STORIA ROMANA


Appendici

11. MILITARISMO

1. La falange nell'esercito di Roma

L'antico cittadino romano in origine era un contadino e/o un allevatore (la stessa contesa tra il contadino Romolo e il pastore Remo rappresentò, in chiave figurata, il punto di arrivo di una progressiva differenziazione di ruoli: non più contadino "e" allevatore ma o l'uno o l'altro, fino alla maturazione di quell'antagonismo - in relazione all'uso della terra - che a un certo punto divenne irriducibile, esattamente come in altre zone geografiche caratterizzate dal sorgere delle civiltà, e che si può sintetizzare nel conflitto tra il nomadismo degli allevatori e la sedentarietà degli agricoltori).

Quando la rottura (che nel caso della leggenda di Romolo fu tragica) trovò il suo compimento, prese l'avvio la progressiva trasformazione del contadino romano in soldato. Tale trasformazione sarà accompagnata, come in parallelo, da quella del possidente agrario in comandante militare e quindi in uomo politico e amministratore di città.

Il primitivo esercito romano era formato da gruppi di combattenti che appartenevano alle grandi famiglie aristocratiche (gentes), in grado di pagarsi carri, cavalli, armi di ferro, nonché di disporre di un certo seguito di clienti, bisognosi di protezione ma anche capaci di seguire quelle famiglie nel corso delle guerre per conquistare terre e città.

I combattimenti non si svolgevano a cavallo ma a piedi: i cavalli servivano per spostarsi velocemente sul luogo dello scontro. Questo ovviamente non vuol dire che non esistesse nel primitivo esercito la cavalleria, ma semplicemente che lo scontro decisivo avveniva tra fanti, che rappresentavano il cosiddetto "esercito degli opliti schierati a falange" (1). L'uso intelligente della cavalleria avverrà solo nel corso delle guerre puniche.

Il comandante dell'esercito era il re, coadiuvato da un generale (magister populi), il quale nominava un proprio sottoposto: il magister equitum.

Intorno al VI sec. a.C., sotto il regno di Servio Tullio, l'esercito di Roma e di altre città sotto la sua influenza si organizza in modo rigoroso: tutti gli uomini (quindi non solo gli aristocratici di nascita) in grado di pagarsi un armamento completo di metallo (scudo, corazza, schinieri, elmo, lancia e spada) e disposti a combattere insieme con disciplina, potevano aspirare non solo a una spartizione del bottino ma anche a un controllo politico della città. Era nato l'esercito su base censitaria e nel contempo una strategia di tipo politico-militare.

Quelli che erano inferiori a un certo censo (i cosiddetti proletarii, perché censiti solo per la prole) potevano combattere solo con armi rudimentali, fuori dallo schieramento della falange e dalla possibilità di ottenere ruoli politici di rilievo.

L'ordinamento politico-istituzionale fu una conseguenza di quello militare. Infatti dall'esercito riunito per combattere si sviluppò il comizio centuriato, un'assemblea cittadina fondata sulle centurie, l'unità base della legione. Composta inizialmente di 3.000 e poi di 6.000 uomini, la legione non era più comandata dal re, dopo il crollo della monarchia, ma da due consoli. La cavalleria che l'affiancava aveva 300 unità per legione.

Una centuria era generalmente composta di 100 uomini, agli ordini di un ufficiale: il centurione. Forse quando le legioni divennero due, ogni centuria comprendeva solo 50 uomini.
Nei comizi centuriati i ceti benestanti disponevano sempre di più voti, coi quali potevano eleggere i magistrati, i comandanti militari e dichiarare la guerra o la pace. Si votava infatti per centurie, non individualmente, e i più ricchi erano distribuiti in un maggior numero di centurie.
Queste assemblee si tenevano fuori dalla linea sacra della città, il pomerio, al cui interno non si potevano portare armi. Le proposte venivano presentate dai magistrati e i cittadini si limitavano a votarle, senza neppure discuterle.

Ecco il diagramma in cui si rappresenta il tipo e il numero di centurie che ciascuna classe di cittadini doveva fornire in caso di guerra:

ORDINAMENTO CENTURIATO
1 CLASSE
18 centurie di cavalleria ;
80 centurie di fanteria pesante
cavalleria
18 centurie

2 CLASSE
20 centurie
------------------------
3 CLASSE
20 centurie

fanteria pesante
120 centurie

4 CLASSE
20 centurie
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5 CLASSE
30 centurie

fanti armati alla leggera
50 centurie
PROLETARII
5 centurie
operai
5 centurie
I censimenti venivano fatti ogni cinque anni. I cittadini venivano divisi in cinque classi, di cui le prime quattro includevano quelli con patrimoni compresi tra i 100.000 e gli 11.000 assi. Nell'ultima era i proletarii. A parte venivano censiti i fabri, cioè i tecnici necessari, e i trombettieri. Ecco una tabella relativa ai cittadini romani censiti come abili alle armi:

Anni

393-392

340-339

329

294-293

288-287

280-279

276-275

Censiti

152.573

165.000

150.000

262.321

272.000

287.222

271.224

Durante la guerra decennale contro Veio, conclusasi nel 396 a.C., fu introdotto il soldo, un contributo dei cittadini alle spese di vestiario e di armamento dei soldati.

Ogni romano diventava abile alle armi praticamente a 17 anni, quando indossava la toga virile ed entrava a far parte degli iuniores, dove vi restava fino a 46 anni, dopodiché apparteneva ai seniores, cioè alla riserva, richiamabile per una guerra in casi di particolare pericolo. Ma esisteva anche una chiamata di emergenza detta tumultus che avveniva a prescindere totalmente dal censo.

I plebei spesso rifiutavano le continue chiamate alle armi, poiché dalle conquiste realizzate ricevevano solo le briciole e le famiglie rimaste in patria facilmente cadevano vittime dei debiti, senza considerare che, una volta entrato nell'esercito, il plebleo perdeva automaticamente tutti i diritti faticosamente acquisiti con le lotte di classe: poteva p.es. essere messo a morte per indisciplina, senza alcun processo.

La disciplina era un aspetto fondamentale dell'organizzazione militare. Ogni soldato prestava un solenne giuramento al suo comandante: la parola sacramentum, con cui si designava questo atto di totale fiducia e sottomissione, implicava l'idea della punizione severa per chi trasgrediva le regole. Manlio Torquato nel 340 a.C. mise a morte il figlio solo perché aveva ingaggiato un duello individuale (vincendolo) senza la sua autorizzazione. Esempi come questo se ne possono fare tanti e non a caso già a partire dal II sec. a.C. i giovani romani cominciavano a manifestare una certa insofferenza per la leva militare.

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[1] In battaglia ogni legione si schierava su tre linee: hastati, che avevano il compito di scagliare la lancia per scompigliare le file nemiche; principes, i soldati migliori che intervenivano subito dopo per lo scontro decisivo; triarii, che costituivano il rinforzo in caso di necessità.

2. La struttura tattica manipolare

Nel corso della guerra contro i sanniti, intorno al 340 a.C., i romani sostituirono la rigida falange oplitica, di derivazione macedone, capace solo d'una grande forza d'urto ma tatticamente poco manovrabile, con l'ordinamento per manipoli, che resterà la struttura fondante dell'esercito romano per alcuni secoli, fino all'adozione delle coorti.

 
2 centurie = 1 manipolo
3 manipoli = 1 coorte
10 coorti = 1 legione

Nel corso della guerra contro i sanniti, intorno al 340 a.C., i romani sostituirono la rigida falange oplitica, di derivazione macedone, capace solo d'una grande forza d'urto ma tatticamente poco manovrabile, con l'ordinamento per manipoli, che resterà la struttura fondante dell'esercito romano per alcuni secoli, fino all'adozione delle coorti.

L'equipaggiamento del soldato ora consisteva in una spada da punta e da taglio, una corazza, l'elmo e gli schinieri, una lancia da getto (pilum), mentre quella da urto (hasta) viene lasciata solo alla terza fila dello schieramento (i triarii) e, particolare importante, si sostituisce lo scudo rotondo di bronzo con uno rettangolare in legno.

Anche l'ordine delle schiere fu modificato: praticamente i manipoli delle prime due linee (principes e hastati) si schierarono su un fronte di 12 uomini per una profondità di 10, quindi un totale di 120 uomini.

In combattimento le centurie di ogni legione si disponevano in numero di 20 per linea, cioè in 10 manipoli di 120 uomini ciascuno. La legione era composta in genere di circa 4.000 uomini, ma poteva arrivare anche a 6.000.

Il manipolo aveva il vantaggio di poter combattere da solo, a condizione che vi fosse grande coesione e prontezza. L'armamento era uguali per tutti.

L'esercito romano era molto forte non solo a motivo della capacità di risolvere prontamente i limiti tattici e strategici, ma anche perché era un esercito di cittadini, non di mercenari, ed era anche un esercito di alleati (latini e italici, almeno sino al II sec. a.C., poi chiunque poté diventare alleato). Agli alleati spesso venivano assegnati compiti specifici sulla base delle loro abilità o specialità tradizionali: p.es. i cretesi venivano impiegati come arcieri, gli spagnoli come frombolieri ecc.
Gli alleati conservavano un'autonomia formale nella politica interna, ma dovevano rinunciare a una politica estera indipendente, anche perché tutto il loro potenziale bellico (auxilia) doveva essere messo a disposizione di Roma. Il che non sempre veniva accettato tranquillamente, come p.es. testimonia la rivolta di gran parte degli alleati nel 90 a.C. Non a caso i romani si guardavano bene dal creare reparti militari etnicamente omogenei.

Le truppe ausiliarie raddoppiavano gli effettivi di una legione, al punto che tra romani e alleati il potenziale umano mobilitabile era di circa 800-900.000 soldati (circa il 6-7% degli arruolabili era annualmente sotto le armi).

Di regola le legioni, almeno fino al II sec. a.C., non superavano mai le quattro unità (due per console), ma in alcuni momenti delle guerre puniche arrivarono oltre 20 (con la promessa della libertà si arruolarono persino gli schiavi).

I consoli comandarono sulle legioni solo fino al I sec. a.C., dopodiché vennero sostituiti dai tribuni, per soddisfare meglio le esigenze di eserciti divenuti molto più grandi; a loro volta i tribuni sceglievano i centurioni, responsabili della disciplina, dell'addestramento e del comando di ogni centuria. Il centurione veniva scelto sulla base dell'esperienza e della capacità di comando. La sua origine sociale in genere era modesta.

La lunga permanenza dei militari all'estero ebbe due effetti inevitabili:
a) l'aumento dell'importanza dei contingenti alleati;

b)la nascita delle prime colonie di veterani, che contribuì alla romanizzazione delle province.

Durante la fase espansionistica il soldato prendeva un denario al giorno e partecipava, in misura crescente del suo grado, alla spartizione del bottino. Un centurione poteva arrivare a più di 100 denari al mese; un tribuno a più di 200.

Quanto più militava nell'esercito, tanto più la terra lavorata in Italia veniva abbandonata e tra i lavoratori agricoli aumentava la proletarizzazione dei ceti più deboli.

3. Le truppe ausiliarie

Le truppe ausiliarie dell'esercito romano erano costituite da contingenti non in possesso della cittadinanza romana, almeno nella fase repubblicana. Nel 90-88 a.C., dopo la rivolta di gran parte degli alleati (guerra sociale), la cittadinanza venne estesa a tutti gli italici, il che dava loro diritto di prestare servizio nella legione.

Questi contingenti potevano essere costituiti da elementi mercenari oppure di foederati, provenienti da quei popoli liberi che vi erano obbligati sulla base di patti di mutua alleanza con Roma. Ma soprattutto erano genti sconfitte militarmente (quindi in primis le popolazioni italiche), costrette, a titolo di tributo, a offrire un certo numero di contingenti armati.


Gli italici (in qualità di socii) avevano autonomia amministrativa e, sul piano meramente locale, anche politica, ma la loro politica estera e militare dipendeva strettamente da quella romana. Essi fornivano soprattutto reparti di cavalleria: una specialità trascurata nell'ordinamento militare di Roma. Ma fornivano anche reparti di fanteria leggera, in quanto quella pesante era tipica della legione.

Gli auxilia svolgevano inoltre funzioni di supporto come ad es. l'esplorazione, la ricerca, la presa di contatto con l'avversario, la costruzione di fortilizi difensivi...

Quando l'impero romano raggiunse, verso la fine del periodo repubblicano, la sua massima espansione, i contingenti alleati furono tratti prevalentemente dalle popolazioni barbariche.
Dalla fine del I sec. d.C. gli auxilia saranno qualitativamente di poco inferiori alle legioni. Il primo imperatore a offrire loro, ormai reclutati in servizio permanente e non più solo in occasione di campagne militari, una paga mensile e un equipaggiamento uniforme, fu Augusto, il quale stabilì anche che rimanessero di stanza nella loro regione di reclutamento, ad eccezione del comando delle singole unità, che veniva sempre affidato a ufficiali superiori romani (tribuni), scelti inizialmente tra i giovani figli dei senatori, nell'espletamento del primo degli incarichi militari tipico della loro carriera politica, e successivamente, dopo le riforme di Claudio, tra l'ordine equestre.

Ai tempi di Traiano gli auxilia erano divenuti così importanti che nella guerra in Dacia furono proprio loro a sostenere i principali scontri col nemico. Nella Colonna Traiana i legionari, essendo considerati delle truppe specializzate, vengono ritratti non tanto nei combattimenti (a meno che il loro intervento non fosse assolutamente necessario), quanto nelle mansioni tecniche o logistiche.

La ferma di un ausiliario durava da 25 a 28 anni. Si prestava servizio in unità di fanteria, la cui formazione prendeva il nome di coorte, con effettivi che potevano andare da 500 uomini (le centurie di 82-83 fanti ciascuna) a 1.000 (dieci centurie di 100 fanti). A dir il vero quando la coorte fu inventata da Gaio Mario i manipoli erano soltanto tre, per un totale di 300 uomini.

Le coorti di fanteria potevano essere integrate con elementi di cavalleria: p.es. sei centurie da 65 fanti e quattro torme da 30 cavalieri, oppure 10 centurie da 76 fanti ciascuna e sei torme di 42 cavalieri ciascuna.

Invece le unità di cavalleria pura (le ali) erano composte, a seconda dei casi, di 16 torme da 32 cavalieri o da 24 torme da 42 cavalieri.

Le coorti, a seconda della tipologia, erano comandate o da un prefetto o da un tribuno. I ranghi dell'ufficialità inferiore erano costituiti da centurioni e decurioni.

Un ausiliario, come paga, prendeva tre volte meno di un legionario, ma alla fine della sua carriera gli veniva assicurata la cittadinanza romana, a lui e alla sua discendenza legittima.
Verso gli ultimi del I sec. d.C. si crearono i "numeri", cioè quei reparti militari la cui consistenza non superava le 500 unità. Questo permetteva di arruolare facilmente gli elementi barbarici, che all'interno dell'esercito romano conservavano la propria lingua, la propria uniforme, le proprie armi, il proprio modo di combattere. Alla fine diventeranno loro i veri auxilia.

Adriano istituzionalizzò i "numeri" e il loro impiego crebbe tanto che alle soglie dell'età diocleziana costituirono il fulcro di un esercito completamente imbarbarito.

Non dimentichiamo inoltre che nel 212 d.C., con la Constitutio Antoniniana dell'imperatore Caracalla, la cittadinanza romana venne estesa a tutti i sudditi, rompendo così, definitivamente, quella differenza di rango tra legioni e auxilia.

4. Esercito e Generali

Al tempo dei primi grandi generali romani, come Mario, Silla, Pompeo e Cesare, l'esercito continuava a essere riservato ai cittadini, ma, a partire dalla seconda guerra punica, fu abbattuto in misura consistente il livello minimo di censo necessario per essere arruolati nelle legioni: da 11.000 a 4.000 assi, praticamente potevano arruolarsi anche i cittadini quasi poveri.

A dir il vero già Gaio Mario, in occasione della guerra giugurtina (111-105 a.C.), aveva deciso di arruolare nella legione anche i volontari di estrazione proletaria.

D'altra parte le continue guerre avevano prodotto una crescente proletarizzazione dei ceti contadini tradizionali e una loro conseguente urbanizzazione, senza considerare che i ceti più abbienti tendevano a sottrarsi alla leva, in quanto le esigenze della politica estera prevedevano sui campi di battaglia decine di migliaia di uomini per molti anni di seguito.

Già ai tempi di Mario e Silla era apparso molto chiaro che eserciti di grandi dimensioni avevano bisogno di comandanti sperimentati, mossi da ambizioni non solo militari ma anche politiche. E questa esigenza determinerà, con Cesare e soprattutto con Augusto, la nascita di istituzioni politiche propriamente imperiali.

Lo stesso soldato, non potendo contare su fortune personali, tendeva progressivamente a fare della guerra una professione e a considerare come punto di riferimento il proprio generale e non più il governo cittadino, ovviamente sempre nella speranza di poter un giorno tornare a vivere su un pezzo di terra godendosi la meritata pensione.

Gli stessi generali favorirono così tanto i loro veterani da finire col rompere i rapporti col senato. Cesare arrivò persino a insediarli stabilmente nelle province e anche Ottaviano sfruttò nella stessa maniera le terre conquistate in Egitto.

Fu soprattutto la concessione della cittadinanza agli italici dopo la guerra sociale del 90-88 a.C. che permise di soddisfare tutte le maggiori esigenze delle grandi compagne militari di Silla, Pompeo, Cesare, Antonio e Ottaviano. Alla fine delle guerre civili le legioni erano diventate più di 50 e ognuna di esse disponeva di circa 6.000 uomini (praticamente il 10% della popolazione italiana, al tempo di Augusto, era sotto le armi).

A partire da Augusto l'imperatore era diventato il capo supremo di tutti gli eserciti e ben difficilmente un generale vittorioso avrebbe potuto aspirare a un dominio anche politico.
Senonché proprio sotto Augusto si abbandonò la politica di conquista, preferendo fare dell'impero un organismo chiuso da frontiere, diviso dal mondo esterno.

Quanto, in questa decisione di Augusto, di limitarsi a consolidare le conquiste già realizzate, contribuì la disfatta di alcune sue legioni nelle campagne germaniche, è facile capirlo, e la storia politico-militare dell'impero, d'altra parte, gli dette ragione, visto che il suo ordinamento rimase in vigore sino al III secolo.

Egli, nello stesso tempo, ridusse le legioni a 28 (divenute poi 25 dopo la disfatta di Teutoburgo), le stanziò stabilmente nelle province e istituì un tesoro militare con cui pagare, in denaro o in terre, i premi di congedo.

L'area geografica di reclutamento delle legioni si era estesa alle stesse province, tanto che alla fine del II sec. solo una minoranza di legionari proveniva dall'Italia.

E il legionario, considerando la precarietà in cui vivevano tanti strati sociali nell'Italia imperiale, non se la passava male: è vero che doveva restare sotto le armi per un periodo molto lungo (anche fino a 28 anni), ma è pur vero che percepiva una paga annuale di 200 denari, godeva di un prestigio sociale indiscusso e di una sicurezza che andava ben oltre il periodo di leva.

Di regola non poteva sposarsi, però poteva vivere con una o più donne (almeno a partire da Settimio Severo), da cui poteva avere dei figli, benché solo il legionario fruiva della cittadinanza romana. I figli di queste unioni di fatto potevano essere legittimati secondo il "diritto delle genti", per cui potevano anche ereditare, se pagavano una tassa del 5% sull'eredità.

In ogni caso, una volta andato in congedo, al legionario veniva data facoltà di legittimare una delle unioni contratte durante il servizio militare. In tal caso i figli ricevevano la cittadinanza romana, ma solo se nati dopo il riconoscimento. Gli stessi soldati, privi di tale cittadinanza, l'acquistavano in automatico al momento del congedo.

Nei primi secoli dell'impero i legionari erano almeno 160.000, e altrettanti gli ausiliari, su una popolazione di circa 50 milioni di abitanti.

Ogni soldato, a qualunque grado appartenesse, era libero di venerare i propri dèi, specie a partire dal momento in cui il reclutamento avveniva su base locale, per aree geografiche (da Adriano in poi), e il soldato poteva vivere, di regola, là dove era stato arruolato.

Tuttavia, ogni soldato era tenuto a prestare un certo culto anche all'imperatore, il che era un ostacolo insormontabile a quanti professavano religioni ebraico-cristiane. Solo nel 314 il concilio di Arles tolse ufficialmente ai cristiani il divieto di servizio nell'esercito pagano.
5. Accampamento militare romano

L'accampamento militare (castrum) era di pianta rettangolare o quadrata con lati lunghi circa 500 m., circondata da un fossato (fossa) profondo circa 2 m. e da un terrapieno sormontato da una palizzata (vallum), tagliati da due strade perpendicolari, il decumanus (da est a ovest) e il cardo (da nord a sud), al cui incrocio vi era il pretorium, la tenda del comando.

La via praetoria (dalla porta pretoria D sino alla porta decumana B) portava al quartiere del comandante. Invece la via principalis (che andava dalla porta A sino alla B) portava agli uffici del tribuno e del prefetto.

Il terreno veniva scelto possibilmente nei pressi di un fiume e si faceva in modo che ogni campo disponesse di bagni, magazzini, stalle, spazi aperti per parate e addestramenti; fuori del campo si potevano costruire anche anfiteatri. Le tende erano in genere per otto militari; ovviamente per gli ufficiali e i sottoufficiali erano previsti alloggi più ampi.

All'esterno i fossati erano difesi da pali acuminati conficcati verso l'alto e inclinati in avanti. Alcune porte erano protette da torri di guardia.

Quando l'accampamento era fisso, le tende venivano sostituite da case in muratura e il terrapieno da mura robuste (moenia). Il soldato passava in questi accampamenti anche fino a 28 anni della propria vita.

Poiché una legione contava circa seimila uomini, questi campi facilmente si trasformavano in piccole città, attorno alle quali si creava una vita collaterale, fatta di mercanti, artigiani, donne. Proprio da questi insediamenti nacquero importanti città come p.es. Torino, Verona, ma anche Chester, York in Inghilterra, ecc.
6. L'esercito barbarico

L'esercito imperiale, tranne i rari casi di Traiano e Settimio Severo, non condusse mai campagne di conquista, ma si limitò a svolgere compiti di difesa, di romanizzazione e urbanizzazione delle aree provinciali, di promozione dei ceti meno abbienti, in quanto diede ai soldati la possibilità di una certa emancipazione sociale e ai generali la possibilità di diventare imperatori.

Gli eserciti stanziati nelle province per lunghi anni si legarono molto strettamente ai loro generali, tant'è che la presa del potere attraverso l'esercito, dopo l'esempio di Settimio Severo, fu una prassi costante del III secolo.

Quando le risorse economiche imperiali diminuivano, l'esercito cercava di garantire per sé una parte cospicua: di qui i frequenti e abbondanti donativi da parte degli imperatori, i saccheggi di ricche città (come p.es. Aquileia nel 238) e le continue vessazioni ai danni delle campagne.

L'esercito era diventato una struttura privilegiata, costosa (lo stipendio dei militari era di tutto rispetto), pur con una base demografica modesta rispetto alle esigenze di sicurezza, tant'è che le invasioni di Quadi e Marcomanni, sotto Marco Aurelio, mostrarono che lo sfondamento delle frontiere non era cosa impossibile.

Come noto, ai tempi della fase repubblicana il politico era a un tempo soldato e magistrato (e spesso anche sacerdote). Viceversa, con la nascita dell'impero il principe si serviva dei senatori per governare le province dove erano stanziate le legioni. Un senatore era il comandante di ogni legione. I comandi militari servivano ai senatori per acquisire ancora più potere, prestigio, ricchezze.

Col passare del tempo, soprattutto in virtù della professionalizzazione della carriera militare, i comandi delle legioni venivano sempre più affidati all'ordine equestre, e proprio da questo ordine, non più quindi dal rango senatorio, finiva coll'emergere il nuovo imperatore.

Sul piano militare gli equites avevano più esperienza dei senatori e spesso erano favorevoli a processi politici assolutistici, che permettessero di aumentare il loro potere.

Viceversa, la classe senatoria non amava mettere in discussione i privilegi acquisiti secoli prima. Difficilmente un senatore avrebbe accettato l'idea che un governo imperiale potesse essere conquistato e mantenuto con il solo aiuto dell'esercito.

Di fatto però la tendenza era proprio questa, al punto che divenne una prassi consueta quella di arruolare, nelle file dell'esercito, gruppi di barbari stanziati entro i confini in virtù di specifiche intese o addirittura esterni all'impero.

Questo scollamento tra aspetti militari e politici fece sì che durante la crisi del III secolo i grandi comandanti provinciali si trasformassero facilmente in usurpatori.

Diocleziano (284-305), che ovviamente non poteva più mettere in discussione né l'autonomia dell'apparato militare né il suo carattere professionalizzante, escogitò l'idea di suddividere le province in piccole unità amministrative, onde evitare la concentrazione del potere nelle mani di un solo governatore.

Nello stesso tempo decise di affidare il potere civile delle province a uomini di varia provenienza, ma sempre più funzionari imperiali che grandi notabili: il che non faceva certo piacere alla vecchia aristocrazia senatoria.

Questo in sostanza significava che all'esercito, i cui effettivi erano stati raddoppiati, giungendo a mezzo milione (il 10% di tutta la popolazione dell'impero), veniva sì riconosciuta ampia autonomia, ma a condizione che non si mettesse in discussione quella politica e amministrativa dei funzionari.

In un certo senso le legioni, nella loro organizzazione classica, furono smantellate. I reparti, generalmente di mille uomini, chiamati limitanei (da limes, confine), dovevano distinguersi sulla base dell'armamento e dei compiti: p.es. i cavalieri mori, gli arcieri africani, i cavalieri catafratti di derivazione partica... I limitanei potevano essere di cavalleria o di fanteria, o reparti specializzati di estrazione provinciale o barbarica (i cosiddetti numeri).

Esisteva anche un nucleo di soldati che formava l'esercito a disposizione dell'imperatore, una sorta di protezione personale: i comitatenses, anch'essi divisi per mille.

Moltissimi di questi soldati erano di origine barbara, anche perché la leva era molto dura e spesso lontana dai centri urbani più significativi dell'impero, per cui la renitenza tendeva ad aumentare, incoraggiata altresì dai grandi proprietari terrieri, che avevano continuamente bisogno di manodopera e che preferivano pagare un tributo monetario pur di tenersela.

Gli elementi barbarici dell'impero o comunque quelli meno romanizzati divennero una parte così significativa dell'esercito che giunsero anche a posizioni di comando, come p.es. Stilicone (1), un generale vandalo di Teodosio.

Costantino fece crescere i comitatenses al punto che arrivarono ad essere quasi la metà degli effettivi dell'intero esercito imperiale. I reparti non solo erano specializzati ma venivano anche reclutati tra gli elementi migliori sul piano fisico e sociale, erano inoltre pagati meglio dei limitanei e avevano particolari privilegi (p.es. l'esenzione fiscale), senza considerare che potevano alloggiare in prossimità dei centri urbani e naturalmente potevano essere comandati da generali di origine barbara.

Le tribù barbare assunsero un'importanza così grande che dopo la battaglia di Adrianopoli (378), in cui cadde lo stesso imperatore Valente, i Goti vincitori ottennero di essere stanziati tutti all'interno dei confini imperiali e qui iniziarono a romanizzarsi.

Ormai qualunque tendenza aristocratica di opporsi all'integrazione coi barbari andava ritenuta del tutto antistorica, e infatti questa politica senatoria subì uno smacco clamoroso proprio col sacco di Roma, compiuto dai Visigoti di Alarico nel 410. L'occidente era destinato a veder nascere i regni romano-barbarici.

Viceversa in oriente i bizantini riuscirono a tener lontane dai confini le tribù barbariche o comunque a conviverci più o meno pacificamente per un altro millennio, conservando le strutture romane, soggette agli influssi del mondo ellenico e a quello culturale del cristianesimo. Costantino aveva perfettamente capito che se si voleva continuare la civiltà greco-romana in nome del cristianesimo bisognava anzitutto spostare la capitale a Bisanzio (cosa che fece già nel 330), e la storia s'incaricò di dargli ragione.

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[1] Stilicho Flavius (360-5 ca-408), vandalo di origine ma romano di educazione, fu l'ultimo grande difensore dell'impero romano d'occidente dalle grandi invasioni barbariche.

Grazie a una fortunata missione alla corte persiana, acquistò grande favore presso l'imperatore Teodosio, raggiungendo una posizione preminente a corte, tanto che Teodosio verso il 392 gli affidò il comando supremo delle armate imperiali.

Quando Teodosio morì a Milano nel 395, Stilicone divenne tutore del figlio di lui, Onorio, cui era stato affidato il governo della parte occidentale dell'impero, mentre ad Arcadio quella orientale.

Stilicone si trovò costretto a fronteggiare varie tribù barbariche, tra cui i visigoti che, scontenti della Tracia (loro assegnata da Teodosio dopo la sconfitta di Adrianopoli), avevano preso a saccheggiare e occupare alcuni territori della Grecia, dell'Epiro e persino del nord Italia.

Stilicone ebbe la meglio, costringendo i visigoti a ripiegare oltre le Alpi e promettendo loro la conquista dell'Illiria, oggetto di disputa tra le due parti dell'impero.

Quando nel 407 i visigoti tornarono a minacciare nuovamente l'Italia, in quanto non avevano ottenuto l'Illiria, Stilicone indusse l'imperatore Onorio ad accettare il tributo, ma così facendo si attirò l'odio dell'intera amministrazione romana e soprattutto del senato di Roma, che lo accusò di complicità col nemico.

Stilicone fu eliminato in una rivolta militare a Ravenna, dopo un processo sommario, e i visigoti ne approfittarono immediatamente per scendere in Italia e saccheggiare la stessa Roma nel 410. Col bottino trafugato cercarono d'imbarcarsi per l'Africa, ma le loro navi furono travolte in una tempesta nello stretto di Messina, e il loro capo, Alarico, morì presso Cosenza. Gli ultimi visigoti finirono a cavallo dei Pirenei. La capitale dell'impero d'occidente fu trasferita a Ravenna.

Enrico Galavotti


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014