STORIA DEL MEDIOEVO
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LA TRANSIZIONE DAL FEUDALESIMO AL CAPITALISMO
I Nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo furono senz'altro indispensabili il perfezionamento della tecnica, la divisione del lavoro, vasti mercati, grandi manifatture, concentrazioni di capitali... Ma oltre a ciò, fu necessaria anche una buona dose di fiducia in un futuro migliore, che non fosse troppo lontano, ovvero la speranza di credere che, emancipandosi dal servaggio o dalla coercizione corporativa dell'artigianato, si potesse diventare più liberi senza fare alcuna rivoluzione sociale. In questo senso contadini e artigiani s'illusero pensando che, per emanciparsi veramente, fosse sufficiente partecipare con la borghesia alla rivoluzione politica antifeudale. L'illusione stava appunto in questo, nel credere che dalla rivoluzione politica potesse scaturire automaticamente quella sociale, cioè che una mera rivendicazione giuspolitica di diritti fosse sufficiente per la democrazia popolare. Era giusto emanciparsi dalla condizione servile che il feudalesimo imponeva, ma nel farlo bisognava assicurarsi di non finire in una condizione sociale peggiore. In che modo? Impedendo alla borghesia di guidare da sola la rivoluzione politica o comunque di non gestirne da sola i risultati conseguiti. Il non averlo fatto ha indotto l'individualismo ad accentuarsi. Il benessere è aumentato solo per pochi. E' vero, in Europa occidentale il benessere, col tempo, ha riguardato sempre più persone, ma solo perché, grazie al colonialismo e all'imperialismo, la miseria e l'indigenza sono state trasferite nel Terzo Mondo. Se non ci fosse stata la conquista dell'America, dell'Africa e in parte dell'Asia, l'Europa occidentale sarebbe andata incontro a una catastrofe economica, o forse il Medioevo sarebbe stato più lungo, oppure, a fronte delle insanabili crisi del capitalismo emergente, si sarebbe passati dal feudalesimo al socialismo. L'Europa occidentale ha potuto supplire alla mancanza di una "democrazia" interna (che l'Europa ortodossa dell'est invece parzialmente aveva) grazie appunto al colonialismo. Gli storici devono smetterla di considerare il capitalismo come un progresso rispetto al feudalesimo. Il feudalesimo poteva evolvere verso il benessere perfezionando gli strumenti produttivi, da un lato, e compiendo una riforma agraria dall'altro, tale per cui i contadini sarebbero stati padroni della loro terra, così come gli artigiani, associati in cooperative, avrebbero dovuto esserlo della loro corporazione, e gli operai della loro manifattura. Non c'era alcun bisogno di sconvolgere un sistema produttivo sostanzialmente legato alla natura con un sistema produttivo così artificiale e disumano. Il capitalismo ha provocato dei guasti d'incalcolabile portata: ha separato il lavoratore dai mezzi di produzione (rendendo tutta la vita sociale e privata profondamente alienante); ha separato il produttore dal consumatore, mettendo quest'ultimo nelle mani dell'altro; ha subordinato tutto alla logica del profitto e dell'interesse (rendendo cinici i rapporti umani); ha creato delle istituzioni statali, burocratiche e amministrative, politiche, giudiziarie e militari che tolgono agli individui qualunque forma di libertà, di sicurezza e di responsabilità; ha saccheggiato le risorse di interi Paesi, regioni e continenti senza dare nulla in cambio, se non tutte quelle cose che servono ad arricchire ulteriormente le metropoli occidentali; ha danneggiato l'ambiente in maniera irreparabile, nell'illusione di poter ricostruire con la scienza e la tecnica ambienti sostitutivi di quelli naturali; ha scatenato centinaia di guerre, anche mondiali, con milioni e milioni di morti. Come stupirsi se in queste condizioni vi sono state nazioni legate al feudalesimo sino al secolo scorso e che dal feudalesimo sono volute passare direttamente al socialismo? Ovviamente non ha senso fare dei confronti con due sistemi così diversi: qui si vuole soltanto precisare che non si può "condannare" il feudalesimo in nome del capitalismo. Ogni sistema va esaminato per le proprie contraddizioni interne. E' sulla base di queste contraddizioni che bisogna cercare di capire quante possibilità c'erano di creare la transizione da un sistema all'altro. II Perché la Cina o qualche Paese arabo non sono diventati capitalisti nel XVI sec.? Se riusciremo a comprendere i motivi per cui né la Spagna né il Portogallo sono diventate nazioni capitalistiche, pur avendo inaugurato il moderno colonialismo, troveremo relativamente facile rispondere alla suddetta domanda. La storia ha dimostrato che per entrare nella via del capitalismo non è sufficiente avere una tecnologia abbastanza sviluppata o dei commerci molto avanzati, oppure delle contraddizioni feudali molto forti: occorre anche una mentalità, una forma di cultura particolare. Questa mentalità è mancata alla penisola iberica, troppo cattolica per essere pienamente, consapevolmente capitalistica, ed è mancata alle due grandi nazioni asiatiche: Cina e India, caratterizzate da due religioni della rassegnazione: Induismo e Buddismo. L'Islam, dopo la iniziale fase di espansione, è diventato anch'esso una religione della rassegnazione. Quando nacquero, capitalismo e colonialismo, l'ideologia dominante, in Europa occidentale, era quella religiosa (prima cattolica, poi protestante). E' qui che vanno ricercati i motivi sovrastrutturali che hanno permesso un fenomeno così sconvolgente. Con uno studio molto approfondito si dovrebbe scoprire in quali enunciati teorici della teologia e della filosofia cattolica e protestante, si possono rintracciare le motivazioni culturali che hanno spinto gli uomini (anche inconsciamente) ad accettare il capitalismo e il colonialismo, nonché quelle motivazioni che (questa volta consapevolmente) sono state usate per giustificare la nuova formazione sociale. Cioè andrebbero ricercate quelle motivazioni che sono servite per legittimare direttamente o indirettamente (involontariamente) il capitalismo, e quelle motivazioni che sono state usate per contrastarlo praticamente o per condannarlo solo teoricamente. Questo significa che non è più possibile scindere lo studio della storia da quello dell'ideologia (dominante, soprattutto), sia essa di tipo filosofico, religioso o politico. La storia deve diventare anzitutto la storia dell'economia in stretta correlazione con la storia del pensiero, nel senso weberiano che l'economia va vista come riflesso del pensiero, e nel senso marxiano che il pensiero va visto come riflesso dell'economia. Le scelte, tra una formazione sociale e l'altra, tra una modalità e l'altra all'interno di una stessa formazione, si fanno sempre in un contesto di relativa libertà, altrimenti saremmo costretti ad ammettere l'inevitabilità della transizione dal feudalesimo al capitalismo. Certo, vi possono essere dei processi sociali ed economici che oggettivamente, se non intervengono delle controtendenze, possono portare al capitalismo, ma se ad un certo punto non v'è un determinato consenso sociale (di massa), questi processi non vanno avanti. Gli uomini possono dare un consenso inconsapevole a certi fenomeni, ma sino a un certo punto, poiché ogni fenomeno contiene in sé delle contraddizioni che a posteriori possono essere individuate e superate (il superamento è tanto più facile quanto più è veloce l'individuazione e decisa la volontà). E' assolutamente falso affermare che la storia è un "processo senza soggetto". Il determinismo economico non è certo in grado di spiegare il motivo per cui il capitalismo s'è sviluppato proprio in Europa occidentale e soprattutto nell'area geografica di religione protestante. E neppure è in grado di spiegare perché i Paesi di religione cattolica sono diventati capitalisti conservando solo la "forma" della loro religione. Questo non sta forse a dimostrare che fra cattolicesimo e protestantesimo non esistono differenze sostanziali, e che l'uno non è che il rovescio dell'altro? Solo così peraltro riusciremo a capire il motivo per cui i Paesi che non hanno conosciuto né il cattolicesimo né il protestantesimo si sono adeguati più facilmente alla realtà del socialismo, e perché i Paesi che non hanno conosciuto alcuna forma di cristianesimo, fanno molta fatica ad adeguarsi al capitalismo, volgendo piuttosto la loro attenzione verso il socialismo. Non è forse vero che il socialismo democratico vuole rappresentare il recupero, ovviamente in forme diverse, più consapevoli, dello spirito del comunismo primitivo? Il cristianesimo è la religione col più alto tasso di ambiguità della storia. La sua dialettica, le sue contraddizioni (soprattutto fra teoria e pratica), sono assolutamente inconcepibili per qualunque altra religione. Non è infatti immaginabile, in maniera naturale e spontanea, che si possano affermare le cose più sublimi di questo mondo e nello stesso tempo compiere le azioni più abominevoli. Occorre un livello di alienazione, di sdoppiamento della personalità, particolarmente elevato, non meno grande del livello di profondità di pensieri e di sentimenti. Il cristianesimo ha dato all'umanità un'autoconsapevolezza prima impensabile. Ma, proprio per questo motivo, le ha dato anche una sicurezza, un coraggio, una fiducia in se stessa che nessun'altra religione ha mai saputo dare. Ora, ci si rende facilmente conto che se si vive questa sicurezza non per migliorare le cose, ma per giustificare un contesto caratterizzato da valori o da comportamenti negativi, il risultato che si ottiene col cristianesimo sarà infinitamente più disastroso. Se l'ideologia cristiana non viene vissuta in un contesto sociale comunitario (ma questo implica una revisione totale dell'interpretazione e delle modalità applicative dei vangeli), la tendenza sarà sempre quella di usare il cristianesimo (e non una forma di pensiero laico-umanistica) per colmare in misura irrazionale l'insopportabile scarto esistente fra metodo e contenuto. * * * Il capitalismo ha potuto nascere all'interno di un feudalesimo cattolico (anche se poi si è sviluppato adeguatamente nell'ambito del protestantesimo) proprio perché il cattolecismo-romano era, a differenza dell'ortodossia greco-bizantina, politicamente corrotto, sul versante sia laico (i Franchi, che cercarono d'imporsi con vari colpi di stato) che ecclesiastico (un papato sempre ostile alle prerogative del basileus di Costantinopoli). Vi è stata molta più rottura traumatica dal comunismo primitivo allo schiavismo che non da questo al servaggio o da questo al lavoro salariato del capitalismo o da questo al socialismo amministrato dall'alto. Le rotture in realtà sono state tutte traumatiche, in quanto dallo schiavismo al servaggio si è dovuto sostituire il primato della città con quello della campagna, e il primato del valore di scambio con quello del valore d'uso. E anche dal servaggio al lavoro salariato si sono dovuti ripristinare i due primati vissuti sotto lo schiavismo, seppure entro il nuovo principio della libertà formale, resa possibile grazie al cristianesimo, che permette livelli di ipocrisia particolarmente sofisticati, in quanto permette la coesistenza di una teoria umanistica con una pratica disumana. Il fatto che il capitalismo abbia potuto svilupparsi meglio sotto il protestantesimo che non sotto il cattolicesimo, è dipeso da motivi esclusivamente storici, in quanto mentre nel cattolicesimo la corruzione si poneva a livello politico, nel protestantesimo si poneva a livello sociale. La religione cattolico-romana, essendo eminentemente politica e gerarchizzata, pretende inoltre una "dipendenza personale", che, per quanto formale possa essere, non può certo favorire l'individualismo borghese. Ecco perché la borghesia ha bisogno di una religione non politicizzata. Tuttavia, se il servaggio ha potuto essere una trasformazione dello schiavismo e il capitalismo una trasformazione del servaggio e il socialismo di stato una trasformazione del capitalismo privato, il socialismo democratico non potrà essere una semplice trasformazione del socialismo di stato né del capitalismo privato, così come lo schiavismo non ha potuto essere una semplice trasformazione del comunismo primitivo. La proprietà privata o statale è incompatibile con quella pubblica o sociale o collettiva. |