STUDI SULL'ATEISMO SCIENTIFICO


EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO:
UN DILEMMA DA SUPERARE

Ogni tralcio che in me non dà frutto, il vignaiolo lo toglie via
e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più.
(Gv 15,2)

In merito all'evoluzionismo dovremmo sostenere una cosa molto semplice: questa teoria è applicabile al regno animale, vegetale e minerale, ma non alla specie umana, almeno non nella stessa identica maniera, proprio perché tra noi e tutto il resto vi sono differenze così grandi che rendono del tutto insignificanti le somiglianze.

Cioè il fatto che l'essere umano appaia come un "prodotto" della natura, non sta di per sé a indicare che l'uomo non possa, con la propria coscienza, porsi al di sopra della natura stessa. L'uomo non è che la natura giunta alla propria autoconsapevolezza. Quindi là dove c'è autocoscienza, c'è anche essenza umana, in caso contrario c'è qualcos'altro.

Tuttavia da questo non si può affatto dedurre che l'essere umano sia stato creato da una divinità onnisciente e onnipotente. Un'argomentazione del genere è del tutto fantasiosa, anzi, è lesiva della dignità umana, in quanto fa perdere all'uomo la superiorità specifica che lo contraddistingue da tutto il resto.

L'uomo non può essere un oggetto nelle mani di un dio dotato di scienza infusa, in grado di prevedere tutto e di svolgere le "cose umane" secondo un fine di bene, le cui modalità per lo più ci sfuggono o che - come dicono i credenti - risultano chiare solo post-eventum, come faceva Dante, che ringraziava Cesare d'aver creato un impero destinato ad essere cristianizzato da altri imperatori.

Non ha alcun senso rifiutare l'idea che l'uomo sia un mero prodotto della natura, per accettare l'idea che sia una creatura di dio. L'essenza umana va al di là sia di dio che della natura. Siamo superiori a tutto. Paradossalmente lo saremmo anche se ci autodistruggessimo, poiché, in tal caso, avremmo dimostrato, seppur negativamente, che non siamo fatti di mero istinto, quanto piuttosto di libera scelta. Gli animali, quando si combattono, senza che sia in gioco la sopravvivenza fisica, si limitano a gesti dimostrativi: molto raramente fanno qualcosa che possa danneggiare la loro specie.

Negare l'evoluzionismo, col pretesto che non è stata trovata una catena organica distintamente graduata all'interno di una medesima specie, né delle forme di transizione tra le differenti specie, al fine di sostenere la tesi di una creazione divina, su cui, di fatto, possiamo spendere parole ancor meno scientifiche, è semplicemente ridicolo.

Se diamo troppa importanza alla natura, siam costretti a far valere l'idea di "caso", poiché la natura non è in grado di rispondere a tutte le nostre domande. Se invece introduciamo l'idea di dio, dobbiamo per forza parlare di "grazia". In nessuno dei due casi noi riusciremo ad essere noi stessi.

Mettiamoci nei panni di un feto materno. Tutto quello che il feto può percepire è quasi un nulla rispetto a quanto potrà constatare una volta che sarà nato. Potrà certamente sentir parlare sua madre, magari avendo la percezione di qualcosa d'incommensurabile, d'indefinibile, ancorché piacevole. Ma una volta nato, quanto più crescerà tanto più si renderà conto che sua madre è composta di un'essenza umana identica alla propria. Cioè quanto più aumenterà la conoscenza, tanto più diminuirà il misticismo.

Tutte le leggi della natura sono riconducibili all'essere umano, il quale però possiede un elemento sconosciuto alla stessa natura animale, vegetale e minerale: la libertà di coscienza (quella libertà, p.es., che c'induce a sacrificare la nostra esistenza, pur nel pieno delle sue forze, quando ciò può servire per migliorare la conservazione della nostra specie). Questo significa che se anche la natura ci ha generato, noi non possiamo considerarla più grande di noi stessi, per quanto sia indubbio che, senza di essa, noi non potremmo avere su questa terra un'esistenza umana.

Ecco perché dovremmo sostenere che, in qualunque condizione o dimensione si trovi l'essere umano, la natura gli è indispensabile al pari della sua libertà di coscienza. Siamo fatti di materia, non solo di energia, e di materia dovremo restare, seppure in forme più complesse di quelle attuali, come risulta essere deducibile osservando l'universo.

Due cose, in tal senso, dovrebbero farci riflettere: la prima è che l'evento della nascita e quello della morte, pur appartenendo all'esperienza terrestre, non è detto che non possano ripetersi al di fuori di questa dimensione. Siamo figli della Terra ma la Terra è figlia dell'Universo, quindi anche noi lo siamo.

Il fatto di dover "rinascere" non implica alcuna concessione alla religione. Se c'è qualcosa di "meta-fisico", riguarda soltanto l'essenza umana, che se vogliamo considerarla "divina", dobbiamo farlo solo in chiave a-teistica.

La seconda cosa è di carattere più "storico" (e in fondo anche più emotivo). Gli esseri umani non sono soltanto dei singoli, ma anche un genere, i cui componenti non riusciamo neppure a contarli. Di queste infinite persone, alcune ci sono più care di altre e vorremmo assolutamente rivederle. Ma anche questo non c'entra nulla con la religione, come ha già dimostrato il Confucianesimo, il cui culto degli antenati non prevede affatto un culto per qualche divinità.

Noi non riusciamo ad accettare che con la nostra morte finisca tutto, perché abbiamo la percezione o la sensazione che non possa essere così. Cioè ci pare insensato che l'investimento profuso nel voler bene a qualcuno non debba avere alcun seguito. Chiunque pensi che questo atteggiamento sia ingenuo o puerile farà fatica a sottrarsi all'accusa di fare del proprio materialismo una forma di cinismo: gli atei dovrebbe evitare accuratamente di offrire ai credenti il pretesto per criticarli di grettezza mentale o di indifferenza al bene comune.

Arrivare a sostenere che l'ateismo sia una forma di "assoluto materialismo naturalistico", è una pura sciocchezza. Ateismo vuol semplicemente dire che ci si rifiuta di attribuire a una causa metafisica o metastorica la risposta ai fondamentali perché sul senso della nostra vita. Non può certo voler dire negare l'esistenza di una spiritualità nell'essere umano. Se non si capisce questo, è impossibile comprendere la differenza tra "storico" e "naturale": l'uomo non è un "mero prodotto di natura", al pari degli animali e delle piante, che pur sono esseri viventi.

Peraltro se vogliamo considerare "scientifico" l'ateismo, non possiamo negare valore a determinate tesi come quella della perenne trasformazione della materia o quella dell'unità degli opposti o quella dell'infinità del tempo e dello spazio, e si potrebbero anche aggiungere - poiché un ateo non può considerarle "ipotesi" - quella dell'autocreazione dell'universo o quella della presenza del non-essere.

L'ateismo è un baluardo contro la religione, non contro l'uomo. Non ha alcun senso usare l'ateismo per rendere l'uomo equivalente a un animale. Un qualunque tentativo del genere ci porta a diventare peggio degli animali, poiché mentre questi vivono felici nella loro inconsapevolezza, basandosi sul mero istinto, noi invece dovremmo "sforzarci" di evitare alcune scomode domande esistenziali. Se l'ateismo diventa indifferente alle questioni etiche e ontologiche, perderà sempre il confronto con la religione, che in questi campi può vantare una certa raffinatezza.

Tutto ciò per dire che evoluzionismo e creazionismo non possono essere usati per sostenere le tesi dell'ateismo o della credenza religiosa; fede e scienza non hanno bisogno di "prove" per essere "dimostrate": la loro attendibilità è sempre una questione di "coscienza". E' un'illusione pensare ch'esista un'evidenza di fronte alla quale uno possa convincersi di una cosa in luogo di un'altra. Le cose che s'impongono per la loro evidenza hanno sempre un contenuto poverissimo di significato esistenziale.

Basta peraltro vedere come l'evoluzionismo è stato applicato in campo sociale: associandolo alla "selezione naturale", non ha fatto altro che legittimare le dinamiche del capitalismo; esattamente come il creazionismo ha sempre giustificato i modelli feudali di società, quelli in cui l'idea di gerarchia impone l'obbedienza assoluta da parte dei sudditi.

Se esiste una "selezione naturale" nel mondo animale, nel genere umano essa ha criteri del tutto differenti, tanto che dovremmo definirla "storica". Tra gli uomini, infatti, la selezione, da quando sono nate le civiltà, non ha mai avuto nulla di "naturale", essendo sempre stata un atto "violento". Noi ci "selezioniamo" distruggendo i più deboli con la forza delle armi o dell'inganno.

Prima delle civiltà non c'era alcuna "selezione", ma, semmai, "condizionamento reciproco". Una qualunque "selezione" comporta sempre qualcosa di "innaturale", che non dovremmo accettare con leggerezza, senza chiederci se davvero ne valga la pena o quale sia il prezzo che si rischia di pagare.

"Condizionamento reciproco" vuol dire che lo si accettava liberamente, senza imposizioni di sorta, tant'è che la nascita delle civiltà dovremmo considerarla come il frutto di un "condizionamento" che, da "reciproco", è divenuto sempre più "unilaterale", da parte di qualcuno su altri.

Sotto questo aspetto è ridicolo pensare che l'essere umano si sia "evoluto" da forme animalesche o molto meno organizzate. Non ha alcun senso rapportare il concetto di "evoluzione umana" all'uso dei mezzi tecnici con cui le civiltà si sono imposte sulle foreste o su altre civiltà ancora. Non è certo la tecnologia che indica il nostro livello di "umanità".

Anzi, se così fosse, dovremmo pensare esattamente il contrario, e cioè che quanto più è grande la tecnologia, tanto più è debole l'umanità dell'uomo. Sicché dall'uomo primitivo a quello contemporaneo la linea di tendenza sarebbe stata sempre più "involutiva", e le conseguenze devastanti sull'ambiente (le enormi desertificazioni del pianeta) sarebbero lì a dimostrarlo. Noi rischiamo di autodistruggerci proprio perché ci siamo "evoluti".

Magari potesse esserci una "selezione naturale" che ci riportasse ad avere con la natura un rapporto più "umano". Il fatto è purtroppo che oggi un ritorno al passato primordiale sembra essere possibile, a motivo della nostra insipienza, solo a condizione che avvengano sconvolgimenti tali da renderlo indispensabile alla nostra sopravvivenza.

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria - Ateismo
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Aggiornamento: 10/09/2014