ATEISMO FILOSOFICO NEL MONDO ANTICO
|
|
|
IV. Atomismo e ontologia pluralistica Prima di parlare specificamente di Democrito dobbiamo fare una considerazione preliminare, in relazione al suo maestro, poiché, come è già stato sufficientemente rilevato ed evidenziato, Democrito è autore della Piccola cosmologia, la quale, nel riprendere le tesi esposte nella Grande da Leucippo, vi apporta alcune modifiche assai importanti. Sarebbe storiograficamente fondamentale poter effettuare qualche confronto tra le due, ma per fare ciò dovremmo disporre di frammenti omogenei, il ché non si dà, purtroppo. Della Grande abbiamo quel frammento resoci da Aezio che è abbastanza significativo, ma largamente incompleto, ed i frammenti di cui disponiamo relativi alla Piccola non permettono un confronto diretto, e tuttavia ci pare rendano bene la misura degli sviluppi democritei. Su Democrito i dati biografici sono abbastanza precisi (nato ad Abdera nel 460 circa e morto nel 370 a.C. circa) e le testimonianze sulla sua vita e sul suo pensiero piuttosto copiose (anche se largamente sofferenti della confusione/sovrapposizione già ricordata). Un’esposizione esauriente delle sue teorie ce la offre la vita di Diogene Laerzio, la quale, quantunque assai tarda, è sostanzialmente coerente con le testimonianze più antiche. Diogene afferma:
Le “immagini sui nostri occhi” sono quegli eidola di cui Democrito è importante teorizzatore (ripresi poi da Epicuro) e che vanno a costituire l’elemento primo della teoria della conoscenza dell’Abderita. Rispetto ad Aristotele che, come abbiamo visto, vedeva l’insanabile contraddizione tra la teorizzazione del caso come causa del cielo e della necessità come causa del mondo vivente, Diogene sembrerebbe (sei secoli dopo) non registrarla più. E in effetti (lo abbiamo visti al § 4.1) da un certo momento in poi il fattore “caso” in riferimento a Democrito viene perlopiù abbandonato e si parla soltanto più di necessità. Ma non si deve pensare che ciò dipenda da una sedimentazione conoscitiva, ma semmai proprio dal fatto che il caso, nel suo significato ontologico, viene proprio “espulso” dall’ambito della filosofia e confinato nell’oblio. Ma sull’argomento fisico-cosmogonico non torneremo, concentrando invece la nostra attenzione sugli aspetti più originali della filosofia democritea, costituiti dalle sue teorie di carattere astronomico, biologico, fisiologico, antropologico, cognitivo ed etico. Aristotele che pure non è stato tenero con Democrito (ma assai più severo sarà Teofrasto in De sensu [49 e ss.]) doveva avere una certa stima di lui (almeno in campo biologico) quando scrive (Della generazione e corruzione, I (A), 2, 315 a 30-35):
Un resoconto sufficientemente ampio della Piccola cosmologia è quello resoci da Diodoro Siculo (che lo riprende da Ecateo di Abdera), il cui inizio ricalca un po’ quello leucippeo visto a suo tempo (Dox.289) ma senza alcun accenno al moto cosmogonico originario, per cui gli argomenti sembrano svilupparsi “a valle” di esso. Ma è proprio tale sviluppo a darci un’idea precisa dello spessore teorico della ricerca filosofica democritea, che appare il più grande naturalista teorico precedente Aristotele. Riferisce Diodoro (Bibliotheca historica I, 7, 1):
Abbiamo qui una chiara esposizione di come il cosmo all’inizio si presentasse come una sorta di chàos esiodeo (che nel frammento leucippeo manca), un regno dell’indistinto dove tutto era mescolato. Ma in seguito le analogie si fanno stringenti:
Sono dal più al meno gli stessi termini del frammento riferito a Leucippo, ma dove la “leggerezza” viene da democrito riferita al fuoco. Il seguito, rispetto al maestro, non presenta importanti novità sino al punto in cui viene detto:
Qui il distacco dal frammento leucippeo appare evidente, si parla di “putredini” e di “temperatura”, concetti non più puramente cosmogonici ma decisamente “biologici” e rivelativi di un’attenta attività osservativa a base della teoria. Ma occorre qui definire ciò che è all’origine della vita, che per Democrito è l’anima. Un concetto molto importante per l’abderita, per il quale però l’anima è principio vitale rigorosamente materiale (in quanto “soffio vitale” del corpo) secondo la miglior tradizione greca, ma anche centro della sensibilità e della nobiltà umana. Vediamo come Aristotele ci delinea l’anima democritea (De anima, I (A), 2, 404 a, 1-9):
E segue un’ulteriore precisazione, dove Aristotele coglie un altro aspetto assai importante dell’anima democritea, ossia la sua coincidenza con l’attività pensante. Essa infatti non è più soltanto ciò che col suo soffio dà vita a un corpo, ma è il centro delle attività intellettive (la mente) (I (A), 2 405 a, 8-13):
Veniamo ora ad un’altro aspetto estremamente interessante del pensiero di Democrito, che traiamo dal già citato frammento di Diodoro Siculo, quello concernente le sue considerazioni antropologiche:
Abbiamo qui una chiara interpretazione dei primitivi problemi dell’uomo, della nascita delle prime comunità, dei differenti linguaggi e, sulla base di questi, dei primi gruppi etnici. Per Democrito è quindi il linguaggio a determinare l’identità sociale e non le ragioni razziali. Ma ecco il seguito:
Un’analisi antropologica ante-litteram, basata sulla pura riflessione filosofica, che doveva fare scuola, attraverso Epicuro e Lucrezio, fino a Giambattista Vico (297). Così si chiude il brano:
Qui la necessità assume il significato di “esperienza”, un’esperienza determinata “necessariamente” dalle condizione dell’uomo in un contesto dato; una necessità che attraverso l’esperienza forma la cultura. In questa evoluzione il fuoco occupa una posizione centrale, ma da un punto di vista zoologico le mani sono (insieme alla ragione e all’anima) un fattore determinante dell’evoluzione. L’esperienza è legata alle “sensazioni”, che non rivelano l’essenza della natura (gli atomi e il vuoto che li accoglie) ma il “modo” antropico di coglierli, di prenderne conoscenza e di trarne esperienza pratica. Un’osservazione di Sesto Empirico (Contro i matematici IX, 24) completa il panorama dell’antropologia democritea:
Ci sia concessa una breve digressione (facendo un salto temporale di circa quindici secoli) per notare che questi “antichi” sembrano una pre-evocazione dei possessori di quelle “menti balorde de’ primi fondatori delle nazioni gentili, tutti robustissimi sensi e vastissime fantasie” (300) in cui Giambattista Vico pone l’alba dell’umanità, i quali:
Passiamo ora ad occuparci della teoria gnoseologica democritea sulla quale le maggiori informazioni ci vengono ancora da Sesto Empirico (Adv. Math. VII, 135, Д):
Il concetto di “convenzionalità” (303) delle sensazioni in Democrito era già stato messo in rilievo da Galeno (De elementis secundum Hippocratem, I, 2, e De medica empiria 1259, 8) ed è elemento definitorio di una conoscenza di grado inferiore. E poco dopo Sesto precisa (Ivi, VII, 138, B 8):
Eppure sarà proprio questa conoscenza inautentica ad avere fortuna negli sviluppi dell’atomismo ed a passare praticamente immutata nella filosofia di Epicuro come fonte unica del sapere. Ma qual è il processo fisico attraverso il quale si determinano le sensazioni? La soluzione è piuttosto originale: la sensazione è un fenomeno di “contatto” e si basa sulla dinamica degli “effluvi” (305). Tali effluvi sono i veri agenti del contatto tra il soggetto percipiente e l’oggetto percepito ed essi vengono chiamati da Democrito eidola. L’eidolon (lett: immagine) è un flusso di atomi che costituisce una sorta di simulacro dell’oggetto, che effluisce da esso e giunge agli organi di senso del percipiente, dando così luogo a quel tipo di conoscenza che riguarda i sensi. Tuttavia Democrito conduce la sua analisi gnoseologica distinguendo il fenomeno concernente i sensi dal processo intellettivo e razionale che eventualmente ne fa seguito. Il pensiero razionale va allora tenuto nettamente distinto dalla sensazione: l’esercizio della ragione, ponendo principi teorici e su di essi sviluppando l’approccio alla realtà, integra e supera il mondo dell’esperienza sensibile ed empirica verso una conoscenza “autentica”. Lasciamo ora il campo gnoseologico e passiamo ad occuparci delle concezioni etiche di Democrito, che non sono meno interessanti di quelle fisiche, cosmologiche, biologiche ed antropologiche appena esaminate e che ci rendono bene lo spessore interiore del personaggio. Cominciamo col vedere una testimonianza che ci riporta in qualche misura all’utilizzo di Empedocle degli dèi come metafora degli elementi (Etymologium Orionis 153, 5):
Aggiungiamo che qua e là Democrito usa l’aggettivo “divino” col significato di “igneo”. Atomi di fuoco sono infatti quelli che costituiscono i corpi più leggeri e sfuggenti, e tra questi l’anima. Un nemico del materialismo come Clemente Alessandrino (Stromateis II, 130) ci dà un parere interessante su Democrito, attribuendogli l’aver posto un principio etico fondamentale, che verrà poi ripreso da Epicuro in senso più spiccatamente edonistico: quello di felicità. Ma qui l’accento è messo sulla “disposizione d’animo” che la genera, piuttosto che sull’esperienza di essa:
Ci addentreremo ora nel campo che più specificamente sembra aver caratterizzato l’etica dell’Abderita, quello dell’aforistica. Ci troveremo a scegliere tra quasi trecento aforismi a lui attribuiti (alcuni simili) e riportati da vari autori; ci soffermeremo però solamente su quelli che ci paiono più significativi od originali (307). Cominciamo con quelli citati da un certo Democrate (308):
Proseguiamo con Plutarco (De pueri educandis 14, 9, F):
Ed ora Porfirio (De abstinentia, 4, 21):
Numerose sono le massime riportate da Giovanni Stobeo (Eclogae ethicae, II, 1, 12):
Contrariamente a ciò che avviene nella convenzionale storicitica passata e corrente, con la quale si enfatizza il contenuto della fisica e della cosmologia democritee (in realtà sostanzialmente dipendenti da quelle di Leucippo e con sviluppi modesti rispetto ad esse), noi pensiamo sia venuto il momento di rivedere questo giudizio. Gli aforismi succitati ci dicono che l’etica atea di Democrito si lega direttamente alla sua cosmologia e al suo naturalismo, con quel tocco di saggia umanità ed ironia (in tal senso va intesa la sua fama di “philosophus ridens”) che gli permette di realizzare l’ideale dell’eutimìa. Essa è un’etica profonda, assai lontana dagli schematismi ideologici platonici e le scienze della natura si sposano coerentemente con criteri comportamentali assai avanzati (si pensi solo al cosmopolitismo) (319). D’altra parte, la sua cultura era così enciclopedica (si dice abbia scritto settanta opere sui più vari argomenti), essendosi occupato persino di grammatica e di estetica, che ce n’è quanto basta per farne uno dei più grandi pensatori dell’antichità, senza dovergli attribuire quel che non gli compete (320). Se si considera che egli è contemporaneo di Socrate, altra straordinaria figura dell’epoca in campo etico (e attraverso Platone imposta come dominante alla cultura greca dell’epoca successiva) si può cogliere la sostanziale originalità “pragmatica” dell’etica democritea rispetto a quella più “idealistica” di Socrate (ma probabilmente assai “platonizzata” dal suo famoso allievo). Alla perentorietà del socratico “conosci te stesso”, a prescindere da ogni indagine che rapporti l’uomo alla natura in cui è inserito e di cui fa parte (come ci testimonia Senofonte), l’Abderita contrappone implicitamente un più cauto “conosci la natura per conoscere te stesso”, e come ci testimonia il frammento n° 176 di Stobeo (vedi sopra) l'“autosufficienza della natura” va letta come l’orizzonte razionalmente corretto e pragmaticamente esauriente in cui inserire la riflessione sull’uomo, che in essa va compreso e non estratto come un’entità superiore, avulsa e indipendente. Agli stati mentali indotti dal divino demone socratico Democrito contrappone l’eutimia (εύθυμία) (321), la tranquillità d’animo che viene dalla riflessione sulla natura e sull’’uomo, al riparo dai turbamenti psichici. Va tuttavia notato che, sul piano degli atteggiamenti intimi e interpersonali, l’ironia del “non sapere”, tipica di Socrate, sembra appartenere anche al Nostro e renderli più vicini (vedi Gnomologium Vaticanum, 743 e Greco-Syriaca dicta, 42). Ci pare allora di poter dire, al di fuori dei vieti schemi consueti, che l’etica “laica” del V e del IV sec. a.C. nel mondo greco (fino alle scuole ellenistiche) sia largamente tributaria del pensiero democriteo. I concetti di felicità, di misura (o del giusto mezzo), della temperanza, dell’onestà morale, della ricerca psicologica, sono già tutti presenti in Democrito. Per di più l’immagine di filosofo enciclopedico che Aristotele incarnerà ha proprio nell’Abderita il più significativo precedente. Il dominio culturale di quel magnifico “pifferaio magico” che è stato Platone, di cui tutti abbiamo subito più o meno il fascino dialogico e mitico-letterario, forse andrebbe contemperato con una maggiore attenzione ad un pensiero un po’ più “secco”, meno sgargiante e affascinante, ma che, al contrario, cela assai più di quanto esibisca. Con Leucippo e Democrito non solo il materialismo atomistico riceve formulazione, ma anche l’ateismo teoretico in esso implicito acquista dignità filosofica. Ed esso viene delineato in un modo sufficientemente esauriente, tale da porsi come una vera e propria weltanschauung atea, comprendente una concezione generale del mondo fisico e biologico forse incompleta (e ovviamente dipendente delle scarse conoscenze del tempo) ma concettualmente significativa, unita ad un etica della ragionevolezza, dell’equilibrio, della modestia e del senso della libertà. A partire da queste premesse Epicuro porterà innovazioni importanti, sia sul terreno gnoseologico che su quello etico, ma ciò che sta alla base della sua fisica è tributario di Leucippo ed elementi importanti della sua leticagli derivano da Democrito. (288) Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza 1983, vol. II, p. 369. (torna su) (289) Aristotele, Opere, vol. IV, Laterza 1983, p. 8. (torna su) (290) Atomisti antichi, (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999 - p. 265. (torna su) (293) Aristotele, Opere, vol. IV, Laterza 1983 – p. 105. (torna su) (294) Ivi - p. 108. (torna su) (295) Atomisti antichi, (a cura M. Andolfo), Rusconi 1999, pp. 267-269. (torna su) (297) Dell’influenza dell’atomismo sulle opinioni del giovane ha parlato Fausto Nicolini nei Brevi cenni della vita e delle opere di Giambattista Vico, che fungeva da introduzione a La scienza nuova (vedi Laterza 1974, p. XII): «Dato tutto ciò [ovvero il suo rapporto e la sua frequentazione con gli esponenti della nuova cultura “anti-gesuitica napoletana della seconda metà del sec. XVII], è affatto naturale che anche il Vico fosse condotto a quel De rerum natura di Lucrezio, che allora faceva girare la testa a non pochi “jeunes fous” napoletani (come li chiamava Antonio Arnauld) non senza orientarne più di uno verso l’ateismo». Il Vico nel 1693 aveva pubblicato una canzone dal titolo Gli affetti d’un disperato, di chiara ispirazione lucreziana. (torna su) (298) Atomisti antichi, (cura M. Andolfo), Rusconi 1999, pp. 269. (torna su) (299) Ivi, pp. 181. (torna su) (300) Giambattista Vico, La scienza nuova (Idea dell’opera), Laterza 1974, Vol. I, p. 9. (torna su) (301) Ivi – (Libro I, 1, 9) – Vol. I - p. 59 (torna su) (302) Atomisti antichi, (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999, p. 277. (torna su) (303) Il Gomperz accosta Democrito a Galilei nella suddivisione del conoscibile tra ciò che appartiene alla natura e ciò che appartiene alla convenzione umana. (Th. Gomperz, Pensatori greci, vol. II, La Nuova Italia 1967, pp. 70-73). (torna su) (304) Atomisti antichi, (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999, p. 279. (torna su) (305) Secondo Platone (Menone 76 c) già Empedocle avrebbe teorizzato gli effluvi, ma sembra abbastanza probabile che egli accomunasse, generalizzando e indipendentemente dallo specifico, il pluralismo ontologico alla teoria degli effluvi. (torna su) (306) Atomisti antichi, (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999, p. 261. (torna su) (307) La numerazione è quella progressiva del già citato Atomisti antichi (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999, da p. 303 a p. 367. (torna su) (308) Secondo il Mondolfo il nome Democrate sarebbe una corruzione di “Democrito” (E. Zeller – R. Mondolfo, La filosofia dei greci, vol. V, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 282) e in questo caso il dossografo non sarebbe altri che il filosofo stesso. (torna su) (309) In questo aforisma e in quello precedente è dato cogliere la distinzione tra erudizione (πολυμαθία) e sapienza (σοφία) [vedi 216 Stobeo]. Va comunque rilevato che Democrito usa poco il termine sapienza e gli preferisce quello di saggezza (Φρόνησις) e quello di intelletto o prudenza (πολυφροσύνη) come nell’aforisma n. 40. (torna su) (310) Questo aforisma è stato letto da Vittorio Enzo Alfieri in Atomos idea… (vedi nota 120 dell’Andolfo a p. 515 del citato Atomisti antichi […]) come una negazione del caso a favore alla necessità. A me pare che tale costante ricerca degli aspetti gnoseologici in un filosofo che su questo terreno riprende quasi integralmente Leucippo, mettendoci assai poco di suo, possa essere sviante. Penso invece che se ne dovrebbe cogliere il soggiacente significato etico, confermato dai numerosi aforismi concernenti l’accettazione di ciò che “la natura dà” (per es. il n. 289) piuttosto che sulla speranza di ciò che “dovrebbe dare” secondo le umane aspettative. (torna su) (311) In modo più esplicito risulta qui espresso lo stesso pensiero del n. 145 (Plutarco). (torna su) (312) Questa lunga citazione, non priva di qualche oscurità e di qualche ripetizione, ci rende una sintesi dell’etica democritea che potrebbe essere così delineata: 1) il principio della “misura”, peraltro tipico di tutta la cultura greca, 2) il perseguimento della prudenza e della temperanza ad evitare turbamenti eccessivi, 3) perseguire ciò che è alla propria “portata”, senza inseguire velleitariamente gloria e successo, 4) astenersi dall’invidia di coloro che appaiono più fortunati, 5) controllare l’ambizione che può condurre a imprese negative e dannose per sé e per la comunità, 6) confrontare la nostra vita con chi ne ha una più difficile e non con chi l’ha più facile. In estrema sintesi evitare “invidia, malevolenza e animosità”. (torna su) (313) Mi sembra completamente ignorata da parte degli esegeti “letterari” la profondità “biologica” di questo aforisma nel quale lapidariamente viene colto il rapporto indissolubile vita/morte, rispetto al quale solo stoltamente si può separare “psichicamente” la morte dalla vita fuggendola, come se così facendo fosse possibile perpetuare la vita al di là delle leggi biologiche. (torna su) (314) Una professione di pragmatismo umanistico di straordinaria modernità. Una stigmatizzazione del “desiderio” irrazionale a cui Epicuro non aggiungerà nulla di nuovo. (torna su) (315) Solo apparentemente banale questa massima. Nella realtà è un puntuale richiamo all’autocoscienza, come tribunale etico delle proprie aspirazioni e delle proprie azioni. (torna su) (316) Una professione di cosmopolitismo e una straordinaria intuizione antropologica sulla “natura” dell’uomo e sulla sua “essenza”, al di là della contingenza di culture e razze. (torna su) (317) Vale la pena di riflettere sulla chiarezza e semplicità di questa enunciazione rispetto alla fumosa e ideologica auspicabilità del platonico “governo dei filosofi” (Repubblica, IV, passim). (torna su) (318) Non il “buonismo” moralistico, ma l’”opportunità” sociale della solidarietà e della generosità per la realizzazione di un contesto sociale “pragmaticamente” concorde e basato sulla “reciprocità” dei benefici. (torna su) (319) Unico elemento negativo (e non di poco conto) appare la sua misoginia, quale emerge dagli aforismi n. 110 e n. 111 dell’elenco del cosiddetto Democrate (Atomisti antichi - Testimonianze e frammenti secondo la raccolta di H. Diels e W. Kranz (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999, p. 313 e 315). (torna su) (320) Che Epicuro ignori completamente Leucippo al punto di fare soltanto riferimento a Democrito per le teorie atomistiche e che Aristotele non faccia distinzione tra i due, parlando sempre del secondo, può significare che in circolazione vi erano soltanto opere di Democrito e testimonianze su di lui. Ciò potrebbe aver determinato una situazione culturale contingente, dovuta anche all’evanescenza della figura di Leucippo, di cui si hanno probabilmente si avevano, già allora, elementi biografici scarsi e contraddittori. (torna su) (321) L’eutimia democritea e l’aponia (assenza di dolore) di Epicuro confluiranno nell’ atarassia (assenza di turbamento) della filosofia ellenistica in generale (epicureismo, stoicismo, scetticismo). (torna su) |