STORIA TRASVERSALE


LA DANIMARCA DAL MEDIOEVO ALL’EPOCA MODERNA

Tra l'VIII e il X secolo i Danesi furono conosciuti con il nome di Vichinghi. Insieme ai Norvegesi e agli Svedesi fondarono colonie, commerciarono e compirono incursioni e saccheggi in tutta Europa. Gli esploratori vichinghi furono i primi a scoprire per caso l'Islanda nel IX secolo, mentre si stavano dirigendo verso le Isole Fær Øer e, probabilmente, giunsero fino a Vinland (La terra del vino), quella che ai nostri giorni è conosciuta come Terranova in Canada.

I Vichinghi danesi furono i più attivi in Inghilterra e in Francia e riuscirono per un certo periodo a conquistare e controllare alcune parti di quei paesi, fondando il Danelaw in Inghilterra ed Irlanda e la Normandia in Francia. È stato trovato un maggior numero di monete anglosassoni risalenti a quest'epoca in Danimarca e in Inghilterra, a testimoniare il dominio danese sull'isola.

Attorno al 965 i Danesi furono uniti e cristianizzati da Aroldo I di Danimarca, il secondo ad essere riconosciuto re di Danimarca. Nei primi anni dell'XI secolo Canuto il grande riuscì a riunire sotto il suo dominio Danimarca, Inghilterra e Norvegia per quasi trent'anni.

Nel XII e nel XIII secolo, durante i regni di Valdemaro I il Grande e dei suoi successori, i danesi iniziarono a espandersi verso est conquistando le coste del Baltico fino all'Estonia. Il regno di Danimarca incluse anche la regione svedese dello Skåneland (Skåne, Halland e Blekinge) e i suoi re dominavano anche l'Estonia danese e i ducati di Schleswig e Holstein. La maggior parte di questi ultimi due territori fanno ora parte della Germania settentrionale.

I contadini vivevano in condizioni di grande arretratezza, mentre l’aristocrazia, favorita dalla monarchia, possedeva quasi tutte le terre fertili ed era esentata dal pagamento delle tasse. Nel 1282 si stabilì che il re danese doveva convocare ogni anno un’assemblea legislativa formata dai nobili. Questa istituzione si chiamava Danehof (“corte danese”), durò un secolo e mezzo e non aveva un corrispettivo negli altri paesi scandinavi. Inoltre tra il XIII e il XIV sec. scomparve la schiavitù.

Nel corso del XIV secolo la Danimarca andò incontro a un temporaneo declino, fino a quando Vladimiro IV (1340-1375), pur perdendo l'Estonia e dovendo accettare l'egemonia commerciale della Lega anseatica, ristabilì la potenza del regno. L’Hansa era una lega commerciale che faceva capo alle città tedesche del nord (in particolare Lubecca, sul Baltico), e che aveva preso a espandersi con successo in tutta l’area baltica, tra il 1150 e il 1250. I mercanti tedeschi tennero le redini di tutta l’economia norvegese per qualche secolo, fino ad almeno il XVI sec. Essa indeboliva gli Stati nazionali, agendo da “fattore di disturbo” dell’organizzazione economica interna, anche se dava un incredibile impulso allo sviluppo delle culture urbane, e immetteva una notevole quantità di idioma tedesco nelle lingue scandinave che stavano prendendo forma.

Alla morte di Vladimiro IV, sua figlia Margherita I assunse la reggenza della Danimarca in nome del figlio Olaf II (1370-1387), che nel 1380 ereditò dal padre il regno di Norvegia (del quale divenne re come Olaf IV). La Norvegia era stata falciata da una grave epidemia di peste. Alla morte di Olaf, nel 1387, Margherita I ricevette il titolo di regina sia di Danimarca sia di Norvegia e nel 1389, approfittando delle lotte interne alla dinastia svedese, salì sul trono di Svezia.

Nel 1397 Margherita costituì l’Unione di Kalmar, che sanciva la fusione di Danimarca, Svezia e Norvegia, cedendone il trono al nipote Erik di Pomerania. Si trattava di un'Unione personale tra Stati che mantenevano comunque la loro indipendenza nominale. L’obiettivo era quello di difendere gli interessi economici nazionali, proteggendoli dal dominio incontrastato dell’Hansa. Ma i nobili svedesi manifestarono presto la loro insofferenza nei confronti della supremazia danese, al punto che Cristiano II, deciso a imporre il proprio potere sulla ribelle Svezia, fece giustiziare un elevato numero di nobili a Stoccolma nel 1520, radunati in occasione della sua incoronazione a re di Svezia.

Gustav Vasa, fuggito a tale “massacro di Stoccolma”, organizzò la riscossa, sia con aiuti economici da parte dell’Hansa di Lubecca, sia mobilitando forze nazionali ed eserciti di contadini e minatori contro “Cristiano il Tiranno”. Nel 1523 Gustav Vasa venne eletto nuovo re di Svezia dai rappresentanti della nazione riuniti a Strängnäs, sul lago Mälar, e nel 1527 la cosiddetta “Dieta di Västerås” decise, grazie a lui, l’introduzione del luteranesimo come religione di stato e la confisca da parte della corona di tutti i beni della chiesa. La Svezia aveva raggiunto la propria indipendenza.

Nel 1523 anche i nobili danesi cacciarono Cristiano II (la dinastia danese degli Oldenburg, iniziata con Cristiano I (1448-81), durerà comunque per quattro secoli, fino al 1863). Da qui inizia nel paese una fase di guerra civile e lotta per il potere (Faida del Conte).

Il successivo re Federico I apre al luteranesimo nel 1527, ma senza ancora rompere definitivamente con la chiesa cattolica. Solo con il nuovo, forte re protestante Cristiano III (1534-1559), vengono approvate nel 1536, dinanzi agli Stati generali, la confisca dei beni della chiesa e l’introduzione del luteranesimo quale religione di stato. Il grande potere economico (proprietà fondiaria) e politico del clero cattolico faceva gola ai re di Svezia e di Danimarca, nel momento in cui si accingevano a dare una struttura più moderna e centralizzata ai loro regni.

I nuovi sacerdoti protestanti della chiesa di Stato sono in un certo senso paragonabili a dei funzionari del regno, importanti non solo quali pastori di anime, ma anche per i numerosi compiti amministrativi sul territorio (l’anagrafe ad esempio), e per l’importante funzione dell’organizzazione del consenso attraverso il pulpito domenicale: il luteranesimo di stato promuove così la fedeltà dei sudditi, l’obbedienza e il rispetto dell’autorità.

Da notare che proprio durante la guerra contro la Danimarca si formò, nel 1435, in Svezia il primo parlamento. Viceversa la Norvegia, che aveva iniziato nel 1380 una sudditanza alla corona danese, le rimase sottomessa per oltre quattro secoli, fino al 1814; lo stesso destino di dipendenza e sottomissione vale ovviamente anche per Islanda, Groenlandia e Fær Øer. Da qui in avanti e per un po’ di secoli la scena scandinava sarà dominata dalla Danimarca e dalla Svezia. Mai più comunque sarà tentata una simile unione politica tra i paesi scandinavi.

La corona danese non si rassegnò affatto alla perdita della Svezia, anche perché la considerava un pericoloso avversario nel controllo del mar Baltico, sicché le guerre ripresero in varie fasi, culminando nella cosiddetta guerra nordica dei Sette anni (1563-1570) e nella guerra di Kalmar (1611-1613). Ma sarà sempre la Svezia ad avere la meglio, che anzi si espanderà già alla fine del Cinquecento sul Baltico, rafforzandosi a spese dei suoi concorrenti: Danimarca, Polonia e Russia.

In Danimarca l’alleanza tra corona e nobiltà rappresentava un blocco sociale ancora molto coeso, dominante e privilegiato, mentre le condizioni dei contadini erano spesso di miseria e asservimento. Di fatto è solo in Danimarca che si sviluppano nell’età moderna forme di vera e propria servitù della gleba, dove i nobili proprietari terrieri possono avere un potere di vita o di morte su una massa di lavoratori della terra non liberi di muoversi. Pochi sono in percentuale i contadini proprietari in Danimarca, che pure rappresentano a quest’epoca circa il 75% della popolazione totale. I nobili, meno di 2.000 individui, possiedono metà di tutta la terra. Dopo il 1536 il parlamento (Rigsdag) danese non sarà convocato per tutto il secolo, e ricomparirà solo nei primi anni del Seicento.

Nel 1596 aveva ottenuto il potere il giovane re Cristiano IV, che governò la Danimarca per più di cinquant’anni. Prendendo lo spunto dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, egli fondò un'analoga compagnia danese. Cristiano progettava in questo modo di proclamare lo Sri Lanka come propria colonia, ma la compagnia si limitò ad conquistare Tranquebar sulla costa indiana del Coromandel.

Il suo intervento, nel 1620, nel conflitto religioso in Germania a sostegno della causa protestante coinvolse il paese nella guerra dei Trent'anni, cosa che indebolì pericolosamente il paese: egli infatti aveva tentato di porsi a capo degli Stati tedeschi luterani, ma subì una disastrosa sconfitta nella battaglia di Lutter, che finì con il saccheggio e l'occupazione dello Jutland da parte di un esercito cattolico guidato da Albrecht von Wallenstein.

Nel contempo le continue rivalità con la Svezia per la supremazia nel Baltico sfociarono nelle guerre svedesi (1643-1645 e 1657-1660), in cui la Danimarca fu duramente sconfitta e perse gran parte dei possedimenti baltici. L'avanzata militare di Gustavo II Adolfo di Svezia in Germania fu interpretata come un chiaro segnale di come la potenza svedese fosse in piena ascesa. Nel 1643 le armate svedesi invasero lo Jutland e nel 1644 la Scania. Nel 1645, con il Trattato di Brömsebro, la Danimarca cedette l'Halland, l'isola di Gotland, le ultime parti ancora in suo possesso dell'Estonia danese e varie province norvegesi. La sopravvivenza stessa dello Stato danese veniva minacciata: la Danimarca continuava a riscuotere il suo vitale dazio d’ingresso nel Baltico, ma le navi svedesi ne erano state dispensate.

Nel 1657 il re Federico III dichiarò nuovamente guerra alla Svezia e avanzò con l'esercito verso il Bremen-Verden. Questa mossa condusse ad una terribile sconfitta per i Danesi, e le armate del re Carlo X Gustavo di Svezia conquistarono lo Jutland, l'isola di Funen e gran parte di quella di Zealand prima di firmare nel 1658 il Trattato di Roskilde, con il quale la Svezia prese il controllo anche delle regioni di Scania, Blekinge e Trøndelag e dell'isola di Bornholm.

Ulteriori tentativi di riconquistare i territori perduti fallirono, anche perché la Danimarca non ebbe l’appoggio delle grandi potenze occidentali e poi perché il potente, disciplinato e bene armato esercito svedese era formato dai figli dei contadini, attraverso un sempre più efficiente sistema di arruolamento nazionale, che permetteva agli svedesi di non dipendere dai mercenari. Inoltre in Svezia l’organizzazione della “macchina burocratica” aveva portato nel Seicento all’istituzione dei primi ministeri o dipartimenti, che vedevano crescere una nobiltà fatta non più (solo) di proprietari terrieri e capi militari, ma anche di burocrati e funzionari, che dovevano “tenere assieme” quel vasto impero, connettendo la periferia con il centro.

Il re svedese Carlo X Gustavo, nell'agosto 1658, pose Copenhagen sotto un assedio destinato a durare due anni, ma non riuscì a conquistare la capitale danese. Grazie ai trattati di pace che seguirono, la Danimarca mantenne la propria indipendenza e riprese il controllo del Trøndelag e di Bornholm.

La borghesia mercantile danese – duramente colpita dalla perdita di vari traffici commerciali sul Baltico – appoggiò nel 1661 la nascita di una monarchia di tipo assoluto ed ereditario, allo scopo di ridurre i poteri e i privilegi fiscali dei nobili. La svolta dipese dal fatto che l’eroica difesa della città di Copenaghen dagli assalti degli svedesi, era avvenuta non grazie alla grande nobiltà, ma grazie al re Federico III appoggiato dagli stati “minori”. La borghesia preferì una monarchia assolutista alle prepotenze dei nobili, anche se il parlamento non sarà più convocato per quasi due secoli.

In sostanza si era convinti che una classe di funzionari regi, che spesso si mostrava più vicina alle esigenze della periferia del regno, poteva edificare, all’interno di uno Stato “piramidale” e gerarchico, una società moderna, ordinata e bene amministrata. Ma ben presto la corte e i nobili si riprenderanno il potere e la Danimarca continuerà a restare il paese scandinavo con il più forte squilibrio tra ricchi e poveri, dove la grande massa della popolazione era fatta di sudditi senza diritti.

Nel XVII secolo fu intrapresa la colonizzazione della Groenlandia (già dominio danese dal 1380), si diffusero gli scambi commerciali con l'Estremo Oriente e vennero organizzate varie compagnie di commercio nelle Indie Occidentali. Furono anche in parte redistribuite le terre e proclamate le libertà di stampa e di culto. L'obiettivo di queste concessioni era quello di riprendersi, con una guerra, il controllo della Scania (1675-79), ma il tentativo fallì. Negli anni che seguirono la Grande guerra del nord i Danesi riuscirono invece a riconquistare parti dello Schleswig e dell'Holstein, governati dalla casata dei Duchi Holstein-Gottorp.

Gli anni dal 1720 al 1807 costituiscono il periodo di pace più lungo che il paese abbia mai vissuto. Sono in parte gli anni dello scrittore Ludvig Holberg (1684-1754), che più di ogni altro nobilitò la lingua danese.

Il motivo di questa pacificazione dipese dal fatto che il re svedese Carlo XII, dopo aver sbaragliato tutti tra il 1700 e il 1706 con “guerre lampo” e rapidi spostamenti, non seppe capitalizzare le vittorie sul campo, anzi decise un’impresa disperata: invadere e conquistare la Russia. La disfatta dello stremato esercito svedese arrivò a Poltava, in Ucraina, nel 1709. Con gli accordi di pace del 1721 la Svezia aveva già perso una bella fetta del suo impero baltico: tutti i territori costieri a est e a sud della Finlandia erano andati alla Russia, che aveva fondato San Pietroburgo nel 1703. E la Svezia dovrà tornare a pagare il dazio d’ingresso nel Baltico alla Danimarca.

Nella prima metà del Settecento, provenendo da alcune comunità cristiane della Germania, si diffonde in Danimarca il Pietismo, che esprime una rivolta del “cuore” contro la rigidità dogmatica della chiesa di stato. Gruppi di fedeli si riuniscono in conventicole, fuori dai canali ufficiali e dalla forme tradizionali del culto, per pregare, cantare e leggere il Verbo. C’è in loro un appello al sentimento e alla spontaneità, la ricerca di una dimensione più intima e vissuta della fede. Inizialmente il Pietismo è visto dal potere assoluto danese e dalla chiesa luterana come un pericolo: si tratta pur sempre di forme che sfuggono al controllo centrale. Nel 1706 re Federico IV proibisce le riunioni delle conventicole. La battaglia è però vinta dai pietisti, i cui esponenti entrano nelle gerarchie della chiesa (negli anni ’30 e ’40 del Settecento), “conquistando” pure gli ambienti della corte e la famiglia reale. Il re Cristiano VI (1730-46) è pietista, ed è lui che ordina la chiusura dei teatri, in quanto luoghi di “peccato”.

Lo scrittore che impersona la religiosità del Pietismo è il vescovo e autore di salmi Adolph Brorson. I salmi di Brorson pongono un forte accento sulla conversione personale, sull’immagine della nuova fede e della nuova nascita in Cristo. È un’espressione religiosa radicalmente luterana, tendente a una contrapposizione tra peccato e redenzione, mondo e anima. Il luteranesimo radicale di Brorson vuol anche dire una permanente condizione di tormento e incertezza: nel momento in cui l’uomo crede orgogliosamente di possedere la fede, egli è perduto. Su questa matrice pietistica nasceranno nella Scandinavia moderna (dal Settecento al Novecento) diversi risvegli religiosi, che giocheranno un ruolo importante nel processo di democratizzazione delle società scandinave: una religiosità, dunque, antimoderna e moderna allo stesso tempo.

Nel periodo delle guerre napoleoniche inizialmente la Danimarca cercò di mantenere una politica di neutralità, continuando a commerciare sia con la Francia che con il Regno Unito ed entrando a far parte della Lega della neutralità armata insieme a Russia, Svezia e Prussia. Le riforme agrarie si accompagnano all’abolizione delle servitù della gleba (1788), che viene festeggiata dai borghesi illuminati di Copenaghen con la “colonna della libertà”. Nel giro di un paio di decenni ben tre quinti dei terreni danesi diventano proprietà di chi la coltiva (sebbene resti numerosa la categoria dei fittavoli e dei braccianti). Tutta la legislazione sociale danese si apre a esigenze più moderne e ad annunciare le conquiste dell’Ottocento: la libertà di stampa, i primi passi dell’istruzione obbligatoria, opere pubbliche, cura dei poveri, nuova legislazione carceraria (fine delle torture e dei supplizi), abolizione della schiavitù e del commercio degli schiavi (su cui la piccola potenza coloniale danese aveva prosperato).

La vocazione mercantile e marinara di Danimarca e Svezia si realizza con grandi flotte e con la gestione di varie compagnie commerciali delle Indie orientali e occidentali, che portano nei paesi merci da tutto il mondo. La Danimarca possiede basi coloniali in India, nei Caraibi, nell’Africa nera. Gli schiavi neri vengono trasportati sulle isole dei Caraibi, e qui impiegati nella coltivazione della canna da zucchero, da cui si ricava il prodotto finito per tutti i mercati scandinavi. L’industria è nel complesso ancora poco sviluppata: il grande serbatoio di materie prime per la Danimarca (e per l’esportazione) è sempre la Norvegia (legname, metalli, pesce). Sarà proprio il fiorente commercio internazionale della Danimarca a “metterla nei guai”, durante le guerre napoleoniche, quando Inghilterra e Francia impongono blocchi navali e limitazioni del commercio neutrale.

Il Regno Unito infatti considerò l'adesione alla Lega della neutralità armata come un segno di ostilità e per due volte, nel 1801 e nel 1807, attaccò Copenhagen: gli Inglesi volevano impadronirsi della flotta danese nel tratto di mare tra Danimarca e Norvegia, per impedire che la flotta cadesse nelle mani di Napoleone o che continuasse a commerciare con la Francia. Con il primo scontro riuscirono a sconfiggere la flotta danese, mentre nel secondo provocarono l'incendio e la distruzione di ampie zone della capitale. La Danimarca fu così costretta a entrare in guerra e a stringere con Napoleone un’alleanza che le costò cara. Con la sconfitta dei Francesi la Danimarca perse la Norvegia.

L'Unione tra Danimarca e Norvegia si sciolse nel 1814 con il Trattato di Kiel. La Norvegia entrò a far parte di una nuova unione con la Svezia, che durò fino al 1905. La Danimarca mantenne le colonie di Islanda, le isole Fær Øer e la Groenlandia. Oltre che sulle colonie nordiche governò anche sull'India danese dal 1628 al 1869, sulla Costa d'oro danese (Ghana) dal 1658 al 1850 e sulle Indie occidentali danesi (le Isole Vergini Statunitensi) dal 1671 al 1917.

Attorno al 1830 il movimento liberale e nazionalista danese prese un grande slancio e anche grazie ad esso, in seguito alle rivoluzioni del 1848, Cristiano VIII emanò la prima Costituzione, sostituita l'anno seguente da una carta assai più liberale promossa dal suo successore Federico VII; il paese divenne così una monarchia costituzionale in cui erano garantite più libertà civili: si formano quattro assemblee regionali elettive e consultive per le isole, lo Jylland, lo Slesvig e l’Holsten. Su questa scia si istitituiscono negli anni successivi gli organi delle amministrazioni locali (ad esempio i comuni), altra importante “anticamera” della cittadinanza politica piena. Nel 1814 l’assolutistica Danimarca rende obbligatoria l’istruzione elementare: è uno dei primi paesi europei a farlo.

Si forma anche un movimento per l’emancipazione dei contadini non proprietari già nel 1846. In questi stessi anni parte un importante movimento culturale-religioso, capeggiato dal pastore e scrittore Grundtvig, per scolarizzare e formare i contadini danesi: è il movimento dell’“università popolare”. Questa istituzione si diffonderà poi con successo in tutta la Scandinavia; ma è soprattutto in Danimarca che gioca un ruolo importante di promozione, nelle classi subalterne, del senso di appartenenza nazionale, di partecipazione sociale e del diritto di uguaglianza e di cittadinanza. Le “università popolari” offrono corsi liberi agli adulti, di qualsiasi età. Studenti e insegnanti vivono insieme nella stessa scuola, spesso posta in campagna, e sono in un continuo rapporto di scambio e dialogo. All’università popolare ognuno sente il valore e la dignità della propria persona; anche le donne frequentano queste scuole, che dunque diventano fattore di uguaglianza tra i sessi. L’università popolare è un’istituzione emblematica dello spirito paritario scandinavo, ed emblematica della vita associativa che caratterizzerà l’evoluzione dal basso delle democrazie nordiche. Sono diffuse in tutto il Nord ancora oggi.

I movimenti del Quarantotto portano i frutti politici più grandi proprio in Danimarca. Non solo finisce ogni tipo di sottomissione dei contadini (le punizioni corporali, la servitù della gleba che non scomparve da un giorno all’altro nel 1788) e la chiamata alle armi diventa uguale per tutti; ma il suffragio diventa pressoché universale per tutti gli uomini dai trent’anni: anche chi non è proprietario può votare. Un passo avanti anche rispetto alla costituzione norvegese. Il parlamento è bicamerale, composto da una camera alta e una camera bassa con uguali poteri. Le elezioni sono dirette per la seconda e indirette per la prima. Similmente a Svezia e Norvegia, il potere esecutivo è esercitato dal re costituzionale che nomina i ministri del governo e a cui i ministri devono fare riferimento. Siamo in altre parole in una situazione precedente al parlamentarismo.

L’evento di politica estera che coinvolge la Scandinavia tra gli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento è l’acutizzarsi del problema nazionale dello Slesvig-Holsten. Il processo di unione nazionale, che intanto va avanti anche in Germania, porta a rivendicazioni di separazione da parte della popolazione tedesca delle due regioni; d’altro canto il programma dei “nazional-liberali” danesi ha due mete: la nuova costituzione e il cosiddetto Helstat, lo “stato intero” o Grande Danimarca che includa tutto lo Slesvig-Holsten.

Va subito detto che i tedeschi portano avanti richieste giuste dal punto di visto del diritto dei popoli all’autodeterminazione. I danesi sono infatti in maggioranza solo nello Slesvig del nord. Nello Slesvig del sud e in tutto l’Holsten prevale la popolazione di lingua tedesca. Questo conflitto sfocia in una prima guerra tra il 1848 e il 1851 (la Guerra dei Tre anni). È un conflitto cruento che provoca molte perdite tra i danesi. La diatriba venne temporaneamente placata grazie all'intervento diplomatico delle potenze europee (soprattutto la Russia) che, attraverso il trattato di Londra (1852), decisero di lasciare invariati i confini danesi.

Ma nel 1864 la Danimarca si trovò di nuovo in guerra contro i tedeschi. Il pomo della discordia era rappresentato sempre dai ducati di Schleswig e di Holstein: la Prussia di Bismarck, in fase di espansione, insieme all'Austria attacca la Danimarca da febbraio ad aprile 1864, spazzando in poco tempo ogni resistenza. Anche questa è una guerra pesante e cruenta, annuncio di una tecnica bellica sempre più devastante.

Per la Danimarca la guerra dano-prussiana è una disfatta nazionale, che coincide pure con la morte di re Federico VII, il padre della costituzione liberale. La monarchia è costretta a cedere il ducato di Holstein all'Austria e quelli di Lüneburg e Kiel alla Prussia (che ottenne anche lo Schleswig in amministrazione). La sconfitta del 1864 vuole anche dire la fine delle ambizioni dei nazional-liberali danesi. Infatti la reazione conservatrice impone nel 1866 un restringimento del suffragio per il parlamento; una parte dei membri della camera alta è ora nominata direttamente dal re e non più eletta. Questo passo indietro fa sì che il piatto della bilancia tenda verso il potere esecutivo, mentre il parlamento è penalizzato. Sarà questo il germe dei duri conflitti politici in Danimarca negli ultimi tre decenni dell’Ottocento. Da allora comunque la Danimarca dovette rassegnarsi ad essere un piccolo Stato tra grandi potenze, il che la convinse ad adottare una politica di neutralità.

L’attuale confine tra Danimarca e Germania resta ben più a nord di quello che la Danimarca ha difeso per molti secoli. La muraglia difensiva detta Dannevirke, fatta costruire dal re danese che combatté contro Carlo Magno tra l’VIII e il IX sec., è oggi in territorio tedesco. Solo lo Slesvig del nord è attualmente danese, mentre il resto dello Schleswig-Holstein fa parte della Germania.

La sconfitta del 1864 favorì comunque lo sviluppo dell’agricoltura moderna e le grandi città crebbero a causa dell’industrializzazione del paese.

Nel 1866, in seguito a un emendamento costituzionale, vennero costituite due Camere: il Landsting (eletto a suffragio ristretto) e il Folketing, in cui prevalevano i partiti popolari; le tensioni e gli scontri fra questi due organi costituzionali animarono per trent'anni la vita politica del paese, dominata in prevalenza da forze conservatrici. Solo nel 1901 i partiti della sinistra, moderati e radicali, riuscirono a vincere le elezioni e costituire un governo

In campagna il movimento delle cooperative e le Scuole popolari per adulti, le cosiddette højskoler, ebbero un’importanza decisiva, in quanto prepararono i contadini alla vita politica. La Socialdemocrazia, che sarebbe diventata una forza guida della società danese, si sviluppò a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento.

Con la nuova Costituzione del 1915 le donne danesi ottennero il diritto di voto. La Danimarca non fu coinvolta nella prima guerra mondiale, ma in seguito alla stessa fu spostata ancora una volta la frontiera verso sud, così che lo Schleswig settentrionale fu riunificato al paese nel 1920.

Sul piano artistico-letterario il periodo migliore per la Danimarca fu l’Ottocento: N. F. S. Grundtvig (1783-1872), H. C. Andersen (1805-1875) e Søren Kierkegaard (1813-1855) sono tra gli scrittori più importanti, C. W. Eckersberg (1783-1853) e Christian Købke (1810-1848) tra i pittori di maggior rilievo.

Si raccomanda la lettura del testo del prof. Massimo Ciaravolo, Lineamenti di storia della Scandinavia (rtf-zip) e si consiglia la lettura del testo del prof Massimo Ciaravolo, Materiali di letterature nordiche (rtd-zip).

Bibliografia

  • K. Winding, Storia della Danimarca, Pisa Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1997
  • Curcio, Simonetta, La Danimarca, 1815-1914, Gangemi, Roma 2000
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  • I. Olsen, M. Rosa, G. Tamburini, La cooperazione in Danimarca: aspetti strutturali e comparativi, Cooperativa libraria universitaria editrice, Bologna 1978
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  • Lauria Giuseppe Aurelio, La Danimarca nel 1829, Napoli 1834
  • Christiansen, Ernst, Gli sviluppi ideologici del socialismo democratico in Danimarca, Roma 1959
  • Lausten Martin Schwarz, La Riforma in Danimarca, Claudiana, Torino 1996
  • Radice Francesco G., Danimarca oggi, Ceschina, Milano 1968
  • Kirkegaard Preben, Biblioteche popolari in Danimarca, La nuova Italia, Firenze 1955
  • Tullo G. Carnevali, Il romanzo di un ministro e di una regina: 1769-1772: Carolina Matilde di Danimarca e Federico Struensee, Milano 1938
  • Sassone Grammatico, Gesta dei re e degli eroi danesi, Einaudi 1993
  • Updike John, Una storia in Danimarca, Guanda 2001

cfr il testo su Kierkegaard


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 01/05/2015