STORIA ROMANA


2. EVOLUZIONE SOCIO-POLITICA DI
ROMA REPUBBLICANA
1. Coordinate generali del periodo (VI - III sec.)

- Trasformazioni sociali

Sul finire del periodo monarchico si va affermando in Roma una nuova classe di ricchi, d'origine plebea, che si affianca nella direzione dello Stato alla più antica casta/classe patrizia.

Questa classe di "uomini nuovi" emerge socialmente sfruttando la più vasta lotta popolare, ovvero la lotta della plebe nel suo complesso per la conquista del potere politico. Come esempio di tale lotta possiamo portare le molteplici ritirate sull'Aventino, con cui la plebe favorisce e accelera molte delle proprie conquiste sociali e istituzionali (si veda ad esempio la nascita del tribunato).

Nonostante l'ottenimento di alcuni traguardi (quali i tribuni della plebe, il codice delle dodici tavole, ecc.) riguardi indiscutibilmente l'intera popolazione, i risultati delle lotte popolari giovano soprattutto ai plebei ricchi. Essi difatti riescono - anche, ma non solo attraverso tali lotte - ad affiancarsi ai nobili nella guida dello Stato.

Col tempo si crea quindi una classe dirigente mista, ovvero patrizio-plebea (per la verità ancora abbastanza omogenea sul piano ideale e degli interessi), che detiene - attraverso i consoli e le maggiori cariche istituzionali - le principali leve decisionali di Roma (peraltro divenuta ormai un complesso organismo politico e una vera e propria potenza internazionale).

- Ampliamenti territoriali

Un secondo aspetto che caratterizza questi anni è l'impressionante crescita territoriale: tra il VI e il III secolo la città-stato di Roma estende il proprio dominio, sia diretto, sia indiretto (ossia coloniale), dalla sola zona del Lazio a quasi tutta la penisola italiana.

Essa diviene dapprima la massima potenza della Lega latina, arrivando poi a scioglierla; successivamente conquista (con le tre guerre sannitiche) la supremazia su gran parte della Campania; e giunge infine ad oscurare il dominio greco sull'Italia meridionale.

Ma bisogna anche notare come tali guerre, il cui effetto è l'estensione territoriale del dominio romano, non siano guerre aggressive e intenzionalmente di conquista, bensì guerre difensive volte a consolidare il proprio dominio contro possibili aggressori esterni.

Soltanto quando la potenza di Roma si sarà scontrata, vincendola, con la potenza cartaginese, solo allora si darà inizio ad una vera e propria fase 'imperialistica', finalizzata cioè all'estensione dei domini.

- I plebei e la colonizzazione italica

Ma oltre alla crescita di prestigio di cui si è parlato, i plebei conoscono in questi anni anche un'opposta parabola sociale: ai plebei ricchi infatti si affiancano quelli poveri.

I poveri della nuova Roma sono essenzialmente coloro che rimangono esclusi dai privilegi economici legati alle annessioni territoriali: fondamentalmente ex-contadini decaduti e divenuti proletari urbani, dopo esser stati depauperati dalle numerose guerre (che hanno danneggiato i loro campi, e li hanno inoltre tenuti lontani da essi) e da una distribuzione delle ricchezze alquanto ineguale (poiché gestita da una classe dirigente aristocratica, di vecchia e di nuova leva).

Gradualmente la plebe si trasforma così da fenomeno contadino e agrario in un fenomeno cittadino - segno questo dei mutamenti che stanno avvenendo all'interno dello Stato romano: non più un semplice 'stato di contadini e di guerrieri', bensì potenza ormai cittadina (poiché la città convoglia i nuovi strati sociali, e diviene al contempo il centro direzionale dell'apparato statale complessivo) e internazionale.

La crescente disparità tra ricchi e poveri poi, crea un antagonismo alternativo a quello tra plebei e patrizi, determinando nuove e più forti tensioni sociali.

Il rischio chiaramente avvertito dall'establishment romano è che una tale situazione comprometta le strutture dello Stato mettendo in forse le sue ricchezze e i suoi privilegi (basati appunto su tali strutture).

La soluzione sta quindi nel trovare un modo per allontanare lo spettro della ribellione sociale, alleggerendo (ma non rimuovendo) le motivazioni dello scontento dei ceti più bassi, esclusi oltre che dal potere politico anche da gran parte della ricchezza.

Tra le strade più praticate ve n'è una che consiste nel riversare parte dei cittadini più poveri nelle nuove colonie, ossia nei territori di recente acquisizione, esterni ai confini territoriali della Roma vera e propria.

In questo modo si ottengono due risultati: a) da una parte si restituisce la terra a coloro che l'hanno perduta; b) dall'altra si allontanano da Roma le masse degli scontenti, dal momento che essi installandosi nelle nuove colonie perdono la cittadinanza romana uscendo così dal gioco politico.

E' un segno dei tempi che cambiano: Roma si mantiene in piedi essenzialmente attraverso un costante gioco d'equilibrio tra gli interessi delle diverse classi sociali. Il fatto di tenere insieme - cioè di conciliare - i differenti punti di vista (seppur mantenendo intatti i privilegi dei più ricchi) impedisce che si creino rotture interne che potrebbero risultare distruttive per la nascente classe dirigente e per la sua organizzazione di potere.

Anche l'esercito inoltre modifica il proprio assetto e i propri connotati: non solo infatti esso muta la propria organizzazione in direzione di un maggiore dinamismo di manovra; ma si allarga anche quantitativamente, aprendosi ulteriormente all'apporto dei plebei (sia nei ranghi più alti, sia in quelli più bassi).

Riguardo infine ai rapporti di Roma con le popolazioni sottomesse, la strategia utilizzata consiste nel mantenere in uno stato di subalternità la maggioranza della popolazione, rafforzando di contro il potere detenuto dalle aristocrazie locali (il cui dominio è spesso in crisi prima dell'intervento dei romani). I ceti dominanti ricevono così la cittadinanza romana e assieme a essa vari privilegi, tra i quali quello di far parte dell'aristocrazia senatoria romana.

In questo modo il potere centrale, in sinergia con quello locale, riuscirà a mantenere saldo il suo dominio sulle zone di conquista, evitando così uno sfaldamento della compagine.

2. I principali eventi politici interni

I primi anni della res-publica vedono le lotte popolari per l'auto-affermazione contro il dominio esclusivo dei patrizi. Sono gli anni dello "stato plebeo", delle ritirate sull'Aventino e delle ribellioni popolari. Ma la lotta in favore del popolo non è portata avanti soltanto da plebei; vi sono infatti anche patrizi 'illuminati' (quali ad esempio Appio Claudio) a sostenere tali rivendicazioni.

Ai vertici del potere plebeo si trovano, in ogni caso, principalmente plebei potenti. La classe dominante finisce quindi per uniformarsi creando uno schieramento piuttosto omogeneo, interessato all'estensione territoriale e al consolidamento dei confini (e dei propri privilegi). Non si può infatti ancora parlare di due distinte classi, quella fondiaria e quella commerciale-burocratica, dato il basso livello di sviluppo dell'organizzazione economica e sociale.

Le conquiste della plebe consistono essenzialmente in:
• 494: istituzione del tribunato della plebe;
• 493: istituzione degli edili, custodi dell'archivio delle delibere plebee;
• 471: istituzione dei concilii della plebe: assemblee plebee divise non per censo (come quelle centuriate di origine monarchica) ma per tribù (ovvero territorialmente) e quindi più democratiche;
• 451: istituzione di un decemvirato (guidato da Appio Claudio) per redigere un codice di leggi comuni a plebei e patrizi (negando così ai secondi il diritto - d'origine arcaica - di interpretare secondo il proprio arbitrio le consuetudini giuridiche); seguita dalla pubblicazione delle dodici tavole, primo codice scritto di Roma;
• 443: istituzione della censura (voluta dai nobili, per bilanciare i vantaggi acquisiti dalla plebe con le tavole delle leggi), al fine di enumerare e registrare i cittadini secondo il loro censo e la loro tribù, e le cui finalità sono essenzialmente tributarie;
• 376: i tribuni Licinio e Lucio Sestio chiedono che uno dei due consoli sia obbligatoriamente plebeo, proposta che dopo pochi anni diverrà legge; istituzione dei pretori, al fine di sgravare i consoli di alcune incombenze amministrative e giudiziarie.
• 300: la legge Ogulnia permette anche ai plebei l'accesso alle massime cariche religiose (come ad esempio il pontificato massimo ...), rompendo così l'antico monopolio patrizio in materia religiosa.

In conclusione, si può dire che gli sviluppi sociali all'interno del mondo romano siano tali in questi anni da favorire l'avanzamento politico dei non-nobili, ma che di tale possibilità usufruiscono principalmente i plebei ricchi, i quali hanno - tra l'altro - più facile accesso alle cariche stesse.

Roma rimane quindi uno stato fondamentalmente 'aristocratico', anche se più in senso censuario (di ricchezza posseduta o acquisita) che non di nascita.

3. I principali eventi politici esterni

a) Passaggio dalla Monarchia alla Repubblica

Motivo contingente alla base del passaggio dall'organizzazione monarchica a quella repubblicana, sarà l'alleanza di Tarquinio il Superbo (l'ultimo sovrano) con la compagine latina, alleanza che determinerà come reazione l'intervento del re di Chiusi (città dominante nell'orbita etrusca), Porsenna. Tale intervento porterà alla caduta della monarchia di Roma e all'instaurazione di un regime repubblicano (al cui vertice verranno posti due consoli, inizialmente chiamati pretori).

Nonostante dopo un tale intervento la città di Roma venga ricompresa nell'orbita dei conquistatori, essa non tarderà molto - anche con l'aiuto del tiranno magno-greco Aristodemo - a riappropriarsi della propria autonomia, rientrando a fare parte dell'orbita latina.
Lo stato romano rimarrà tuttavia di tipo repubblicano.

Nei primi anni della Repubblica, la politica romana oscillerà inoltre tra l'alleanza con i latini (implicante appunto l'emancipazione dal tradizionale giogo etrusco) e quella con gli Etruschi e i Cartaginesi (due potenze sì distinte, ma tradizionalmente alleate in funzione anti-ellenica).

b) Le prime campagne di Roma

Le prime guerre condotte dalla nuova Roma repubblicana sono finalizzate a riaffermare la propria importanza nel seno della Lega latina, e portano (dopo un conflitto conclusosi nel 493) alla stipulazione di un patto con quest'ultima (il foedus Cassianum) largamente favorevole a Roma.

Inizia così per Roma la fase 'espansiva': con l'aiuto delle città-stato latine, di cui si pone a capo, la città difatti si annette nuovi territori, sconfiggendo i Volsci nel 431 (dando inizio inoltre alla pratica della deduzione delle colonie, pratica consistente nel trasferire in veste di coloni alcuni dei propri abitanti - i quali, almeno in questo primo periodo, non necessariamente sono cittadini disagiati - sui territori occupati).

Dopo la sconfitta dei Volsci (popolazione situata a sud della città) è la volta di Veio, città etrusca a nord di Roma.
La guerra contro di essa, si conclude con la distruzione della città, nel 387, e con la prima annessione territoriale di Roma. Per la prima volta i territori conquistati non diventano infatti colonie latine (cioè di tutta la compagine), ma territori esclusivamente romani. E ciò perché Roma ha qui agito da sola, non essendo la guerra contro Veio e contro le città confinanti d'interesse per le altre città che compongono la Lega.

La pratica dell'annessione prenderà d'ora in avanti sempre più piede, trasformando col tempo lo Stato romano nella massima potenza italica, e permettendo ad esso tra l'altro di sciogliere la stessa Lega latina.

Successivi alla conquista dei territori etruschi saranno l'invasione e il saccheggio gallico di Roma del 390.
Da questo tragico episodio la città romana uscirà tuttavia con una nuova alleata, la vicina Cere, col cui aiuto essa riuscirà a frenare l'avanzata gallica (383). Cere invece otterrà in cambio dei legami più stretti con Roma, come ad esempio il diritto di ospitalità.
In questi anni Roma continua dunque a crescere (sia a nord che a sud), tanto sul piano dei territori quanto su quello delle zone d'influenza.

Conclusa la guerra per fermare l'avanzata dei Galli, Roma si scontra con i popoli Sannitici, abitanti delle zone montuose della Campania. Il dominio di questi popoli estremamente violenti e bellicosi sulle aree limitrofe determina da parte dagli abitanti di queste ultime più di una richiesta di aiuto alla potenza romano-latina.
Ma, molto probabilmente, alla base di tale scontro vi sono anche i differenti interessi economici e una notevole diversità culturale.

Roma dunque, rispondendo alle richieste d'aiuto dei Sidicini e di Capua, interviene in difesa delle popolazioni campane dando vita alla prima guerra sannitica (conclusasi nel 341), al termine della quale scioglie - dopo un breve conflitto - la stessa Lega latina, la quale ormai entra apertamente in contrasto con la sua potenza. Roma difatti, che ormai non è più una semplice città ma il centro di un vero e proprio Stato territoriale, non può tollerare di spartire il proprio potere con altre città-stato.
Essa diviene insomma una vera e propria città egemone, mentre i territori latini diventano rispetto a essa delle semplici province.

Alla prima seguono le altre due guerre sannitiche (326-304; 298-290), nel corso delle quali la città di Napoli (Neapolis) nonchè in generale la regione campana entrano a fare parte dell'orbita degli interessi romani.
La politica di alleanza - in funzione anti-servile e anti-democratica - con le elitès locali sarà poi una delle basi dell'insediamento romano in queste regioni. Attraverso tale politica, i romani raggiungeranno infatti in pochi anni un pieno controllo sulle zone precedentemente conquistate, zone nelle quali inoltre essi fonderanno parecchi insediamenti colonici.

c) Lo scontro con le colonie della Magna Grecia

Logica conclusione di queste guerre è infine lo scontro con le città magno-greche del sud d'Italia.
Anche qui è la richiesta d'aiuto di Turi (una città magno-greca governata da un'oligarchia in crisi, in quanto minata dalla presenza di movimenti democratici) la molla che porta alla guerra contro l'intera compagine greca.

Lo stesso sovrano dell'Epiro, Pirro, interverrà in difesa delle città magno-greche, subendo però (dopo un conflitto lungo e logorante) una sconfitta che lo costringerà a tornare in patria (275).
Così, per la prima volta, Roma si farà sentire anche oltre gli angusti confini del mare Adriatico, e la sua fama giungerà fin nei territori della compagine ellenistica, la quale da parte sua riconoscerà finalmente in Roma una grande potenza internazionale!

Ed è in questi anni, molto probabilmente, che Roma inizia una propria attività di monetazione, smettendo di utilizzare per le proprie transazioni commerciali le monete di altri paesi: un altro segno della sua crescente importanza e della sua apertura ad un più ampio orizzonte economico e culturale.

Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014