TEORIA
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IL DEISMO INGLESE
Un merito non riconosciuto Secondo Cornelio Fabro, e noi gli diamo ragione, il deismo nasce in Inghilterra a partire dall'opera di Herbert di Cherbury (1582-1648). Tuttavia chi ha letto Telesio, Bruno o Campanella farebbe fatica a non pensare che in questa triade, avvezza a distinguere, in maniera abbastanza netta, la ragione dalla fede, non vi siano già i presupposti fondamentali di quella moderna filosofia religiosa, che ha anticipato l'ateismo illuministico francese. A ben guardare, anzi, i primi vagiti d'ateismo si sentono in Italia con la riscoperta accademica dell'aristotelismo, al punto che persino un teologo (ancora oggi "sacro" per la chiesa romana) come Tommaso d'Aquino può indirettamente aver contribuito, con la sua analisi delle funzioni autonome della ragione, a sviluppare un discorso razionalistico che dal punto di vista di una fede autenticamente evangelica andrebbe guardato sempre con un certo sospetto. Ciò può sembrare esagerato, ma è stato proprio lo sviluppo urbano del cattolicesimo-romano, sempre più borghese e sempre più lontano dalla tradizione ortodossa coltivata in area bizantina, a porre le basi di quella che cinquecento anni dopo sarebbe stata la protesta anti-ecclesiastica più forte della storia, la riforma protestante. La quale erediterà la crescente laicizzazione borghese della fede cattolica, favorendo ulteriormente il cammino verso il deismo, l'agnosticismo e l'ateismo. Sarebbe ridicolo pensare che l'ateismo moderno sia semplicemente un prodotto del cogito cartesiano. Il terreno era già stato inconsapevolmente arato dalla Scolastica. L'Enciclopedia Britannica considera "deisti" ante litteram persino Boccaccio e Petrarca, anzi gli stessi averroisti medievali, con la loro teoria della "doppia verità". Quando in Inghilterra nasce il deismo, in Italia era da molti secoli che si separava l'uso della fede da quello della ragione: Arnaldo da Brescia, Marsilio da Padova e tanti esponenti di rilievo dei movimenti pauperistici ereticali avevano già smesso di credere nel potere "divino" della chiesa, nella sua funzione mediatrice tra dio e uomo. E ciò che questi eretici del pensiero e/o dell'azione pagarono in termini di torture carcerazioni sentenze capitali, permetterà poi agli illuministi di tutta Europa di potersi esprimere con relativa sicurezza. Persino la discussione accademica sugli "Universali", là dove si pone come segno di una crisi della teologia e quindi come necessità di trovare spiegazioni contestuali ai fatti della vita, indica, specie nella posizione nominalista, interessata a scoprire le leggi della natura esclusivamente all’interno della natura stessa, una sorta di cripto-materialismo favorevole allo sviluppo della borghesia. Un merito da riconoscere Ma perché allora è giusto attribuire agli inglesi la formazione e lo sviluppo del deismo? Il motivo è molto semplice: da loro il deismo s'impose come una corrente di pensiero largamente condivisa tra gli intellettuali progressisti e le classi industriose, mercantili e urbanizzate. I maggiori filosofi inglesi del Seicento e del Settecento sono tutti deisti, o formalmente o per convinzione: Hobbes, Shaftesbury, Locke, Toland, Berkeley e, se vogliamo, anche Hume. Paradossalmente questa corrente di pensiero si era sviluppata in polemica con l'ateismo umanistico-rinascimentale (Pomponazzi, Bruno, Vanini...), ma anche con quello di Spinoza, Bayle..., cioè aveva preferito fare un passo indietro confidando però in quell'appoggio popolare che aveva perorato la causa anticattolica della Riforma. Fatta la riforma anglicana, che tolse ai feudi ecclesiastici i poteri politici ed economici, e superata la tentazione degli Stuart di riprendersi il potere con la forza (1688), sembrava essersi aperto uno spiraglio per le idee deistiche di Shaftesbury e Locke, costretti a emigrare in Olanda durante la restaurazione cattolica del loro paese. Da noi gli intellettuali erano invece troppo isolati per poter diffondere il loro ateismo: preferivano essere cortigiani delle varie Signorie piuttosto che leaders di un movimento di protesta. Quando la chiesa romana si rese conto che non era più sufficiente aver distrutto tutti i fenomeni ereticali e che, a partire dalla Riforma, si correva il grave rischio di trasformare l'emancipazione laica di pochi intellettuali in un vero fenomeno di massa, decise di tornare al feudalesimo, imponendo con la forza delle armi spagnole i principi del catechismo tridentino. E tutti tacquero. Che cos'è il deismo? Il deismo non è che un modo di conservare la fede in un dio senza averla più secondo le modalità tradizionali della chiesa cristiana. Naturalmente non si tratta di credere in due divinità diverse ma soltanto di precisare due modi diversi di crederci. E non si tratta neppure, da parte del deista, d'inventarsi un modo di credere che la storia della filosofia in generale non abbia già previsto. La differenza sta piuttosto nel fatto che il deista non vuol trarre dalla sua fede quelle conseguenze operative che lo renderebbero dipendente dalle interpretazioni della fede da parte del clero. Il deista rivendica l'autonomia di una fede sganciata da esigenze di tipo ecclesiastico e quindi l'autonomia di una ragione il cui esercizio "religioso" non comporta obbligatoriamente l'accettazione di alcuna confessione particolare o comunque il coinvolgimento in alcuna pratica comunitaria. Il deista è un filosofo religioso non un cristiano, e tenderà a tenere separata la chiesa dallo Stato, almeno nell'esercizio del potere. Non a caso Hume, nella sua Storia della Gran Bretagna, ove peraltro fa risalire il deismo all'epoca di Cromwell (primi decenni del sec. XVII), gli attribuisce un significato più etico-politico che religioso. Si rivendica una "naturalezza" della fede per avere una certa autonomia d'azione in campo economico e politico: la fede non è più qualcosa che si deve avere di fronte a un evento che, pur non potendo essere dimostrato, va comunque creduto vero, soltanto perché così è stato tramandato. La fede del deista è sempre nei limiti della ragione, salvo il fatto che si continua a credere in un dio. E' una forma di riduzionismo laico (di matrice spinoziana) conseguente al fatto che l'esperienza cristiana medievale viene considerata umanamente fallimentare, e le infinite guerre di religione che hanno insanguinato l'Europa dopo il 1517 erano lì a dimostrarlo. Non si tratta di una "teologia naturale", poiché l'affermazione della divinità non è fondativa ma accessoria allo sviluppo autonomo della ragione. Dio è soltanto un principio metafisico astratto, una causa cosmica da mettere nella premessa di un discorso razionale, senza trarre da essa alcuna conseguenza né pratica né teorica. Anche quando si accetta l'idea cristiana di "provvidenza", questa ha solo un significato metaforico di destino umano positivo. Essendo di estrazione borghese, il deista ha una fiducia cieca nel progresso. Perché il deismo faceva paura alla chiesa? Si è detto che il deismo, nel momento in cui nacque, voleva opporsi all'ateismo pagano e naturalistico di certi ambienti umanistico-rinascimentali (Hobbes chiedeva l'esilio per gli atei). Dunque perché alla chiesa (anglicana, presbiteriana...) faceva così tanta paura? Semplicemente perché mentre l'ateismo non era che una posizione minoritaria di intellettuali che apparivano estremisti, stravaganti, il deismo invece aveva la pretesa di ereditare il meglio del cristianesimo, trasfigurandolo sul piano della razionalità. Il deismo aveva scelto una finta opposizione all'ateismo soltanto per passare meglio tra le maglie della critica clericale, ma il suo intento recondito era sostanzialmente identico: una chiesa senza riti né dogmi, senza sacramenti né clero, cioè una mera associazione privata di liberi pensatori. Infatti già alla fine del sec. XVII e soprattutto nel successivo esso prese ad attaccare direttamente l'autorità delle Scritture e del Magistero, nonché la dottrina sui miracoli. Le opere di T. Woolston (condannato per blasfemia, morì in carcere), A. Collins (costretto a ritirarsi dalla vita pubblica nazionale in seguito agli attacchi degli anti-deisti), Th. Morgan (gli venne troncata la carriera per la sua non-ortodossia), Th. Chubb (costretto a lavori umilianti per sopravvivere), M. Tindal (le cui opere anticlericali furono spesso bruciate in pubblico), J. Toland (perseguitato tutta la vita, morì in assoluta povertà) arrivarono persino a eliminare ogni aspetto sovrannaturale del cristianesimo, concependo la religione come semplice "esperienza interiore". Nessuna chiesa cristiana avrebbe mai potuto lasciarsi ingannare dalle generiche affermazioni deistiche a favore dell'esistenza di dio. In un'epoca dominata dal cristianesimo, ogni forma di deismo appare necessariamente come una forma di ateismo. In Inghilterra l'ultima condanna a morte per blasfemia porta la data del 1697. Anche Platone e Aristotele erano in un certo senso "deisti", in quanto ritenevano che all'assolutezza di dio ci si poteva arrivare con un ragionamento logico (e non a caso il deismo inglese passò attraverso il neoplatonismo di Cambridge), ma nessun Padre della chiesa ebbe mai l'ardire di sostenere che fossero atei. Anzi, molti erano convinti che se avessero potuto conoscere Cristo, sarebbero diventati cristiani. Dante, di Virgilio, disse la stessa cosa. Viceversa, osservando il comportamento di molti cristiani passati al deismo, nessun teologo, ligio alla propria tradizione cristiana, avrebbe mai potuto mettere in dubbio che nella sostanza essi fossero atei. Perché due criteri ermeneutici così diversi? Semplicemente perché la fede cristiana non è una sorta di "gnosi" ma un'esperienza di vita, che comporta l'adesione a riti, sacramenti, festività, credenze consolidate, interpretazioni canoniche della Bibbia, dogmi sanciti nei concili, obbedienza a gerarchie ecclesiastiche... Chiunque si opponesse anche a una sola di queste cose era inevitabilmente visto in odore di eresia, finiva col perdere molti diritti e rischiava anche sanzioni penali. La sconfitta del deismo Il deismo inglese, che si sviluppò dalla seconda metà del XVII sec. alla prima metà del XVIII sec., è una filosofia borghese che voleva apparire radicale, cercando però di evitare, in nome di una comune, ancorché astratta, fede nel dio cristiano, che scoppiasse una guerra di religione. S'illudeva che le sue teorie rivoluzionarie, in campo teologico, potessero trovare ampi consensi negli ambienti istituzionali inglesi, visto il successo della riforma anglicana e calvinista. Il deismo voleva porre le basi della libertà di coscienza, della separazione tra chiesa e Stato, voleva eliminare le pretese di dare definizioni dogmatiche della divinità, aveva ridicolizzato le descrizioni evangeliche che fanno del Cristo un extraterrestre dotato di poteri sovrumani, inaugurando una lettura critica delle Sacre Scritture, aveva dato un impulso straordinario alle scienze e alla produzione economica borghese. Per quale motivo tutto questo, espresso in maniera così esplicita e radicale, non poteva essere accettato dall'establishment? Qui le risposte sono due: da un lato la borghesia inglese protestante non volle mai impegnarsi in una sanguinosa guerra civile contro l'aristocrazia terriera cattolica (come accadrà di lì a poco in Francia); dall'altro sia i borghesi che gli aristocratici sentivano di aver bisogno dell'appoggio della chiesa per poter sviluppare il capitalismo, agrario e industriale. La Gran Bretagna, per quanto intollerante fosse nelle proprie colonie, era maestra di diplomazia al proprio interno. Anche quando apparve lo scettico Hume, che contribuì a radicalizzare ulteriormente il deismo, sostenendo che tutte le religioni si basavano sulla superstizione e sulla paura, ormai per la politica inglese era assodato che le opinioni in materia di religione non potevano mettere in discussione che una particolare confessione, l'anglicana, doveva restare alle piene dipendenze dello Stato, il quale però si sarebbe guardato bene dal discriminare tutte le altre. Gli illuministi francesi non riuscirono mai a capire questo strano concetto di "Stato laico" e provvidero a realizzare una più coerente separazione del civile dal religioso. Pubblicato sulla rivista Noncredo Fonti
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