LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE
dall'esordio al crollo


L'URSS NEGLI ANNI '20 E '30

Attualmente gli storici sovietici (ma anche gli economisti, i politologi ecc.) sono particolarmente stimolati a studiare gli anni '20 e '30 del loro Paese, perché proprio in quel periodo esso imboccò la strada dirigistico-amministrativa (indicata anzitutto da Stalin), contro cui si sta muovendo l'odierna perestrojka. Tali storici, in pratica, stanno cercando di capire come si formò la svolta stalinista, ovvero se esistevano delle alternative praticabili, e quanto si può ancora salvare dell'esperienza pre-stalinista (leninismo, NEP ecc.).

Il rapporto di Gorbaciov dedicato al 70 anniversario della rivoluzione d'Ottobre (1987) ha segnato, in tal senso, una svolta decisiva, poiché ha messo irreversibilmente in crisi il tradizionale modo di considerare la storia degli anni '20 e '30 come quella d'una lotta permanente condotta dal partito contro gli oppositori, i frazionisti, i nemici interni ed esterni. Ora l'interesse si va spostando verso argomenti come: i primi piani quinquennali, la politica governativa degli anni '30, le premesse dello stalinismo, la responsabilità collettiva del CC del partito, le forze sociali che appoggiarono Stalin, gli ambienti sociali e politici interessati a liquidare la NEP.

La domanda di carattere generale che in questo momento gli storici si pongono è: quale tipo di socialismo si voleva costruire negli anni '30? Come noto, Lenin, nel momento in cui la NEP funzionava, arrivò a dire che "ogni nostro punto di vista sul socialismo è radicalmente mutato" (art. Sulla cooperazione). Egli infatti cominciò a immaginarsi il socialismo come un "sistema di cooperatori colti". Questa sua idea venne sostituita, negli anni '30, con quella burocratica del "socialismo di stato" o "da caserma".

Prima della NEP, nel 1918, Lenin aveva avuto un'altra idea di socialismo, quella di un "monopolio capitalistico-statale messo al servizio del popolo intero e che, proprio per questa ragione, ha cessato d'essere un monopolio capitalistico". L'idea di "Stato" era centrale, anche se per Lenin, come per Marx ed Engels, lo Stato col tempo avrebbe dovuto "estinguersi". Con il "comunismo di guerra", nell'ambito dell'esperienza leninista, l'idea di uno Stato accentratore aveva trovato la sua massima realizzazione, ma proprio la costatazione del fallimento di questo centralismo assoluto aveva portato Lenin a perorare la causa della NEP (alla quale purtroppo egli poté partecipare solo nella fase iniziale).

Viceversa, per i suoi seguaci di partito e successori, risultava più credibile la vecchia concezione del socialismo, quella elaborata nel secondo programma del Pc(b) del 1919 all'VIII congresso, la quale prevedeva un sistema economico rigorosamente centralizzato, lo scambio diretto di prodotti tra città e campagna, ecc. In sostanza il partito si riconosceva nel seguente sillogismo: se lo Stato è proletario e i mezzi produttivi sono di proprietà statale, e se le classi sfruttatrici non esistono più e la pluralità delle strutture economiche è soppressa, allora esiste il socialismo.

Naturalmente, perché un ragionamento così semplicistico avesse buone probabilità di trovare applicazioni concrete, occorrevano delle condizioni storiche molto particolari. Alla Russia queste condizioni non mancavano. Quale "anello debole" del capitalismo, essa era stata costretta a bruciare le tappe dello sviluppo capitalistico, per poter fronteggiare la competizione mondiale. Ma il tempo non era stato sufficiente. Una volta giunto al potere, il partito bolscevico s'accorse subito che la base tecnico-materiale, unitamente a una classe operaia evoluta, di cui il Paese aveva bisogno per non trovarsi ai margini della storia, erano assolutamente inadeguate. Non solo, ma dopo la fine della guerra civile (1918-20) s'era creata in URSS una situazione così drammatica, che Lenin dubitava che "senza l'aiuto straniero" essa avrebbe potuto essere risolta. Di fatto però le rivoluzioni proletarie non s'erano realizzate in Occidente, e la Russia sovietica non aveva ricevuto, dal proletariato dei paesi industrializzati, alcuna assistenza materiale, tecnica, culturale.

Stalin (e purtroppo non solo lui) non fece che semplificare i problemi dell'edificazione socialista, identificando il processo della socializzazione estensiva (il "sistema dei cooperatori civilizzati") con la statizzazione (il monopolio dello Stato al servizio del popolo, almeno in teoria). Fatto ciò, egli invocò la necessità d'un regime dirigistico-amministrativo per supplire alle insufficienze (dovute a cause storiche) delle pre-condizioni strutturali del socialismo.

Nel corso del primo piano quinquennale (1928-32), questo sistema venne utilizzato per creare nelle campagne una forma particolare di rapporti produttivi: la collettivizzazione. E la si creò prima ancora che fossero emerse le condizioni materiali e tecniche utili allo scopo. In seguito, a causa dei mutamenti di base che la collettivizzazione aveva generato, si cominciò ad elevare l'infrastruttura al livello dei rapporti produttivi che s'erano trasformati sia nelle città che nelle campagne. Senonché non si riuscì a risolvere adeguatamente questo problema nell'ambito delle campagne. A tale proposito, N. Bucharin scrisse, nel 1934, che non si dovevano considerare i colcos, dal punto di vista della loro base materiale, come delle imprese tipicamente socialiste.

In sostanza, i metodi con cui si cercò di realizzare il socialismo e che oggi la perestrojka rifiuta categoricamente, furono quelli di una "rivoluzione dall'alto": lo "choc", l'assalto, l'offensiva, con il ricorso sistematico alla violenza. Questi metodi, che anche nelle circostanze particolari spesso si rivelano del tutto inefficaci, col tempo vennero non solo elevati a "sistema", ma anche iscritti nella vecchia concezione che i bolscevichi si facevano del socialismo. Proprio a motivo di questi fatti, vien d'obbligo porsi la domanda se in quel periodo vi fosse la possibilità di un'alternativa reale allo sviluppo della società sovietica.

Come già detto, gli storici sovietici, in questi ultimi tempi, evitano di racchiudere la questione della fine della NEP entro i limiti delle lotte di potere condotte in seno al partito. Il regime di Stalin poteva approfittare dei processi socio-economici oggettivi, ma non determinarli. Nel formulare una strategia politica sulla base dei bisogni oggettivi, si può far leva su tendenze positive o negative. Il fatto che spesso Stalin scegliesse quest'ultime, soprattutto dopo la morte di Lenin, non va tanto attribuito a un "vizio" della sua personalità, quanto al fatto che esistevano dei processi sociali che potevano assumere una direzione non democratica. In questo senso la figura di Stalin, soggettivamente intesa, non è certo più significativa del fenomeno dello stalinismo (che, a sua volta, fu la legittimazione di una tendenza in atto, non l'unica né la principale).

Per interpretare bene questo fenomeno bisogna comprendere che il sistema dirigistico-amministrativo, formatosi negli anni '30, aveva messo le sue radici già nel corso della NEP, anzi, ancor prima, nel corso del "comunismo di guerra". In effetti, malgrado l'introduzione dell'autonomia finanziaria, l'industria statale, inizialmente, non poteva sussistere senza dei solidi pilastri amministrativi. Appena la NEP prese il via, il partito cominciò a limitare seriamente il ruolo del mercato nelle relazioni tra l'industria pesante e quella leggera. Le stesse relazioni tra gli operai e l'amministrazione delle imprese erano regolamentate non dal lavoro offerto per un risultato finale, né dalle diverse forme d'autonomia finanziaria, bensì dal sistema tradizionale delle norme, delle tariffe e delle quote di produzione. Il che non poteva certo offrire molti incentivi agli operai. Il collettivo stesso della singola impresa non poteva sentirsi particolarmente interessato alla produzione, poiché i suoi redditi venivano spersonalizzati nel bilancio unico del trust (i trusts, dotati di autonomia finanziaria, che opereranno sino al 1932, erano un gruppo d'imprese del medesimo ramo produttivo). In ogni caso l'autonomia finanziaria, al massimo, poteva essere una soluzione favorevole ai dirigenti d'impresa, non certo agli operai. Quando infatti nel 1927 s'acuirono i problemi sociali e nel 1928 le difficoltà alimentari comportarono l'introduzione delle tessere per il razionamento, gli operai non si sentirono in dovere di difendere i princìpi della NEP.

Per di più, negli anni '20, i metodi amministrativi -embrione del futuro regime autoritario- assicuravano alla classe operaia diverse garanzie sociali. Conviene infatti tener conto che la concessione della totale autonomia finanziaria avrebbe fatto dipendere la condizione materiale della classe operaia e dei managers dalla congiuntura del mercato privato; e se questo ai managers poteva apparire un rischio accettabile, per l'operaio invece lo era molto meno, soprattutto in considerazione del basso livello dei salari, che tale sarebbe rimasto in quella situazione di precarietà generale. Le ingerenze amministrative dello Stato nell'economia avevano appunto lo scopo d'impedire che l'autonomia finanziaria potesse comportare delle ricadute negative sull'operaio. Il partito bolscevico non ha mai creduto che un mercato non regolamentato potesse produrre benessere collettivo: tuttavia -e qui sta il suo errore di fondo- non ha mai neppure creduto che la stessa collettività (a livello locale o regionale) fosse in grado di regolamentarlo. Solo ed unicamente lo Stato aveva il diritto-dovere di pianificare la produzione e regolare i rapporti mercantili.

La situazione dei contadini negli anni '20 non era molto diversa da quella degli operai. Gli elementi proletari, semiproletari e poveri della campagna (il 35% del totale), beneficiando dell'esenzione dall'imposta agricola, si sentivano protetti sotto l'ala dell'intervento diretto dello Stato nell'economia. È vero che con la NEP avevano potuto sviluppare su vasta scala, negli anni '25-'27, il sistema cooperativistico, ma è anche vero che i leaders di tale movimento temevano di continuo il pericolo della sua nazionalizzazione.

La NEP quindi ha sempre avuto in sé i princìpi della propria negazione. Al IV congresso del Comintern (1922), Bucharin disse che dopo la vittoria della rivoluzione, il proletariato si trovava di fronte al problema di come bilanciare le forme produttive ch'esso poteva organizzare razionalmente, con quelle ch'esso non era in grado di controllare nella tappa iniziale dell'edificazione socialista. Bucharin ne trasse la conclusione che se il proletariato si fosse assunto troppa responsabilità in materia di regolazione diretta, le forze produttive si sarebbero trovate alla fine paralizzate. Queste parole furono profetiche, e non a caso egli vi ritornerà nel 1928, quando il destino della NEP era ormai segnato. Fu allora che Bucharin disse chiaramente che i guasti che avrebbe potuto procurare un sistema dirigistico, sarebbero stati di molto superiori a quelli che poteva procurare l'anarchia della piccola produzione.

Nel 1925 Zinoviev e Kamenev cominciarono a sostenere fermamente che la crisi della NEP si sarebbe senz'altro acuita se si fossero continuate a sopravvalutare le possibilità reali dello Stato nell'influenzare il mercato privato, e chiesero radicalmente di rinunciare al sistema amministrativo (come noto essi verranno sconfitti nel XIV congresso del partito, nel dicembre 1925). Dal canto suo, Bucharin, offrendo elementi più costruttivi, affermava la necessità di mantenere tra l'azione regolativa dello Stato e lo sviluppo della piccola produzione nella campagna, delle proporzioni calibrate, in modo che lo Stato non fosse costretto ad assumere responsabilità eccessive, unilaterali, e che il suo controllo non si trasformasse in un sistema amministrativo inefficace. Tuttavia Bucharin (e anche Stalin in quel momento) era convinto, ingenuamente, che la NEP avesse in sé un modo semiautomatico per superare la crisi, e che lo Stato fosse in grado di controllare a sufficienza i meccanismi di mercato, onde impedire l'acuirsi dei fenomeni di crisi (il che però generalmente non avveniva).

Quando gli elementi anarchici della NEP cominciarono ad esercitare un effetto distruttivo sull'economia nel suo insieme, lo Stato cercò di recuperare le posizioni perdute intensificando il suo intervento amministrativo nell'economia. Il partito non vedeva altre soluzioni che affidarsi agli strumenti verticistici dello Stato. Ciò che mancarono furono delle azioni innovative che stimolassero la responsabilità collettiva dei cittadini. Di fatto, le decisioni del XIV congresso (1925) posero all'interno del meccanismo della NEP, le premesse di una rinascita immediata del sistema amministrativo. Per sviluppare il quale infatti si procedette all'industrializzazione massiccia del Paese, appoggiandosi sulla debole struttura dell'economia agricola, attivando il drenaggio delle risorse agricole verso l'industria statale, utilizzando ampiamente lo scambio ineguale tra città e campagna. Per frenare lo sviluppo anarchico della NEP, occorreva impostare l'industrializzazione su una base più democratica, ma l'occasione del '25 andò perduta. Quando poi nel '27-'28 le contraddizioni s'inasprirono, il partito deciderà di sopprimere la NEP definitivamente.

Fu proprio la crisi dell'approvvigionamento del grano nel biennio '27-'28 che determinò l'abbandono della NEP. Questa crisi fu dovuta quasi esclusivamente a errori di ordine congiunturale, legati alla fissazione d'un prezzo troppo basso del grano, nonché a una campagna di stoccaggio del grano male organizzata. Ma si pensa anche che fu Stalin a provocare la crisi per ingannare il partito e sabotare la NEP.

Nel 1927 non mancava il pane nelle campagne, anche se il raccolto era stato inferiore a quello dell'anno precedente. Prima del '24 una parte considerevole del grano veniva concessa allo Stato a titolo d'imposta in natura: i contadini conoscevano in anticipo la quota, per cui facevano di tutto per ricavare delle eccedenze da vendere sul mercato. Dopo il '24 l'imposta si trasformò in denaro, per cui gli agricoltori, in teoria, avrebbero dovuto essere ancora più interessati alla produzione, passando ora completamente attraverso i meccanismi di mercato. Tuttavia, lo Stato, da un lato, cercava di non far salire i prezzi del grano, e dall'altro era incapace di soddisfare le esigenze dei contadini, non avendo merci sufficienti da offrire con le proprie industrie. A ciò vanno aggiunte le voci di una possibile guerra, che avevano ancor più contribuito a far sparire una parte importante delle riserve alimentari. In tali condizioni, i principali venditori di grano avevano interesse ad aspettare che i prezzi delle derrate lievitassero.

In sostanza, il problema dell'acquisto del grano da parte dello Stato non era più direttamente legato alla quantità disponibile di questa merce, ma anzitutto al livello dei prezzi e quelli statali, in campo agricolo, non erano mai stati elevati: anzi, nel '27-'28 erano molto bassi. Per di più il denaro che lo Stato poteva realmente utilizzare per l'acquisto del grano era alquanto limitato. Un incremento artificiale del prezzo del grano, deciso dallo Stato, per stimolare i contadini a venderlo (eventualmente garantendo la convertibilità in oro o in merci del proprio denaro), avrebbe inevitabilmente rafforzato l'inflazione e aggravato la scarsità delle merci.

Lo Stato seppe affrontare le gravi difficoltà di stoccaggio nel 1926, ma per uscire dalla crisi fu necessario ricorrere, seppure temporaneamente, all'abbandono della NEP nel campo della circolazione monetaria, riapplicando i metodi del "comunismo di guerra", ovvero il sistema del prelievo delle derrate agricole, sino alla confisca brutale del grano. Nel '27-'28 la reiterazione della crisi comportò la decisione di adottare delle misure straordinarie. Nel gennaio 1928, l'insieme della direzione del partito (inclusi Bucharin, Rykov e Tomski, che pur erano contrari alla maggioritaria politica staliniana) votò quelle misure all'unanimità. Era la prima volta ch'esse venivano usate nei confronti della campagna, dal momento in cui la NEP era stata istituita.

In pratica il partito bruciò una tappa fondamentale della NEP, quella cooperativistica, che avrebbe favorito il passaggio al socialismo. Lenin, pur avendo distinto chiaramente le cooperative socialiste (quelle situate su un terreno statale, con mezzi produttivi statali) da quelle che agivano in proprio, aveva affermato che entrambe le forme avrebbero portato al socialismo. Ma dopo la sua morte, il partito arrivò ben presto alla conclusione che la libera cooperazione non avrebbe permesso di ricomporre facilmente gli interessi privati dei contadini con l'esigenza di ottenere sufficienti risorse per avviare l'industrializzazione. Il mondo contadino doveva in qualche modo pagare il prezzo più alto.

Rinunciando deliberatamente all'economia contadina familiare e quindi alla NEP, il governo fu costretto a creare d'urgenza dei colcos che non avevano radici né economiche né socio-psicologiche. Imposti dall'alto, i colcos relegavano in secondo piano tutte le altre forme di cooperazione. L'industrializzazione decollò ipertrofizzando i metodi dirigisti. A partire dallo stalinismo, tutta la politica economica sarà determinata da questioni meramente ideologiche, subordinate alla lotta per il potere. Le misure eccezionali, per assicurare i bisogni d'una veloce industrializzazione, vennero applicate sistematicamente. Addirittura nel '28-'29 si produsse un graduale accostamento delle posizioni del gruppo di Bucharin a quelle della maggioranza del CC che appoggiava Stalin. Verso il novembre 1929, Bucharin, Rykov e Tomski riconobbero la necessità di una industrializzazione accelerata, e l'inevitabilità dei colcos, cioè di una collettivizzazione totale, massiccia, accettando l'idea che sulla base della piccola produzione contadina non si sarebbe potuta sviluppare alcuna vera industrializzazione.

Ad un certo punto le concezioni di Bucharin e di Stalin divergevano unicamente sull'atteggiamento che si doveva tenere nell'usare le misure eccezionali per lo stoccaggio del grano, per creare i colcos e per espropriare i kulaki. Il plenum del CC del luglio 1928 condivise le preoccupazioni del gruppo di Bucharin, ma quando il gruppo di Stalin chiese che le misure eccezionali fossero considerate "parte integrante della politica del partito" (cui non si poteva rinunciare senza rinunciare alla politica del partito), il CC si oppose a Bucharin, spingendo così il Paese verso la tragedia che si consumerà a cavallo degli anni '20 e '30 e poi nel '37-'38. Gli organi coercitivi ed esecutivi si svilupparono così tanto da sfuggire allo stesso controllo del CC.

Naturalmente la sconfitta del gruppo di Bucharin non comportò un repentino sviluppo dello stalinismo, anche se senza dubbio vi contribuì. Sarà infatti solo nelle risoluzioni del plenum di febbraio-marzo 1937 del CC del partito che Stalin affermerà che il Ministero dell'Interno era in ritardo di almeno quattro anni (gli anni '33-'37) in materia di "denuncia dei peggiori nemici del popolo". In sostanza Stalin s'era accorto che l'idea del "sabotaggio", usata alla fine degli anni '20 per giustificare ufficialmente ogni sorta di difficoltà nell'edificazione del socialismo, non veniva applicata, almeno a partire dal '33, con il dovuto rigore, in quanto incontrava certe resistenze (che erano non contro la sua personalità, ma contro gli eccessi della violenza).

In effetti, negli anni '33 e '34 il ricorso alle misure straordinarie e la tendenza a omologarle, avevano cominciato a rivestire la forma di un "dualismo di potere", a livello di autorità locali nel contesto agricolo. Da un lato si erano istituite delle sezioni politiche presso le stazioni di macchine e trattori che avevano come scopo quello di prestare assistenza tecnica e organizzativa ai colcos (esse funzioneranno dal '28 al '58): uno dei responsabili della sezione era sempre un agente dei servizi di sicurezza. Dall'altro, vi erano i comitati di distretto (del partito). Fra questi organi (di carattere straordinario i primi, ordinario i secondi) vi erano continue tensioni, cui vanno aggiunte le complicate relazioni tra gli organizzatori del partito, da un lato, inviati direttamente dal CC nelle fabbriche e sui cantieri, responsabili esclusivamente davanti al CC, e dall'altro i comitati cittadini e di distretto del partito.

Già dalla fine del '34 molti membri del CC s'erano resi conto di quanto fosse inefficace il sistema delle misure eccezionali, che concentrava le funzioni economico-politiche su settori troppo ristretti, senza riuscire ad avere uno sguardo d'insieme sulla totalità del territorio. Non essendo gli organi straordinari, né i comitati di distretto o regionali o repubblicani del partito, in grado di risolvere in maniera autonoma i problemi socio-economici cui erano stati preposti, a causa delle reciproche diffidenze, le risoluzioni del plenum del novembre 1934 del CC chiesero la soppressione delle suddette sezioni politiche, avviando un processo di limitazione dello stato d'emergenza. In un certo senso si può dire che alla fine del '34 la linea moderata di Bucharin avrebbe ancora potuto contare su molti appoggi. Tanto più che la decisione d'istituire una commissione per la stesura d'una nuova Costituzione, sembrava testimoniare la presenza di un orientamento favorevole alla formazione d'uno Stato di diritto, in cui le misure straordinarie non potessero essere erette a sistema.

Senonché, la Costituzione emanata nel dicembre 1936 fu praticamente invalidata proprio dalle misure eccezionali, al punto che numerose sue disposizioni restavano soltanto sulla carta. Fu lo stesso Stalin che cercò di riorientare i comitati del partito, a tutti i livelli, verso la loro subordinazione all'ideologia che esaltava il ricorso sistematico alle misure eccezionali. Ogniqualvolta Stalin si scontrava con una tendenza democratica, operava immediatamente una sterzata conservatrice per riconfermare la propria leadership.

Quando poi gli organi di partito a livello di potere locale autonomo, cercarono, proprio in virtù delle risoluzioni del plenum di novembre, di affermare la priorità degli interessi periferici su quelli centrali, l'entourage di Stalin colse l'occasione per creare artificialmente una situazione esasperata, destinata a uno sbocco autoritario. Alla fine del '34, esattamente dopo l'assassinio di S. Kirov (che era primo segretario del comitato del partito nella regione di Leningrado, membro del Politburo e, proprio nel '34, segretario del CC del partito), fu ristabilito il sistema delle misure eccezionali, con l'aggiunta però degli arresti di massa, delle esecuzioni capitali dei "nemici del popolo", e così via.

All'inizio del '37 i poteri degli organi straordinari erano talmente aumentati che sfuggivano del tutto al controllo del partito. Al plenum di febbraio-marzo del CC (1937) vi furono gli ultimissimi tentativi di resistere allo stalinismo già imperante. Dopo questo plenum iniziò lo sterminio di massa dei quadri del partito, anche di quelli che, pur avendo appoggiato Stalin, non potevano accettare incondizionatamente il suo sistema repressivo.


Struttura socioeconomica della Russia odierna (zip)


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia contemporanea
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Aggiornamento: 20/11/2012