STORIA ROMANA


3. LA NUOVA ROMA IMPERIALE

1. Introduzione

La nuova Roma, la nascente potenza internazionale che attorno al 270 ha ormai conquistato l'Italia peninsulare sia a nord (pur con il limite del nord Italia, ancora celtico) sia a sud (fino allo stretto di Messina, dopo le guerre contro i magno-greci), non ha ancora aspirazioni di carattere imperialistico: non segue infatti progetti organici d'espansione, ma si impegna piuttosto in azioni di mero consolidamento territoriale.
Si può certamente parlare, dopo la vittoria su Pirro, di una maggiore sicurezza nei rapporti internazionali e di una maggiore aggressività militare, ma non ancora di imperialismo.
La storia dei decenni seguenti - che vedono la nascita di Roma come principale potenza del Mediterraneo occidentale - è caratterizzata da una politica internazionale che potremmo definire impulsiva, e che la trascina in imprese belliche molto rischiose da cui non potrà che uscire o fortemente ridimensionata (ovvero annientata come potenza internazionale) oppure - come effettivamente accadrà - ulteriormente ingrandita, aperta a una nuova dimensione mondiale e con un diverso assetto sociale.

E' difficile non vedere come la trasformazione interna di Roma, sia in questi che nei prossimi anni, sia in massima parte funzione delle sue conquiste e della sua espansione verso l'esterno, attraverso i mutamenti che tali fattori generano sulla struttura socio-politica e sui rapporti con gli alleati e le colonie.
Tale evoluzione può essere delineata attraverso i seguenti punti:
a) da una parte vi è un allargamento del proletariato urbano, causato dall'inasprimento (dovuto alle guerre) della crisi agraria;
b) in secondo luogo si sviluppa nella classe plebea ricca, che vive di commerci e di appalti pubblici (spesso legati alle guerre, al loro finanziamento), la tendenza ad avanzare autonomi progetti a livello politico, in opposizione a quelli del Senato o di parte di esso;
c) infine la classe nobiliare o patrizia, che va sempre più distinguendosi da quella alto-plebea (detta dei cavalieri), rinsalda ulteriormente la propria autorità sul piano politico e militare, divenendo così la vera classe dirigente di Roma, cui spetta l'onere politico delle decisioni per tutto ciò che riguarda lo Stato.
Ciò creerà profondi attriti, dato che gli interessi nobiliari non sempre coincidono (come si è appena visto) con quelli del resto della popolazione!
d) In risposta a tale squilibrio nasce allora la figura del 'capo popolare', ovvero di un uomo che facendosi carico degli interessi della plebe (soprattutto di quella media, oppressa dalla fame di terre, ma anche di quella più ricca) riscuote molti consensi, divenendo una pedina importante nello scacchiere politico. A esempio di tale figura si può portare Gaio Flaminio, i cui provvedimenti verranno visti più avanti.

Perciò, anche se Roma non è ancora un impero, è comunque già avviata in tale direzione.
Si possono difatti scorgere di già i primi segni della futura evoluzione imperiale: quelle contraddizioni e quegli squilibri (costituiti dalle grandi masse proletarie - o sulla via per diventarlo -, dalle prime lotte interne per il potere, dai primi conflitti tra "borghesia" commerciale e finanziaria plebea e aristocrazia patrizia legata al possesso della terra) che sfoceranno successivamente nella rivoluzione politica di Ottaviano.

Storia romana nel periodo delle
guerre puniche (264-146)

E' parso opportuno, qui di seguito, dividere il capitolo in tre distinte fasi (corrispondenti all'incirca alla prima, alla seconda e alla terza guerra punica) trattando sempre prima gli eventi della storia esterna, segnata essenzialmente dalle guerre di espansione mediterranea, e solo successivamente gli eventi interni. Ciò dal momento che questi ultimi - come si è già detto - si spiegano in massima parte come risultati - seppure indiretti - dei successi militari e delle lotte sostenute per ottenerli, sulla struttura sociale e politica dello Stato romano.

2. La prima guerra punica e le guerre italiche e illiriche

a) La prima guerra punica

La guerra contro la potenza cartaginese, il più antico impero del Mediterraneo occidentale (nato dalla separazione di Cartagine nell'VIII secolo dalla città fenicia di Tiro, del cui impero commerciale costituiva la principale colonia), non è causata - come si potrebbe pensare - dalle ambizioni espansionistiche di Roma, né da quelle della sua rivale.
Come in altre situazioni, anche qui è la richiesta d'aiuto di una città (Messina) la molla scatenante di un conflitto lunghissimo e di certo non preventivato, un conflitto sfuggito di mano ai suoi stessi artefici, divenuto in poco tempo una lotta per la sopravvivenza tra due opposte super-potenze.

Questi gli eventi essenziali della prima guerra punica (264-241):
· I Mamertini chiamano in aiuto i romani contro il protettorato sulla loro città dei Cartaginesi (265); essendo lo stretto di Messina di grande importanza strategica per Roma (il cui dominio come si è visto giunge fino alla città di Reggio, situata sulla sponda opposta dello stretto) si decide per l'intervento.
· 264: il console Appio Claudio si reca a Messina, anche se la situazione è in via di risoluzione: l'ambizione romana infatti molto probabilmente è quella di estendere le proprie influenze politiche anche in Sicilia: si fa perciò di tutto per fare precipitare la situazione e far esplodere un conflitto, anche se di certo non è preventivato uno scontro diretto con la potenza cartaginese. Gerone, tiranno greco di Siracusa, si allea con Roma in funzione anticartaginese.
Come si vede è iniziata per Roma una fase militarmente più audace ed aggressiva, alla cui base però non c'è una strategia precisa e organica di espansione. A spingere in questa direzione sono in gran parte i nobili campani, entrati (come si è visto) a fare parte del Senato romano e favorevoli da sempre a una politica aggressiva verso il sud Italia.
· 261: Roma si arma della sua prima flotta da guerra e affronta la sua avversaria sul mare: celebre vittoria di Milazzo (260) ma anche molte sconfitte: la guerra comincia a pesare a Roma e a perdere consensi (sia tra il popolo, che come si è visto è la vittima principale dei conflitti di lunga durata, sia tra i senatori, non tutti favorevoli a essa sin dall'inizio - segno questo dei differenti indirizzi politici che stanno prendendo la classe nobiliare e quella dei plebei ricchi). Resta, in ogni caso, l'entusiasmo romano per i successi ottenuti sul mare.
· 256: riprendendo il sogno di Pirro e di molti tiranni siracusani, Atilio Regolo (della famiglia campana degli Atili), si reca in Africa nella speranza di portare a termine la guerra e di sconfiggere il nemico sul suo stesso terreno. L'impresa sarà un insuccesso e, pur nella sua audacia, un'azione insensata che causerà ingenti perdite ai romani.
Oramai non si può più tornare indietro, dopo tanti anni di guerra la posta in giuoco non può più essere solo la Sicilia: in base alle spese sostenute da ambo le parti, la guerra deve concludersi con una vittoria definitiva di una potenza sull'altra. Ciò in base al principio antico, secondo il quale la guerra deve autofinanziarsi, ovvero coprire le proprie spese, attraverso i suoi stessi successi militari! Inizia perciò in questi anni a delinearsi la prospettiva di un conflitto 'totale' tra le due potenze.
L'episodio di Regolo è indicativo inoltre di una certa immaturità della classe dirigente romana nell'affrontare problemi e conflitti più vasti, più ad ampio raggio rispetto a quelli del passato.
· La guerra si sposta di nuovo in Sicilia, proseguendo fino al 241; la fortuna di Roma è che le alleanze greche in Sicilia reggono nel corso di tutto il conflitto; in patria invece, dopo tanti anni di guerra, la situazione è molto più critica. Per alcuni anni si ricorre anche a una dittatura (Atilio Catalino); nel 241 si ha la definitiva vittoria romana, nella battaglia contro Annone delle isole Egadi: Roma ottiene una notevole indennità di guerra, la Sicilia e la restituzione degli ostaggi. Nonostante la vittoria però, questa impresa le è costata molto in termini di risorse economiche.
La pace che segue è quindi chiaramente da intendersi come una tregua: le due potenze sono pronte infatti a fronteggiarsi nuovamente, anche se dopo un periodo di riassestamento.

b) Le guerre in Italia

Dopo essere stata impegnata sul fronte mediterraneo, Roma si concentra ora su quello italiano, pensando a consolidare i suoi confini contro i molti nemici interni.
Nel 238 attacca i Cartaginesi in Sardegna, ottenendo la cessione dell'isola assieme alla Corsica.
Successivamente si sposta nel nord della penisola, dove i Celti costituiscono ancora una minaccia per i territori settentrionali, liberando le regioni attorno alla valle Padana e iniziando una vasta opera di romanizzazione di quelle zone.

Una delle ragioni per cui riesce tanto facile a Roma la conquista delle isole occidentali è il fatto che i Cartaginesi, dopo la prima guerra punica, cercano di espandersi nei territori iberici piuttosto che su quelli italiani. In questo modo, oltre a limitare l'estensione romana in quelle zone, essi riescono a ridare nuova linfa al proprio Impero e a prepararsi a sferrare un nuovo attacco contro Roma! Ciò conferma come inevitabilmente il conflitto tra le due potenze rimanga aperto, pronto a esplodere nuovamente negli anni futuri.

c) Le guerre illiriche

Roma tuttavia non intraprende missioni militari soltanto all'interno della penisola italiana. Assolve anche a una missione di pulizia dei mari adriatici dalle orde dei pirati illirici (per favorire gli interessi economici di alcune città-stato italiche, appartenenti alla sua coalizione), che la porta a scontrarsi militarmente con il regno Illirico (nella zona balcanica), dal momento che esso vive essenzialmente di pirateria.
Si deve poi tener conto del fatto che tale regno gravita nell'orbita della Macedonia, e che quindi Roma attaccandolo, distruggendone la flotta e creando (228) un principato formalmente autonomo ma gravitante in realtà nella sua sfera d'influenza, va a intaccare gli interessi macedoni, creandosi così un nuovo potenziale nemico.
Si pongono quindi in questi anni i presupposti del conflitto macedone, che porterà un ulteriore sviluppo romano verso est!

Come si può facilmente vedere, dunque, vengono poste in questo periodo - attraverso le imprese belliche di cui abbiamo parlato - le basi stesse del futuro imperialismo romano, anche se ciò avviene in un modo che potremmo definire inconsapevole e involontario.
Per tentare di esemplificare tale processo possiamo utilizzare questo schema:

- GUERRE DI DIFESA DEI TERRITORI ->
- ESTENSIONE DEI CONFLITTI ATTRAVERSO IL COINVOLGIMENTO DI ALTRE POTENZE ( dovuto all'intromissione di Roma nella sfera dei loro interessi ) ->
- NUOVE GUERRE E CONSEGUENTE ACQUISIZIONE DI NUOVI TERRITORI
3. Come cambia Roma (264-228)

Abbiamo già visto la trasformazione sociale d'insieme. Ora vediamola più in dettaglio, nella sua relazione con gli eventi specifici di questi anni.

a) La decisione della guerra

L'entrata in guerra contro i cartaginesi è oggetto di discussione (265) sia all'interno del Senato - diviso tra i favorevoli e i contrari - sia tra la plebe.
A spingere decisamente per la guerra sono i consoli, espressione della plebe ricca, e per convincere i comizi popolari a partecipare ad essa le prospettano lauti e facili guadagni. (Si noti che la plebe in questi anni non ha ancora individuato nell'ampliamento territoriale e nelle ricchezze derivanti da esso la strada per supplire alla condizione di depauperamento che la affligge: essa perciò non è ancora - come spesso invece sarà negli anni futuri - incondizionatamente favorevole alle campagne militari).
Anche parte del Senato non si esprime a favore della guerra, e ciò mostra come le due strade politiche, quella della plebe (cavalieri) e quella del patriziato, comincino a divergere.
Tuttavia Appio Claudio fa di tutto per far esplodere il conflitto e, innescando un processo a cui difficilmente si può sfuggire, costringe i romani a combattere una guerra che non trova tutti concordi.

b) Roma alla fine di queste guerre

Alla fine del conflitto con Cartagine Roma è stremata: ed è la plebe la principale vittima di questa lotta, che l'ha costretta a trascurare le sue terre e i suoi profitti, e a sacrificare parte dei propri prodotti per il sostentamento dell'esercito.
Depauperamento significa poi ampliamento dei confini cittadini e inasprimento del problema sociale.
Il Senato, da parte sua, è spaventato dalla massa sempre crescente di plebei che popolano Roma, rendendola tra l'altro sempre più ingovernabile attraverso le istituzioni tradizionali.
Non è poi un caso il fatto che, proprio in questi anni, si collochi una riforma in senso democratico dei Comizi centuriati, attraverso la quale si rende meno influente il voto delle fasce più ricche della popolazione.
Ma, nonostante tali misure, la fame di terre rimane e rende inquiete le masse, che si appoggiano per le proprie rivendicazioni a figure politiche che, come nel caso di Gaio Flaminio, fanno delle esigenze popolari il proprio cavallo di battaglia.

Queste la azioni politiche più rilevanti di Gaio Flaminio:
· propone, senza successo, di estendere il territorio romano alla zona del Piceno (già colonia romana) al fine di distribuirne alla plebe le terre, come risarcimento per i danni subiti dalla guerra.
(Dopo un simile provvedimento, la situazione diventerebbe ancora più ingovernabile per il Senato: un ulteriore ampliamento dei territori che cadono sotto la diretta giurisdizione di Roma e un aumento di potere del 'popolo minuto' minerebbero difatti il suo predominio politico! L'opposizione senatoria quindi, contesta la proposta facendola cadere).
· Nel 218 appoggia una proposta di legge che proibisce ai senatori di possedere grandi navi da trasporto, favorendo e sanzionando la nascita di una classe di grandi commercianti plebei (i 'cavalieri') in opposizione - ma anche complementare - rispetto al ceto agrario nobiliare.
· Inoltre, nobile e senatore come Appio Claudio, egi guida come console le guerre contro i Celti e fa costruire una grande strada (via Flaminia), che favorisca la mobilità delle persone e delle merci.

4. La seconda guerra punica (219-202) e la guerra macedone (200-188)

La seconda guerra punica è caratterizzata, rispetto alla prima, da uno spostamento del conflitto verso la Spagna e l'Italia settentrionale (e anche verso quella meridionale).
Rispetto ad essa inoltre, è più chiaro che l'intento dei due avversari è oramai la distruzione reciproca.
Questa guerra si concluderà con la sconfitta definitiva di Cartagine, ridotta ormai rispetto a quella romana a una potenza subordinata.

Ma questo conflitto risveglia anche i vecchi attriti tra Roma e l'impero Macedone di Filippo V, il quale - non a caso - si alleerà con Cartagine in funzione anti-romana.
Roma risponderà a tale alleanza prendendo le difese delle città greche, che lottano per preservare la propria indipendenza da Filippo V. Aiutando l'insurrezione greca, Roma ottiene inoltre il vantaggio di impegnare la Macedonia su un altro fronte e di renderla innocua su quello Mediterraneo.

Subito dopo la fine del conflitto contro Cartagine (202), il senato romano decide di attaccare (200) la Macedonia, coinvolgendo in questa nuova guerra tutta la compagine dei regni ellenistici.
Al termine di questa seconda impresa, Roma si troverà a essere così 'padrona' anche sull'Oriente, diventando un Impero a tutti gli effetti.

a) Gli eventi della seconda guerra punica

· Nel 219, Annibale (generale cartaginese) pone l'assedio a Sagunto, città sotto il protettorato di Roma, determinando così il casus belli; anche nel caso di questo conflitto però, non tutti a Roma sono favorevoli.
Il piano di Annibale e di Cartagine è quello di portare la guerra in Italia attraverso le Alpi (come effettivamente farà), e lì di scardinare la compagine romana (cosa che sui tempi lunghi riuscirà in parte a fare) per limitare la potenza di Roma sul piano internazionale, riacquisendo il ruolo di potenza egemone.
Roma invece imposta la guerra su due fronti: in Spagna e in Italia. Suo obiettivo è di tagliare le gambe al nemico sul territorio iberico (da dove provengono tutte le sue risorse militari) e fare quadrato di fronte alle invasioni italiche.
Col tempo Annibale arriverà fino nel sud d'Italia, ma la guerra in Spagna sarà fondamentale per vincere il conflitto!
· Annibale in Italia: sconfitta del 217 dei Romani sul lago Trasimeno e dilagare del nemico nella penisola.
A Roma viene instaurata la dittatura di Fabio Massimo (senatore di parte aristocratica), il quale elabora e mette in atto la strategia bellica che sarà utilizzata sul fronte italico, strategia consistente - più che in scontri frontali col nemico - in lunghe manovre di logoramento. Tale strategia verrà seguita nel corso di tutto il conflitto in Italia.
In questo periodo inoltre il Senato, approfittando della situazione particolarmente difficile, riuscirà a prendere in mano le redini della guerra, ponendo così i presupposti del suo futuro monopolio politico-militare.
A questo punto però, le risorse dello Stato già non bastano più a finanziare la guerra, e si è perciò costretti a ricorrere ai finanziamenti di alcuni privati cittadini particolarmente ricchi, ovvero di alcuni esponenti della prima classe di censo: inizia così, in questi anni, l'affermazione a livello finanziario della classe dei cavalieri, i quali col tempo acquisiranno pressoché totalmente il monopolio sugli appalti statali.
· 215: Viene stipulata un'alleanza tra l'Impero cartaginese e la Macedonia di Filippo V in funzione anti-romana. Filippo attacca i territori balcanici (l'Illiria) di Roma, mentre quest'ultima reagisce alleandosi con la lega Etolica, in rivolta da tempo contro la dominazione politica macedone.
Roma dunque combatte ora addirittura su due fronti. In tal modo tuttavia, essa allontana il pericolo di un attacco congiunto di Cartaginesi e Macedoni.
Nel frattempo in Spagna i due Scipioni portano avanti un'opera di indebolimento del fronte cartaginese. Verranno uccisi entrambi dal nemico nel 211.
· 211: Sulla scia dell'indignazione popolare viene eletto proconsole della Spagna Publio Cornelio Scipione, che presto diverrà (dopo l'ormai vecchissimo Fabio Massimo) il nuovo leader della guerra, portandola a compimento in favore di Roma. In pochi anni il giovane generale risolverà la situazione in Spagna, mettendo i nemici con le spalle al muro.
· 205: Roma stipula una pace con la Macedonia.
· 204: Publio C. Scipione detto Africano porta la guerra fino in Africa, dove nel 202 porta a termine la guerra, decretando inoltre la fine di Cartagine come stato autonomo e il ridimensionamento drastico dei suoi territori.

Quella portata avanti dagli Scipioni - come quella di Appio Claudio o di Gaio Flaminio prima di loro - è e sarà sempre una politica aperta e protesa verso il futuro, disposta ad assecondare i cambiamenti strutturali, sociali e culturali in atto (celebre ad esempio è la diffusione, dovuta agli ambienti degli Scipioni, della cultura greca in Roma). Ma come tale essa sarà anche fortemente invisa ai senatori.
Così gli Scipioni, pur guadagnandosi il plauso generale della plebe, accumuleranno nei propri confronti anche l'ostilità degli ambienti nobiliari più tradizionalisti, un'ostilità che esploderà alla fine della guerra macedone. Vedremo tra poco più in dettaglio questo episodio, assieme a ciò che esso nasconde.

b) Gli eventi della guerra macedone

La guerra macedone è il primo vero atto imperialistico di Roma: essa non nasce difatti solo da necessità di difesa e consolidamento dei propri territori, trovando la propria origine e la propria giustificazione anche nelle ambizioni di natura espansionistica della classe dirigente romana.
Vedremo meglio più avanti quali siano le ragioni della scelta espansiva sistematica di Roma.

Questi i fatti essenziali della guerra contro Filippo V:
· 200: il Senato decide di attaccare la Macedonia. La ragione di tale decisione sta, oltre che nelle nuove ambizioni territoriali romane, anche in un rimescolamento delle sfere d'influenza tra gli stati ellenistici, rimescolamento dovuto a una temporanea debolezza dell'Egitto dopo la morte del sovrano. Con ogni probabilità, si teme un crollo di quel sistema di alleanze che è stato favorito con la pace del 205, e sul quale dovrebbe fondarsi la sicurezza dei possedimenti orientali di Roma.
Gaio Quinzio Flaminino sarà il protagonista della politica orientale di questi anni. Imbevuto di cultura greca, il suo obiettivo è quello di tutelare l'indipendenza delle città-stato greche, esercitando però allo stesso tempo un protettorato romano sull'area interessata, ricavandone ovviamente anche dei vantaggi di carattere economico-politico!
Flaminino rappresenta, al pari di Scipione, la Roma 'nuova' dei cavalieri, interessati fondamentalmente a sviluppare e a estendere una vasta rete commerciale e favorevoli a instaurare dei rapporti di collaborazione con gli altri Stati: insomma una Roma aperta al nuovo e propensa più a una politica basata su equilibri e mediazioni, che non su un imperio di tipo tradizionale.
Una tale politica, seppure basata anche su considerazioni di natura pragmatica, non è comunque scevra di un certo idealismo di fondo, legato soprattutto al fascino esercitato su Roma dalla più antica e superiore cultura greco-orientale. Forte è dunque, come già si diceva prima, l'affinità tra Flaminio e il circolo degli Scipioni.
Ma Roma ha anche, nella Macedonia, un grande nemico, il quale tende a ostacolare i suoi interessi espansionistici in quelle zone, mostrandosi riluttante a piegarsi al suo predominio.
· 196: Flaminino sconfigge l'esercito macedone nella battaglia di Cinoscefale, costringendo Filippo a rispettare l'indipendenza greca. Una tale azione è un chiaro esempio del tipo di progetto che Flaminino vuole portare avanti, progetto che coniuga le istanze autonomistiche greche con quelle di dominio e di protettorato di Roma sulle regioni orientali.
Ma i veri problemi per Roma iniziano proprio a partire da tale successo militare. Per essere coerente con il suo programma, infatti, Flaminio vuole una Grecia libera, guidata diplomaticamente da Roma, senza che alcun esercito si insedi sul suo territorio.
Attraverso questo piano però (pur per certi versi economicamente molto vantaggioso) non sarà possibile tenere la situazione realmente sotto controllo.
· Il 194 dimostra la precarietà della situazione orientale: la lega Etolica chiama Antioco (re di Siria) in aiuto contro quella Achea.
A sedare quest'ennesima rivolta verrà mandato perciò non più Flaminino ma Scipione l'Africano, nelle cui capacità tutti ripongono fiducia. Questi, con una campagna militare conclusa nel 188, ridimensiona la potenza siriaca trovando in Rodi e Pergamo (due piccoli regni ellenistici) gli alleati della propria politica d'espansione.
Egli avrà inoltre un'idea di dominio un po' diversa rispetto a quella di Flaminino: il suo progetto infatti non consisterà tanto nel sorvegliare e controllare l'intera compagine ellenistica esercitando un semplice protettorato sulle città greche. Egli sceglierà piuttosto di intrattenere dei rapporti diretti e quasi personali con i regni orientali [si vedrà, nei prossimi anni, come i poteri personalistici e clientelari trovino, anche al livello dei rapporti internazionali, un grande rigoglio e un notevole ampliamento], sviluppando in tal modo un complesso sistema di alleanze internazionali.

Tuttavia, pochi anni dopo quest'ennesimo successo politico e militare e il successivo glorioso ritorno in patria, Publio Scipione Africano verrà destituito dal Senato: un evento questo apparentemente inspiegabile, le cui ragioni sono in realtà da ricercare - come si vedrà qui di seguito - nell'inizio di un nuovo tipo di politica da parte di quest'ultimo, tutta tesa ad accentrare attorno a sè i poteri dello Stato.

5. Sviluppi interni: il monopolio politico del Senato

La trasformazione di Roma da semplice città-stato egemone in vero e proprio impero mondiale comporta inevitabilmente tutta una serie di stravolgimenti all'interno della sua struttura sociale, stravolgimenti che cercheremo di delineare qui avanti.

Diciamo subito che tali cambiamenti rendono sempre più obsolete le antiche concezioni politiche dei 'patres', e con esse il Senato come istituzione guida di Roma. Ma notiamo anche come proprio in questi anni si consolidi la supremazia e diremmo anche l'egemonia senatoria su Roma, e ciò ovviamente a prezzo di un inevitabile scollamento tra le forze politiche e il resto della popolazione.
Vediamo ora di riassumere per punti tali interne trasformazioni sociali:
- ingigantirsi del ruolo del commercio (in gran parte schiavile), dovuto alle guerre;
- importanza dei ceti alto-plebei (cavalieri) come sostegno finanziario dello Stato nelle guerre;
- tendenza verso la trasformazione dell'esercito da realtà cittadina (diritto/dovere comune) a realtà professionale (non è infatti possibile essere buoni cittadini e contemporaneamente affrontare guerre che durano magari degli anni lontano da casa);
- nuovo rapporto tra masse e potere: non si può più governare in modo diretto l'intera cittadinanza romana (sia interna che esterna), dal momento che il suo numero è divenuto ormai enorme;
- crescita dei poveri e dei diseredati, ovvero di un problema che trova una risposta solo nelle ricchezze provenienti dalle conquiste esterne.
Riguardo a quest'ultimo punto, sta proprio qui la ragione della crescita imperialistica a oltranza: nel fatto che questa sia l'unica possibile soluzione per far fronte al problema del costante aumento delle masse dei poveri, aumento dovuto tra l'altro alle molte guerre e a una distribuzione alquanto diseguale delle ricchezze!
Anche il reclutamento nell'esercito sarà poi uno strumento di impiego per le masse degli emarginati.

Ma la crescita territoriale e quella finanziaria concorrono anche a creare una realtà più mobile e più dinamica, che mal si adatta alle concezioni oligarchiche patrizie.
E da una tale trasformazione si deve partire per capire la reazione 'anti-borghese' del Senato romano, che lo porta ad azioni eclatanti come le accuse di immoralità e di frode fiscale ai danni dello Stato rivolte contro l'Africano, accuse in seguito alle quali quest'ultimo sceglierà di ritirarsi a vita privata abbandonando la politica attiva (184).
Se, insomma, questi anni vedono una espansione territoriale verso l'esterno davvero impressionante, vedono anche all'interno dello Stato l'accentramento dei poteri politici attorno al Senato. Un ripiegamento questo, che ci ricorda l'originaria condizione di quest'ultimo di casta al di sopra di ogni potere particolaristico che possa metterla in discussione. (Un tale strapotere senatorio non tarderà ad avere poi delle ripercussioni anche sulla politica estera, come vedremo nel prossimo paragrafo).

Oltre all'azione giudiziaria contro gli Scipioni - nonchè implicitamente contro tutta la classe politica alto-plebea - avranno luogo in questi anni:
- un provvedimento per immoralità contro i culti dionisiaci (colpevoli in realtà di esprimere e dare sfogo allo scontento delle classi povere e di essere quindi pericolosi focolai di rivolta sociale), banditi e repressi per legge;
- la legge Bebia (179) che concilia l'esigenza di avere una costituzione maggiormente articolata (in particolare per governare le nuove regioni-province: Spagna [divisa in due parti], Sardegna e Sicilia) con quella senatoria di accentramento del potere, attraverso il principio della rotazione delle cariche.

In conclusione, possiamo dunque riassumere come segue l'evoluzione interna di Roma dopo la vittoria contro la Macedonia di Filippo V:
· Si assiste in questi anni a una prima forma di imperialismo consapevole di Roma, dettata dalla volontà di estendere il proprio potere e i propri territori: un proposito che trova origine nella "volontà di potenza romana" (esaltata dalle recenti vittorie) ma anche nel bisogno di rispondere alla crisi sociale, e negli interessi economici delle classi alte, soprattutto in quelli della classe commerciale dei cavalieri.
· La classe patrizia diviene egemone in politica (ne è esempio il modo in cui essa si disfa di Scipione Africano), pur non rispecchiando più al tempo stesso da sola tutti gli interessi e le pulsioni della società romana: in questi anni avviene sì il suo trionfo, ma vi sono anche i primi segni di un suo scollamento politico dal tessuto sociale!
Il Senato resterà dunque un'indiscussa autorità politica che, arroccata sui suoi privilegi, governerà con pugno di ferro sia Roma che le sue province.
Sarà la nascita dell'Impero sotto Ottaviano a segnare la sconfitta di questo tipo di politica e dei suoi ideali, oramai palesemente inadatti a gestire la nuova situazione, caratterizzata da un numero sempre maggiore di territori e di persone da amministrare, da una maggiore mobilità a livello commerciale… dall'impossibilità insomma di un dominio - in stile nobiliare-arcaico - a senso unico e senza mediazioni (adatto invece a governare una regione più piccola e con un'economia fondamentalmente agricola).

6. L'oriente secondo il Senato, la guerra conclusiva contro Cartagine (146)

- Il dominio diretto del senato sulle colonie-regioni

Abbiamo già visto la linea 'morbida' di governatorato usata dai romani, al tempo di Flaminino e Scipione, sulle regioni conquistate.
In Africa ci si appoggia al re di Numidia Massinissa: 'gendarme' della potenza cartaginese per conto di quella italica.
In Asia invece Scipione ha posto le basi per un governatorato indiretto, fondato essenzialmente sulle alleanze e sull'influenza esercitata dai generali romani sui vari regni ellenistici.
Ma questi metodi 'aperti' non si confanno alla mentalità senatoria, poco incline alle novità o ai patteggiamenti e diffidente nei confronti delle altre culture (una delle principali ragioni di ostilità verso gli Scipioni è infatti la corruzione dei costumi antichi, il fascino 'esterofilo' e filo-greco che essi esercitano).
Per questa ragione, la fine di Scipione Africano come leader asiatico decreterà anche una decisa svolta a livello di politica estera.
Inizierà così una fase politica alquanto retriva e reazionaria, basata sulla spietata repressione militare dei territori conquistati e sulla pratica antica dell'alleanza del governo di Roma con le classi nobiliari locali, in funzione ovviamente anti-popolare e anti-democratica; ed infine, sullo sfruttamento economico e politico delle colonie.

Una tale politica autoritaria del 'pugno di ferro' si esplicherà poi in tutte le direzioni:
- a nord, verso le zone incolte dei Celti (che verrranno forzatamente urbanizzate e romanizzate);
- a sud, in Africa, dove la città di Cartagine nel 146 verrà bruciata distrutta e maledetta;
- a est, dove nel 171 i tentativi di ribellione della Macedonia verranno stroncati da Emilio Paolo, e quest'ultima successivamente ridotta prima a potenza autonoma ma divisa in quattro regioni indipendenti, poi ricompresa sotto il dominio diretto di Roma.
- Infine, come atto conclusivo, anche la Grecia riceverà il suo avvertimento: sempre nel 146, la città ribelle di Corinto sarà assediata e distrutta dalle truppe imperiali, un chiaro segnale lanciato ai particolarismi e alla varie Leghe che si contendono la Grecia.

CONCLUSIONI (264-146)

A seguito della poderosa estensione territoriale e delle trasformazioni sociali che ne derivano, si sviluppano in questi anni delle nuove forze sociali, alternative ai tradizionali ceti di governo nobiliari (politicamente rappresentati dal Senato). Parliamo ovviamente dei ceti commerciali e finanziari, oltre che di quelli militari.

Tali forze - i cui interessi si distinguono sempre di più da quelli del Senato e della nobiltà terriera (pur senza entrare ancora con essi in un rapporto di vera e propria contrapposizione) e che trasformano lo Stato arcaico 'di contadini e di guerrieri' in una struttura socialmente più complessa e stratificata (comprendente ad esempio i ceti medi e bassi, il proletariato urbano e quello rurale…) - finiscono inevitabilmente per minare quell'assoluto predominio nobiliare che aveva caratterizzato i decenni precedenti.
L'insorgere di nuovi problemi, di nuovi risvolti sociali e di nuove tendenze culturali e politiche, che cadono al di fuori degli orizzonti dei ceti di potere più tradizionali, tende difatti ad offuscare l'egemonia politica ed istituzionale di questi ultimi.
Tale tendenza sarà alla base della reazione posta in atto dal Senato - soprattutto negli anni che seguiranno la fine della seconda guerra punica - attraverso l'accentramento dei poteri dello Stato a scapito delle forze sociali emergenti.

Assistiamo inoltre, in questo periodo, all'affermarsi di nuove attitudini in campo politico, che si contrappongono evidentemente a quelle proprie dell'oligarchia senatoria, e che rispecchiano una visione decisamente più aperta, favorevole cioè - oltre che all'esercizio di un dominio a senso unico nei confronti dei territori assoggettati e alleati - anche al consolidamento dei poteri attraverso l'instaurazione di alleanze e di equilibri politici.
Anche questo secondo aspetto, di carattere anzitutto culturale, costituirà un elemento di tensione e di contrasto all'interno della società romana.

Adriano Torricelli


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014