IL CANTO DELLA SCHIERA DI IGOR
L'epopea russa medievale


CANTO DELLA SCHIERA DI IGOR
DI IGOR FIGLIO DI SVJATOSLAV, NIPOTE DI OLEG

Incursione delle schiere russe nel campo polovesiano

  1. Allora montò il principe Igor sulla staffa d'oro e galoppò nel campo aperto.
  2. Il sole gli sbarrò il cammino di tenebra. La notte gemette tempesta, risvegliando gli uccelli. Si levò l'ululato ferino delle belve. Gridò Div dall'alto di un albero, affinché lo udisse la terra straniera: la Vol'ga e il litorale di Crimea, e Surož, e l'Oltresulà, e il Chersoneso, e te, grande idolo di Tmutorokan'!
  3. I Polovesiani fuggono per ignoti sentieri verso il grande Don. Stridono i carri nella notte, come cigni atterriti. Igor conduce la schiera verso il Don.
  4. Ma per sua sciagura dall'alto delle querce lo guata Div in forma di uccello. Nei dirupi ululano i lupi alla tempesta, le aquile stridono chiamando le belve al banchetto, ganniscono le volpi contro gli scudi scarlatti.
  5. Sei già oltremonte, terra di Rus'!
  6. A lungo s'abbuia la notte. L'alba si accende di luce. La nebbia ricopre i campi. Si è assopito il trillo degli usignoli, il gracchiare delle cornacchie si è destato.
  7. Con gli scudi scarlatti i Russi ricoprono campi immensi, cercando per sé onore e per il principe gloria.
  8. All'alba di venerdì, travolsero le orde pagane dei Polovesiani e, spargendosi come frecce per il campo, rapirono le belle fanciulle cumane, e presero oro, e sete e preziosi broccati. E con mantelli, gualdrappe e pellicce, con ogni gemmato tessuto cumano si misero a gettar ponti su paludi e fangosi pantani.
  9. Rosso stendardo, bianco gonfalone, vessillo scarlatto, argentea insegna per il prode figlio di Svjatoslav!

Note

L'essere d'oro caratterizza ciò che è relativo ai principi. Così «staffa d'oro», «trono d'oro», «elmo d'oro».

Nulla sappiamo su questo idolo di Tmutorokan'. Il testo utilizza il termine bŭlvan «lottatore». Questa parola, di origine iranica, passò in seguito in territorio turco: è infatti testimoniata nelle iscrizioni turaniche dell'Orchon, in Siberia, nella forma balbal col significato di pietra scolpita. Si riferisce forse alle cosiddette babi di pietra, rozze statuette con sembianze femminili erette (forse) dai nomadi turchi nell'Ucraina meridionale.

Chi o che cosa è questo Div che guata dall'albero in forma di uccello? Il nome ricorda i daēvā iranici. La parola che, seguendo la lezione di Bazzarelli, viene qui tradotta con «guatare», cioè guardare in senso maligno, nell'originale è il verbo pasti, propriamente un guardare nel senso di «pascolare, custodire» (Bazzarelli 1991).

«Sei già oltremonte, terra di Rus'!» [O Ruskaja zemlě! Uže za šelomjanemŭ esi!]. Il testo paleorusso è ambiguo. Il significato fondamentale di zemlja è «terra» e traducendo così ci si mette dal punto di vista dei guerrieri che hanno lasciato la loro patria. Ma zemlja si può tradurre anche come «schiera» («sei già oltre i monti, schiera russa!»), e così ci si mette dal punto di vista dell'autore del poema che vede i guerrieri allontanarsi dalla patria per inoltrarsi in territorio nemico. Per quanto Bazzarelli consideri esteticamente più valida la seconda interpretazione, sceglie la prima traducendo: «O terra di Rus', sei ormai troppo lontana!» (Bazzarelli 1991).

Gli scudi russi del XII secolo erano ovoidali, in legno dipinto di rosso.

L'epiteto «pagano» [pogani] più volte ripetuta nell'Igor, non sembra avere un significato ideologico, se non nell'indicare i nomadi della steppa in quanto nemici esterni al mondo russo. Tuttavia si ricordi che il poema stesso è, nel suo spirito, profondamente pagano (Kosorukov 1986, Bazzarelli 1991).

Mantelli, gualdrappe, pellicce, tessuti: il testo originale riporta qui dei termini di origine turanica, inerenti alla cultura dei popoli delle steppe.

Il testo usa quattro diverse parole per indicare quattro tipi di insegne. I termini sono di varia origine: scandinava (stjagŭ «stendardo»), mongola (chorjugovĭ «gonfalone»), turanica (čolka «insegna», propriamente «coda di cavallo») e di nuovo, forse, scandinava (stružïe, cfr. norreno strangi «fusto d'albero»). Si tratta di insegne o bandiere polovesiane.

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Traduzione e note: Holger Danske e Koščej Vessmertij

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Medioevo
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Aggiornamento: 01/05/2015