STORIA DEL MEDIOEVO
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PROCESSO DI FEUDALIZZAZIONE NELL'ITALIA MERIDIONALE Il processo di feudalizzazione, nell’Italia meridionale, iniziò nel momento stesso in cui le comunità di villaggio, risorte dopo la fine dello schiavismo romano e del primato degli interessi commerciali delle città, non ebbero l’energia necessaria per opporsi ai nuovi poteri politico-militari che venivano emergendo nell’ambito della vita rurale da parte delle tribù e popolazioni straniere, penetrate con la forza nei territori italici, e da parte della stessa chiesa romana, intenzionata a crearsi un ruolo istituzionale sul piano politico ed economico (i monasteri, p.es., s’imposero quasi subito come centri di potere feudale). Lo stesso impero bizantino era noto per la sua esosità fiscale, essendo strutturato come un vero e proprio Stato. Per sottrarsi al pagamento oneroso dei tributi imperiali, per difendersi dalle scorrerie di pirati e bande senza scrupoli, per non pagare i debiti contratti con gli usurai… spesso i contadini preferivano rinunciare alla propria libertà, cedere tutti i propri beni alla chiesa o a qualche principe laico, e trasformarsi in affittuari delle loro stesse terre, soggetti a canoni in natura, fatta salva – almeno nei secoli IX e X, in cui ancora il feudalesimo non aveva messo solide radici – la facoltà di rescissione contrattuale e quindi la possibilità di abbandonare le terre su cui si prestava lavoro (da notare che le corvées erano poco praticate proprio perché indicavano una condizione sociale servile o semischiavile, ereditaria). Questo processo di assoggettamento feudale avvenne lentamente al sud, a causa della forte resistenza delle autonomie locali (in primis le comunità rurali) all’esproprio della libertà personale e delle terre collettive: non si trovavano facilmente braccianti agricoli totalmente privi di proprietà. Sicché si tendeva a favorire una certa diversificazione nelle tipologie contrattuali di affittanza. Tuttavia, proprio a partire dall’XI sec. si assiste a un significativo peggioramento delle condizioni dei contadini affittuari. Già nella seconda metà del secolo precedente artigiani rurali e contadini liberi, andati in rovina, tendevano a trasferirsi verso i centri costieri tirrenici e adriatici, pensando di migliorare la loro situazione grazie ai commerci mediterranei. Amalfi, nei secoli X e XI, era uno dei centri commerciali più importanti d’Italia (più ancora di Salerno e di Bari), e questo grazie ai rapporti privilegiati con Costantinopoli, da cui provenivano tessuti di seta, tappeti, gioielli, cera, arredi sacri…, anche se il volersi rendere autonoma da Bisanzio l’aveva esposta agli attacchi dei saraceni e la costringerà a subire l’invasione normanna nel 1076, finché verrà definitivamente sconfitta da Pisa nel 1137. Generalmente si arricchivano abbastanza presto le città litoranee del Tirreno che commerciavano con l’oriente. I problemi subentravano o quando i centri maggiori pretendevano posizioni monopolistiche, oppure quando scoppiavano insurrezioni antibizantine all’interno di questi centri, come accadde a Bari nel 1009 e nel 1017-18. La tendenza, apparsa nell’XI sec., a privare i coltivatori della libertà personale e a vincolarli in maniera coatta alla terra, obbligandoli a inique clausole contrattuali, si acutizzò drasticamente nei secoli XII e XIII, proprio mentre nell’Italia centro-settentrionale andava imponendosi il primato della città sulla campagna, dei commerci sull’autoconsumo. Tutte le rivolte dei contadini meridionali venivano sempre represse con l’intervento delle milizie imperiali germaniche. Solo in Sicilia i contadini trovano alleati i baroni contro la dittatura normanna. Con la diffusione dello Stato centralizzato, che si forma grazie all’influenza saracena, normanna e sveva, le città del Mezzogiorno cessano di essere centri del commercio di transito del Mediterraneo: l’import e l’export diventano attività privilegiate di città come Venezia, Genova, Pisa, ma anche di Verona, Padova, Lucca. |