UMANESIMO E RINASCIMENTO

NASCITA E SVILUPPO DELLA MODERNA CULTURA BORGHESE


L’Umanesimo e la religione

Dario Lodi

L’incontro fra l’Umanesimo e la Chiesa non fu proficuo. Lo fosse stato, probabilmente ci sarebbe stata una svolta nella storia dell’umanità a favore della morale e della spiritualità. A impedirlo fu una lunga abitudine ecclesiastica al comando, secondo una logica nata bene e poi divenuta perversa, del tutto simile al potere temporale usato dai vari potenti del tempo. Rimaneva, nella chiesa, una struttura originale che fungeva da richiamo formale all’obbedienza. Questo richiamo era irrobustito da un apparato poderoso con cui il mondo ecclesiastico entrava nel mondo tradizionale con estrema facilità. Avveniva anche il contrario, a causa di questioni religiose elementari, di fabbisogni spirituali, trattati abilmente dalla chiesa. Non bisogna pensare a un bieco opportunismo generale – c’erano religiosi che credevano nella loro missione – ma a diffuse pratiche esteriori sì, specialmente nel periodo di cui qui si parla, il secolo quindicesimo.

Il potere temporale della chiesa

Al potere temporale la chiesa arrivò per la debolezza del potere imperiale. Carlo Magno aveva ricevuto la corona del Sacro Romano Impero (o Impero Cristiano) nell’800. Chi gliela aveva data, la chiesa, intendeva riproporre l’impero romano con l’aggiunta della cristianità. Questa aggiunta significava la creazione di una realtà sociale nuova, basata sulla fratellanza fra gli uomini e sui valori spirituali perché l’uomo – come da rivelazione – era figlio di dio. Cioè l’uomo era dio stesso. La chiesa, per la verità, partì bene. Quando cadde Roma imperiale, fu lei a tenere unita la gente, a dare a essa una speranza e a sostenerla materialmente. Essa praticava le indicazioni del Nuovo Testamento. Non imponeva né puniva, ma esortava e perdonava. I successori di Carlo Magno non furono altrettanto validi. Il Sacro Romano Impero divenne tedesco, di proprietà dei principi tedeschi (Grandi elettori) che nominavano l’imperatore il quale tale diveniva dopo il placet del papa. Il cerimoniale prevedeva che al papa spettasse l’ultima parola. Ma il papa allora era disarmato, non poteva recedere dalle decisioni prese dai principi tedeschi, le lotte fra i quali portarono man mano a imperatori deboli, per motivi facilmente comprensibili.

Alla debolezza dell’impero, la chiesa rispose con l’adozione di un comportamento temporale, dotandosi di un esercito e acquisendo terre con trattati e con vere e proprie battaglie, alleandosi con questa o quella potenza, a seconda della convenienza. Il “Principe” di Machiavelli è una sorta di pro-memoria dell’atteggiamento da tenere per la sopravvivenza e l’espansione del proprio feudo. La chiesa volle sostituirsi in tutto e per tutto all’imperatore per portare avanti la sua missione universale. Il ragionamento era: se l’imperatore si disinteressa, o è impedito, al compito solennemente prefissato, ci penserà la chiesa a svolgerlo. Vista la difficoltà dell’impresa, essa passò a curare il proprio orto, cercando sì di allagarlo per fini persino nobili (sulla carta), trovando però una concorrenza spietata e più crudele di lei. Alla confusione sociale che ne seguì, il papa rispose con misure drastiche, inventando la pericolosità delle eresie, perseguitate senza pietà, e istituendo l’inquisizione (si pensi a Torquemada). Solo un secondo, formidabile imperatore (Carlo V), a metà del Cinquecento, riuscì a emarginare le pretese ecclesiastiche.

L’Umanesimo uno e due

L’Umanesimo, si dice spesso, pose l’uomo al centro delle cose. Come un sole che irradia i pianeti. Nella realtà, scavando a fondo, l’Umanesimo pone l’uomo nella condizione di cercare (e di trovare) la ragione del valore dello spirito. Il movimento non nega per niente dio e non eleva l’uomo sopra di lui, tutt’altro: l’Umanesimo mette l’uomo sulla strada di dio per farlo avvicinare il più possibile alla sapienza superiore. Questa manovra condurrà l’uomo al piacere intellettuale massimo, tramite il quale mostrare il suo apprezzamento spirituale. A differenza degli uomini del Medioevo, che credevano senza pensare, che subivano l’imposizione di credere, l’umanista, a furia di pensare perché credere, nel senso dell’importanza di farlo, arrivarono a concepire una teoria per cui è giusto credere se si ha consapevolezza di ciò in cui si crede.

Evidentemente gli umanisti coprirono un buco lasciato aperto dalla chiesa, quello della cura vera dello spirito. Essa trascurava la spiritualità, salvo esprimerla in modo rituale e convenzionale, venendo meno ai suoi obblighi per occuparsi dei beni materiali. Il primo Umanesimo è un lungo periodo di gestazione nel corso della quale avvengono profonde ricerche interiori. Si raggiungono, nel periodo, notevoli intensità intellettuali, dovute a una capacità speculativa sempre più efficace. Quest’ultima è frutto di un’attività sociale europea molto accentuata dalle reciproche frequentazioni, fiere commerciali producenti scambi culturali e relativi approfondimenti. A tutto questo vanno aggiunte le riscoperte del mondo greco antico tramite le Crociate e la ripresa degli scambi commerciali fra le due parti. Sempre per effetto degli scambi commerciali, risulta condizionante, per la cultura umanistica, la cultura araba spagnola.

I personaggi che rendono chiari i vari passaggi possono essere individuati in Dante, che nella Divina Commedia, alla fine, vede la luce divina e non toglie gli occhi, avvertendo nel frattempo il senso della trascendenza. Su un piano piuttosto laico abbiamo, invece, Petrarca che si occupa intensamente del mondo classico, greco e latino, divenendo un depositario del sapere. Il suo è un lavoro di conoscenza affiancato a quello ecclesiastico, ben poco in concorrenza con lo stesso.

La seconda fase umanistica vede una decisa presa di posizione da parte dell’umanista nei confronti della verità. La posizione fideistica medievale è superata da una messa in discussione delle pretese della chiesa. Dobbiamo a Lorenzo Valla il coraggio di sconfessare un documento capitale per l’egemonia ecclesiastica: la donazione di Costantino, per cui il Cristianesimo avrebbe ereditato, sostanzialmente, l’impero romano. Valla scoprì che era un falso dell’Alto Medioevo. La chiesa avrebbe potuto rispondere che, grazie a esso, la fede poteva trionfare per il bene dell’umanità. Ma di certo lo smascheramento di Valla andava a incrinare seriamente l’impianto ecclesiastico. Il Quattrocento, il secolo del nostro smascheratore, vede anche l’impresa di Marsilio Ficino, traduttore del “Corpus Hermeticum” di Ermete Trismegisto, e la figura di Pico della Mirandola con il suo scritto “Discorsi sulla dignità dell’uomo”.

Nel primo caso, Ficino e Tommaso Benci (cha volse il testo in volgare), fecero conoscere il pensiero (presunto) di Ermete Trismegisto (tre volte grande) da cui il termine “ermetismo”. Cosa c’era in quel testo oscuro di tanto interessante per un umanista? C’era una specie di formula per arrivare alla conoscenza divina senza l’intermediazione ecclesiastica. All’umanista accorto, non importavano le formule quanto la tesi di poter osare un cammino personale verso la trascendenza. L’ermetismo entrò nella cultura del tempo dalla porta principale, tanto che Ermete divenne più importante di Gesù e influì parecchio in ogni campo speculativo che l’arte figurativa, la pittura specialmente, rese comprensibile alla perfezione ai fruitori contemporanei.

Nell’altro caso, Pico della Mirandola evidenziò il valore della personalità umana, la dignità dell’essere uomo, esortando l’uso della ragione. Siamo a una ragione al servizio del sistema – di cui la chiesa era parte essenziale – e quindi occorreva prudenza. Tuttavia non pare che Pico volesse andare oltre il riconoscimento della giusta predominanza della fede. La sua esposizione è piuttosto volta a un richiamo alla padronanza cosciente del messaggio evangelico, con le sue conseguenze spirituali soprattutto.

Terza fase umanistica

La chiesa non amò queste intrusioni umanistiche. La ragione non poteva andare d’accordo con la fede. Non capì, o non volle capire, che non si trattava di una ragione che pretendeva di sovrastare la fede, bensì di regolarla secondo il sentire umano. Un sentire che fondamentalmente era orientato verso la necessaria guida spirituale, trascendentale. La chiesa del tempo predicava le due cose in maniera nominale, non effettiva. L’Umanesimo era per l’effettività, portando logiche sorte da speculazioni accurate. Lo spirito aveva un codice interiore che conduceva a una moralità superiore, alla moralità ideale, la cui adozione avrebbe creato il paradiso in terra. Per la chiesa si trattava di un atteggiamento emotivo, improprio, privo di basi rispetto all’esperienza ecclesiastica, molto più attenta ai problemi fondamentali dell’uomo, per lei risolvibili solo con la preghiera e non certo con analisi presuntuose. C’era sicuramente del vero, data la giovinezza del fenomeno, ma questo vero era trattato con sufficienza e decisamente emarginato.

La mancanza di considerazione da parte della chiesa portò l’Umanesimo nelle braccia del materialismo.

Tramite questa trasformazione, ben avvertibile qualche anno dopo con Galileo, l’uomo voleva dimostrare la propria capacità di giungere al vero con le sue sole forze. Nasceva la scienza moderna, un’avventura straordinaria verso il sapere autentico. Si realizzava, pian piano, il principio di dignità intellettuale di cui Pico aveva parlato con tanto calore in pieno Umanesimo. Artisticamente, ovvero esplicitamente, Leonardo rappresentò il periodo in maniera magnifica, impeccabile, sublime.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 10/02/2015