1939-40: inizia l'immane tragedia europea

A fine agosto si proibì la vendita e il consumo del caffé, l’orzo tostato lo sostituiva, si beveva il karkadè, dato che anche il tè era introvabile. Cominciò a scarseggiare la cioccolata, che poi sparì del tutto per cinque anni; poi anche le pellicole di Hollywood furono proibite, mentre si stimolò la produzione cinematografica nazionale di Cinecittà.

L’Italia s’avvicinava sempre più alla Germania dove ‘tutto ciò che non era obbligatorio era proibito’.

Il pane era integrale, più tardi si mescolò con la farina di granturco e si razionò. Ad Ancona qualcuno mise un panino nerofumo tra le dita della mano del braccio alzato della statua d’Augusto, regalata dal duce, con la scritta in dialetto: ‘Questo è il pane dell’Impero, mangialo tu che hai lo stomaco di ferro’.

Si dovette obbligatoriamente consegnare alla Patria tutte le brocche e qualsiasi altro recipiente di rame che si aveva in casa, più tardi, con lo scoppio della guerra, fu incluso anche il ferro, comprese le cancellate pubbliche e private.

Con gran sbigottimento dei comunisti e dei capitalisti, Hitler strinse un patto con Stalin, se ne conobbero le clausole, meno quelle segrete.

Posteriormente si seppe che di segreto c’era la spartizione della Polonia e la delimitazione delle rispettive zone d’influenza nell’Europa dell’est.

Fu un patto nel quale ognuno dei due era convinto d’aver ingannato l’altro, ma, tirando le somme, il più furbo fu Stalin.

All’alba del primo di settembre, con un pretesto prefabbricato da Hitler e compagni, le forze armate tedesche attaccarono la Polonia.

I tedeschi disprezzavano i polacchi e in genere tutti quelli che non erano di razza ariano-teutonica; in realtà si sentivano superiori perché erano armati fino ai denti, e odiavano tutti quelli indifesi o scarsamente armati, perché questa disparità di forze dava loro la sicurezza e addirittura il diritto di poter dominare, schiavizzare o eliminare chi veniva ritenuto debole, inferiore, appartenente ad una sottospecie umana.

Curzio Malaparte, nel suo libro ‘Kaputt’ scrisse: i tedeschi ‘hanno paura di tutto e di tutti, ammazzano e distruggono per paura. Non già che temano la morte: nessun tedesco, uomo, donna, vecchio, bambino, teme la morte. E nemmeno hanno paura di soffrire. In un certo senso si può dire che amano il dolore. Ma hanno paura di tutto ciò che è vivo al di fuori di loro, e anche di tutto ciò che è diverso da loro. Il male di cui soffrono è misterioso. Hanno paura soprattutto degli esseri deboli, degli inermi, dei malati, delle donne, dei bambini. Hanno paura dei vecchi. Se l’Europa avesse pietà di loro, forse i tedeschi guarirebbero del loro orribile male’.

I superuomini tedeschi combattevano bene, soprattutto se erano armati fino ai denti, contro nemici inermi o quasi: per loro significava trovarsi di fronte a delle persone che non avevano diritto a nessuna pietà, perché non venivano considerati esseri umani e anzi rappresentavano un pericolo che doveva essere eliminato. La cosa cambiava quando si trovarono a combattere con un nemico molto più forte e armato: in questo caso solo l’obbedienza cieca e il fanatismo ch'era stato inculcato loro sin da bambini, li faceva resistere, a volte fino all’estremo, anche se poi crollavano come qualsiasi essere umano in condizioni analoghe.

I polacchi cercarono eroicamente e inutilmente di opporsi all’invasione: le loro cariche di cavalleria s’infransero contro i cannoni e le mitragliatrici dei carri armati degli invasori.

Le democrazie si stancarono di protestare inutilmente, come avevano fatto da anni, per evitare la guerra, e finalmente si resero conto che non si poteva più credere alle menzogne di Hitler e che si doveva por fine al suo appetito pantagruelico.

Il 3 settembre l’Inghilterra comunicò che Hitler doveva sospendere le ostilità e far retrocedere le sue armate fino al confine polacco-tedesco, che avevano varcato, per poter trattare una soluzione pacifica. Nel pomeriggio dello stesso giorno, non ricevendo alcuna risposta, l’Inghilterra si considerò in guerra con la Germania, e dopo qualche ora seguì la dichiarazione di guerra della Francia.

Mussolini si rese conto che era stato ingannato dai tedeschi, e non era la prima né sarà l’unica volta: infatti secondo il patto d’acciaio (stipulato un anno prima), a questo punto sarebbe dovuto entrare automaticamente in guerra a fianco di Hitler, ma, sicuro delle promesse avute da Goering e da Ribbentrop che la guerra non sarebbe scoppiata prima di tre o quattro anni, si mise ingenuamente il cappio al collo e con lui l’Italia tutta; se la dittatura è perniciosa, un dittatore ‘ingenuo’ è anche peggio.

Mussolini disse chiaramente a Hitler che l’Italia non era pronta militarmente, come lui ben sapeva, ma avrebbe potuto esserlo se avesse ricevuto materiali vari in quantità tale che sarebbero stati necessari 17 mila treni per trasportarli dalla Germania all’Italia. Hitler rispose che non era possibile soddisfarlo e non gli chiese d’entrare in guerra immediatamente, tanto più che in una settimana la Polonia era già stata ocupata, mentre i russi, come convenuto, ne occupavano la metà orientale col pretesto di difendere dal caos la maggioranza delle popolazioni russe bianche ed ucraine che vi abitavano.

Anche le relazioni tra Hitler e Mussolini erano basate su convenienze reciproche e sul cercare d’ingannarsi a vicenda. Hitler, mentendo e ingannando, aumentava il suo potere e le sue zone d’influenza, anche a danno dell’Italia, e lo avvisava solo a fatti compiuti; Mussolini, irato e mortificato, cercava di prendersi la rivincita, quasi sempre senza successo. Queste furono in sostanza le relazioni ‘amichevoli’ tra i due soci nella guerra comune.

Una mattina entrando a scuola qualcuno ci disse che le lezioni erano sospese e che dovevamo sfilare per le vie principali della cittadina (il giorno dopo si seppe dalla stampa che simili manifestazioni ‘spontanee’ erano avvenute in tutta Italia). Contenti per l’interruzione delle lezioni, sfilammo gridando e inneggiando alle rivendicazioni italiane di Nizza, Savoia, Corsica, Tunisi, Malta ed anche Gibuti.

Poche settimane dopo nasceva una nuova canzone ‘Nizza, Savoia, Corsica fatal, Malta baluardo di romanità. Tunisi nostra sponde monti e mar, tuona la libertà!...’

Il 9 aprile del 1940, ancora non digerita completamente la Polonia, i tedeschi occuparono la Danimarca che si arrese senza combattere, la Norvegia che resistette fino al 10 giugno, anche con l’aiuto d’un corpo di spedizione anglo-francese, il 10 maggio fu la volta dell’Olanda, che separata dagli eserciti alleati si arrese dieci giorni dopo, il 14 fu la volta del Belgio che, unito agli eserciti anglo-francesi, resistette, ma il 26 il suo re Leopoldo III s’arrese senza avvisare gli alleati che combattevano al suo fianco, quindi fu invaso anche il piccolo Lussemburgo che non aveva esercito.

Hitler fece svegliare Mussolini alle cinque del mattino per comunicargli che le truppe tedesche stavano invadendo le tre piccole nazioni. Trionfava la ‘blitzgrieg’ (la guerra lampo), basata fondamentalmente sul binomio carro armato-stukas (aereo da picchiata). Gli eserciti franco-britannici, ingannati dalla tattica tedesca, furono rinchiusi nella zona di Dunkerque, con il mare alle spalle.

In Inghilterra Chamberlain fu costretto a tornarsene a casa col suo ombrello, mentre Winston Churchill, con il sigaro tra i denti, prendeva il suo posto afferrando saldamente le redini del governo.

Celebri furono le sue parole al popolo inglese: ‘Non posso offrirvi altro che sangue, sudore, fatica e lacrime’.

Più tardi i giornali italiani, riferendosi a lui, cominciarono a nominarlo W.C. e un paio d’anni più tardi non si salvò neppure il presidente americano Franklin Delano Roosevelt che divenne Franklin Del Ano Roosevelt.

Mussolini ora aveva fretta d’intervenire, aveva bisogno –come disse al maresciallo Badoglio – ‘di qualche migliaio di morti per potermi sedere al tavolo della pace’.

I morti saranno molti di più, ed altri, non lui, si sederanno al tavolo della pace.

Non fummo mai amici dei tedeschi: ce lo insegnavano i libri di scuola dalle invasioni dei barbari fino alle guerre del Risorgimento, ce lo raccontavano i reduci della prima guerra mondiale, ma Mussolini ordinò che bisognava cambiar parere. Cominciarono a distribuirsi gratuitamente opuscoli, stampati in diverse tipografie romane, contro la Francia e l’Inghilterra, come ‘L’Europa strangolata dagli Inglesi’, ‘Malta’ (dove si dichiarava che i maltesi non vedevano l’ora di scuotersi dal dominio inglese e gridavano di voler essere italiani’, ‘L’Italia contro le Plutocrazie’, ‘Gli Inglesi bugiardi d’abitudine’, ‘Prigioniera nel Mare’ (dove l’Italia appariva prigioniera del suo mare, chiusa da tre lucchetti inglesi: Gibilterra, Suez e i Dardanelli (sic), oltre a una pistola francese a Biserta puntata sul fianco della Sicilia, mentre Malta era un’altra continua minaccia).

Mussolini coniò delle altre frasi celebri: ‘Se per l’Inghilterra il Mediterraneo è una via, per l’Italia è la vita’, ‘Si può dire che oggi, sotto l’egida del Fascio Littorio, noi siamo finalmente in grado di misurare tutte le conseguenze mediterranee dell’unificazione italiana. Solo oggi possiamo valutare e salutare le mirabili prospettive aperte alla collettività italiana sul mare che è suo…’.

Il Mediterraneo doveva ridiventare il ‘Mare Nostrum’ dell’antica Roma.

A questo punto il duce chiese a Hitler se il 5 giugno poteva essere invitato al banchetto. Hitler rispose che era meglio, per non intralciare i suoi piani, che aspettasse il giorno 10.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 14/09/2014