|
||
|
PERCHE' DAL TEOLOGO DIONIGI PUO' PROVENIRE L'ATEISMO?
Le opere del teologo ortodosso Dionigi Areopagita cominciarono ad essere conosciute in Europa occidentale quando l'imperatore bizantino Michele il Balbo ne fece omaggio all'imperatore carolingio Ludovico il Pio nell'827. Il Corpus Areopagiticum venne tradotto in latino da Giovanni Scoto Eriugena nell'859, diventando subito molto famoso. All'inizio si pensava che l'autore fosse stato un contemporaneo di Paolo di Tarso. In realtà le sue opere erano comparse intorno al 528, grazie al patriarca Severo di Antiochia, che volle difendere le tesi dei monofisiti moderati proprio avvalendosi del suddetto Corpus; e benché il loro autore si presentasse come l'ateniese del I secolo "Dionigi, membro dell'Areopago", nominato negli Atti degli Apostoli, ad un certo punto si capì, già nel Medioevo con Ipazio di Efeso, e successivamente con Lorenzo Valla, Giulio Cesare Scaligero ed Erasmo da Rotterdam che quel nome era in realtà lo pseudonimo di un teologo bizantino del V o VI sec., vissuto probabilmente in Siria e influenzato dal pensiero del filosofo neoplatonico Proclo. Il suo obiettivo, una volta ritiratosi a vita monastica, sarebbe stato quello di conciliare la teologia dei Padri cappadoci (specie quella di Gregorio di Nissa) col neoplatonismo, una corrente filosofica nata nel II-III sec. d.C. e rimasta attiva sino a quando l'imperatore Giustiniano, nel 529, la soppresse. A tutt'oggi resta ancora irrisolta l'identificazione dell'autore degli scritti: sono stati fatti i nomi dello stesso Severo di Antiochia, di Pietro l'Iberico e del filosofo neoplatonico Damascio, ultimo scolarca dell'Accademia di Atene. Che cos'ha di tanto particolare la teologia areopagitica? La novità assoluta sta nel fatto ch'egli parla della divinità negandola. Onde evitare il rischio dell'antropomorfismo, Dionigi sostiene che di dio è meglio non dire nulla. Difficile pensare che questo autore non fosse influenzato da un pensiero di origine ebraica. In sostanza egli era talmente scettico sulle possibilità umane di trovare l'essenza delle cose, da ritenere preferibile non un'opera di costruzione, ma, al contrario, di smontaggio di tutti i nostri tentativi di comprensione razionale. E' come se avesse detto che siamo talmente incapaci di compiere il bene che l'unico modo per avvicinarvisi è quello di non compiere alcuna azione di male, cioè quello di evitare ogni tentazione, rinunciando il più possibile alla vita urbana. Dio per lui andava talmente al di la di qualunque cosa che preferiva paragonarlo al buio, alla tenebra, alla caligine. La sua presenza, al massimo, poteva essere colta nel più assoluto silenzio, nella più mistica contemplazione. Comprendere la totale alterità e diversità dell'essere voleva dire in realtà "illuminarsi", "deificarsi", trascendersi. Era insomma il trionfo del più puro misticismo, cui il grande teologo esicasta Gregorio Palamas darà una magistrale legittimazione pratico-teorica verso la metà del 1300. Ovviamente né lo pseudo-Dionigi né il Palamas potevano immaginarsi che dalle loro teologie apofatiche sarebbero potuti venir fuori i germi del moderno ateismo. Loro erano uomini di fede ed erano convinti che la chiesa sarebbe durata sino alla fine dei tempi. Invece proprio grazie alle loro riflessioni oggi si è giunti a fare considerazioni opposte a quelle che loro avrebbero voluto. Infatti ad una persona moderna, ben consapevole che l'esperienza cristiana non è mai stata capace di risolvere il problema fondamentale che origina gli antagonismi sociali, può ad un certo punto diventare relativamente facile arrivare a pensare che un dio "totalmente altro" può anche essere un dio "totalmente inesistente" o comunque "totalmente irrilevante" per la vita umana su questo pianeta. Da quella affermazione mistica appartenente alla teologia negativa si può arrivare, in epoca moderna, a fare un'affermazione ateistica appartenente alla filosofia umanistica. Ma perché l'Europa orientale, che pur teoricamente era a un passo da un'affermazione ateistica della vita umana, vi è riuscita soltanto quando ha accettato di realizzare le idee del socialismo scientifico? Per quale motivo l'ateismo si è sviluppato più facilmente in Europa occidentale, dove la teologia era invece di tipo positivo, cioè catafatica? Il motivo in realtà è molto semplice: perché l'ateismo si potesse sviluppare occorreva una rivoluzione popolare o quanto meno una classe sociale anti-ecclesiastica, e questa ha cominciato a emergere, per la prima volta, nell'Italia comunale. Per sviluppare il proprio ateismo, la borghesia aveva a che fare con la teologia latina, non con l'ortodossia greca, da cui la chiesa romana s'era definitivamente staccata nel 1054. La Scolastica ha portato all'ateismo seguendo la procedura opposta a quella bizantina, cioè cercando di spiegare razionalmente, con continue dimostrazioni logiche, perché dio esiste, e facendo questo non s'era resa conto di fare un semplice antropomorfismo della divinità. La borghesia invece se ne accorse, coi suoi filosofi, e ne approfittò. Solo quando la borghesia si sviluppò al punto da rendere impossibile una prosecuzione del feudalesimo, ma da rendere però possibile, a motivo delle nuove contraddizioni antagonistiche ch'essa stessa aveva generato, la nascita della critica socialista, ecco che l'ortodossia bizantina (nel frattempo ereditata dagli slavi) poté trovare il terreno favorevole per trasformarsi in ateismo socialista, senza passare attraverso la mediazione borghese. A questo punto però la domanda iniziale non può più essere quella che abbiamo posto: cioè perché da una teologia negativa può provenire l'ateismo (in quanto s'è capito che ciò può accadere anche sviluppando criticamente la teologia positiva). La domanda deve per forza essere un'altra, e cioè perché l'ateismo che può provenire da una teologia apofatica è più "umanistico" di quello che può provenire da una teologia catafatica? Ovviamente qui si prescinde dalle aberrazioni dello stalinismo, la cui natura totalitaria si poneva come diretta conseguenza di un tentativo di imitazione del progresso tecnico-scientifico del capitalismo europeo, nell'illusione di non pagarne le conseguenze, in quanto si pensava di poter far leva sulla proprietà statale dei mezzi produttivi. Astraendo da questa aberrazione, si può, con relativa certezza, sostenere che da una teologia apofatica può emergere una forma di ateismo più democratica o umanistica di quella che oggettivamente s'è formata nell'area geografica dominata dalla borghesia. Per quale motivo? Il motivo sta proprio nel fatto che la teologia negativa è in grado di riconciliare meglio l'uomo con la natura. La teologia positiva, resa ateistica dalla borghesia, ha portato questa ad avere un atteggiamento di "dominio" nei confronti della natura e quindi a trasformare le relazioni umane in un qualcosa di strumentale, utile alla realizzazione di fini estranei allo sviluppo della coscienza umana. La teologia catafatica era intollerante per definizione, e questa intolleranza è stata ereditata dall'ateismo borghese, pur sotto la maschera dei diritti umani, della democrazia parlamentare, ecc. Questa doppiezza, tipica della borghesia, apparteneva già alla chiesa romana, ed è nettamente riscontrabile nella Scolastica, laddove si fanno affermazioni altamente astratte, metafisiche, intorno alla divinità e, nel contempo, si permettono praticamente tutti gli abusi possibili, a favore non solo della classe aristocratica, laica ed ecclesiastica, ma anche di quella borghese. Dunque, ecco il compito che ci attende oggi: creare un umanesimo laico e un socialismo democratico che prenda il meno possibile dalle tradizioni della teologia cattolica, della filosofia borghese e dell'ideologia socialista così come si sono venute sviluppando nell'Europa occidentale. Il modello cui dobbiamo tendere va ricercato, piuttosto, in quell'epoca che gli storici odierni, con grande sufficienza, chiamano "preistoria". |