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LA RIFORMA PROTESTANTE
Premessa generale La chiesa rinascimentale era uscita vittoriosa dalla grave crisi scoppiata dopo la fine della cattività avignonese (1309-77), allorché aveva dovuto affrontare lo scisma dei cattolici nord-europei (1378-1449) che volevano il primato dell'istanza conciliare su quella papista (Concili di Costanza e Basilea). Era stata la sottomissione degli ortodossi al Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39) che aveva ridato al papato un enorme prestigio, al punto che poteva ignorare del tutto lo scisma conciliarista. Il papato ebbe la netta impressione che la crisi fosse stata definitivamente superata e, per dimostrare che l'istanza monarchico-assolutistica della sede romana non aveva nulla da invidiare a quella democratico-conciliarista dei cattolici nord-europei, aveva preso ad appoggiare nettamente lo sviluppo borghese dell'Europa più avanzata. Fu quello il momento in cui nacque un'arte e una cultura moderna assolutamente inedita, che vide protagonista l'Italia per una ragione molto semplice. Le enormi potenzialità economiche di questa penisola, frustrate dalla mancata unificazione nazionale, paralizzate dal blocco dei commerci mediterranei a causa dell'invasione turca, estromesse dalle conquiste coloniali di Spagna e Portogallo, potevano esprimersi solo in una maniera: coltivando arte e letteratura. L'Italia fece una rivoluzione culturale quando altri paesi avevano pensato a unificarsi politicamente, riducendo di molto il potere del clero e iniziando le avventure coloniali oltreoceaniche, bypassando del tutto l'intermediazione araba e turca nei traffici con l'oriente. Il papato appoggiò decisamente la borghesia, nella speranza che questa rinunciasse definitivamente al progetto di unificazione nazionale e, nel contempo, a qualunque idea di democratizzazione nella gestione politica della stessa chiesa. E la borghesia, tutto sommato, accettò, anche perché nessuno Stato regionale era così forte da imporsi sugli altri e nessuno sponsorizzò l'idea di creare un'intesa federale con cui eliminare il potere temporale del papato, privandolo del suo enorme Stato al centro della penisola. La riforma luterana piovve come un fulmine a ciel sereno. Da tempo il papato era convinto che non ci sarebbero state più delle "eresie" da dover combattere, come già per 500 anni aveva fatto nel basso Medioevo. La borghesia italiana non si sarebbe mai sognata di fare una riforma del genere, che si poneva in chiave religiosa, non foss'altro perché con la propria ideologia umanistica l'avrebbe avvertita come cosa antiquata, superata dai tempi. Questo spiega anche il motivo per cui, quando in Germania scoppiò la riforma, la borghesia italiana non si fece trovare pronta ad accoglierla. L'argomento, in un certo senso, non le interessava più. La borghesia italiana aveva già trovato un proprio modus vivendi con la chiesa romana. Il compromesso era molto semplice: da un lato la borghesia avrebbe fatto finta di credere nei valori della chiesa, e dall'altro questa avrebbe fatto finta di credere che la prassi borghese fosse del tutto compatibile coi valori religiosi della cristianità. Era un compromesso a tutti gli effetti. Un'intera classe sociale non metteva più in discussione il potere temporale del papato e questo offriva alla borghesia ampi margini di manovra per realizzare tutti i profitti che desiderava. Dalla borghesia italiana non sarebbe mai potuta nascere una riforma come quella luterana, proprio perché essa aveva già provato a farla ai tempi delle eresie bassomedievali (quando tutta Europa, se si escludono le Fiandre, viveva ancora in pieno feudalesimo), senza ottenere alcun risultato sul piano più propriamente religioso. La borghesia aveva soltanto ottenuto maggiore libertà d'iniziativa mercantile. La borghesia italiana avrebbe potuto fare una riforma laicista, ma non prima o comunque non senza una contestuale unificazione nazionale, poiché solo con questa, politicamente, si sarebbe davvero potuto ridurre il potere della chiesa, e quindi porre le basi per un rinnovamento culturale efficace. Infatti, senza l'unificazione politica, sia l'Umanesimo che il Rinascimento subiranno una definitiva battuta d'arresto con la Controriforma, scatenata col Concilio di Trento (1545-63). Non può certo apparire casuale che la riforma in Europa riuscì davvero ad attecchire, favorendo lo sviluppo della borghesia, solo là dove si era in presenza di una consolidata unificazione nazionale. Non si deve guardare ch'essa, pur in presenza di tale unificazione, non prese piede nella penisola iberica. Qui l'unità nazionale era stata fatta in nome del feudalesimo, non in nome del capitalismo: la borghesia araba ed ebraica era stata fatta a pezzi, e Spagna e Portogallo rimarranno feudali ancora per molti secoli, nonostante il loro colonialismo (anzi, sarà proprio questo che favorirà la loro feudalizzazione ad oltranza). D'altra parte la riforma non favorì la borghesia neppure nel territorio ove era stata promossa per prima: la Germania, proprio perché qui non si era realizzata l'unificazione nazionale. La Germania s'accontentò di una rivoluzione ideale, nel pensiero religioso, e non sfruttò l'occasione per diventare una potenza capitalistica (e quando questa esigenza si ripropose, dopo l'unificazione nazionale del 1871, la Germania, per recuperare il tempo perduto, sarà costretta a far scoppiare due guerre mondiali). Sicché i frutti migliori della riforma vennero ereditati da altre nazioni: Olanda, Francia e soprattutto Inghilterra, che vissero la riforma in maniera ambigua, in quanto dovettero tener conto della forte presenza cattolica nei loro territori. Là dove la riforma si mantenne allo stato puro fu in Germania, la quale però, essendo feudale e divisa al proprio interno, non seppe sfruttarla sino in fondo. Cause storico-sociali 1) Critica dell'enorme ricchezza e dei privilegi della Chiesa romana. Decadenza morale della Chiesa (nepotismo: cariche politico-religiose-diplomatiche offerte ai parenti di papi-vescovi-cardinali; lusso della curia romana; corruzione del clero, che si è lasciato influenzare dallo stile di vita borghese, emergente in tutta Europa, mondanità...). La sede pontificia era disputata da grandi famiglie italiane (Medici, Farnese, Della Rovere). In sostanza, da un lato il clero cattolico italiano appariva molto borghese, dall'altro persisteva un uso feudale del potere politico da parte del papato. 2) Risveglio delle nazionalità (Francia, Inghilterra, Olanda, una parte della Germania, ecc.) sia contro il Sacro romano impero rappresentato da Carlo V con Spagna-Austria-Ungheria-Paesi Bassi (Belgio), che contro l'universalismo medievale cattolico del papato. In Germania è soprattutto la grande feudalità che combatte l'impero, negli altri Stati è soprattutto la borghesia, che appoggia la monarchia nazionale, ostile alla rivendicata autonomia dei feudatari. 3) Esigenze emancipative di vari strati sociali: piccoli nobili in decadenza contro la grande feudalità (soprattutto in Germania, dove la piccola nobiltà non è riuscita, come in Italia, a istituire i Comuni insieme alla borghesia); servi della gleba contro la grande feudalità (soprattutto in Germania); borghesia contro i grandi feudatari (ovunque, ma in Inghilterra la riforma anglicana si farà sulla base di un compromesso fra queste due classi). La riforma protestante, per gli effetti di lunga durata che ha provocato, è stato l'avvenimento più importante, a livello europeo, della prima metà del '500. Di fronte alla crisi religiosa dei secoli precedenti, iniziata praticamente in concomitanza con la rivoluzione comunale e mercantile, con la riscoperta dell'aristotelismo, con il progressivo distacco dalle tradizioni bizantine-ortodosse, con la nascita del potere temporale del papato (appoggiato dai carolingi e da altri regni barbarici), la riforma rappresenta lo sbocco (individualistico) che a questa crisi vollero dare i ceti borghesi, nella convinzione che non esistessero altre alternative (nei secoli precedenti la crisi della chiesa fu affrontata dai movimenti ereticali pauperistici, per la maggioranza dei quali la riforma della chiesa non necessariamente avrebbe dovuto portare a un esito di tipo borghese). La riforma provocò la spaccatura del mondo cattolico, la frantumazione definitiva del concetto di "sacro romano impero" e l'avvio del processo di formazione delle nazionalità: gran parte dei popoli di lingua anglo-sassone si separano dalla chiesa romana. Solo a separazione avvenuta, la chiesa romana intraprese, con il Concilio di Trento (1545-63) la sua riforma interna (la Controriforma), basata sul rafforzamento dell'autorità pontificia, sull'Inquisizione, sull'Indice dei libri proibiti, sulla creazione di nuovi ordini religiosi (gesuiti, cappuccini, barnabiti, somaschi, scolopi...), su una notevole solidità dogmatica e disciplinare. Formalmente gli storici fanno risalire la crisi della chiesa romana al periodo della "cattività avignonese" (1309-77), in cui si verificò il trasferimento della sede pontificia ad Avignone (Francia meridionale), dopo il crollo della teocrazia papale: il che determinerà la soggezione del papato alla politica francese. Questa in realtà fu una disfatta di tipo meramente politico: gli aspetti di crisi sociale e culturale sono di molto anteriori. La crisi politico-istituzionale si accentuò coi due "scismi d'occidente", dopo il ritorno del papato a Roma. Durante il primo scisma (1378-1417), il Collegio dei cardinali, in maggioranza francesi, non era intenzionato ad accettare la politica di autonomia del papato nei confronti della Francia. Per questa ragione i cardinali elessero un antipapa, il quale però, dopo essere stato sconfitto col suo esercito, mentre marciava su Roma per sbarazzarsi del rivale, decise di fissare la sua sede ad Avignone. Molti cardinali, in un Concilio di Pisa (1409), decisero di deporre i due papi e di eleggerne un terzo, che però gli altri due non riconobbero. Allora l'imperatore Sigismondo convocò un Concilio ecumenico a Costanza (1414-1418), riuscendo a far deporre i tre papi e a farne eleggere uno nuovo, riconosciuto da tutti. Il concilio decise anche di condannare le eresie di Wyclef (Inghilterra) e di Huss (il riformatore boemo che, insieme al discepolo Girolamo da Praga, finì sul rogo nel 1415), riservandosi di trattare in un prossimo concilio il problema della riforma della chiesa. Infine adottò il principio della superiorità del Concilio sul papato (Sigismondo, al fine di neutralizzare la prevalenza dei vescovi italiani, impose ai prelati l'obbligo di esprimere il voto per nationes e per tale ragione con esso gli storici indicano la nascita ufficiale del concetto di "nazionalità"). Uno dei precedenti fondamentali della Riforma protestante fu anche la formazione del Movimento Conciliare, che rivendicava la subordinazione del papato al concilio (reformatio in capite et in membris). Questo principio però non piacque ai prelati della curia romana, i quali
proclamarono al Concilio di Firenze la superiorità del papato sul concilio. Per
dieci anni (1439-49) il Concilio di Basilea rifiutò di riconoscere il papa di
Roma ed elesse un antipapa, ma i poteri di questo Concilio (che durò dal 1431
al 144) furono progressivamente svuotati dal papato in tre modi: Dopo lo scacco del concilio di Basilea, praticamente sino al 1517 il papato tornò ad essere il vero sovrano della cristianità. Il movimento riformatore sperò che il concilio del Laterano (1512-1517) avrebbe recepito alcune delle istanze riformatrici. Invece ciò non avvenne. Il tentativo di riforma per mezzo di concili generali rappresentò l'ultima possibilità offerta alla chiesa cattolica di ristrutturarsi su base episcopale, "parlamentare", "federalistica". Il 16 marzo si chiuse il concilio e il 31 ottobre Lutero pubblicherà le sue 95 tesi. Il movimento conciliare si era convinto che la riforma avrebbe potuto aver luogo solo per vie non legali. Conseguenze La riforma in Germania assunse tra il popolo l'aspetto di una ribellione delle classi oppresse contro quelle privilegiate. La rivolta dei contadini (1524-25), capeggiata da Tommaso Münzer, fu enorme, ma venne repressa dai grandi principi feudatari con l'appoggio dello stesso Lutero. Stessa sconfitta la subirono i piccoli nobili ribellatisi ai grandi feudatari. L'impero di Carlo V, d'accordo col papato, si oppose alla riforma, ma senza successo. Le ostilità fra impero e principi tedeschi si conclusero con la Pace di Augusta (1555) che affermò il principio di "tolleranza religiosa", seppur entro i limiti del "cuius regio eius religio" (cioè la religione dei sudditi di una nazione deve essere quella del loro re). I beni ecclesiastici secolarizzati (confiscati) dai principi o dai re non furono più restituiti alla chiesa romana. La Riforma indebolì senza dubbio l'impero e l'universalismo medievale, ma non favorì in Germania la monarchia nazionale (come invece in Inghilterra e Olanda). Furono piuttosto i principi feudali a trarne i maggiori vantaggi. I punti fondamentali della rottura I) Giustificazione per fede: la salvezza si ottiene direttamente dalla grazia divina e non attraverso le opere guidate dalla Chiesa; quello che conta è solo l'atteggiamento di coscienza. Non ci si salva per i propri meriti. Il peccato originale rende l'uomo incapace di bene. Solo Dio può salvare. Di questa salvezza l'uomo non può essere certo finché non muore. In attesa di saperlo deve avere la fede. Conseguenza pratica: forte individualismo, rifiuto dei sacramenti, del concetto di "opere buone", separazione del civile dal religioso (cioè dello Stato dalla Chiesa). II) Libero esame delle Scritture: contro l'interpretazione ufficiale, dogmatica, canonica, della Chiesa. Conseguenza pratica: forte intellettualismo, nascita di molte comunità e sètte nell'ambito delle confessioni protestanti, rifiuto quasi totale della tradizione ecclesiastica cattolica, subordinazione dei sacramenti/riti/culto all'interpretazione della Bibbia. III) Sacerdozio universale dei credenti: contro le divisioni gerarchiche fra clero e laici. Conseguenza pratica: fine della struttura tradizionale della Chiesa, fine del monachesimo, sviluppo delle piccole comunità religiose. |