LA GUERRA DEL VESPRO (1282-1302)
LU REBELLAMENTU DI SICHILIA
Premessa su Carlo d'Angiò - Gli Svevi nel
Mezzogiorno - La politica angioina
La politica ecclesiastica - La guerra del Vespro -
Dopo il Vespro - Considerazioni -
Fonti

La politica angioina
Ora riprendiamo il discorso cercando di delineare sinteticamente la politica
interna ed estera di Carlo d’Angiò, prima che i siciliani lo cacciassero
dall’isola.
In politica interna:
- si fece considerare capo della lega guelfa, mirando a dare una svolta
reazionaria alla politica imperiale in Italia (il partito guelfo finanziò
l’impresa militare di Carlo perché sperava di poter penetrare massicciamente
coi propri capitali commerciali e finanziari in tutti i mercati
meridionali).
- Attuò feroci repressioni contro i seguaci degli Svevi, soprattutto dopo
la sconfitta di Corradino, in quanto aveva ritenuto, erroneamente, che la
presenza di un suo esercito ben armato di 30.000 uomini avrebbe dovuto
permettergli di entrare in Italia senza alcuna difficoltà; in Sicilia impose
subito un feroce governo militare, procedendo a forti epurazioni e confische
di beni, perché s’era reso conto che proprio in questa regione gli Svevi
avevano ottenuto maggiori appoggi. I siciliani infatti mentre vedevano gli
Svevi come una sorta di contrappeso nei confronti del papato, che da sempre
voleva impadronirsi dell’isola, vedevano invece gli angioini come una sorta
di “braccio secolare” della chiesa romana e per questa ragione li temevano
maggiormente.
- Assegnò gli uffici amministrativi più importanti del Mezzogiorno ai
nobili francesi (il cui numero non superava i 700), che ricevettero anche
buona parte delle terre dei baroni siciliani o della corona imperiale sveva;
tuttavia, dopo il Vespro siciliano, gli angioini favorirono almeno in parte
lo sviluppo delle autonomie cittadine, trasformando le città in istituzioni
individualizzate, con funzionari non più regi ma eletti direttamente dalla
collettività e con magistrati scelti sì dal sovrano, ma su proposta del
consiglio cittadino. Con gli angioini infatti si va affermando una
concezione meno ideologica e più pragmatica del potere politico, inteso non
più come “beneficio divino” consacrato dalla chiesa, ma come una sorta di
“patto sociale” che legava il destino dei sudditi al potere del sovrano. In
tal senso la chiesa, chiedendo aiuto agli angioini per liberarsi degli svevi
e per riaffermare una propria sovranità politica, non si rese conto di
favorire indirettamente il passaggio dal feudalesimo teocratico alla
modernità borghese.
- Essendo uno “squattrinato”, Carlo d’Angiò dovette far ricorso ai
finanziamenti dei banchieri di Siena, Venezia, Genova, Roma, ma soprattutto
di Firenze (Peruzzi, Bardi, Bonaccorsi). In cambio i fiorentini avevano
ottenuto libero commercio in tutta l’Italia meridionale: un privilegio che
nessun’altra città aveva. A dir il vero, l’incapacità cronica degli angioini
di saldare i debiti contratti fece sì che ai creditori fossero costretti a
cedere molti feudi e diritti feudali, appalti di tasse e dogane, coniazione
di monete, sfruttamento di miniere, cariche amministrative… Banchieri e
finanzieri del centro-nord avevano nei confronti del Mezzogiorno un
atteggiamento non molto diverso da quello degli usurai. L’economia finì nel
ristagno cronico anche perché era strettamente legata alla speculazione
finanziaria privata, a sua volta connessa al debito pubblico del sovrano: la
finanza impediva all’economia di svilupparsi proprio perché agiva allo scopo
di rifarsi dei crediti concessi (al nord invece le banche finanziavano le
imprese produttive e partecipavano a rischi comuni).
- Avendo contratto ingenti debiti di guerra e avendo intenzione di
organizzare una personale crociata anti-bizantina, procedette subito a un
rapace fiscalismo e a uno sfruttamento intensivo di tutti i prodotti del sud
(specialmente frumento, orzo, sale, olio, vino, bovini, ovini, suini), senza
sviluppare alcuna attività produttiva o commerciale.
Fu rimproverato di questo atteggiamento oppressivo, manifestato soprattutto
in Sicilia, persino dai papi francesi Clemente IV e Martino IV (che pur
grazie a lui beneficiavano del raddoppio della colletta annuale); anzi lo
stesso Carlo I dovette emanare apposite leggi per vietare che le vessazioni
dei suoi funzionari comportassero lo spopolamento dei villaggi o per
moderare il lusso ostentato dai ceti legati alla corona.
Nonostante questo l’asservimento alla gleba della maggioranza della
popolazione rurale era un fatto compiuto nell’Italia meridionale della fine
del XIII secolo, proprio mentre nel centro-nord la medesima servitù veniva
liquidata.
- Nel 1268 coniò il “carlino”: una nuova moneta d’oro di bassa lega, che i
siciliani furono costretti ad accettare in cambio della loro vecchia moneta
di giusto peso.
- Trasferì la propria residenza reale da Palermo a Napoli, per avere più
saldi legami con le aree europee o comunque settentrionali; Napoli fu
praticamente l’unica città che non decadde a causa della presenza angioina
nel Mezzogiorno.
- Si effigiò del titolo di “senatore di Roma”.
In politica estera:
- durante l’interregno (1254-73) che seguì alla morte di Corrado IV (e che
si chiuderà con l’elezione al trono imperiale di Rodolfo d’Asburgo, che,
promettendo di disinteressarsi di ciò che avveniva a sud delle Alpi, ottenne
facilmente il consenso del papato), Carlo d’Angiò pretese d’essere
considerato “vicario imperiale” in Toscana, per cui cercò di estendere la
propria influenza anche nell’Italia centro-settentrionale.
- Partecipò alla VII crociata (1249-50), condotta dal re francese Luigi IX
in Egitto, che ebbe esito fallimentare in quanto Carlo dovette pagare
un'ingente somma di denaro a Maria d'Antiochia per avere i suoi territori,
cioè parte della costa palestinese e la Contea di Tripoli.
- Nel 1277 diventò “re di Gerusalemme” acquistando il titolo da Maria di
Antiochia, la quale in cambio pretese una rendita annua, ma il titolo non fu
mai riconosciuto né a Tiro né a Beirut.
- Cercò di organizzare una personale crociata per aiutare Baldovino II,
ultimo erede dell’impero latino d’oriente, spodestato dai Paleologhi, ma
l’insurrezione del Vespro (1282) glielo impedirà.
- Nel complesso si può dire che per Carlo I la conquista del Mezzogiorno e
della Sicilia era solo il primo anello di una catena di megalomani progetti
di conquista dell’intera Italia, della penisola balcanica, dei territori
bizantini, del Levante e dell’Africa del Nord.
Considerazioni sugli Angioini
Gli angioini si ponevano come la punta avanzata della piccola nobiltà
francese, al pari degli aragonesi di Spagna, nobiltà decaduta o declassata,
cadetta, priva di una significativa successione ereditaria, costretta a
diventare avventuriera, in cerca di fortune tramite l’esercizio delle armi e del
saccheggio, dello sfruttamento fiscale delle risorse altrui, proprio per tenere
alto il nome, il prestigio di una stirpe, di un casato, di una schiatta ormai
più di diritto che di fatto, quella nobiltà che in patria non sarebbe mai potuta
diventare “grande” sia a causa del monopolio della terra da parte
dell’aristocrazia laica ed ecclesiastica, sia a causa del fatto che nelle città
venivano emergendo ceti mercantili la cui attività era estranea alla mentalità
parassitaria dell’aristocrazia in generale, desiderosa soltanto di vivere di
rendita.
Enrico Galavotti -
Homolaicus -
Sezione
Storia Medievale
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Aggiornamento:
01-05-2015