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9. I FLAVI E IL CONSOLIDAMENTO DELL'IMPERO
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1. Il nuovo assetto dell'Impero L'attentato del 68 d.C. contro Nerone, l'ultimo esponente della dinastia Giulio Claudia, segna l'inizio di un nuovo periodo di guerre civili, periodo la cui estensione è tuttavia soltanto di un anno: il 69 infatti, a causa delle lotte intestine tra diversi condottieri per la successione alla carica imperiale, vede l'avvicendarsi di ben quattro diverse personalità.
Tale anno sarà ricordato perciò come l'anno dei quattro imperatori, oltre che come uno dei più tormentati e sanguinosi dell'intera storia romana.
All'origine della caduta del principato di Nerone, vi è il fatto che la politica di quest'ultimo non riscuota l'approvazione né delle province occidentali, né dell'aristocrazia senatoria romano-italica.
Essa infatti, spostando l'asse degli interessi dello Stato in direzione delle regioni orientali (nonché delle loro tradizioni politico-culturali), se da una parte reca offesa agli ideali dell'aristocrazia occidentale, tende dall'altra a disinteressarsi pericolosamente di quelle nuove realtà politico-economiche costituite dalle province europee occidentali (Spagna, Gallia, Germania).
Il fatto poi che l'attentato contro Nerone parta da una di tali province (la Spagna Terraconense), ci fa capire quanto sia forte il loro dissenso nei confronti di tale politica, oltre che il grado di sviluppo economico e politico cui esse sono giunte (e, di conseguenza, anche la loro intraprendenza sul piano militare).
Dopo un periodo relativamente breve di lotte intestine, tra il 68 e il 69, saranno i Flavi ad affermarsi come nuova dinastia regnante.
Con essi inizierà per l'Impero una nuova stagione, nel corso della quale se da una parte verranno consolidate le strutture politiche e istituzionali della più moderna amministrazione imperiale, dall'altra verranno elisi e indeboliti gran parte dei privilegi politici del Senato e dell'antica aristocrazia romana e italica (ovvero di quell'antica forza con la quale lo stesso Augusto, ai suoi tempi e nella sua costruzione dell'Impero, aveva dovuto fare i conti).
Ma il rafforzamento dell'apparato burocratico imperiale significa anche il rafforzamento delle province, in quanto entità politiche tendenzialmente autonome rispetto alle zone italiane, poiché dotate ormai di una loro individualità, di una loro ricchezza e di un loro peso politico, e come tali rivendicanti già da tempo maggiore considerazione e influenza all'interno della compagine imperiale.
Mentre infatti le antiche forze senatorie tendevano a esercitare un dominio a senso unico sui territori sottoposti, quelle della nascente amministrazione imperiale tendono a riservare ad esse un maggiore spazio e una più alta considerazione: e ciò sia per ragioni strutturali (l'Impero essendo il risultato dell'unione di diversi stati e di diverse culture), sia per ragioni pratiche (l'attuale estensione dei territori romani non permette più infatti, almeno oltre un certo limite, un tale tipo di politica).
D'altra parte è proprio da queste ultime (più che dall'Italia) che prende avvio la grande spinta di rinnovamento che determinerà prima la fine della dinastia dei Claudii, e successivamente la lotta per l'affermazione - vinta da Vespasiano - tra i quattro imperatori.
Al termine del dominio della dinastia Flavia - con la morte di Domiziano, nel 96 - troveremo dunque un Impero più solido, con un apparato istituzionale decisamente più articolato ed efficiente, una classe senatoria in gran parte rinnovata (più mite quindi, nei confronti del potere dell'imperatore e meno ostile alla sua politica di dominio), e un'Italia i cui poteri e privilegi a livello politico sono oramai - rispetto al passato - decisamente ridimensionati (come dimostra chiaramente anche il fatto che, d'ora in avanti, gli imperatori saranno sempre meno romani e sempre più spesso di origini non nobili).
La dinastia dei Flavi, insomma, apporterà un cambiamento notevole all'interno dell'organizzazione degli stati dell'Impero, in direzione di un maggior accentramento dei poteri dirigistici nelle mani del princeps - a scapito quindi delle forze più estranee tendenzialmente ai poteri di quest'ultimo -, secondo un modello di Stato simile per alcuni versi a quello cui tesero alcuni dei Claudi (Nerone e Caligola), senza tuttavia quella spinta orientalizzante e ellenizzante che aveva caratterizzato la loro politica. |
Storia di Roma nel periodo della
dinastia dei Flavi (69-96)
2. Il 69, 'l'anno dei 4 imperatori'
Tra il giugno del 68 e il dicembre del 69, cioè tra il mese dell'insediamento di Galba e quello dell'insediamento di Vespasiano, si avvicenderanno - come si è già detto - ben quattro imperatori, tra cui, oltre appunto a Galba e Vespasiano, Otone e Vitellio.
Questo lasso di tempo vedrà il ritorno di una situazione simile - per molti aspetti - a quella delle guerre civili che, nei decenni finali della Repubblica, avevano insanguinato il mondo romano (e il cui termine è coinciso con la battaglia di Azio nel 32, in cui Ottaviano ha sconfitto il rivale Marco Antonio).
Anche ora infatti, saranno gli eserciti lo strumento fondamentale per la conquista del potere, anche ora vi sarà una fondamentale divisione tra Est e Ovest (seppure questa volta lo scontro verrà vinto dalle regioni orientali), ed anche ora infine saranno dei potenti condottieri a contendersi la suprema carica imperiale.
Il primo successore di Nerone (morto suicida nel 68) è Galba, comandante delle truppe della Spagna Terraconense.
Appartenente all'antico patriziato romano, Servio Sulpicio Galba segue da subito una politica estremamente tradizionalista, che gli aliena le simpatie tanto del popolino, quanto dell'esercito dei pretoriani (ovvero la guardia imperiale, insediata stabilmente sul suolo italico). Proprio a questi ultimi si deve infatti la sua morte, nel gennaio del 69.
Succede poi a Galba Salvio Otone, un altro generale il quale gode però, a differenza del primo, dell'appoggio dei pretoriani, del popolo e delle regioni orientali dell'Impero.
Otone spinge da subito per una modernizzazione degli apparati statali, favorendo l'impiego dei ceti equestri - contro quello, più tradizionale, dei liberti - all'interno dell'amministrazione pubblica.
E' evidentemente una rivincita, seppure parziale, dei sostenitori del principato di Nerone contro la reazione tradizionalista di Galba e del Senato romano.
Ostili in gran parte alla politica otoniana, nella quale non si riconoscono, sono le province occidentali, e in particolar modo i ceti possidenti che, assieme all'esercito, mantengono in una condizione di subalternità la gran parte della popolazione, impiegandola come manodopera semi-libera. Questi ultimi non vedono infatti di buon occhio la politica di Otone, probabilmente ritenendola - tra l'altro - non sufficientemente 'occidentalista', quindi non favorevole ai loro interessi.
E' dalle regioni della Germania meridionale che proviene infatti Aulio Vitellio, generale delle truppe imperiali in quelle regioni, eletto imperatore - come del resto sarà poi per Vespasiano - dalle proprie truppe già prima di arrivare nella capitale. Egli, giunto in Italia nell'aprile del 69, sconfigge Otone accedendo così alla dignità imperiale.
Da subito questi mostra uno stile di governo estremamente autoritario, fortemente anti-senatorio (quindi anti-tradizionalista), provocando altresì il malcontento di gran parte della popolazione.
Tra i suoi nemici vi è anche l'esercito dei pretoriani, cui egli toglie molti dei suoi tradizionali privilegi, abbassandolo in pratica al livello degli altri eserciti imperiali.
Sarà alla fine Vespasiano (comandante delle truppe imperiali stanziate in Giudea nel 66, sostenuto dalle regioni orientali dell'Impero), a conquistare definitivamente il potere.
Come Vitellio, anche Vespasiano è stato acclamato princeps e augusto dalle proprie truppe già prima di arrivare a Roma, e solo successivamente, nel dicembre del 69, ha sancito tale carica sconfiggendo sul campo il suo avversario. |
3. La politica di Vespasiano (69-79) Introduzione
Gli eventi che abbiamo narrato fin qui - segnati come s'è visto dalla lotta tre le diverse province per 'accaparrarsi', attraverso i propri eserciti, il potere supremo all'interno dell'amministrazione imperiale, attribuendo la carica di Augusto ai propri generali - sono in realtà in gran parte un prodotto (involontario) dell'ordinamento provinciale voluto da Ottaviano dopo Azio, ai tempi della risistemazione dell'Impero.
Egli infatti, aveva predisposto un sistema di difesa interna ed esterna delle regioni imperiali fondato sulla stanzialità delle truppe (nonché dei loro veterani) sui loro territori.
Ma in questo modo, se da una parte aveva favorito la difesa e la 'romanizzazione' stessa (cioè l'integrazione culturale) tra Roma e tali territori, dall'altra aveva anche rafforzato l'alleanza e l'identificazione tra le truppe e i loro generali (i prefetti imperiali), oltre che quella tra i soldati (sia legionari che veterani ormai stabilitisi sulle terre) e le popolazioni autoctone. Aveva cioè contribuito alla formazione di entità politiche autonome e indipendenti rispetto al potere centrale di Roma e dell'Italia.
Tutto ciò, assieme al decollo economico delle province (in special modo di quelle occidentali), ha sviluppato in esse quella forza e quell'intraprendenza - sia politica che militare - che è all'origine di queste ultime lotte intestine (riproposizione, anche se su scala differente, delle antiche guerre civili e sociali della tarda Repubblica).
Ma questi anni vedono anche un altro fondamentale cambiamento per Roma, l'inizio cioè di una nuova stagione, nella quale è ormai chiaro a tutti - e prima di tutto agli eserciti - come gli imperatori possano anche non nascere a Roma, né appartenere (come è stato finora) all'antica aristocrazia senatoria romano italica.
Se si fa eccezione per Galba, infatti, uomo di antiche origini nobiliari (alle quali è infatti profondamente legato) nessuno degli altri imperatori (Otone, Vitellio e Vespasiano) appartiene alla 'vecchia guardia' senatoria, essendo tutti piuttosto uomini nuovi, uomini dell'impero.
- Vespasiano
Le origini familiari di Tito Flavio Vespasiano, divenuto il nuovo imperatore alla bella età di 69 anni, sono da ricercare all'interno del ceto medio italico. Non quindi figlio di un nobile senatore, ma piuttosto di un esattore imperiale, egli ha seguito la carriera militare ed è divenuto un esponente di punta delle nuove classi dirigenti dell'Impero.
Appartiene insomma, a quei ceti emergenti di estrazione italica e non altolocati, che vanno a comporre i nuovi quadri amministrativi e militari dell'Impero: è dunque un uomo nuovo, espressione dell'organizzazione, che si sta sviluppando e consolidando, della nuova Roma imperiale, divenuta ormai realtà globale.
Come tale egli dedicherà, nel suo principato, un'attenzione particolare alle province, spostando l'interesse dell'Impero dall'Italia verso le sue periferie.
Si può dunque dire che la politica di Vespasiano e dei Flavi sia, in gran parte, il prodotto dello spostamento della ricchezza economica e dei pesi politici al di fuori dell'Italia (regione che per altro attraversa da anni una profonda crisi, dovuta essenzialmente all'investimento di gran parte dei capitali verso le province).
L'azione di governo di Vespasiano consiste essenzialmente in una riorganizzazione dell'Impero, basata su:
- il rafforzamento dei nuovi apparati statali, rafforzamento fondato anche su un loro più esplicito riconoscimento a livello istituzionale (si ricordi a tale riguardo che Augusto, per rispetto nei confronti delle antiche tradizioni, aveva 'mascherato' il più possibile le proprie cariche effettive dietro l'apparenza di quelle dell'antica Respublica);
- il rinnovamento della composizione del Senato, ovvero lo smantellamento di molte antiche famiglie della nobilitas romano-italica, rimpiazzate con elementi nuovi di origini spesso provinciali ed equestri, in particolare spagnole (elementi meno legati alle tradizioni - e ai poteri - dell'antico Senato).
Fondamentalmente la reggenza di Vespasiano è caratterizzata dunque dalla lotta, talvolta anche persecutoria, nei confronti delle resistenze degli antichi poteri repubblicani, e dal parallelo rafforzamento del potere monarchico imperiale: una lotta insomma per l'affermazione della modernità sul vecchio ordine.
[E sarà proprio una tale politica di rinnovamento della nobiltà e del Senato a favorire, nei decenni successivi, la 'conciliazione' tra il princeps e il Senato, ossia tra il nuovo ordine monarchico e gli antichi valori della 'libertas' senatoria.]
Veniamo ora ai principali eventi politici e militari caratterizzanti il principato di Vespasiano.
Il fatto che Vespasiano provenga dalla regioni orientali dell'Impero (e che sia sostenuto da esse) ingenera il timore in molti di una ripresa della politica ellenistica e filo-orientale dei Caligola e Nerone, e prima di loro di Marco Antonio.
Il nuovo imperatore mostra tuttavia da subito la propria volontà di seguire un indirizzo fondamentalmente filo-occidentale. Lascia difatti a suo figlio Tito, che rimane a oriente, il compito di governare tali regioni secondo dei metodi e una sensibilità ad esse consoni, trasferendosi invece lui nelle regioni occidentali.
Qui giunto, una delle sue prime preoccupazioni è quella di ridefinire a livello istituzionale la carica stessa del princeps, ovvero di toglierle quei caratteri di eccezionalità che ancora essa conserva, dal momento che rimane il prodotto della somma di un insieme poteri differenti in un solo individuo.
Con la 'Lex de Imperio' dunque, egli riassume un tale ruolo politico in una sola magistratura: la carica imperiale, definendone inoltre con precisione le prerogative politiche: ad esempio - e prima di tutto - il suo rapporto col Senato.
Non più quindi figura eccezionale, il 'princeps' o imperatore diviene così il capo di Roma a tutti gli effetti.
Un altro problema che Vespasiano deve affrontare è quello del risanamento delle casse imperiali, prosciugate dalla politica di grandi spese sostenuta dal suo predecessore Nerone.
La sua politica in questo campo segue queste direttive: accentramento attorno alla figura del princeps delle finanze imperiali; drastica riduzione delle spese e dei donativi per la plebe; amministrazione molto oculata degli introiti statali, la quale porterà, rispetto al periodo di Ottaviano, a più che raddoppiare la ricchezza dello Stato.
Ma per fare questo, ovvero per porre in essere un tipo di amministrazione finanziaria tanto attenta e oculata, egli dovrà anche potenziare gli apparati burocratici dello Stato, per mezzo di un ampio piano di rafforzamento di essi (i cui quadri egli andrà a prendere prevalentemente all'interno del ceto medio italico - lo stesso dal quale anche lui proviene).
Vespasiano cerca insomma di rafforzare le strutture del potere monarchico, senza tuttavia per questo seguire o alimentare uno stile di governo di tipo orientaleggiante - che ad una tale tendenza politica si era associato invece al tempo dei Claudii.
Al contrario, egli porta avanti un piano di politica culturale fortemente ostile a ogni concezione estranea alle tradizioni occidentali, perseguitando e allontanando da Roma le minoranze greche e asiatiche, i filosofi, e tutti gli esponenti di religioni estranee alla tradizione romana: ebrei, cristiani, ecc. (già sotto Nerone, infatti il cristianesimo aveva iniziato a diffondersi nell'Impero).
Tale politica culturale di impronta tradizionalista si inserisce in un piano più ampio di riavvicinamento al Senato, con il quale Vespasiano cerca di mantenere rapporti distesi e di reciproco rispetto.
Parallelamente però, avvalendosi delle proprie prerogative istituzionali (attraverso le quali egli può influire sulla censura: la carica preposta a compilare le liste dei senatori) egli lavora per rinnovare la composizione del Senato.
Anche se da tempo infatti è in atto un processo autonomo di degenerazione della classe nobiliare romana e italica, che si manifesta ad esempio nella riduzione del numero dei suoi componenti, tuttavia tale classe continua - attraverso l'istituzione senatoria - ad avere un ruolo politico di primo piano (secondo solo a quello dell'Imperatore), aiutata in ciò dal prestigio di cui essa gode all'interno della società romana in generale per ragioni storiche, nonché grazie alla radicatezza dei propri rapporti di clientela a livello territoriale.
Il rafforzamento delle province, e l'affacciarsi di conseguenza sulla scena politica di queste nuove forze è l'occasione, per l'Impero, per assestare a una tale egemonia dei duri colpi.
In questo contesto si colloca la politica di Vespasiano di ampliamento del Senato a elementi provinciali ed equestri, meno ostili - anche ideologicamente - alla nascente realtà politica e sociale dell'Impero.
Parallelamente peraltro egli aumenta l'influenza a livello politico dei provinciali, estendendo a molti di essi - ad esempio agli Spagnoli - la cittadinanza latina e concedendo loro a volte la stessa cittadinanza romana.
Sul piano espansionistico e militare, fondamentale nel periodo del principato di Vespasiano sarà l'ampliamento dei confini romani in Britannia, attraverso una difficile missione guidata da Agricola (il quale sarà oggetto di uno scritto di Tacito, che ne è anche il cognato).
I dieci anni di governo di Vespasiano non sono certo privi di conflitti e di contrasti interni. La sua politica infatti crea scontenti e risentimento all'interno di molte fasce della popolazione imperiale: dall'antica nobilitas romana e italica, al popolo di Roma (cui, come si è detto, egli taglia molti dei precedenti donativi), dagli eserciti (da lui guardati con sospetto, in quanto potenziali strumenti di ribellione al potere imperiale) alle regioni orientali (alle quali non elargisce sufficienti favori).
Tuttavia il suo principato costituisce complessivamente un momento di crescita sia per il potere monarchico che per l'apparato imperiale, quindi in generale per l'Impero.
Egli inoltre, attraverso gigantesche opere pubbliche, favorisce lo sviluppo di quest'ultimo anche a livello economico e commerciale determinando così un'atmosfera positiva anche sul piano culturale. |
4. Il breve regno di Tito (79-81) Vespasiano ha due figli: Tito e Domiziano. Al primo ha affidato la cura delle regioni orientali quando, nel 69, si è trasferito in Occidente per esercitare il proprio ruolo di princeps. Sempre col primo inoltre, ha condiviso la tribunicia potestas, una delle prerogative essenziali della carica del princeps.
E' chiaro quindi come sia Tito - per altro il primogenito - l'erede da lui designato alla successione.
E' difficile tuttavia, data la sua brevità, dare un giudizio equo sul periodo di reggenza di Tito, il quale, salito al potere nel 79, muore dopo solo due anni di governo, appena quarantaduenne.
Ciò che si sa è che egli, guardato con sospetto dalla nobilitas per le tendenze dimostrate precedentemente alla propria elezione in direzione di una politica di tipo orientale, tenta da subito una riconciliazione con quest'ultima, sulla base peraltro dei valori della clementia stoica.
Egli verrà infatti polemicamente ricordato, ai tempi della reggenza del fratello Domiziano, come 'amor ac deliciae', in contrasto con l'appellativo 'dominus et deus' con cui amerà essere chiamato il suo successore.
Altro merito da ascriversi a Tito è l'aver portato avanti (come del resto ha fatto il padre e come farà Domiziano) la guerra in Britannia, e l'essere autore della presa di Gerusalemme nel 70 (quando ancora non è asceso al principato) in veste di generale per ordine del padre.
Nei suoi anni, si collocano inoltre l'eruzione del Vesuvio (79) e il completamento del Colosseo nella città di Roma (80). |
5. Domiziano e la ripresa della politica anti-senatoria (81-96) Vespasiano non aveva mai concesso onori politici rilevanti al suo secondogenito, Domiziano, né aveva mai disposto la sua successione al principato.
Tuttavia, dal momento che comunque quest'ultimo fa parte della dinastia flavia, spetta a lui dopo la morte del fratello la successione. Al momento dell'incoronazione egli ha 30 anni d'età.
La politica che Domiziano sceglierà di seguire sarà simile fondamentalmente a quella di suo padre.
Certo, più esplicita e molto meno mascherata è la volontà da parte sua di perseguire e di indebolire - attraverso i propri poteri - la vecchia nobilitas d'origine repubblicana. E sarà proprio una tale volontà a costargli la vita nel 96, quando verrà ucciso da una congiura di palazzo.
Come in precedenza era stato per suo padre, saranno tre i punti attorno a cui ruoterà la sua azione:
1) l'indebolimento dei poteri e delle istituzioni dell'antico Senato e dell'antica nobilitas;
2) il rafforzamento del potere monarchico e del centralismo dello Stato, ovvero la soppressione dei poteri 'altri' rispetto al proprio, rafforzamento quindi degli apparati imperiali e dei nuovi ceti equestri (filo-imperiali);
3) le persecuzioni ai danni dei filosofi (colpevoli di contaminare la cultura occidentale con influenze orientali ed ellenistiche), degli ebrei e dei cristiani, e in generale di tutti gli 'innovatori' sul piano culturale (tra le vittime di tali persecuzioni poi, vi saranno anche elementi della sua famiglia).
Mentre Tito, al momento dell'elezione, aveva al proprio attivo dei trascorsi politici non graditi al Senato, Domiziano - al contrario - aveva stretto rapporti di amicizia con alcune famiglie della nobiltà romana e italica: le stesse delle quali sarebbe poi divenuto acerrimo nemico, tradendo in tal modo molte delle aspettative nei suoi confronti.
Nei primi anni del suo principato, Tito si occupa soprattutto della difesa dei confini dell'Impero, combattendo nell'83 contro i Catti nei territori germanici, e estendendo i confini romani in tali regioni.
[Al termine della campagna, la Germania verrà divisa in due regioni: la provincia 'Superior' e quella 'Inferior', quest'ultima punto di raccordo con le regioni danubiane dell'Impero].
Egli porta avanti poi la colonizzazione delle regioni della Britannia, sempre per mano di Agricola (il quale tuttavia verrà richiamato in patria nell'84).
Nell'85 infine, i Daci invadono la Mesia (una regione della zona danubiana), costringendo Domiziano a iniziare delle nuove campagne, la cui durata si estende fino all'87 e che si concludono con l'acquisizione di nuovi territori a est.
Ma è a partire dall'89 che la politica di Domiziano si fa spiccatamente monarchica e accentratrice, suscitando così le ire del Senato e dando inizio a un periodo di conflitti culminanti nell'assassinio del princeps nel 96.
L'occasione (o la causa?) di questa nuova politica è la ribellione di un certo Saturnino, prefetto nelle regioni della Germania Superior, il quale nell'89 viene proclamato Augusto dalle sue truppe iniziando una ribellione contro Roma che verrà da questa presto soffocata nel sangue.
Forse per paura che dietro tale evento si nasconda un complotto della nobiltà, Domiziano a partire da questi anni, colpisce con ogni mezzo possibile le forze nobiliari romane e italici. Delazioni, accuse di malcostume (già usate da Augusto, anche se per scopi di riforma morale), confische, ed anche restrizioni di carattere economico (proibizioni commerciali): tutto è valido per indebolire la classe nobiliare, ritenuta da Domiziano una gravissima minaccia per il proprio potere!
Oltre a tutto ciò Domiziano assume anche la censura, una carica che - come si è detto - dà a chi la detiene la possibilità di riformare il Senato, introducendo in esso (come del resto già suo padre aveva fatto) nuovi elementi di origine provinciale ed equestre, ovvero nobili di nuova nomina e di origini 'plebee'.
In questo secondo periodo della sua azione di governo (che inizia, come si è detto, all'incirca nell'89), Domiziano instaurerà un regime del terrore dal quale non saranno escluse nemmeno le minoranze culturali, oggetto anch'esse di persecuzione.
D'altra parte, egli basa gran parte del proprio potere sul consenso delle province (e sul rafforzamento degli apparati statali, che sono alla base di tale consenso), oltre che su quello della plebe e degli eserciti, con cui si mostra estremamente munifico.
La politica anti-senatoria di Domiziano tuttavia, non può non portare alla lunga i suoi amari frutti.
Nel settembre del 96 una congiura di palazzo, alla quale forse partecipa la sua stessa moglie, Domizia (da lui precedentemente ripudiata a causa delle sue simpatie per la nobiltà), porrà fine alla sua vita nella sua stessa camera.
Al posto di Domiziano, i congiurati predispongono la successione di Cocceio Nerva, uomo innocuo per il Senato, date le sue origini nobili e la sua età oramai avanzata. |
CONCLUSIONI (69-96)
Tentando un bilancio del periodo della dinastia dei Flavi - ovvero essenzialmente dei due principati di Vespasiano e Domiziano - possiamo dire che essa abbia portato avanti una politica fondamentalmente ostile alle resistenze dell'antico potere repubblicano, basata sul consolidamento a livello strutturale e burocratico degli apparati statali imperiali, nonché - di conseguenza - sull'affermazione a livello politico delle province (le quali si trovano ad essere, per mezzo di tali apparati, decisamente facilitate nell'accesso alla vita politica dell'Impero).
Rispetto a Nerone e Caligola, i Flavi hanno avuto a monte maggiori possibilità d'azione: ciò perché la lotta anti-senatoria da essi sostenuta, ha trovato un notevole appoggio negli interessi di quei nuovi organismi politici che sono le province d'occidente.
Inoltre - ed è questa un'altra differenza sostanziale rispetto ai Claudii - lo scontro con il tradizionalismo repubblicano non si è mai mescolato, nella loro visione, con una politica filo-ellenica e filo-orientale. Tutti e tre infatti hanno perseguito una strategia rigorosamente 'occidentalista', che ha conservato loro l'appoggio delle regioni emergenti.
Complessivamente l'Impero uscirà rafforzato dal governo della dinastia Flavia, mentre l'aristocrazia senatoria vedrà ridimensionati i propri privilegi politici, essendo tra l'altro affiancata da una più giovane generazione di latifondisti, d'origine spesso provinciale e equestre. |
Xepel
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