Locke: l’appello al cielo, la rivoluzione

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Locke: l’appello al cielo, la rivoluzione

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Giuseppe Bailone

Quando lo Stato non rispetta il patto che l’ha fatto nascere e perde il consenso popolare, che lo legittima, si apre una crisi che, nei casi più gravi, può risolversi solo con quello che Locke, richiamando un episodio biblico, chiama “appello al cielo”.

In questi casi, infatti, viene a mancare quel giudice comune che porta la società fuori dallo stato di natura e si va verso lo stato di guerra.

“Quando non v’è giudice sulla terra, non rimane che l’appello a Dio nel cielo”.1 Ognuno ridiventa giudice e risponde solo alla propria coscienza.

È il rientro nello stato di natura, che Hobbes pensava abbandonato per sempre con la creazione dello Stato e che, invece, Locke considera l’estremo rifugio dei cittadini quando lo Stato tradisca gravemente il patto della sua fondazione.

Il potere dello Stato viene dal popolo e, se lo Stato vien meno al fine per il quale gli è stato affidato il potere, esso torna al popolo.

Locke prevede quattro casi di possibile ritorno allo stato di natura e di “appello al cielo”

Il primo è la conquista.

“Molti hanno erroneamente scambiato la forza delle armi per il consenso del popolo, e considerano la conquista come una delle origini del governo. Ma la conquista è altrettanto lontana dall’istituire un governo quanto la demolizione di una casa dal costituirne una nuova al suo posto. Essa, spesso prepara, sì, la via a una nuova forma di società politica col distruggere l’antica, ma senza il consenso del popolo non può mai erigerne una nuova”.2

In questo caso, i conquistati possono “appellarsi al cielo” e affidare alla forza la riconquista del “diritto originario dei loro avi, ch’era di avere su di sé quel legislatore che la maggioranza approvasse e a cui acconsentisse. Se si obietta che ciò originerebbe infiniti fastidi, rispondo: non più di quanto non faccia la giustizia, quando sia aperta a tutti quelli che si appellano ad essa”.3

La conquista non conquista il diritto all’obbedienza dei conquistati.

Il secondo caso è quello dell’usurpazione.

“L’usurpazione è una specie di conquista interna” da parte di un membro della comunità che s’impadronisce del potere senza il consenso dei concittadini, anche senza mutare la forma di governo e le leggi.

Anche l’usurpatore non ha diritto all’obbedienza.

Il terzo caso è quello della tirannide.

“La tirannide è l’esercizio del potere oltre il diritto, […] consiste nel far uso del potere che uno ha nelle mani non per il bene di quelli che vi sottostanno, ma per il suo distinto vantaggio privato, quando cioè il governante, di qualunque titolo sia insignito, fa norma non della legge ma della propria volontà, e i suoi comandi e le sue azioni sono dirette non alla conservazione delle proprietà del suo popolo, ma alla soddisfazione delle proprie ambizioni, vendette, cupidigie o altre passioni sregolate”.4

“La dove la legge finisce, comincia la tirannide”. E al tiranno “ci si può opporre come ci si oppone a un altro che con la forza viola il diritto altrui”.

Il quarto caso, quello che Locke tratta con più attenzione, è quello della “dissoluzione del governo”.

Si ha quando il potere esecutivo usurpa le funzioni del legislativo o quando il legislativo tradisce la fiducia popolare e “tenta di violare la proprietà dei sudditi e di render sé o una parte della comunità padrone o signore arbitrario delle vite, libertà e averi del popolo”.5

“Quando il governo è dissolto, il popolo ha la libertà di provvedere a se stesso coll’istituire un nuovo legislativo, diverso dal precedente per cambiamento di persone o di forma o di tutte e due, secondo che giudicherà meglio per il proprio bene e la propria sicurezza, perché la società non può mai per colpa di altri perdere il diritto originario e connaturato ch’essa ha di conservarsi, il che può fare soltanto con un legislativo e con un’equa e imparziale esecuzione delle leggi da esso fatte”.6

“Quando i legislatori tentino di sopprimere e distruggere la proprietà del popolo o di ridurlo in schiavitù sotto un potere arbitrario, si pongono in stato di guerra con il popolo, il quale è con ciò sciolto da ogni ulteriore obbedienza, e non gli rimane che il comune rifugio che Dio ha offerto a tutti gli uomini contro la forza e la violenza”.7 Non gli rimane, cioè, che ritornare alle condizioni dello stato di natura, riprendersi il potere delegato e tradito, e fare la rivoluzione.

E deve farlo “prima che sia troppo tardi”, prima che sia troppo “carico di catene”. Infatti, la tirannide non si ha “soltanto il diritto di scuoterla, ma anche quello di prevenirla”.8

Locke dedica molte pagine alla confutazione di tutti gli argomenti di coloro che giudicano questa teoria un pericoloso germe di ribellione. Queste pagine chiudono il secondo dei Due trattati sul governo e portano il giusnaturalismo di Locke a culminare nella teoria del diritto alla rivoluzione.

“Sono queste le pagine – scrive Guido Fassò – che, divenute ben presto famose, saranno ricordate dagli scrittori costituzionalisti e liberali del Settecento, e la cui eco si ritroverà nelle Carte dei diritti della fine di quel secolo: gli uomini nascono liberi, e nessuna autorità ha il diritto di togliere loro la libertà; contro chi lo tenti, la ribellione è legittima, perché essa è il ricorso al giudizio di Dio per rivendicare i diritti che all’uomo competono per natura”.9

I Due trattati sul governo comparvero a “gloriosa rivoluzione” avvenuta, dopo, cioè l’incruenta cacciata degli Stuart e il conferimento del trono a Guglielmo d’Orange, che aveva accettato la “Dichiarazione dei Diritti”, le prerogative del Parlamento e i limiti del potere della Corona. Comparvero, cioè, subito dopo il trionfo, quasi pacifico, del diritto alla resistenza teorizzato da Locke.

Locke, però, cominciò a scrivere quelle pagine quasi dieci anni prima, quando la resistenza agli Stuart appariva molto meno pacifica e comportò, poco dopo, anche l’esilio di Locke stesso in Olanda. E proprio in Olanda quelle pagine hanno assunto la forma definitiva. Si tratta, pertanto, di pagine scritte con piena consapevolezza dei rischi che ogni rivoluzione comporta e non di una giustificazione teorica di un’avvenuta “gloriosa rivoluzione”, scritte a cose fatte e concluse senza le violenze e i traumi della prima rivoluzione.

Note

1 Locke, Due trattati sul governo, a cura di L. Pareyson, Utet 2010, p. 243.

2 Ib. p. 361.

3 Ib. p. 362.

4 Ib. p. 377.

5 Ib. p. 392.

6 Ib. pp. 391-392.

7 Ib. p. 393.

8 Ib. p. 392.

9 Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto. II. L’età moderna. Laterza 2001, p. 170.


ANNO ACCADEMICO 2012-13 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO

Torino 4 marzo 2013

Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999.

Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino.

Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca.

Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf)

Plotino (pdf)

L'altare della Vittoria e il crocifisso (pdf)


Fonti

Critica

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015