LE MONARCHIE NAZIONALI


CARLO V E L'IMPERO CONTRORIFORMISTA

Carlo d'Asburgo (1500-58) entra in scena per la prima volta quando, in veste di re di Spagna, a firma nel 1516 la pace di Noyon, con cui si riconosce alla Francia di Francesco I il ducato di Milano e agli spagnoli il regno napoletano, che i francesi avevano cercato, invano, di riprendersi, essendo appartenuto, in precedenza, agli Angioini.

L'albero genealogico di Carlo d'Asburgo (nato a Gand) è abbastanza complicato, ma sarà proprio esso che gli permetterà di ereditare un impero vastissimo:

  1. i suoi nonni paterni erano Maria di Borgogna, i cui regni (Paesi Bassi, Fiandre, Franca contea e Artois) erano stati ereditati dagli Asburgo, in seguito al matrimonio di Maria con Massimiliano d'Asburgo, che aveva potere su Austria, Tirolo, Stiria e Carinzia e che morirà nel 1519; dal matrimonio era nato Filippo d'Asburgo, il padre di Carlo;
  2. i nonni materni invece erano Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, i fautori dell'unificazione nazionale spagnola, padroni anche del regno napoletano, inclusa la Sicilia e la Sardegna, e naturalmente di vastissime colonie nel continente americano. Dal loro matrimonio era nata una figlia mentalmente squilibrata, passata alla storia col nome di Giovanna la Pazza: fu proprio dal matrimonio di questa con Filippo d'Asburgo che nacque Carlo V.

Alla morte di suo padre Filippo (1506) e di tutti i nonni, Carlo V riuscì abbastanza facilmente a dimostrare che il vastissimo impero non poteva essere gestito da sua madre e, sebbene in Spagna non apprezzassero affatto la corte fiamminga che egli, avendo sempre vissuto nelle Fiandre, s'era portato con sé, alla fine nessuno poté impedire la concentrazione di un territorio così vasto nelle mani di una sola persona, la cui sede imperiale, peraltro, era alla corte d'Asburgo, mentre in Spagna governava un suo luogotenente, il cardinale Adriano di Utrecht.

In particolare la sua politica centralista in Spagna ebbe la meglio sulle tendenze separatiste nobiliari solo grazie all'appoggio delle città, ma quando l'imperatore cominciò a ridurre l'autonomia alle stesse città, che sopportavano l'onere finanziario maggiore della sua politica imperiale, scoppiò nel 1520 la cosiddetta rivolta dei "comuneros" (città castigliane), appoggiata dall'aristocrazia. La rivolta, dilagata ben presto in tutta la Castiglia, si trasformò in una "Lega santa" contro il sovrano, arrivando persino a deporre il suo luogotenente. Ma poi, nel momento cruciale, emersero gli interessi contrapposti che dividevano le forze della Lega. La borghesia infatti chiedeva nel suo programma non solo che l'imperatore risiedesse sempre nel paese e che le alte cariche statali (da non porre in vendita) fossero assegnate solo a funzionari spagnoli e che le Cortes venissero convocate ogni triennio e che i deputati eletti fossero indipendenti dal potere regio, e che si vietasse l'esportazione di oro e argento, ma chiedeva anche che le terre regie alienate e usurpate dall'aristocrazia dopo la morte della regina Isabella tornassero all'erario, che si abolisse inoltre l'esenzione dei nobili dal pagamento delle imposte e si vietasse a quest'ultimi di occupare d'ufficio le cariche amministrative nelle città.

I nobili più reazionari cominciarono ad allontanarsi dal movimento (che peraltro non fu capace di uscire dai confini della Castiglia) e ad accordarsi con la corona. Viceversa, gli elementi più radicali delle città volevano prepararsi a uno scontro armato decisivo. Non ebbero però l'appoggio degli strati urbani più ricchi e la mancanza di organizzazione generale ne determinò la sconfitta a Villalar nel 1521. Anche le rivolte di Valenza e dell'isola di Maiorca subirono lo stesso risultato. Il potere di Carlo V crebbe enormemente e con esso le estorsioni finanziarie sul paese. I grandi proprietari fondiari tuttavia ebbero la peggio sul piano politico, poiché la corona attribuì agli hidalgos il diritto di amministrare le città. E siccome i grandi nobili continuavano a non voler pagare le tasse, il sovrano smise di convocarli nelle sedute parlamentari.

Sembrava d'essere tornati ai tempi degli imperatori feudali franchi e sassoni. Anzi, quando si trattò di eleggere il nuovo imperatore del sacro Romano impero germanico (1519), la scelta dei sette principi elettori cadde proprio su di lui, per una serie di ragioni: si temeva una Francia troppo forte; la chiesa aveva bisogno di un sovrano cattolico autoritario con cui porre fine alle crescenti contestazioni contro il potere corrotto pontificio che venivano emergendo nei territori tedeschi (Lutero aveva reso pubbliche le sue tesi nel 1517); il fatto che Carlo appartenesse a una dinastia "tedesca" dava maggiori garanzie di stabilità e continuità alle sorti, già fragili, dell'impero, che ora peraltro veniva a trovarsi nelle mani di un sovrano ricchissimo e molto potente; i feudatari germanici mal sopportavano l'avanzata della borghesia (che presto troverà nella Riforma un valido sostegno ideologico) e la minaccia di guerre contadine (che proprio in Germania scoppieranno furibonde nel XVI secolo); infine non va dimenticato che, contro il dilagare dell'impero ottomano, quasi padrone del Mediterraneo (le conquiste arrivavano alle porte del Marocco) e in procinto di assediare Vienna, occorreva un impero non meno forte.

Carlo tuttavia non cercò subito l'alleanza di Francesco I contro i turchi, ma cercò di ampliare ulteriormente i propri territori a spese dei francesi, i quali, ad un certo punto, sentendosi accerchiati da un impero così vasto, si videro costretti a chiedere un'alleanza ai turchi, suscitando molto scandalo negli ambienti cattolici europei. Egli presentò ai francesi le proprie rivendicazioni su vari territori del ducato di Borgogna e su quelli di Milano e Genova, finché, dopo una guerra durata dal 1521 al 1525, ottenne quel che voleva (pace di Madrid, 1526).

Poi, siccome non poterono accettare questa pesante umiliazione, i francesi si allearono col nuovo papa Clemente VII dei Medici, che riuscì a far convergere, nella Lega di Cognac, Firenze, Venezia, Milano, Genova e anche l'Inghilterra, tutti timorosi dello strapotere di Carlo. In particolare il timore del papato era che il sovrano asburgico, una volta impossessatosi dell'Italia settentrionale ed avendo già nelle sue mani l'intera Italia meridionale come eredità spagnola, potesse essere indotto ad unificare tutti gli Stati della penisola sotto un unico scettro, a danno dello Stato pontificio, che rischiava, in tal modo, di scomparire come entità territoriale.

L'imperatore, non potendo agire di persona, perché pressato militarmente contro luterani e turchi, fece in modo di scatenare contro il pontefice la potente famiglia romana dei Colonna, da sempre nemici giurati del papa Medici. Clemente VII, pur di liberarsi dell'assedio dei Colonna, chiese aiuto allo stesso imperatore, promettendogli in cambio la propria alleanza contro il re di Francia e rinunciando quindi alla Lega Santa. Carlo V mantenne la promessa e liberò il papa dall'assedio dei Colonna, ma Clemente VII tradì la parola data, chiamando in suo aiuto proprio Francesco I. Di fronte a questo tradimento l'imperatore dispose l'intervento armato contro lo Stato pontificio, mediante l'invio di un contingente di 35.000 Lanzichenecchi, al comando del duca Carlo di Borbone, connestabile di Francia, uno dei più grandi condottieri francesi, inviso a Francesco I. Il duca morì durante l'assedio di Roma, ma i Lanzichenecchi riuscirono lo stesso a entrare in città e a saccheggiarla (1527). Le devastazioni, che durarono un anno perché le truppe erano rimaste senza paga, senza comandante e senza ordini, ebbero un grave costo per la città: vi furono 20.000 vittime, oltre a danni incalcolabili sul patrimonio, anche artistico.

In definitiva Carlo V ebbe la meglio anche nella seconda guerra (1526-29), grazie anche al tradimento di Andrea Doria, che capeggiava la potente flotta genovese. Fatto questo non gli restava che pretendere da Clemente VII d'essere formalmente riconosciuto, a Bologna, nel 1530, come imperatore del Sacro romano-germanico impero e re d'Italia. In tal modo Carlo V era diventato padrone anche di quasi tutta l'Italia, almeno nel senso che nessuno era in grado di contestargli il titolo. La sua idea era quella di iniziare le ostilità contro i turchi proprio partendo dall'Italia.

Prima però doveva arginare la loro presenza in Austria, dove Vienna era stata posta sotto assedio nel 1529. Decise di fare qui due cose: spartire con loro l'Ungheria e nominare sovrano di Boemia, Austria e metà Ungheria suo fratello Ferdinando. Dopodiché passò al contrattacco sul Mediterraneo, dove però incontrò una flotta navale turca, appoggiata da quella francese, praticamente inaffondabile, al punto che anche quelle veneziane e genovesi, a lui alleate, subirono cocenti smacchi.

In Germania approfittarono subito di queste sconfitte i principi luterani e le città aderenti alla Riforma, che nel 1531 avevano fatto Lega a Smalcalda, chiedendo aiuto anche alla cattolica Francia, a testimonianza che ormai le medievali "guerre di religione" avevano fatto il loro tempo, al punto che si era cominciato ad allearsi anche col nemico della propria fede religiosa, pur di tutelare interessi di natura politica o economica.

Dopo aver cercato, inutilmente, di risolvere per via pacifica la diatriba tra cattolici e protestanti nella Dieta di Ratisbona (1541), Carlo V era passato alle vie di fatto, infliggendo una pesante sconfitta militare ai protestanti nella battaglia di Mühlberg (1547), per poi di nuovo tornare a trattative pacifiche nella Dieta di Augusta (1548), nella quale però le condizioni che aveva posto (conservare l'unità ecclesiale sotto il papato, facendo concessioni ai protestanti sul piano dottrinale) non erano piaciute, per motivi opposti, a nessuno dei contendenti.

La rottura tra protestanti e cattolici pareva irreversibile, proprio perché insanabile il contrasto tra i nuovi ceti emergenti della borghesia e la feudalità ecclesiastica. La differenza, semmai, stava tra quelle aree geografiche che, pur essendo divenute protestanti, non volevano mettere in discussione lo strapotere della nobiltà terriera laica, e quelle aree invece che, sempre in quanto protestanti, si sentivano abbastanza forti per poterlo fare. Si può anzi dire che in quel periodo la Riforma protestante servì più che altro a eliminare i grandi patrimoni della feudalità ecclesiastica, poiché, per promuovere davvero un forte sviluppo della borghesia, la Riforma dovrà prima attendere Le rivoluzioni olandesi, inglesi e francesi e naturalmente l'emigrazione verso il Nuovo Mondo. Non a caso in Germania la feudalità laica rimase così forte che si servì proprio del protestantesimo per impedire l'unificazione nazionale sotto un imperatore cattolico.

Insomma Carlo V fu costretto ad accettare la pace di Augusta del 1555, in cui si imporrà il principio cuius regio, eius religio (la religione di ogni Stato è quella professata dal proprio sovrano), con l'eccezione di quelli retti da principi ecclesiastici, i quali, se volevano diventare luterani, dovevano abbandonare il loro potere.

L'anno dopo, resasi conto che il suo sogno di monarchia universale cattolica era fallito, Carlo V abdicò, dividendo il suo impero in due parti: Spagna, Italia, Paesi Bassi, possedimenti borgognoni e colonie americane andarono al figlio Filippo II (1556-98); Austria, Boemia, Ungheria e la carica imperiale al fratello Ferdinando.

Subito dopo la sua abdicazione, il papa Paolo IV (1555-59) chiese al re francese Enrico II di muovere guerra agli Asburgo, cioè a Filippo II e a Ferdinando, che in quell'occasione si trovarono alleati con l'Inghilterra, la cui sovrana, Maria la cattolica, aveva sposato proprio Filippo II. Enrico II voleva annettersi tutto il regno napoletano, ma venne sconfitto a San Quintino (1557) dalle truppe imperiali guidate da Emanuele Filiberto di Savoia, che lo costrinse ad accettare la pace di Cateau-Cambrésis (1559), secondo cui alla Francia andavano ivi scovati di Metz, Toul e Verdun, rinunciando in cambio a qualunque pretesa sull'Italia, persino sul Piemonte, dove infatti poté rientrare il suddetto principe Savoia. Addirittura Filippo II, rimasto vedovo di Maria la cattolica (1558), si sposò con Isabella di Valois, figlia del sovrano Enrico II, permettendo alla Francia di ottenere Calais dagli inglesi.

Carlo V morì nel 1558, dopo essersi ritirato in un convento spagnolo. L'eredità controriformista la lascerà soprattutto a suo figlio Filippo e alla chiesa romana che, col Concilio di Trento (1545-63), non vorrà neanche sentir parlare di protestanti.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 02/10/2014