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I MARTIRI DI OTRANTO
Un'operazione storiografica strumentale
 
I
Nel n. 6/2014 de "L'Ateo" vi è un lungo articolo di Marco Ottanelli (che si può leggere anche
qui), intitolato "I martiri di Otranto e le radici cristiane", in
cui si mette in luce l'ottica strumentale della storiografia cattolica
nell'interpretare determinati eventi storici.
La tragica vicenda avvenne nel 1480, allorché il sultano turco Maometto
II, dopo essere dilagato coi suoi eserciti nell'ex-impero bizantino, in
Grecia, Macedonia e Albania, aveva autorizzato il generale Gedik Ahmet
Pascià (governatore di una parte della provincia di Valona) a tentare uno sbarco in Italia, partendo dalla Puglia, al fine di
controllare l'Adriatico sulle due sponde, eliminando definitivamente la
concorrenza veneziana. In un decennio infatti gli eserciti ottomani
avevano fatto incursioni persino nei pressi del Piave, sfruttando il
fatto che Venezia non otteneva aiuti da nessuno, anche perché in quegli
anni gli Aragonesi di Napoli e lo Stato pontificio erano impegnati in
una guerra contro la Firenze di Lorenzo dei Medici, cercando alleanze in
ogni dove.
L'obiettivo iniziale dello sbarco doveva essere Brindisi, ma, a causa
dei venti, la flotta si ritrovò a Otranto, appartenente agli
Aragonesi. L'obiettivo più
generale era quello di occupare tutti i
territori ch'erano stati sotto Bisanzio e possibilmente anche quelli
sotto la chiesa di Roma. Il generale Gedik sembrava, in quanto molto
capace, il più adatto a realizzare l'impresa.
Quando i Turchi sbarcarono a Otranto, l'esercito napoletano
rinunciò a insediare i Della Rovere a Firenze e prese a muoversi,
insieme a quello pontificio, verso sud: il nemico era diventato
improvvisamente un altro, ben più pericoloso, che Venezia aveva lasciato
passare indisturbato, in virtù di una pace conclusa nel 1479. Peraltro la
Serenissima era ostile a Ferdinando di Napoli (1458-94), cui voleva
togliere le città pugliesi.
Intanto però a Otranto il comandante della città, Francesco Zurlo,
invece di arrendersi di fronte alla forza soverchiante dei turchi
(18.000 erano i soldati contro i 6.000 cittadini), prese a impiccare
alcuni loro emissari, a impalare alcuni loro prigionieri e addirittura a
sparare un colpo di bombarda contro lo stesso Gedik, che si era
avvicinato con un natante nel porto per parlamentare.
La rappresaglia fu particolarmente cruenta: 813 persone vennero
decapitate dopo 15 giorni di resistenza: il comandante Zurlo
cadde sugli spalti delle mura durante l'ultimo assalto del nemico,
mentre l'anziano vescovo morì d'infarto.
A Firenze, in onore della vittoria di Gedik, i Medici incisero in una
medaglia un elogio a Maometto II. D'altra parte la città aveva iniziato
ad avere
ottimi rapporti commerciali con gli Ottomani.
Il bottino raccolto dai Turchi fu di 60.000 ducati, di cui ben 18.000
trovati nei forzieri del vescovo Stefano Pendinelli. Otranto venne
altresì utilizzata dai Turchi come base per scorrazzare indisturbati in
tutto il Salento, seminando terrore e morte fino al Gargano, ove
distrussero Vieste.
Papa Sisto IV, dopo aver ritirato l'anatema contro Firenze, cominciò a
chiedere a tutti i sovrani d'Europa di organizzare una spedizione
punitiva in Albania e una vera e propria crociata. Ma la risposta fu
molto debole. Nessuno, neanche in Italia, aveva voglia di impegnarsi in
una guerra sicuramente molto costosa e dall'esito incerto. L'unico che
veramente prese a cuore la situazione fu il duca di Calabria, che con un
proprio esercito e una flottiglia pontificia riuscì a liberare Otranto
dopo 14 mesi di accanita resistenza turca.
Gedik Pascià era intanto già tornato a Costantinopoli, dopo aver lasciato a Otranto una
guarnigione di 800 fanti e 500 cavalieri, per partecipare alla lotta in
favore di Bayezid, un figlio del sultano Maometto II. Quest'ultimo infatti,
essendo morto, aveva lasciato aperta la questione della successione. Sta
di fatto però che Bayezid II, appena salito al
trono, fece uccidere nel 1482 lo stesso Gedik, perché di lui non si fidava.
A Otranto i Turchi che si arresero, il 10 settembre 1481, al duca
Alfonso di Calabria furono arruolati dal re Ferrante di
Napoli nel suo esercito. La città era ridotta a un cumulo di macerie, in
cui erano sopravvissuti solo 300 abitanti.
Nel 1539 si cercò di beatificare quei poveri disgraziati, già
ritenuti dei "martiri", in quanto - si diceva - avevano combattuto contro
"l'infedele", un nemico
irriducibile, ma la diplomazia bloccò tutto, poiché, nel
frattempo, gli Ottomani s'erano alleati con la Francia per attaccare
Reggio Calabria e l'isola d'Elba e per sottrarre Nizza a Genova.

II
La strumentalizzazione storiografica dell'episodio di Otranto avvenne
tre secoli dopo, durante il pontificato di Clemente XIV. Più
precisamente la "beatificazione degli ottocento martiri della fede"
avvenne nel 1771. Si inventò cioè, per quella strage, una motivazione
squisitamente religiosa, avvalendosi di documenti falsi o apocrifi e di
firme contraffatte. Si arrivò addirittura a sostenere che il comandante
Zurlo era stato fatto a pezzi e che il vescovo era stato segato in due.
Questo perché il papato voleva avere una propria diretta egemonia su
Benevento.
La mistificazione venne ribadita dal neonato governo borghese
dell'Italia unita, quando, nel 1880, si approfittò del Congresso di
Berlino, con cui si era decisa la spartizione dell'Africa, per
giustificare l'occupazione italiana di alcuni territori di questo
continente, da tempo appartenenti all'impero ottomano.
Nel 1980 papa Wojtyla fece il primo viaggio pastorale proprio a Otranto,
in ossequio alla sua concezione della vita religiosa basata anzitutto
sulla coraggiosa testimonianza della fede, fino al supremo sacrificio di
sé, se necessario. La sua richiesta, rivolta ai giovani, fu appunto
quella d'essere disposti a imitare quegli ottocento martiri decapitati
per combattere l'ateismo pratico e teorico. In quel momento ovviamente
il riferimento andava ai paesi est-europei, caratterizzati dal
"socialismo statale", quell'"impero del male" che per Wojtyla assomigliava all'impero ottomano.
Per dimostrare poi che gli ottocento otrantini andavano considerati
dei santi, si fece fare a una monaca, Francesca Levote, malata di
cancro, la parte della miracolata, per aver pregato sulle reliquie di
quelli, che le consorelle le avevano appoggiato sul letto. Fu tutto una
falsificazione, in quanto la monaca era stata in cura a Genova dal 1979
al 1982 e solo nel 2004 aveva dichiarato che le sue consorelle le
avevano messo nel letto una reliquia di quei martiri. Tuttavia il
processo di canonizzazione era già iniziato nel 1991, finché nel 2007
papa Ratzinger (notoriamente antiturco) riconobbe come miracolosa la
guarigione della suora, annunciando la santificazione degli 800, che si
andarono così ad aggiungere agli altri 9.900 ufficialmente riconosciuti
dalla chiesa romana. Sarà poi papa Bergoglio che nel 2013 li proclamerà
"santi".
III
Ora vediamo cosa dice Wikipedia.
- Gedik Ahmet Pascià inviò un primo messaggero, di nome Turcman o
Turciman, a trattare con gli otrantini: propose loro che se avessero abiurato
pubblicamente la fede in Cristo a nessuno sarebbe stato torto un
capello e avrebbero potuto tranquillamente andarsene. Il popolo insorse contro il
mediatore, che però scampò al linciaggio e comunicò al Pascià il
rifiuto di Otranto alla conversione. Un secondo messaggero, forse
latore di un ultimatum, non riuscì nemmeno ad avvicinarsi a Otranto,
perché fu trafitto da una freccia alle porte della città.
- A difendere Otranto c'erano solo 400 uomini guidati dai capitani
Francesco Zurlo e Giovanni Antonio Delli Falconi; la città sguarnita
e mal difesa, non avrebbe potuto contenere a lungo l'impeto
formidabile dell'artiglieria turca, ma volle resistere comunque.
Zurlo sdegnosamente respinse la proposta
di Ahmet - la vita in cambio della resa - e in risposta le
artiglierie turche martellarono immediatamente con il loro fuoco la
città.
- Otranto, avendo solo 6.000 abitanti, per lo più disarmati, non
poté opporsi a lungo ai bombardamenti. Infatti il 29 luglio 1480 (il
giorno dopo lo sbarco della flotta) la guarnigione e tutti gli
abitanti abbandonarono il borgo nelle mani dei Turchi, ritirandosi
nella cittadella, mentre questi ultimi cominciavano le loro razzie
anche nei casali vicini. Quando Gedik Ahmet Pascià chiese la resa ai
difensori, questi si rifiutarono e in risposta le artiglierie turche
ripresero il bombardamento. L'11 agosto, dopo 15 giorni d'assedio,
Gedik Ahmet Pascià ordinò l'attacco finale durante il quale riuscì a
sfondare le difese e a espugnare anche il castello.
- Nel massacro che ne seguì, tutti i maschi di oltre quindici anni
furono uccisi, mentre le donne e i bambini furono ridotti in
schiavitù. Secondo alcune ricostruzioni storiche, i morti furono in
totale 12.000 e 5.000 gli schiavizzati [e
qui si cita Paolo Ricciardi, Gli eroi della patria e i martiri
della fede: Otranto 1480-1481, Vol. 1, Editrice Salentina,
2009]. Rimane però il dubbio che la città potesse contare così
tanti abitanti (vanno probabilmente conteggiate anche le numerose
vittime delle continue scorrerie nei paesi dell'entroterra).
- I superstiti e il clero si erano rifugiati nella cattedrale a
pregare con l'arcivescovo Stefano Agricoli (detto Pendinelli). Gedik Ahmet Pascià ordinò
loro di rinnegare la fede cristiana, ma ricevendone un netto
rifiuto, irruppe coi suoi uomini nella cattedrale e li catturò.
Furono quindi tutti uccisi, mentre la chiesa, in segno di spregio,
fu ridotta a stalla per i cavalli.
- Particolarmente barbara fu l'uccisione dell'anziano arcivescovo, il quale incitò i superstiti a rivolgersi a Dio
in punto di morte. Fu infatti sciabolato e fatto a pezzi con le
scimitarre, mentre il suo capo mozzato fu infilzato su una picca e
portato per le vie della città.
- Il comandante della guarnigione Francesco Largo venne invece
segato vivo.
- Il 14 agosto Gedik Ahmet Pascià fece legare i superstiti e, trascinati sul vicino colle della Minerva, ne fece
decapitare almeno 800, costringendo i parenti ad assistere alle
esecuzioni. Il primo a essere decapitato fu Antonio Primaldo. La
tradizione tramanda che il suo corpo, dopo la decapitazione, restò
ritto in piedi, a dispetto degli sforzi dei carnefici per
abbatterlo, sin quando l'ultimo degli otrantini non fu martirizzato. Gli 813 otrantini furono uccisi per aver rifiutato la
conversione all'Islam.
- Tra gli 800 martiri si ricorda in particolare la figura di
Macario Nachira, colto monaco basiliano, di nobile famiglia, eroicamente morto per la fede.
- Durante quel massacro le cronache raccontano che un turco, tale Bersabei, si convertì nel vedere il modo in cui gli otrantini
morivano per la loro fede e subì anche lui il martirio, impalato dai
suoi stessi compagni d'arme.
- In seguito alla battaglia e all'invasione degli Ottomani, andò
distrutto il monastero di San Nicola di Casole, che ospitava allora
una delle biblioteche più ricche d'Europa.
- La maggior parte delle loro ossa si trova in sette grandi armadi
di legno collocati nella Cappella dei Martiri, ricavata nell'abside
destro della cattedrale di Otranto; sul Colle della Minerva fu
costruita la chiesetta a loro dedicata, Santa Maria dei Martiri.
- Anche se la cifra riportata dai cronisti appare esagerata,
Otranto fu comunque colpita a morte da quelle terribili stragi e se
pure riuscì ancora a riprendersi, perse notevolmente importanza
rispetto alla città di Lecce.
Bibliografia riportata in Wikipedia:
- Salvatore Panareo, In Terra d'Otranto dopo l'invasione turchesca
del 1480, "Rivista storica salentina", VIII 1913, pp. 36-60
- Grazio Gianfreda,
I beati 800 martiri di Otranto, del
Grifo, 2007 (Grazio Gianfreda ha scritto molti libri su Otranto)
- Saverio La Sorsa, La condotta di Venezia nei riguardi
dell'assedio di Otranto, in "Rivista di critica e di letteratura e
storia", pp. 33-45
- Alessandro Laporta, Otranto 1480, Cavallino 1980
- Paolo Ricciardi, Gli eroi della patria e i martiri
della fede: Otranto 1480-1481, Vol. 1, Editrice Salentina, 2009
- Antonio Saracino, Otranto baluardo dell'Occidente cristiano,
Roma 1981
- Francesco Tateo, Gli umanisti e la guerra otrantina - Testi
dei secoli XV e XVI, a cura di Rosa Lucia Gualdo, Isabella Nuovo
e Domenico de Filippis, Edizioni Dedalo, gennaio 1982
-
Otranto 1480: Atti del convegno internazionale di studio
promosso in occasione del 5° centenario della caduta di Otranto ad
opera dei Turchi (Otranto, 19-23 maggio 1980), a cura di Cosimo
Damiano Fonseca, 2 voll. Galatina 1986
- Hydruntum: fonti documenti e testi sulla vicenda otrantina del
1480, a cura di Donato Moro, Gino Pisanò, Istituto di culture
mediterranee della provincia di Lecce, Galatina 2002 (vol.
1 e
vol. 2)
- Alfredo Mantovano, Altro che leonessa d'Italia. Così Otranto
salvò Roma, Il Foglio, 14 luglio 2007.
- Giovanni Albino Lucano, De bello Hydruntino, in Otranto 1480
- Donato Moro, Galatina saccheggiata dai turchi e morte di Giulio
Antonio Acquaviva, in Hydruntum, vol. II
- La conquista turca di Otranto (1480) tra storia e mito, a cura
di Hubert Houben,
vol. 1,
vol. 2, Galatina (Congedo) 2008.
A questi testi si possono aggiungere:
- Palma Daniele,
L'autentica storia di Otranto nella guerra contro i turchi. Nuove
luce sugli eventi del 1480-81 dalle lettere cifrate tra Ercole
d'Este e i suoi diplomatici, 2013, Kurumuny
-
Lettere degli ambasciatori estensi sulla guerra di Otranto
(1480-81). Trascrizioni ottocentesche conservate a Napoli,
2013, Congedo
- Mariano Giuseppe,
Otranto, l'alba del 1480, 2012, Besa
- Contenti Annamaria,
Otranto (1480-1980), 1980, Adda
- Bolognini Daniele,
Gli 800 martiri d'Otranto. Come i primi cristiani, Elledici
- Cotroneo Roberto,
I demoni di Otranto, Metamorfosi
- Cisternino Cataldo - Visconti Gianfranco,
L'economia di Otranto. Fra il XIV ed il XVI secolo. Effetti della
conquista turca, Congedo 2013
IV
Come si può notare le versioni dei fatti sono molto discordanti. La
stessa Wikipedia, che pur non conosce la tesi di Ottanelli, è costretta
ad affermare, alla voce
La battaglia di Otranto, che "La neutralità di questa voce è stata
messa in dubbio" (eppure essa non dice cose molto diverse da quelle della
voce
Martiri di Otranto); e anche "Questa voce non cita le fonti
necessarie o quelle presenti sono insufficienti" (eppure di testi ne
vengono citati molti).
Dunque a chi dare ragione? Ottanelli non riporta alcun testo degno di
nota, né cita le sue fonti. Questo non vuol dire che non vi siano testi
critici a supporto delle sue tesi. Qui si può fare soltanto una considerazione
di metodo storiografico molto generale, ed è la seguente:
- quando le versioni interpretative di alcuni fatti storici sono
nettamente discordanti, e in questa differenza è in gioco la
credibilità della fede religiosa, è opportuno, da parte di chi
contesta l'interpretazione ufficiale, che generalmente è a favore
della chiesa romana, esibire prove concrete che dimostrino la
consistenza delle proprie tesi;
- quando queste prove non esistono o non appaiono sufficienti, è
meglio limitarsi a porre dei dubbi, evitando i toni sprezzanti di
chi è convinto di sapere esattamente come sono andate le cose;
- questo perché quando è in gioco l'immaginario popolare, ovvero
le credenze che si sono trasmesse nei secoli, per intere
generazioni, e che hanno finito per costituire un punto costante di
riferimento per l'identità collettiva locale (o addirittura
nazionale), non serve a nulla cercare di smontare un'interpretazione
forzata attraverso il ricorso allo strumento della critica
laico-razionalista; spesso anzi si rischia di ottenere l'effetto
contrario a quello desiderato;
- quindi o si hanno prove sufficientemente credibili di ciò che si
afferma, oppure è meglio tacere, limitandosi, al massimo, a
formulare dubbi e perplessità su singoli dati o fatti specifici,
senza aver la pretesa di smontare l'insieme o, peggio ancora, di
ridicolizzarlo.
Fonti
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