LA RIVOLUZIONE AMERICANA


LA DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA

I firmatari della Dichiarazione di Indipendenza

Alla Virginia spetta l'onore di essersi dichiarata per prima colonia indipendente.

George Washington era un partigiano deciso dell'indipendenza e i coloni erano rimasti indignati dal bombardamento di Norfolk e dal fatto che il governo inglese avesse offerto la libertà agli schiavi negri che avessero preso le armi al suo fianco.

Fino ad allora le basi giuridiche delle rivendicazioni degli Americani erano quelle della vecchia tradizione britannica; ma poi si fece appello all'ideologia di Locke.

Richard Hanry Lee presentò al congresso la celebre mozione: "Queste colonie unite sono e devono essere di diritto Stati liberi e indipendenti. Esse sono esonerate da ogni fedeltà alla corona britannica. Ogni legame tra loro e lo Stato di Gran Bretagna è e deve essere sciolto".

Nel biennio 1774-75 si formarono spontaneamente i primi reparti armati e nell'aprile 1775 vi furono i primi seri scontri armati nei pressi di Lexington e Concord (North Carolina) e Bunker's Hill (presso Boston).

Charleston viene assediata subito dopo, ma gli inglesi non riescono ad espugnarla, e il generale Lord Cornwallis, comandante in capo dell’esercito di Giorgio III, decide di attendere gli sviluppi della situazione sperando che i ribelli, dopo questo inizio di guerra a loro sfavorevole, decidano di arrendersi.

Il piano degli inglesi era semplice: occupare New York e la valle dell'Hudson, tagliando in due le colonie; sbarcare in Virginia per raccogliere i lealisti assai numerosi nel Sud.

Senonché nel maggio 1775 si riunisce il secondo Congresso continentale, il quale, costatato lo stato di guerra con gli inglesi, decide di far passare le truppe di volontari dalla semplice guerriglia di formazioni partigiane sparse alla formazione di un esercito regolare vero e proprio di 25.000 uomini, guidato da un generale, George Washington, ricco piantatore della Virginia.

La monarchia inglese, sicura di poter debellare l'insurrezione in poco tempo, non cerca alcun compromesso e prende a bombardare la Virginia, suscitando reazioni non solo antibritanniche ma per la prima volta anche anche antimonarchiche.

Un uomo politico democratico, giunto dall'Inghilterra nel 1774, Thomas Paine, chiede ai coloni di ribellarsi apertamente alla madrepatria: il suo pamphlet, Common sense, ebbe un clamoroso successo.

Nella primavera del 1776 al terzo congresso di Filadelfia viene presa la decisione di annullare tutti gli atti britannici di navigazione, di aprire i porti alle navi di qualunque paese e di allestire una flotta corsara per sabotare quella inglese; inoltre si istituisce un comitato segreto per cercare nuovi alleati e materiale bellico in Europa.

Il 10 maggio il quarto congresso decide di istituire nuovi governatori al posto dei funzionari reali. Si cominciano così a distruggere i privilegi dell'aristocrazia terriera ed ecclesiastica e si abolisce il censo per l'esercizio del diritto elettorale. Si decide anche di disarmare tutti i lealisti requisendone le proprietà. Anche tutte le terre della corona vengono confiscate. Chi era stato condannato per spionaggio o tradimento, viene spedito in Inghilterra col divieto di ritornare in America, pena la morte.

John Adams, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson fanno parte del comitato incaricato di redigere la Dichiarazione d'Indipendenza. Jefferson era un virginiano di 32 anni, buon scrittore, colto, appassionato di scienze, di architettura, di economia politica, deciso e convinto ma cortese, senza fanatismo, molto popolare; fu una delle più alte figure che presiedettero alla nascita degli Stati Uniti.

Adams e Franklin accettano quasi integralmente il suo progetto che viene approvato e pubblicato il 4 luglio 1776 (negli Usa oggi è festa nazionale).

Nel preambolo politico di Jefferson erano enunciati alcuni principi fondamentali che dovevano essere alla base dei nuovi Stati indipendenti: i diritti naturali degli uomini ("alla vita, alla libertà, alla ricerca della felicità"), la sovranità popolare e il diritto dei sudditi di destituire i governanti che non rispettassero la libertà del popolo.

Era la prima dichiarazione dei diritti dell'uomo, delle libertà repubblicane e democratico-borghesi: eguaglianza di fronte alla legge, sovranità popolare, diritto di cambiare forma di governo. La proprietà veniva considerata non un diritto naturale (eterno e inviolabile), ma un diritto civile, connesso al lavoro: questo sulla scia delle idee di Rousseau, Mably, Paine, in contrapposizione alle teorie di Locke.

Nel progetto primitivo Jefferson condannava anche la schiavitù, ma nella stesura finale gli schiavisti della Carolina del Sud e della Georgia imposero i loro interessi come condizione per la loro partecipazione alla guerra contro gli inglesi. Sicché dopo la fine della guerra il commercio degli schiavi riprenderà con forza, tanto che gli schiavisti americani supereranno di molto il numero degli schiavisti inglesi.

Pur con i suoi limiti, la Dichiarazione ebbe un’importanza enorme: per la prima volta dopo secoli d’assolutismo nasceva uno Stato fondato sul rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e della sovranità popolare. Anche se inizialmente in America il diritto al voto e soprattutto il diritto di essere eletti fu riservato ai cittadini più abbienti, la Dichiarazione ispirò tutti i movimenti antifeudali e le rivoluzioni democratiche europee dei decenni successivi.

Subito dopo la firma della Dichiarazione iniziano ad accorrere da tutte le parti i coloni che vengono inquadrati nei ranghi del Continental Army composto da gente non abituata all’arte militare.

La prima Costituzione federale fu votata al Congresso nel 1777. Essa conservava la sovranità di ogni Stato come unità statale autonoma; l'unità era in funzione della difesa contro un nemico comune.

Il Congresso si componeva di una Camera di deputati, eletta per un anno (con lo stesso numero di rappresentanti per ogni Stato, a prescindere dal numero di abitanti). La carica di Presidente (capo del potere esecutivo) non esisteva.

Il Congresso inoltre non aveva diritto alla riscossione delle tasse; gli Stati conservavano la loro propria moneta e le proprie leggi doganali.

Il Congresso non disponeva neppure di mezzi per il pagamento degli interessi sui prestiti esteri; per coprire le spese doveva ricorrere all'emissione di carta-moneta non coperta né da oro né da argento. Poiché tutti gli Stati emettevano proprie banconote, il valore della moneta, dal 1779 al 1781, si deprezzò della metà. Gli Stati tentarono di combattere  la svalutazione fissando un maximum dei prezzi, ma a ciò i mercanti opposero sempre un netto rifiuto, esigendo anzi moneta buona per i loro traffici.

Sicché l'invio di rinforzi e di rifornimenti per l'esercito americano dipendeva esclusivamente dalla volontà degli Stati, i quali si opponevano in ogni modo ai tentativi di centralizzazione politica, tipici degli assolutismi europei del XVIII secolo, in cui organi di potere politico, militare e amministrativo venivano gestiti direttamente dai sovrani.

Tutti gli Stati, salvo quello di New York, avevano deciso di rompere con la Gran Bretagna. L'indipendenza era ormai proclamata; non restava che farla trionfare.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Storia moderna
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Aggiornamento: 23/06/2014