LA STORIA CONTEMPORANEA
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Benjamin Murmelstein BENJAMIN MURMELSTEIN,
Benjamin Murmelstein nella Encyclopedia Judaica è definito «rabbino,
studioso, personalità dirigente nel periodo dell’Olocausto». Benjamin Murmelstein sopravvisse sotto il peso dei tristi ricordi e affrontò pesanti accuse e feroci critiche da parte di chi, in quegli anni, era stato al sicuro, non aveva conosciuto i fatti oppure voleva eliminare un testimone giudicato scomodo. Questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1961, viene riproposto oggi in una nuova edizione per raccontare la verità di quel “testimone mai sentito”. Quale rabbino di un popoloso distretto di Vienna Murmelstein aveva potuto conoscere i problemi reali dei poveri e dei deboli. Quale studioso aveva pubblicato vari saggi sulle radici ebraiche di alcuni passi del Nuovo Testamento e la confutazione del libello antisemita del “dotto” cistercense Severin Grill (1). Dimostrò in questo modo la sua capacità di confrontarsi con tesi diverse dalla propria e di approfondire la storia delle persecuzioni del popolo ebraico nei secoli. L’insegnamento in un liceo-ginnasio gli diede modo, in occasione dei turni di vigilanza, di parlare con ragazzi non ebrei, spesso antisemiti, e di conoscere la loro mentalità. Di conseguenza, all’arrivo del dominio nazista in Austria nel 1938, poté rendersi conto delle reali necessità della sua comunità e trovare il miglior modo per rivolgersi a funzionari e ufficiali nazisti, senza perdere la dignità. Nel 1938 era il più giovane fra i diciotto rabbini di Vienna e per le sue qualifiche scientifiche avrebbe potuto mettersi subito al sicuro “usufruendo” di qualche beneficio. Riteneva, invece, che il rabbino non potesse essere il primo a scappare e che fosse suo dovere accettare la proposta del Capo della Comunità di dirigere l’Ufficio Emigrazione, per svolgere la più importante delle “nuove funzioni”. Nel maggio del 1938 dovette quindi incontrare, nel sottoscala della sede della Gestapo di Vienna, Adolf Eichmann, che nell’autunno dello stesso anno avrebbe reso operativo il famigerato “Ufficio Centrale per l’Emigrazione Ebraica” (Zentralstelle für Jüdische Auswanderung). Dal 1938 al 1941 gestì con successo, fra difficoltà crescenti, più di 110.000 pratiche di emigrazione, avviando molti ebrei verso la salvezza. Piovvero le prime critiche e accuse, prese in considerazione da chi non sapeva distinguere fra un’agenzia viaggi e un ufficio emigrazione strettamente controllato dai nazisti. La risposta di Murmelstein al console britannico a Vienna sintetizza le difficoltà del suo incarico: «Sotto Hitler un ebreo non può comportarsi alla maniera dei gentiluomini». A suo carico circolavano dicerie stupide e assurde. Tra le tante: «Ma, accetta denaro? Lui personalmente no; suo figlio, studente universitario, riscuote il denaro». Chi scrive, figlio unico, allora non aveva neanche tre anni di età. Nella Notte dei Cristalli, tra il 9 e il 10 novembre 1938, Murmelstein, avvertito dell’irruzione delle SS nella Sinagoga, situata nella sede degli uffici comunitari, accorse subito e trovò Eichmann al comando della distruzione degli arredi. In quella drammatica occasione, Eichmann relegò in una stanza Murmelstein e un altro funzionario comunitario; li lasciò andare dopo qualche ora urlando: «Ora, però, si emigra». Dal punto di vista organizzativo l’“Ufficio Centrale per l’Emigrazione Ebraica” era inquadrato nella struttura di spionaggio del partito nazista (SD) e per questo era in concorrenza con l’Ufficio Affari Ebraici della Gestapo. Dal punto di vista ebraico era necessaria una grande prudenza per non essere coinvolti e, in ultimo, diventare vittime delle rivalità fra “camerati”. Una svolta ulteriore si ebbe con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e la spartizione della Polonia fra Germania e URSS. Nell’ottobre del 1939 Murmelstein e altri sfortunati colleghi vennero mandati in Polonia con il compito di organizzare a Nisko, nei pressi di Lublino e della linea di demarcazione con l’URSS, i campi per accogliere gli ebrei. Nei progetti nazisti dello “spazio vitale per il popolo tedesco” quella regione era infatti inserita tra le aree da colonizzare e poteva diventare un “territorio di insediamento ebraico”. A tal proposito, troviamo nel libro la testimonianza precisa sul discorso di Eichmann su quei piani d’insediamento, terminato in modo beffardo con l’espressione: «Altrimenti tocca morire». Come racconta Murmelstein, dopo che il Governatore Generale della Polonia, Hans Frank, aveva rivendicato la completa giurisdizione sui suoi territori fu ordinato al gruppo di ebrei di ritornare in sede. Allora sembrò che Eichmann fosse stato sconfessato; venne invece promosso, chiamato a Berlino e nominato capo-divisione nel nuovo “Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich” (RSHA) diretto da Reinhard Heydrich. La vicenda appare oggi solo come una messa in scena, per dimostrare ai nazionalisti arabi che il Terzo Reich poteva dirottare l’emigrazione ebraica in una direzione ben lontana dalla Palestina. Nello studio sull’emigrazione ebraica ordinato da Eichmann nel dicembre 1940, Murmelstein ebbe il coraggio di sostenere che l’unica soluzione poteva essere l’insediamento in Palestina, con la protezione di “quella potenza che al termine del conflitto sarà determinante nel Medio Oriente”. Seppe poi che il gerarca nazista aveva dichiarato: «Murmelstein non sa che solo la Germania può vincere la guerra». Infatti, Murmelstein non conosceva i piani di Hitler, che in quel periodo era in attesa di cogliere il momento favorevole per intervenire direttamente in Libia e in Grecia, dove le truppe italiane stavano “ripiegando”. Al Quartier Generale del Führer e al Comando della Wehrmacht si stava completando l’organizzazione del famoso Afrikakorps. Appare più che probabile che fin dal 1937 Hitler, in previsione del conflitto con la Gran Bretagna, avesse individuato l’Italia come trampolino di lancio per sbarcare nel Nord Africa e per marciare verso il Medio Oriente. Fra i molti avvenimenti di quello stesso anno (1937), a cui Murmelstein fa riferimento in questo libro, dobbiamo mettere in relazione fra di loro i seguenti: i nazionalisti polacchi proposero al governo francese il trasferimento in Madagascar di almeno un milione di ebrei e il governo polacco dei “colonnelli” limitò l’autonomia delle comunità ebraiche, mentre Erwin Rommel fece un “viaggio turistico” in Libia ed Eichmann si recò in Palestina e in Egitto dove incontrò esponenti arabi nazionalisti. Dopo lo sbarco dell’Afrikakorps a Tripoli (febbraio 1941) e la successiva,
prima, avanzata di Rommel verso il confine egiziano, ci fu il colpo di stato
filo-tedesco di Rashid Ali al-Kaylani in Iraq, con violenze contro la locale
comunità ebraica. Quando nel 1942 Rommel era di nuovo in marcia Secondo le fonti, dunque, le manovre politiche di Hitler erano finalizzate a estendere la “soluzione finale” al Medio Oriente con l’aiuto di “elementi locali”, nazionalisti arabi. Con le vicende belliche – l’occupazione tedesca di Olanda, Belgio, Francia e l’entrata in guerra dell’Italia – per gli ebrei si ridussero sempre di più le possibilità di emigrare. A Vienna incombeva però la “promessa” di Hermann Goering, per la quale due anni di regime nazista sarebbero stati sufficienti per liberare la città dalla presenza ebraica. Nei tre anni dal 1938 (annessione dell’Austria) al 1941 (fine dell’emigrazione) le condizioni di lavoro dei dirigenti ebraici peggiorarono progressivamente, poiché ogni chiamata, da Eichmann prima e dai suoi “sostituti” poi, poteva essere l’ultima. Dovevano riuscire a parlare e a scrivere tenendo conto del modo di ragionare di individui che volutamente usavano espressioni scurrili e violente. Erano costretti a guardarsi da spie e agenti provocatori e non avevano la possibilità di spiegare i veri motivi del diniego di questa o di quella concessione di favori. I fortunati inclusi nei pochi gruppi che dall’autunno del 1940 alla primavera del 1941 poterono lasciare le loro città, su treni scortati dalle SS fino ai confini, erano tenuti a presentarsi, senza alcuna deroga, all’ora stabilita. Nel settembre del 1941 furono introdotte la stella gialla e le tessere annonarie ”J”, che prevedevano assegnazioni alimentari ridotte. Alla Vigilia di Kippur fu poi comunicato l’inizio di trasporti per il “reinsediamento all’Est” di coloro che non era stato possibile far emigrare: circa un terzo della popolazione ebraica viennese nel marzo del 1938. La Comunità di Vienna si rifiutò di operare le selezioni e compilare le liste dei deportati. Era però necessario e doveroso che l’Ufficio Centrale per l’Emigrazione Ebraica inviasse personale comunitario per assistere gli infelici selezionati, dopo che il terribile Alois Brunner aveva prospettato, in alternativa, “l’assistenza” della fanatizzata Gioventù Hitleriana. Nelle condizioni specifiche di Vienna, Murmelstein seguiva la “Risoluzione di Lod”, una prescrizione rivolta alla comunità ebraica risalente al III secolo, in un’epoca di persecuzioni (3). A Berlino, invece, il Rabbino Leo Baeck, tenendo conto della differente situazione della sua città, sosteneva che solo il Consiglio Ebraico fosse in grado di operare la selezione in modo umano. Seguirono mesi infernali. Le richieste di “esenzione” per alcune persone o per certe categorie (anziani, invalidi di guerra…) dovevano venir motivate in un modo che un ufficiale SS potesse comprendere e accettare; discorsi di protesta o di principio erano impensabili. All’inizio del 1942 le deportazioni furono interrotte e Murmelstein nutrì la speranza che fossero terminate; non sapeva che tutto il materiale ferroviario era stato impiegato per i rifornimenti sul fronte russo e che si trattava solo di una sospensione temporanea. I primi trasporti erano diretti verso l’Est e chi era stato inizialmente esonerato sarebbe stato destinato, prima o poi, al ghetto di Terezin. A settembre del 1942 quasi tutti gli ebrei di Vienna erano ormai stati deportati; la maggioranza di coloro che risiedevano ancora in città o vivevano in matrimonio misto oppure erano dei “sanguemisti”. Nell’unica Sinagoga rimasta aperta si dovevano celebrare le funzioni per coloro che erano ebrei in senso religioso. Alla Vigilia del Kippur Murmelstein ebbe una crisi di disperazione perché dubitava di essere ritualmente qualificato a celebrare il rito con la preghiera di richiesta del “Perdono del Signore”. Si disse: «Sono stato a contatto con tutte le porcherie, ho lavorato di sabato; tutto a fin di bene, ma... come posso recitare le massime preghiere di questa Giornata del Perdono?». Poi, essendo l’unico rabbino ancora a Vienna, diede inizio alla celebrazione della funzione. Il 30 gennaio del 1943, decennale della presa di potere nazista, alcuni funzionari ebrei con le loro famiglie furono portati a Terezin. Tra questi, Jakob Edelstein, Paul Eppstein e Benjamin Murmelstein, che – invece di mettersi al sicuro in tempo – avevano lavorato per l’emigrazione di tanti, si ritrovarono insieme nel ghetto. Solo Murmelstein sopravvisse, per testimoniare. Murmelstein divenne Secondo Sostituto del nuovo decano Eppstein ed ebbe le deleghe per Sanità e Servizi Tecnici, reparti dove prevalevano persone provenienti dalla Boemia-Moravia. Nel ghetto la lingua ufficiale era il tedesco, ma la conoscenza della lingua ceca era utile. Murmelstein, che era nato a Leopoli e conosceva il polacco, poté facilmente parlare in ceco. In questo libro Murmelstein rende la sua testimonianza sulle vicende di Terezin fino alla partenza dell’ultimo comandante ancora in divisa e armato – il Tenente SS Karl Rahm – il 5 maggio del 1945, dopo che il ghetto era stato preso in consegna dal delegato della Croce Rossa Internazionale, Paul Dunant. Nei giorni 6 e 7 maggio 1945 reparti SS in ritirata sparavano su Terezin; l’Armata Rossa arrivò solo alle ore 21 del giorno 8 maggio 1945. Il Feldmaresciallo Ferdinand Schörner firmò la resa delle sue truppe, ancora presenti nel Nord della Boemia, solo l’11 maggio del 1945. Risulta dal verbale della riunione del 3 maggio 1945 tra Paul Dunant, il Consiglio degli Anziani e il Capo Reparto, che il rabbino di Berlino Leo Baeck espresse i propri sentimenti di gratitudine per l’opera svolta da Murmelstein, auspicando che le sue capacità organizzative fossero a disposizione anche della “nuova amministrazione”. Negli atti presso il Tribunale del Popolo di Litomerice si trova l’originale della lettera del 6 maggio del 1945 con la quale lo stesso Leo Baeck espresse a Benjamin Murmelstein, anche a nome del Consiglio degli Anziani, il ringraziamento per l’opera svolta in condizioni così straordinarie. Leo Baeck riteneva saggiamente che chi aveva guidato il ghetto fino alla liberazione fosse la persona più indicata per organizzare la progressiva liquidazione e i rimpatri. Il dramma dei sopravvissuti continuò proprio con i rimpatri perché, al loro ritorno, spesso si sentivano chiedere: «Come, ma sei tornato?» (in Polonia e Ungheria si ebbero pure episodi di violenza). Altri domandavano: «Come è potuto rimanere in vita?» per poi concludere: «Ha barattato delle vite ed è sopravvissuto». La sorte di coloro che riuscivano a tornare diventava un motivo di riprovazione e d’ingiuria presso chi, non avendo preso parte agli eventi, nulla sapeva delle reali condizioni di dura oppressione subite dagli internati oppure, approfittando degli eventi, si era impadronito dei loro beni. Negli Stati occupati molti collaboratori si erano inseriti nel “Nuovo
Ordine” e avevano quindi sperato nella vittoria nazista. Malgrado fosse assurdo
attribuire ai dirigenti ebrei simili aspettative, quasi tutti i pochi
sopravvissuti furono sottoposti a processi, più mediatici che giuridici. Molti
martiri Qualche giorno dopo l’arrivo dell’Armata Rossa a Terezin, Murmelstein fu invitato al comando sovietico e interrogato da un alto ufficiale NKVD (KGB); al termine del colloquio gli fu chiesto di scrivere una breve storia del ghetto (4) e poco dopo fu anche raggiunto da un giornalista statunitense. Al contrario, non fu mai contattato da alcun rappresentante delle organizzazioni ebraiche. Alla fine, pensò di aggregarsi a un gruppo in partenza per Parigi per poter riferire al JOINT, il grande organismo assistenziale che aveva approntato i mezzi per l’emigrazione e altri interventi. Al momento della partenza Murmelstein venne fermato da un gruppo di comunisti, che gli sottrassero i documenti personali e quelli della famiglia. Iniziò il calvario. Fu prima tenuto agli arresti a Terezin e poi trasferito a Praga, nella famigerata prigione di San Pancrazio. La famiglia dovette rifugiarsi a Budapest, presso i parenti. Da una parte c’erano persone che sapevano quanto egli avesse fatto per la salvezza di Terezin ed ebbero il coraggio di stare al suo fianco, provvedendo all’assistenza e ai costi della sua difesa legale. Dall’altra c’erano individui che si precipitarono – e indussero altri con pressioni varie – a lanciare a suo carico accuse di collaborazionismo, tutte cadute nel corso dell’esame presso la Polizia di Stato, che nel febbraio del 1946 propose l’archiviazione del caso. La “competente” Commissione politica, su pressione del rappresentante comunista, decise tuttavia di mandare il fascicolo al Tribunale del Popolo di Litomerice per un nuovo esame e per avere “nuovi testimoni”. Nel dicembre del 1946 il Giudice istruttore pronunciò il proscioglimento: «Il fatto non sussiste»; il Procuratore di Stato non aveva neanche depositato la requisitoria e la richiesta di processo. Nella sentenza di condanna del terzo e ultimo comandante di Terezin, Karl Rahm, Benjamin Murmelstein venne ritenuto teste attendibile in quanto pienamente riabilitato. Nel corso di un interrogatorio davanti al giudice istruttore, alla domanda insidiosa di Theodor Horowitz, rappresentante della Comunità Ebraica di Praga, Karl Rahm rispose ironicamente: «No, così non era. Non prendevamo ordini da Murmelstein». Lo stesso Horowitz, in qualità di corrispondente dell’agenzia giornalistica JTA, ottenne di poter intervistare l’imputato in carcere. Alla prima domanda Karl Rahm rispose: «Ma io avevo l’impressione che Murmelstein volesse migliorare la condizione degli internati nel ghetto». L’intervista non venne diffusa. Nel 1945 la dirigenza comunista della comunità ebraica di Vienna, insediata dalle autorità sovietiche di occupazione, sollecitò in vari modi, anche con intimidazioni, le accuse contro Benjamin Murmelstein. Le denunce presentate in varie riprese vennero poi archiviate dalla Procura di Stato essendo risultato che i delatori non avevano neanche conosciuto Benjamin Murmelstein oltre ad aver pure indicato date del tutto errate della sua deportazione. La campagna denigratoria a carico di Benjamin Murmelstein continuò malgrado
le decisioni del Tribunale del Popolo di Litomerice, notoriamente molto severo.
Fra l’altro, nel novembre del 1963, in un dibattito sulle pagine di due
importanti quotidiani di lingua tedesca – «Die Welt» e «Neue Züricher Zeitung» –
il famoso studioso di mistica ebraica, Gershom Sholem scrisse: «Come mi hanno
assicurato tutti i reduci di Terezin, Murmelstein avrebbe meritato di venire
impiccato». La stessa Hannah Arendt se da una parte ha rappresentato Eichmann
come un banale piccolo La testimonianza di Benjamin Murmelstein, come esposta in questo libro, dimostra l’assoluta inconsistenza delle note tesi di Hannah Arendt per quel che riguarda sia la banalità dell’imputato Eichmann sia il fantomatico “dovere” dei dirigenti ebrei di seguire un «atteggiamento di non partecipazione». L’Encyclopedia Judaica afferma che Murmelstein si stabilì a Roma e che ebbe un incarico come docente all’Istituto Pontificio Biblico. In realtà tra il 1947 e il 1973 fece l’agente di commercio e poté frequentare la Biblioteca dell’Istituto Pontificio Biblico, dove si trovano diversi suoi scritti, per cortese concessione della Direzione dell’Istituto, presso il quale viene ricordato come “particolare figura di studioso”. A onor del vero, la carriera di studioso di Benjamin Murmelstein si era interrotta nel 1938 e non poté più riprendere. La stessa fonte recita: «senza prendere parte alla vita comunitaria ebraica». A tal proposito duole dover precisare che nell’agosto del 1947 l’allora Rabbino Capo David Prato invitò Murmelstein a lasciare immediatamente Roma perché «altrimenti non garantisco per la sua sicurezza!», aggiungendo «Lei, per stare qui, sa troppo». Pur escluso in questo modo dalla vita comunitaria, Murmelstein fu molto attivo nella pubblicistica; replicò su «Il tempo» nel 1956 agli articoli di Arthur Köstler, che presentava l’ebraismo in modo del tutto falso e riduttivo, e su «La voce repubblicana» alla tesi di Francesco Carnelutti, che paragonava il processo di Eichmann a quello di Gesù Cristo. Come tanti, soffriva della “sindrome del sopravvissuto” ed era tormentato dai dubbi. Chi scrive iniziò a coltivare lo studio della storia della Shoah per poter dimostrare quanto questi dubbi fossero stati, e siano ancora, del tutto infondati. Egli fu solo raramente interpellato dagli storici e le sue testimonianze non furono sempre prese in considerazione. Morì nel 1989 dopo lunghe sofferenze, dovute alle esperienze vissute negli anni di “quelle tenebre” e nei successivi. L’allora Rabbino Capo di Roma, Elio Toaff, che gli aveva negato nel 1983 l’iscrizione alla Comunità, nel 1989 gli vietò la sepoltura nella tomba della moglie. Il desiderio di Benjamin Murmelstein di riposare accanto alla sua consorte, che per quarant’anni ha condiviso con lui ansie e umiliazioni, non è stato rispettato. Il sepolcro di un rabbino che in quegli anni era stato con la sua comunità, doveva infatti rimanere “alla siepe”, al limite del nuovo cimitero Flaminio. Nel tempo quel riquadro si è progressivamente popolato di nuove lapidi: presso la tomba di Benjamin Murmelstein si trovano oggi anche quelle di alcuni reduci di Auschwitz. Infine, chi scrive fu mortificato nel 1989 col rifiuto di recitare in Sinagoga la preghiera in ricordo del Padre, perché avesse «parte del mondo futuro». Solo dopo varie pressioni, in sede di Consulta rabbinica italiana, Elio Toaff “motivò” le proprie decisioni con generiche «informazioni negative». Sono oggi imminenti l’uscita del film di Claude Lanzmann (6), con le interviste a Benjamin Murmelstein su Vienna e su Terezin, e la pubblicazione della prima parte degli studi di Leonard H. Ehrlich (7), basata principalmente sulle interviste a Benjamin Murmelstein negli anni dal 1977 al 1983. Il presente libro colma una grave lacuna nella storiografia della Shoah (8) e restituisce dignità storica alle vicende del ghetto di Terezin. Note (1) B. Murmelstein - D. Feuchtwang, Einige Fragen an Prof. Dr. P. Severin Grill, O. Cist., Verfasser der theolog. Studie “Der Talmud und Schulchan Aruch”, Union österreichischer Juden, Wien 1935. (2) Questo è quanto riferito da «Der Spiegel» in base a documenti recentemente ritrovati negli archivi. (3) «Se siete circondati da banditi e vi chiedono di consegnare uno qualsiasi allora non dovete consegnarlo. Se invece vi chiedono di consegnare quell’uomo già condannato, altrimenti verrete annientati tutti, allora dovete consegnarlo». (4) B. Murmelstein, Geschichtlicher Überlick (Die Juden in Theresienstadt), testo dattiloscritto conservato presso l’archivio del Museo ebraico di Praga e consultabile online (al maggio 2013): collections.jewishmuseum.cz/index.php/Detail/Object/Show/object_id/5837 (5) H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 2003. (6) L’ultimo degli ingiusti. Il testimone mai sentito. Lanzmann, come è noto, ha diretto anche il film Shoah, del 1979. (7) L.H. Ehrlich, Choice under Duress (Decidere sotto tirannia). (8) R. Hilberg, Die Vernichtung der europäischen Juden, Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main 1990; L.S. Dawidowicz, Der Krieg gegen die Juden, Kindler, München 1979; S. Friedländer, Gli anni dello sterminio. La Germania nazista e gli ebrei (1939-1945), Garzanti, Milano 2009. Fonte: Editrice La Scuola Richieste del volume per recensione o di interviste con Wolf Murmelstein vanno indirizzate a: uff-stampa@lascuola.it - 030-2993219 Vedi anche Il ghetto di Terezin Sull'argomento del lager di Terezin vedi anche:
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