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8. LA DINASTIA GIULIO CLAUDIA
DA TIBERIO A NERONE
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1. La difficile mediazione
Già Augusto, il primo imperatore, aveva compreso come compito del princeps non fosse quello di sopraffare - attraverso i propri poteri straordinari - le forze politiche e gli interessi particolaristici interni all'impero, bensì al contrario di porre in atto un'opera di mediazione tra tali forze e tali interessi, al fine di rafforzare la coesione politica della compagine imperiale.
La vicenda dei quattro imperatori successivi - appartenenti tutti alla dinastia Giulio Claudia - non farà che ribadire un tale principio.
Sarà proprio a causa della mancata mediazione tra tali forze infatti, che i due più giovani imperatori, Caligola e Nerone, falliranno nella propria missione politica. E sarà sempre sul piano della mediazione che - al contrario - sia Tiberio che Claudio consolideranno il proprio principato, grazie alla capacità di tenere insieme e conciliare i differenti aspetti della vita politica e economica dell'Impero.
Così, se le vicende di Nerone e Caligola (a tutti in qualche modo note, perché divenute - grazie alla tradizione storicistica senatoria - parte dell'immaginario collettivo) si concluderanno tragicamente con la morte dei protagonisti, il bilancio dei principati di Claudio e Tiberio sarà invece decisamente più positivo.
Entrambi riusciranno infatti a conservare un certo equilibrio e una discreta stabilità politica all'interno della costruzione imperiale, e con essa anche l'appoggio dei ceti più influenti (ricorsi in altre situazioni all'arma della congiura anti-imperiale).Vediamo adesso quali sono le forze principali all'interno della società romana, con le quali la stessa autorità del princeps deve fare i conti, cercando di agire nei loro confronti da mediatore, escogitando spesso (per così dire) delle soluzioni che evitino l'insorgere di divergenze sia tra di esse che nei confronti dello Stato, o più semplicemente il prodursi di ragioni eccessive di scontento:
a) in primo luogo vi sono le classi nobiliari, ovvero quell'aristocrazia agraria la cui ricchezza (di carattere fondiario) è alla base della ricchezza stessa dell'Impero.
[Le stesse relazioni commerciali difatti, non potrebbero realmente sussistere se non vi fosse a monte una realtà produttiva che procura loro quelle merci che, attraverso le attività mercantili, vengono poi distribuite tra i territori della compagine imperiale, sia a ovest sia a est. Un tale soggetto produttore si identifica appunto in massima parte con i latifondi, realtà largamente fornite sia di schiavi sia dei mezzi necessari per la produzione e per la lavorazione dei prodotti su larga scala.
Se a ciò si aggiunge il prestigio universale di cui la classe nobiliare e terriera gode all'interno della società romana, per il fatto di situarsi all'origine di tutti i suoi successivi sviluppi (e ciò soprattutto per le zone occidentali, essendo quelle orientali portatrici di una storia e di tradizioni fondamentalmente differenti e autonome rispetto alle prime) si capirà facilmente quanta considerazione tale classe possa reclamare anche dall'autorità del principe.]
b) in secondo luogo troviamo il Senato, quell'istituzione cioè che - per consolidata tradizione - costituisce l'ossatura stessa dello Stato romano, oltre che l'elemento fondamentale alla base della sua stabilità e della sua continuità politica, e che inoltre è - come universalmente noto - il principale organo che rappresenta gli interessi e le idee della nobiltà fondiaria (in un primo tempo solo di quella romana, in seguito anche di quella italica e, infine, in generale di tutto l'impero).
[Le manifestazioni di riguardo verso una tale istituzione avranno quindi molte e profonde implicazioni: attraverso esse infatti l'Imperatore dimostrerà anche di portare un profondo rispetto per le tradizioni patrie (e con esse, per la stessa potenza di Roma), verso la cultura dell'Occidente latino (in opposizione a quella orientale, che inizia oramai a diffondersi nelle stesse regioni occidentali), ed infine verso l'autorità - il cui fondamento non è solo di carattere politico e economico, ma anche ideologico - della classe nobiliare e fondiaria occidentale: una classe cioè che si sente ed è molto più antica dell'Imperatore, e che - per tale ragione - rivendica per sé una fetta di potere notevole, limitando così lo stesso predominio politico del primo.]
c) in terzo luogo vi sono le province occidentali, essenzialmente Gallia e Spagna, divenute oramai potenze indipendenti e concorrenti rispetto all'Italia.
[Quelle che infatti, ancora al tempo di Giulio Cesare, erano solo delle regioni semi-civilizzate, sono ormai divenute degli organismi politici e economici estremamente sviluppati, dotati di una propria amministrazione, di un proprio esercito e spesso anche di una propria identità culturale e politica. Come tali esse non possono più venire ignorate nelle loro peculiari esigenze, se non a prezzo di notevoli rischi (come vedremo meglio quando parleremo di Nerone).]
d) infine, un ultimo elemento con cui l'Imperatore deve confrontarsi sono le regioni orientali dell'Impero.
[Queste ultime, pur godendo di una forte autonomia rispetto alle zone occidentali, in ragione sia della propria autonoma tradizione storica che del successivo inserimento nell'Impero [si badi inoltre che una vera e propria integrazione tra le due parti non vi sarà mai!], possono mostrarsi più o meno docili di fronte al giogo della dominazione romana, a seconda di quanto le loro prerogative culturali e politiche vengano da essa rispettate e assecondate.
Anch'esse perciò richiedono una gestione oculata, ben conscia della necessità di tener conto della loro peculiare sensibilità sociale e politica, scarsamente assimilabile a quella occidentale romana.]
Compito arduo del princeps è dunque quello di 'addomesticare' tutti questi elementi, tra loro eterogenei e potenzialmente ostili, al fine di non creare o comunque di non alimentare ulteriormente pericolose situazioni di conflittualità interna.
Situazioni simili infatti troppo facilmente si rivolterebbero contro di lui, portando alla sua eliminazione fisica e politica - oltre che alla fine stessa del suo principato - qualora a causa di esse egli fosse giudicato inadeguato dai suoi sudditi più influenti ad adempiere il proprio compito istituzionale. |
Storia di Roma nel periodo
della dinastia dei Claudii (96-68) 2. Tiberio, il secondo imperatore (14-31)
Tiberio sale al potere nel 14 d.C., l'anno stesso della morte di Augusto, del quale è stato uno dei migliori e più famosi generali (il primo, forse, dopo Agrippa).
Al momento della sua incoronazione egli è già un uomo maturo, capace quindi di valutare la complessità del ruolo istituzionale che gli viene affidato. Forse anche a questo si deve imputare la politica prudente e (tutto sommato) saggia che seguirà.
Fondamentalmente tale politica sarà una continuazione di quella di Augusto, essendo basata sui seguenti punti:
- il consolidamento dei confini e della pace o sicurezza interna dell'Impero;
- il rispetto formale (e non solo) del Senato e delle tradizioni politiche repubblicane;
- una politica attenta a tutte le diverse identità - sia politiche che culturali - che compongono la stessa compagine romana.
Anche se l'aristocrazia fondiaria non è più l'unica protagonista della vita sociale dell'Impero, essendo oramai inserita in un processo economico molto più ampio che la collega alle città (centri di commercio o di smistamento dei suoi prodotti) e attraverso esse alla realtà globale dell'Impero, tale classe continua a mantenere un ruolo di prestigio sociale incontrastato.
Ciò si deve essenzialmente a tre fattori:
a) al sentirsi e all'essere portatrice degli antichi valori agrari che stanno alla base stessa della cultura latina;
b) all'esistenza di antiche forme di potere (quali ad esempio i rapporti clientelari) radicate da sempre sui territori romani e di molto precedenti a quelle del princeps;
c) e infine, ovviamente, alla ricchezza economica dei 'latifundia'.
Per tali ragioni le nuove strutture imperiali non sono riuscite a scalzare del tutto, né a inglobare, ricomprendendoli in se stesse, gli antichi poteri politici dei nobili latifondisti. E' inevitabile quindi che a questi ultimi esse debbano prestare molta attenzione.
Questa tendenza si traduce principalmente, sul piano politico, in un atteggiamento 'morbido' del princeps nei confronti dell'istituzione senatoria, atteggiamento che costituirà un elemento non secondario di stabilità a livello politico.
E non è un caso che Tiberio non soltanto si attenga scrupolosamente a tale principio di ossequio e di rispetto (in gran parte formale) verso il Senato, ma tenti inoltre - seppure con scarso successo - di risollevare tale istituzione (oramai troppo assuefatta a lasciarsi imporre decisioni 'dall'alto') anche da un punto di vista morale.
L'ideale che egli cerca insomma di perseguire si basa essenzialmente sull'idea di una possibile 'concordia' tra il vecchio repubblicano e quello, appena nato, monarchico!
Sul piano militare Tiberio porterà avanti un programma di consolidamento territoriale, sostenendo campagne militari in Germania e Armenia (regione cuscinetto tra Roma e l'Impero partico).
Nel 19 poi si avrà l'annessione della Cappadocia (prima semplice stato vassallo di Roma, situato sul confine occidentale dell'Armenia) ai confini dell'Impero.
Nei confronti delle zone orientali, Tiberio spingerà invece per una politica filellenica, facendo leva su alcuni elementi interni alla propria famiglia di ispirazione e orientamento antoniani (legati cioè ideologicamente a Marco Antonio, avversario di Ottaviano e promotore di un movimento di rinascita politica degli stati asiatici).
Tuttavia una tale politica verrà perseguita solo in quelle zone, tenute ben distinte da quelle occidentali.
Un altro problema con cui Tiberio dovrà confrontarsi negli ultimi anni del suo principato sarà una vasta crisi economica che coinvolgerà tutta la penisola italiana, crisi causata dal recente sviluppo sociale e produttivo delle province occidentali (in special modo della Gallia) e dalla conseguente fuga di capitali in tale direzione.
Tra le altre misure prese al fine di contenere tale crisi, egli ridurrà le spese per le opere pubbliche.
Celebre infine è il volontario esilio nel 27 di Tiberio nella città di Capri, finalizzato forse a un allontanamento dalla corte imperiale (e dai molteplici tentativi, da parte dei suoi componenti, di condizionare in varie direzioni le sue scelte politiche).
Da lì egli governerà l'Impero per alcuni anni: tuttavia - dopo il ritorno a Roma - sarà costretto a giustiziare più di una persona del suo seguito per alto tradimento.
Tra tutti, il caso più eclatante è senz'altro quello, nel 31, di Seiano: uomo d'origine equestre salito fino alla dignità di prefetto dell'esercito dei pretoriani (cioè l'esercito personale del princeps), colpevole di aver tentato l'ascesa al trono imperiale a sua insaputa.
L'esperienza di governo di Tiberio può comunque essere valutata complessivamente in modo positivo.
Egli ha gestito l'Impero in un modo attento alle sue diverse sfaccettature, basandosi su una politica oculata e prudente, capace di favorire la convivenza tra le sue più diverse componenti: a partire da quelle senatorie nobiliari, per giungere a quelle provinciali (tanto occidentali, quanto orientali).
Con lui inoltre, il processo di consolidamento istituzionale e burocratico dell'Impero conosce un ulteriore sviluppo. |
3. Il dispotismo orientaleggiante di Caligola (37-41) Il principato di Caligola sarà estremamente breve: la sua durata infatti sarà di soli quattro anni, dal 37 al 41.
Ciò perchè, come noto, egli cadrà vittima ancora molto giovane di una congiura di palazzo, una congiura guidata dal Senato e messa in atto dal capo stesso dei pretoriani, cioè della guardia imperiale.
Ciò che tuttavia rende importante il suo principato, è il fatto che con esso si inauguri la tradizione dell'assolutismo imperiale, assieme a quella delle follie e dei capricci principeschi, che caratterizzeranno gran parte della successiva storia romana.
Tutto ciò avverrà in sfregio alle tradizioni politico culturali latine e occidentali, nonché agli stessi interessi politico-economici delle classi occidentali più agiate.
Se da un alto dunque Caligola dimostra di non aver affatto compreso quale sia il vero ruolo dell'Imperatore - e ciò forse è dovuto anche alla sua giovane età -, dall'altro intuisce però e prefigura una nuova forma (orientaleggiante) di dominio, basata essenzialmente sul consenso dei vastissimi strati parassitari della popolazione occidentale (proletariato e sottoproletariato), e su quello delle regioni orientali (le cui tradizioni di governo entrano particolarmente in sintonia con la sua concezione del potere).
Ispirandosi a una visione 'antoniana' dell'Impero, egli tende a parificare politicamente le due zone che lo compongono, smantellando buona parte dei privilegi amministrativi e politici di cui gode l'Occidente nei confronti dell'Oriente, e tentando di instaurare un dominio personale e incontrastato su tutte le regioni imperiali.
Tale progetto tuttavia, pur avveniristico, è per il momento totalmente inattuabile, vista l'influenza politica di cui ancora godono i ceti agrari nobiliari, contrari a vedersi abbassati allo stesso livello di quelle zone (orientali) che essi stessi precedentemente hanno conquistato e sottomesso, e che sono per di più abituati a sfruttare economicamente e politicamente.
Ma un tale tipo di gestione sarebbe inattuabile anche per l'opposizione delle province occidentali (essenzialmente Gallia e Spagna), realtà attualmente in crescita e bisognose perciò di aiuti e di facilitazioni da parte dello stato romano.
La figura ispiratrice di questa politica delirante e inopportuna è quella di Alessandro Magno, forse il più grande conquistatore e despota orientale di tutti i tempi.
Il programma di Caligola si basa - come si è detto - sulla ricerca di approvazione delle masse popolari, cui egli elargisce continuamente donazioni e spettacoli.
Ma anche su una notevole spinta verso l'ellenizzazione della cultura delle zone occidentali, e sull'instaurazione e diffusione anche in Occidente del culto della persona dell'Imperatore, equiparata alla stessa divinità solare.
Tuttavia una tale linea di conduzione dell'Impero non può non costare molto in termini finanziari alle casse statali, costringendo così il princeps a impegnarsi in una inesausta ricerca di fondi, specialmente attraverso continue guerre di conquista (celebre è la spedizione di Caligola in Britannia, progettata ma mai realizzata: forse proprio per mancanza di fondi!)
Tale politica, depauperando lo Stato senza - al tempo stesso - avvantaggiare nessuno dei suoi sudditi, provocherà un profondo un scontento tra i ceti dirigenti dell'Impero, i quali ordiranno una congiura contro Caligola.
Questi verrà così ucciso infatti nel 41 per mano della stessa guardia imperiale. |
4. Claudio, imperatore dimenticato (41-54) Alla morte del giovane Caligola, l'Impero passa a suo zio Claudio.
Costui si distingue per un proprio stile di governo estremamente dimesso, essendo il suo un principato privo o quasi di eventi politici appariscenti. A ciò principalmente è dovuta la bassa stima che i suoi contemporanei tendono a riservargli, oltre che la scarsa risonanza del suo regno presso i posteri.
Eppure, nonostante una tale 'invisibilità', la sua gestione dello stato sarà molto oculata, e perfino astuta.
La politica che egli decide di seguire è fondata essenzialmente sui seguenti assunti:
a) rafforzamento della centralità politica della parte occidentale dell'Impero, oltre che della sua identità culturale e politica;
b) mantenimento di un atteggiamento di rispetto formale nei confronti dell'autorità senatoria (ciò anche attraverso la sua politica culturale, decisamente filo-occidentale);
c) avvicinamento ai ceti possidenti occidentali, attraverso facilitazioni di carattere economico e fiscale.
E' chiaro dunque, già da tali punti come la politica di Claudio si situi su una linea praticamente opposta rispetto a quella del suo predecessore, Caligola.
Tuttavia, contemporaneamente, egli agisce anche al fine di aumentare i poteri politici e istituzionali imperiali, a spese di quelli senatori e nobiliari.
Ciò avviene, tra l'altro, con l'accrescimento del numero delle milizie dell'esercito pretorio e con la riduzione dei poteri politici e giudiziari del Senato.
La sua strategia consiste - anziché nell'umiliare e indebolire l'aristocrazia sul piano morale, politico e economico - nel favorirne lo sviluppo dal punto di vista economico, valorizzando al tempo stesso le sue radici culturali (mantenendo un atteggiamento fondamentalmente filo-occidentale), ma anche sottraendole impercettibilmente alcuni degli antichi poteri politici al fine di accrescere quelli del nascente apparato imperiale.
E' un modo per cercare di risolvere, almeno in parte e a favore del princeps e dell'Impero, l'annoso conflitto tra gli antichi e radicati poteri nobiliari e quelli dell'apparato imperiale, molto più vasti ma di origine decisamente più recente.
Altre azioni sostenute da Claudio sono una spedizione in Britannia nel 42 (compimento di quella progettata e mai realizzata da Caligola) e la creazione di alcune nuove province: Tracia, Giudea, Licia e Mauritania. |
5. Nerone, l'ultimo dei Claudi (54-68)
La politica di Nerone ricorda molto quella di Caligola. Anche lui, come il suo predecessore, si ispira fortemente all'ideale orientalizzante di Alessandro Magno e del dispotismo assoluto. Anche lui tenta di ridimensionare il peso economico e politico delle zone occidentali in favore di quelle orientali. Anche lui basa il suo potere sul consenso delle masse popolari occidentali e su quello delle regioni orientali.
Ultimo elemento di somiglianza, anche Nerone morirà vittima di una congiura, seppure dopo 14 anni di governo.
Alla morte di Claudio, sale al potere un ragazzo di 17 anni, figlio di una delle mogli del defunto imperatore: Agrippina. Questi, di nome Nerone, non appartiene neanche alla stirpe dei Claudi, essendo stato adottato da Claudio per ragioni di successione. (Tale mancanza, quando in seguito i rapporti col Senato si incrineranno, costituirà un elemento di forza in favore di quest'ultimo, che non mancherà di rinfacciargli la sua presunta illegittimità).
Circondato da intellettuali d'orientamento senatorio e nobiliare, come Seneca o Petronio, Nerone seguirà nei primi anni del suo regno una politica piana e senza scosse, coincidente con gli interessi del Senato.
Sarà a partire dal 58 che la sua vera indole inizierà a emergere. In questi anni si consuma infatti la prima rottura col Senato, colpevole di non aver approvato la sua proposta di riforma tributaria.
Tale proposta prevede l'eliminazione delle imposte indirette - ovvero dei dazi doganali -, cioè del protezionismo sui prodotti di produzione occidentale, e in seconda battuta un incremento delle tasse sui ceti più abbienti, al fine di compensare le inevitabili perdite finanziarie.
Come si vede questa proposta, mai approvata, tende a un impoverimento dei privilegi economici dell'Occidente, e contemporaneamente a colpire l'economia dei latifondisti e dei ceti più ricchi occidentali.
Essa è complementare alle larghe spese sostenute da Nerone per spettacoli pubblici e donazioni alla plebe. S'intuisce quindi la matrice populistica del suo governo.
Dopo la definitiva rottura col Senato, Nerone si trasferisce in Oriente, dove combatte una guerra in Armenia, riuscendo anche a impadronirsene nel 58, ma perdendola poco dopo, nel 63, data in cui viene ceduta al re dei Parti (pur mantenendo Roma una specie di protettorato su di essa).
Tornato a Roma inaugura una consistente attività di monetazione, al fine di rendere allo stato più facile, grazie al maggior numero di monete circolanti, il pagamento dei debiti, e migliorando, sempre secondo lo stesso principio, le condizioni di vita del popolo.
Nel 64 scoppia in Roma un incendio, di cui Nerone è sospettato essere l'autore, che devasta gran parte della città e gli permette di iniziare una vasta attività di ricostruzione (si ricordi la creazione della 'Domus aurea').
Nel 66 Nerone è nuovamente in Oriente, precisamente in Grecia, dove si pone come continuatore della politica di Flaminino, concedendo (come l'antico condottiero aveva concesso la libertà dalle truppe romane) donazioni ed esenzioni fiscali.
Sono di questi anni i primi tentativi di congiura contro Nerone, favoriti dalla sua lontananza da Roma, poi scoperti e repressi nel sangue (con la morte, tra gli altri, del poeta Petronio).
Nerone inoltre impiega molti soldi per sostenere l'opera di diffusione della cultura ellenica e orientale in Occidente.
E' ormai la fine: oltre che del Senato e dei nobili occidentali, Nerone ha ormai perduto la fiducia e l'appoggio anche delle province occidentali, che si vedono trascurate dalla direzione imperiale, espropriate quindi del posto di rilievo che spetta loro in qualità di regioni ricche ed economicamente emergenti.
In Gallia scoppiano ribellioni contro il potere di Roma; mentre è dalla Spagna Terraconense e dal capo delle sue truppe, Sulpicio Galba, che inizia la vera congiura anti-neroniana.
Essa coinvolgerà presto anche il Senato romano, costringendo il principe ribelle, oramai isolato, a togliersi la vita.
Galba diventerà, anche se per pochissimo tempo, il nuovo imperatore, ponendo definitivamente termine alla dinastia imperiale dei Claudi.
Ma il fatto che la rivolta sia iniziata fuori dei territori romani e italiani, la dice lunga anche sul ruolo che le province cominciano ad assumere nell'economia dell'Impero. |
CONCLUSIONI (14-68)
Il problema fondamentale che i primi imperatori - Ottaviano Augusto compreso - debbono affrontare, è quello della mediazione: mediazione sia tra le nascenti istituzioni imperiali e quelle, molto più antiche, dell'aristocrazia fondiaria occidentale; sia tra le istanze di dominio dell'Occidente e gli influssi politico-culturali di segno opposto, provenienti dalle zone orientali.
Mentre Caligola e Nerone attueranno una strategia scopertamente anti-senatoria e filo-orientale, determinando in tal modo la reazione violenta delle forze tradizionaliste occidentali - ma non solo, essendo comprese in tale reazione anche le nuove forze politiche occidentali, essenzialmente le province - che ne decreteranno la fine; Tiberio e Claudio al contrario, cercheranno di porre in atto con queste ultime una politica di compromesso (seppure - al fondo - maggiormente favorevole allo sviluppo degli apparati del nuovo Stato imperiale), né cercheranno mai di mettere in discussione la superiorità, politica e culturale, dell'Occidente rispetto all'Oriente.
Ma la soluzione "orientale" e assolutistica di Caligola e di Nerone - nonostante resti per il momento inattuabile, data la forte radicatezza dei più antichi poteri senatori e la relativa 'fragilità' di quelli dell'Impero - sarà, sui tempi lunghi, quella che finirà per prevalere.
Gli sviluppi dell'Impero, difatti, avverranno proprio in direzione del potenziamento dei suoi apparati, a spese chiaramente delle più antiche forze nobiliari e senatorie occidentali. |
Adriano Torricelli
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