dal concetto tradizionale di "civiltà", così come esso è stato ereditato da tutte le formazioni sociali antagonistiche, a partire da quella schiavistica. Se noi riusciamo a individuare, storicamente, le radici culturali che ci hanno portato a rinunciare definitivamente al comunismo primitivo pre-schiavistico, noi arriveremo alla conclusione che l'unico modo per uscire dalle contraddizioni antagonistiche è quello di recuperare quanto, a partire dallo schiavismo, si è cominciato a negare. Detto altrimenti, il compito non è soltanto quello di guardare avanti, nella speranza di conservare il meglio di quanto fin qui prodotto ai fini della tutela dell'essere umano e delle esigenze riproduttive della natura, ma è anche e soprattutto quello di guardarsi indietro, cercando di capire che cosa abbiamo voluto e dovuto distruggere per affermare il concetto di "civiltà". Cfr Commento a tutto il testo Per la critica dell'economia politica |