LA REPUBBLICA UNGHERESE DEI CONSIGLI
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LA REPUBBLICA UNGHERESE DEI CONSIGLI Dopo la proclamazione della repubblica ungherese del 30 ottobre 1918, il governo Károlyi si limitò a introdurre il suffragio universale, a proclamare le libertà politiche di parola, di stampa, di riunione e manifestazione e stabilì, sulla carta, la giornata lavorativa di otto ore, facendo altresì alcune limitate riforme agrarie. Quello che mancava nettamente era il controllo sull'attività imprenditoriale, speculativa e anche usuraia della borghesia, che si stava arricchendo molto velocemente, a spese di masse affamate e disoccupate, alle prese con un'inflazione galoppante. Il primo che cominciò a reagire seriamente a tale situazione fu il partito comunista, nato il 24 novembre 1918, guidato da Béla Kun (1886-1939), che in Russia s'era incontrato più volte con Lenin, da Tibor Szamuely (1890-1919), da Ferenc Münnich (1886-1967) e altri, i quali, durante la guerra, avevano partecipato, in quanto ex-prigionieri ungheresi, alla rivoluzione d'Ottobre in Russia e che, tornando in patria, dopo la pace di Brest-Litovsk, avevano riportato gli insegnamenti di quell'esperienza. (Durante la I guerra mondiale vi erano stati in Russia circa mezzo milione di prigionieri ungheresi, prevalentemente operai e contadini: il gruppo ungherese del partito comunista russo s'era formato, in maniera organizzata, nel marzo 1918). Ciò che aveva entusiasmato gli ungheresi, della rivoluzione bolscevica, erano state alcune cose fondamentali: la proposta di pace a tutti i popoli, la distribuzione delle terre ai contadini e del pane a tutti e il riconoscimento alle nazionalità del diritto all'autodeterminazione.
Alla fine del 1918 s'intensificò la lotta del movimento contadino, che si rifiutava di pagare le tasse allo Stato, che attaccava le ville dei signori, occupandone le terre e requisendone bestiame e attrezzi agricoli. I leader socialdemocratici reagirono escludendo i comunisti dai sindacati e dal Consiglio dei deputati operai di Budapest. Approfittarono inoltre di un incidente provocato durante una manifestazione di scioperanti davanti alla sede del giornale socialdemocratico "Népszava", il 20 febbraio 1919, in cui vennero uccisi alcuni poliziotti: in sostanza appoggiarono l'iniziativa del governo di distruggere la tipografia del "Giornale rosso" e di arrestare il 21 febbraio quasi tutti i membri del C.C. del partito. Ma la protesta operaia contro questo provvedimento fu generale in tutto il paese. Tre giorni dopo gli arresti dei dirigenti comunisti, il partito rivolse l'appello alle masse operaie e contadine di rovesciare il governo borghese. I comizi e gli scioperi si susseguirono a ritmo frenetico in tutto il paese: ovunque si chiedeva la scarcerazione dei detenuti. Una parte dei sindacati dichiarò necessaria un'intesa coi comunisti. Molti Consigli di deputati operai rompevano coi social-riformisti e coi funzionari governativi, ponendosi alla guida delle proprie città. All'inizio di marzo del 1919 erano già stati cacciati i governatori da 11 regioni e si attendeva il segnale dell'insurrezione armata. L'intervento degli imperialisti dell'Intesa accelerò lo scoppio della rivoluzione. Infatti il 20 marzo le potenze dell'Intesa presentarono al governo magiaro l'ultimatum per l'accettazione di una nuova linea di demarcazione che assoggettava parecchi distretti del paese all'occupazione straniera. L'indignazione popolare fu generale (molto nota fu la manifestazione dei dimostranti dell'azienda di Csepel). La borghesia nazionale non ebbe il coraggio di opporvisi. Il governo Károlyi consegnò il potere ai socialdemocratici, la cui ala sinistra pretese un'alleanza coi comunisti, proponendo a quest'ultimi, ancora in carcere, la costituzione di un unico partito, al fine di togliere ai comunisti la possibilità di un'azione autonoma. L'11 marzo Béla Kun e altri dirigenti accettarono la proposta dei socialdemocratici, ponendo, a loro volta, le seguenti fondamentali condizioni: la proclamazione della repubblica "sovietica" ungherese, col potere assegnato a operai, soldati e contadini poveri; il diritto all'autodeterminazione per le minoranze interne e l'unione dei popoli liberati sotto forma di una federazione socialista; il disarmo della borghesia, l'organizzazione dell'Esercito Rosso e della milizia popolare; la nazionalizzazione di tutte le aziende industriali aventi più di 20 operai, delle banche, dei trasporti, dei mezzi di comunicazione, del commercio con l'estero e di quello all'ingrosso; la confisca, senza indennizzo, delle terre la cui superficie superasse i 100 holds (1 hold=0,57 ha), appartenente agli agrari, sia laici che ecclesiastici, e la loro gestione collettivizzata; la separazione di Stato e chiesa e di chiesa e scuola; il generale miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori; l'alleanza strategica con la Russia sovietica. Pressati dall'opinione pubblica e pur avendo dalla loro la maggioranza dei sindacati, i socialdemocratici finirono con l'accettare tutti i punti dell'accordo. Lukács scriverà, a tale proposito: "La rivoluzione russa ha mostrato che il proletariato ha la capacità di conquistare il potere e di organizzare una nuova società. La rivoluzione ungherese ha mostrato che questa rivoluzione è possibile senza la lotta fratricida dei proletari"(Scritti politici giovanili, ed. Laterza, Bari 1972, p. 49). L'esercito infatti diede il proprio consenso. Fu così che sorse il partito socialista d'Ungheria e che il 21 marzo 1919, 16 mesi dopo la rivoluzione bolscevica, fu proclamata la Repubblica dei Consigli d'Ungheria, il cui primo ministro fu il socialdemocratico S. Garbai (Béla Kun era ministro degli Esteri). Il Congresso dei Soviet diventava l'organo supremo del paese e nei periodi intermedi tra le sue convocazioni il potere veniva gestito da un Comitato Centrale Esecutivo. Ampi poteri locali, politico-amministrativi, venivano riconosciuti ai Consigli elettivi dei deputati operai, soldati e contadini, che agivano in molte importanti località. Le elezioni a questi Consigli si svolsero il 7 aprile 1919: furono le prime nella storia del paese, svolte a suffragio universale e a scrutinio segreto. Nel giugno successivo il Congresso dei Soviet approvò la Costituzione, di forma federativa, in cui la totalità del potere apparteneva ai lavoratori. Fu istituito anche il Consiglio dell'economia nazionale per coordinare tutta l'attività produttiva nazionalizzata. La giornata lavorativa divenne effettivamente di otto ore per i lavoratori, il cui salario aumentò del 25% (il 15% quello degli impiegati); furono altresì requisite le ville ai borghesi per dare un alloggio ai senzatetto (nella sola Budapest 30.000 famiglie furono interessate al provvedimento). Operai e impiegati controllavano la produzione e l'amministrazione delle aziende. I lavoratori ottennero le assicurazioni sociali a carico dello Stato, le ferie pagate, l'assistenza sanitaria gratuita. Fu introdotto l'obbligo generale al lavoro (col divieto invece per i fanciulli sotto i 14 anni, poiché fino a questa età s'impose l'obbligo allo studio) e si assicurò alle donne pari condizioni rispetto agli uomini. La scuola divenne finalmente laica e pubblica e s'impose il regime di separazione tra Stato e chiesa. Furono fondate università, scuole, asili, materne, orfanotrofi, biblioteche, sale di lettura e club appositamente per i lavoratori. Molta attenzione venne dedicata all'assistenza medica, all'educazione dei ragazzi, alla lotta contro il vagabondaggio e la delinquenza minorile. Lo sport divenne patrimonio di tutti. Il filosofo Gyorgy Lukács fu nominato ministro della Pubblica Istruzione. All'insurrezione partecipò anche il sociologo Karl Mannheim (1893-1947). Furono assicurati pari diritti a tutte le nazionalità, le minoranze e le etnie presenti nel paese. Si estese il voto attivo e passivo a tutti i cittadini di 18 anni che svolgessero un qualunque lavoro utile alla società. La Costituzione abrogò le leggi dello Stato borghese. Nonostante questo alcuni errori fondamentali furono commessi, dettati da preoccupazioni massimalistiche, nel timore che il capitalismo tornasse a mettere radici nel paese:
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