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12. L'IMPERO
E IL CRISTIANESIMO
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1. introduzione Con la fine della dinastia dei Severi, inizia
per l'Impero romano un periodo di profondissima crisi, dovuta per altro
ai medesimi motivi che erano stati all'origine delle difficoltà
dei precedenti decenni (cioè insicurezza fuori e dentro i confini,
invasioni, esasperata militarizzazione, incremento delle tasse, diminuzione
della produttività, svuotamento delle città e crescita
della proprietà fondiaria, ecc.), motivi per di più ora
notevolmente aggravatisi.
Dopo un primo momento di disorientamento quasi totale (negli anni che
comunemente vengono definiti dell'anarchia militare) vi sarà
un riassetto dell'Impero, per merito soprattutto dei due celebri imperatori
Diocleziano e Costantino, su basi notevolmente rinnovate.
Con essi inizia così una nuova fase (l'ultima) nella vita
dell'Impero, segnata - oltre che da una gestione decisamente diversa
della cosa pubblica rispetto agli anni passati, e rispetto alla stessa
idea di Impero inaugurata da Augusto - anche dall'affermazione a livello
politico e istituzionale del Cristianesimo, di quel movimento
religioso cioè che, nato negli ambienti culturali della Palestina,
si era da subito distinto dalle tradizioni - estremamente settarie e
nazionalistiche - dalle quali era sorto, diffondendosi poi a macchia
d'olio in tutto il Mediterraneo e nello stesso Impero romano.
Il periodo storico che andiamo a analizzare, dunque, si divide in due
distinte fasi: la prima è quella dell'anarchia militare (236-284),
la seconda quella della 'ristrutturazione' della compagine imperiale
ad opera di Diocleziano (284-305) e di Costantino (306-337).
- Motivi di fondo (e elementi di continuità) di tutto il periodo
Nonostante si possa suddividere - molto schematicamente - questo lungo
lasso di tempo, il cui corso va dal 236 al 337 d.C., in due distinti
periodi (cioè il cinquantennio dell'anarchia militare e quello
successivo della ristrutturazione dell'Impero), tra tali periodi sussistono
anche profondi elementi di continuità, elementi di natura decisamente
più sociale e strutturale che politico-istituzionale.
La differenza tra queste due diverse "età" difatti, non risiede
tanto nell'essere poste di fronte a differenti problemi, quanto nel
modo di affrontarli: mentre tendenza dominante del periodo
dell'anarchia militare è il subirli passivamente, il periodo
seguente, segnato appunto da un complessivo riassetto politico e istituzionale,
cercherà di opporre attivamente a essi dei rimedi, nella
consapevolezza che, qualora non vengano risolti, tali problemi finirebbero
per minare la stabilità dell'Impero e risultare fatali per la
sua stessa sopravvivenza.
Vediamo adesso più in dettaglio quali siano gli elementi problematici:
- in primo luogo, come già si è accennato, vi è
un aggravamento ulteriore degli squilibri sociali tra ceti alti
(soprattutto fondiari) e ceti medi e bassi, con la conseguente estensione
della grande proprietà, parallelamente per altro all'aumento
della pressione fiscale (il cui pagamento sempre più spesso
avviene in natura), alla crescita numerica degli eserciti e alle
sempre maggiori difficoltà per il commercio e per i ceti mercantili
e finanziari;
- altro fenomeno sempre più pressante, ma anch'esso non certo
nuovo, è quello della divisione interna tra le legioni dell'esercito
(fenomeno parallelo per altro alle tendenze separatistiche di
molte regioni, sia a ovest, sia a est);
- inoltre, accanto a un tale problema di forze centrifughe - e ovviamente
a esso complementare -, si assiste a una massiccia recrudescenza dei
tentativi di invasione dei popoli barbarici, sia nelle zone occidentali
che in quelle orientali dell'Impero (e, assieme a essi, anche dell'espansionismo
del regno neopersiano).
Una simile situazione, che - come si è già detto - provoca
inizialmente un forte sbandamento in seno all'Impero, e successivamente
un ripensamento delle sue strutture più profonde, si tradurrà
in tre 'tendenze' di fondo compresenti nello Stato romano di questi
anni:
- favorirà l'affermazione dei militari di professione
un po' a tutti i livelli istituzionali - compreso quello supremo -,
ovvero in tutte le cariche dell'Impero (a scapito chiaramente dei ceti
nobiliari e di quelli finanziari, cioè equestri in senso più
classico: i ceti di governo più tradizionali, insomma);
- costringerà i sovrani a dividere sempre più esplicitamente
l'Impero in regioni differenti, ognuna governata più o meno autonomamente
(decisione suggellata con l'instaurazione della famosa Tetrarchia
di Diocleziano);
- e infine indurrà l'Impero, oramai internamente debole e stremato,
a cercare il sostegno e l'alleanza di una nuova forza sociale: la nascente
Chiesa cristiana.
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2.
I cinquant'anni di anarchia militare (236-284)
A. Introduzione
I cento anni che vanno dalla fine del regno di Alessandro alla fine
di quello di Costantino, segnano la sconfitta definitiva dell'idea di
Impero quale era stata concepita da Ottaviano Augusto e dai suoi successori
(compresi Traiano e Adriano), idea che già aveva iniziato a vacillare
con l'esasperata militarizzazione iniziata sotto la reggenza di Settimio
Severo.
Tale idea si basava infatti sul presupposto che l'Impero dovesse fondarsi
sulla collaborazione tra il princeps (capo supremo) e le varie
forze politico-economiche interne (sia su quelle locali - come mostra
l'estensione delle cariche a tutti i provinciali - sia, in generale,
sui ceti più ricchi e influenti: ovvero i nobili e gli equestri).
Ciò ovviamente al fine di migliorare la loro condizione - e assieme
a essa, quella dell'Impero - sul piano politico e economico.
L'esercito, d'altra parte, non era che uno degli strumenti
(per quanto assolutamente essenziale) per l'ottenimento di tale
fine, quello preposto alla sicurezza interna e soprattutto all'espansione
e al mantenimento dei confini.
Ma ora, invece, che le frontiere sono sempre più sovente minacciate
da popolazioni barbariche o da altri nemici, che la ricchezza e la produttività
interne (per vari ordini di ragioni) conoscono una drastica diminuzione,
e che praticamente tutte le energie dello Stato vengono indirizzate
- al fine di mantenere integri i confini - al sostentamento e al potenziamento
delle milizie, sono queste ultime inevitabilmente a dettare legge anche
sul piano istituzionale.
Così i ceti alti, ossia i tradizionali ceti di
governo - nobiliari, latifondistici, finanziari, ecc. - vengono lentamente
espropriati della loro preminenza politica e istituzionale mentre
Roma diventa sempre di più un Impero essenzialmente militare,
quasi interamente monopolizzato, anche a livello di alte cariche, dalle
proprie legioni: in altri termini dai suoi soldati!
Da un'idea 'democratica' d'Impero (seppur in un senso oligarchico
e plutocratico) si passa così a un'idea militaristica,
per la quale le forze produttive e economiche debbono rimanere ai margini
della vita politica, peraltro oramai divenuta fondamentalmente
militare.
Tale trasformazione decreterà inoltre il trionfo di una concezione
dello Stato assolutistica e di stampo orientale, all'interno della quale
quest'ultimo, ponendosi al di sopra degli interessi particolaristici,
finisce anche per agire indipendentemente da essi!
Negli anni trattati in questo articolo - e in special modo nel cinquantennio
dell'anarchia militare - la preminenza degli eserciti non sarà
mai nemmeno messa in discussione.
Il Senato, ad esempio, ricoprirà sempre di più in essi
un ruolo politico secondario, e con lui le classi più ricche
e economicamente influenti.
Sono le legioni ad esempio a decidere di solito quale debba essere l'Imperatore
di turno e con ciò, implicitamente, le operazioni militari da
portare avanti, in quanto 'interessanti' per le loro ambizioni (ambizioni
soprattutto economiche: la guerra infatti porta sempre bottini…)
E sono le divisioni interne agli eserciti locali (occidentali, illirici,
orientali…) a costituire, assieme alle invasioni barbariche, il principale
elemento di destabilizzazione dell'unità dell'Impero.
Ciò che cambierà, da un cinquantennio all'altro, saranno
invece le istituzioni: ancora legate a antichi schemi e quindi anche
più fallibili e imperfette nel primo, rivedute e più efficienti
nel secondo.
Certo, le novità introdotte da Costantino e soprattutto da Diocleziano
conoscono delle 'avvisaglie' nelle scelte di alcuni degli imperatori
precedenti - quali Valeriano, Gallieno o Aureliano -, ma trovano la
loro sistemazione definitiva solo con i primi due.
Possiamo perciò classificare il cinquantennio di anarchia militare
come un momento di transizione, tanto più tumultuoso e
drammatico in quanto profondamente drammatiche sono in esso le condizioni
dell'Impero.
Un altro fenomeno tipico di questi anni, suggellato poi nella divisione
dell'Impero (la Tetrarchia) in quattro regioni messa in atto da Diocleziano,
è la tendenza al separatismo di alcune zone, dovuta chiaramente
all'incapacità del potere centrale di costituire un valido strumento
di difesa per i loro confini.
Anche qui, emerge la profonda crisi della macchina statale, la quale
- nonostante punti tutto sugli eserciti - non è in grado comunque
di gestire le proprie enormi (ma insufficienti) risorse belliche al
fine di difendere l'integrità dei suoi territori.
B. Il cinquantennio dell'anarchia militare
a) Piano degli imperatori (in grassetto
quelli più importanti):
C. Giulio
Massimino
[235-238]
---------------------------------------
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Imperatori proclamati dal senato :
[238]
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Gordiano I (e Gordiano II)
|
M. Clodio Pupieno Massimo e D. Clelio Balbino
----------------------------------
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Gordiano III (e il prefetto del pretorio Temesiteo)
[238-244]
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M. Giunio Filippo
[245-249]
|
C. Messio Decio
[249-251]
|
C. Treboniano Gallo
[251-253]
|
M. Emiliano Emilio
[253]
|
P. Licinio Valeriano [253-260] e
suo figlio P. Licinio Egnazio Gallieno [253-268]
[253-268]
---------------------------------------------
|
|
Imperatori autoproclamatisi
|
Ingenuo
|
Regiliano
|
VARI SEPARATISMI LOCALI
|
Macriano [Oriente]
|
Postumo [Occidente]
-----------------------------------------------
M. Aurelio Claudio
[268-270]
|
L. Domizio Aureliano
[270-275]
|
M. Claudio Tacito
[275-276]
|
M. Aurelio Probo
[276-282]
|
M. Aurelio Caro (e i figli Carino e Numeriano)
[283-283]
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DIOCLEZIANO
[dal 284]
---------------------------------------------------------------------------
b) Principali eventi del cinquantennio
di anarchia militare
Massimino e le rivolte anti-imperiali
Primo imperatore dopo la morte di Alessandro (236) è Massimino,
soldato di umilissime origini proveniente dalla Tracia (si crede addirittura
che egli provenisse da una famiglia 'dediticia', di quelle cioè
cui pur dopo l'editto di Caracalla del 212 non era stata riconosciuta
la cittadinanza romana).
Il fatto che un uomo non nobile, la cui carriera è interamente
legata all'esercito (avendo egli con ogni probabilità iniziato
dai ranghi più bassi), abbia potuto divenire il capo supremo
dell'Impero, la dice lunga su quali siano in esso le nuove tendenze
politiche: è oramai chiaro infatti che il potere reale è
detenuto sempre di più dai sodati, anziché dai nobili
senatori o dai ricchi finanzieri (come, per lo più, è
avvenuto fino al tempo di Traiano e Antonio Pio).
Anche il regno di Massimino avrà - come molti tra quelli che
l'hanno preceduto e che lo seguiranno - breve durata, giusto il tempo
di portare a termine la guerra, proditoriamente interrotta dal suo predecessore,
contro i popoli Germanici sul fronte danubiano.
Gli anni del suo principato si distinguono inoltre per alcuni episodi
di ribellione interna, segno delle tendenze disgregatrici dell'Impero:
nel 238 le province africane (da sempre un "feudo" dei nobili e dei
senatori) in rivolta contro la politica fiscale di Massimino, volta
in massima parte a compiacere l'esercito, ma per loro estremamente penalizzante,
eleggono a nuovo imperatore Gordiano I (cui questi associa il figlio,
Gordiano II).
E dopo che questi, dopo soli pochi mesi, viene sconfitto e ucciso da
uomini fedeli a Massimino, il Senato a sua volta eleggerà altri
due imperatori (due, come i consoli), Pupieno e Balbino, con l'appoggio
per altro dell'esercito del pretorio. Sarà quest'ultimo a affrontare
e sconfiggere Massimino e a instaurare un nuovo princeps: Gordiano III.
Gli anni dei tradimenti
Poco dopo essere stato eletto imperatore con l'approvazione del Senato
dall'esercito dei pretoriani (238), il giovanissimo Gordiano III - al
quale si affianca come tutore e consigliere il prefetto del pretorio
Temesiteo - decide di affrontare l'Impero Neo-persiano (ovvero
l'antico Regno dei Parti, ora rinato sotto una nuova dinastia, quella
Sasanide) alla cui testa si pone Sapore I.
Nel corso dell'impresa tuttavia, Temesiteo verrà a morte e sarà
perciò sostituito da un nuovo prefetto, M. Giunio Filippo (che
passerà alla storia come Filippo l'Arabo), il quale tradirà
il principe e ne prenderà il posto (244).
Filippo stripulerà una pace con i Persiani, affrettandosi a raggiungere
poi i confini settentrionali della Dacia, per combattere i tentativi
di invasione dei Carpi.
Anche lui verrà tradito e ucciso (249) da colui che ne diverrà
il successore, ovvero da C. Messio Decio, il comandante
delle legioni stanziate in Pannonia.
Quello di Decio sarà un regno particolarmente breve (di soli
due anni), e tuttavia significativo: si distinguerà infatti per
persecuzioni contro i cristiani particolarmente severe e spietate. Le
ragioni di tale scelta sono fondamentalmente di due tipi: da una parte
vi è l'ormai cronica deficienza di fondi dello Stato; dall'altra,
invece, vi è una politica di rafforzamento dell'autorità
imperiale attraverso il culto dell'Imperatore, collante fondamentale
(almeno nelle intenzioni di Decio) di un Impero che mostra sempre più
chiari segni di disfacimento.
Col tempo infatti le comunità cristiane si sono fatte sempre
più potenti (sia socialmente che economicamente). Come tali esse
costituiscono un problema con cui lo Stato deve fare i conti:
per tale ragione i decenni immediatamente precedenti alla definitiva
riappacificazione tra Stato e Chiesa, sono anche quelli in cui, se da
un lato l'autorità adotta spesso un atteggiamento molto tollerante
verso di esse, dall'altro e in altri casi si assiste a delle vere e
proprie recrudescenze di intolleranza, anche più violente di
quelle che si sono avute nei periodi precedenti.
Di questa seconda tendenza è espressione l'editto promulgato
da Decio nel 250, che costringe tutti i capi famiglia a dichiarare la
propria fede religiosa e, soprattutto, ad attestare l'avvenuto adempimento
dei sacrifici agli dei della tradizione pagana (tra i quali compare
ora anche la divinità imperiale). Le pene per i trasgressori
sono, chiaramente, molto severe (tra di esse vi sono la morte e la confisca
dei beni), ciò che crea un grande sconcerto e un notevole sbandamento
all'interno delle comunità cristiane - contro le quali peraltro
è in realtà indirizzato tale editto.
Si tratta insomma, di un vero e proprio "braccio di ferro" tra Stato
e Chiesa che, come si è detto, prelude alla loro riunificazione
nei decenni seguenti!
La morte di Decio si colloca nell'anno successivo, il 251, e avviene
mentre questi combatte contro i Goti in Mesia, a causa del tradimento
del comandante in carica delle truppe di quella regione, Treboniano
Gallo, suo successore.
Anche questi poi morirà (solo due anni dopo), mentre combatte
in quelle zone, per un analogo tradimento da parte del suo luogotenete,
Emiliano, il quale resterà in carica però solo per tre
mesi, al termine dei quali l'esercito porrà fine al suo mandato.
Valeriano e Gallieno
Nel 253 giunge al potere P. Licio Valeriano, l'uomo a cui Decio
aveva affidato la gestione finanziaria dell'Impero (vir consularis),
al fine molto probabilmente di potersi occupare più intensamente
delle questioni difensive e militari.
Senatore, particolarmente legato perciò agli antichi valori della
tradizione patria (anche lui difatti, come Decio, porterà avanti
soprattutto negli ultimi anni del proprio principato una politica piuttosto
rigida nei confronti delle comunità cristiane), Valeriano dimostra
di essere sinceramente preoccupato per le sorti dell'Impero, e seriamente
intenzionato a ristabilire l'ordine.
Il suo passerà alla storia come il primo principato romano in
cui, da implicita, la scelta di dividere l'Impero in due regioni indipendenti
è divenuta esplicita.
Appena giunto a Roma difatti, Valeriano affida al figlio Gallieno
il titolo di Augusto (in pratica la coreggenza) assieme alla parte occidentale
dell'Impero, spingendosi invece lui in oriente, funestato in quegli
anni sia dalle invasioni dei Goti in Asia minore, che dagli attacchi
del Re neopersiano Sapore nell'estremo est.
E' chiaro come tale scelta 'bi-regionale' trovi le sue ragioni nell'impossibilità,
oramai evidente, di gestire un territorio tanto vasto come quello di
Roma - e i cui confini per di più sono bersaglio da tutte le
parti delle incursioni di popoli ostili - attraverso un capo unico.
[Come attestano anche le molteplici spinte separatiste e indipendentiste,
sia nelle regioni asiatiche che in quelle occidentali].
Dopo aver sconfitto i Goti, Valeriano inizierà così una
guerra contro il regno Persiano, nel corso della quale cadrà
prigioniero del re Sapore, trovando la morte lo stesso anno (260), e
lasciando così a suo figlio la reggenza di tutto l'Impero.
Negli anni precedenti la cattura di suo padre, Gallieno ha dovuto affrontare
e sconfiggere non solo gli Alamanni e i Franchi (rispettivamente nelle
zone danubiane e in quelle retiche) ma anche arginare le incursioni
di un nuovo popolo, quello Sassone, e reprimere i tentativi di insurrezione
di due aspiranti al titolo imperiale, Ingenuo e Regiliano.
E anche se ufficialmente, dopo la scomparsa di Valeriano, egli
rimane il solo reggente della compagine imperiale (tornando così
quest'ultima alla situazione precedente la divisione tra Occidente e
Oriente) la sua è, in realtà, una supremazia più
teorica che reale, dal momento che tanto a ovest quanto a est si sono
formati dei regni che dichiarano la propria indipendenza da Roma.
Nelle zone occidentali è nato difatti quello che si autodefinisce
il "Regnum Gallicum", alla cui testa si pone un certo Postumo (e la
cui esistenza peraltro si prolungherà ben oltre il principato
di Gallieno); in quelle orientali invece - dopo la scomparsa del reggente
ufficiale - un certo Macriano, ufficiale dell'esercito di Valeriano
che si è posto alla giuda delle truppe superstiti, ha preso in
mano la situazione.
Entrambe queste manifestazioni di indipendentismo derivano, in massima
parte, dalla sensazione di lontananza del potere centrale e dall'esigenza
quindi di provvedere con mezzi propri alla difesa. (Non a caso, il Regnum
Gallicum sarà un eccellente baluardo nei confronti dei tentativi
di penetrazione dei popoli barbari nell'area occidentale.)
Per arginare le spinte autonomiste delle zone orientali, Gallieno cerca
allora l'alleanza di Odenato, un nobile di Palmira, città
carovaniera estremamente ricca e potente (punto di snodo per i traffici
tra l'Impero e le zone interne dell'Asia) dotata di un forte esercito.
Per ottenere l'alleanza di Odenato Gallieno promette a quest'ultimo
vari privilegi, ad esempio una specie di sovranità sulle zone
orientali (egli verrà così eletto Dux Orientis)
e la riscossione di dazi doganali sulle merci in transito nei suoi territori.
Tale compromesso avrà buon esito, ma favorirà anche la
nascita (seppure non ufficiale) di una potenza autonoma rispetto al
dominio di Roma, la quale finirà per creare all'Impero problemi
analoghi a quelli creati da Macriano.
Gallieno tuttavia non dimostra la propria indefessa volontà di
tutelare l'integrità dell'Impero soltanto con imprese militari
di grande respiro, ma anche attraverso alcune innovazioni apportate
agli apparati militari e istituzionali dello Stato, innovazioni per
altro in gran parte riprese dai suoi successori.
Certo, nei suoi anni l'Impero conosce - sia a est che a ovest - un frazionamento
fino ad allora sconosciuto, ma ciò è dovuto soprattutto
all'esplosione degli attacchi dei diversi nemici su tutti i confini,
attacchi così serrati da sembrare addirittura frutto di una concertazione.
Come si è detto, le innovazioni di Gallieno riguardano principalmente
l'organizzazione dell'esercito e quella delle cariche amministrative
nelle province.
Quanto alle milizie, egli istituisce dei reparti mobili, non
legati cioè a insediamenti fissi, ma capaci di muoversi liberamente
attraverso l'Impero, laddove vi sia bisogno di difese. [L'Imperatore
stesso, del resto, è sempre meno legato anche fisicamente alla
capitale e sempre più occupato a viaggiare attraverso i suoi
territori.]
In merito all'amministrazione delle province invece, decide di reclutarne
i prefetti militari non più solo tra i senatori (cui tradizionalmente
esse erano affidate), ma anche tra i centurioni - in altre parole,
anche tra uomini di origini umili che abbiano seguito la carriera militare.
Uomo di ampie vedute, legato in amicizia al filosofo Plotino, egli abbandona
la pratica delle persecuzioni contro le comunità cristiane, tornando
a assumere un atteggiamento tollerante nei confronti di queste ultime.
Morirà nel 268 per una congiura militare ordita da alcuni ufficiali
illirici (tra cui compaiono i due futuri imperatori: Claudio e Aureliano).
Con lui Roma perderà non solo un grande generale, ma anche un
grande imperatore.
Il periodo di Claudio e Aureliano
Dopo la morte di Gallieno (268), sale di nuovo al potere un militare,
M. Aurelio Claudio, proveniente dalle zone illiriche.
Questi si impegna da subito nell'arginare le incursioni gotiche nei
territori balcanici, in cui tali popoli scorrazzano liberamente, alla
ricerca di una sistemazione stabile. Sono queste ultime, delle guerre
sanguinosissime che si concludono con la vittoria dell'esercito romano,
ma anche con l'inserimento dei Goti superstiti sul suolo imperiale (secondo
la pratica, oramai sempre più diffusa, di integrazione delle
popolazioni barbariche, sia negli eserciti che sul territorio). Dopo
questa impresa, Claudio verrà ricordato inoltre come il 'Gotico'.
Ma anche i due domini indipendenti, quello gallico e quello palmirense,
subiscono in questi anni dei cambiamenti, con la morte di Postumo nel
primo e di Odenato nel secondo, e il passaggio dei poteri rispettivamente
nelle mani di Pio Tetrico e di Zenobia.
Entrambi questi stati autonomi (per altro perfettamente organizzati,
dotati ad esempio di un loro governo, di un loro senato, e anche - a
volte - di una propria moneta) costituiscono per l'Impero una vera e
propria spina nel fianco, sia dal punto di vista del prestigio che da
quello della solidità politica e territoriale. E per tale ragione
Aureliano, il successore di Claudio, non tarderà a sbarazzarsene.
Salito al potere nel 270, L. Domizio Aureliano inizia
infatti subito un'opera di riorganizzazione dell'Impero, per la quale
passerà alla storia come il "Restitutor Orbis" (ovvero
come colui che ha ridato al mondo la sua 'giusta forma').
Le sue prime imprese lo portano nelle zone balcaniche e danubiane, nelle
quali egli combatte prima contro i Vandali, insediatisi in Pannonia,
e in seguito decide - prendendo per altro una decisione storica -
il ritiro delle truppe romane dalla Dacia, regione che ormai
procura all'Impero molti più guai che vantaggi, non fornendo
più a esso un riparo naturale dalle invasioni barbariche.
Al termine di queste campagne egli si sposta nelle zone orientali, con
l'obiettivo di riconquistare i territori che il neonato Regno palmirense
ha sottratto a Roma (tra essi compare anche l'Egitto). Tra 271 e 273,
riuscirà a riconquistare tali territori e a sconfiggere la potenza
nemica, coronando la riconquista con la distruzione completa della città
di Palmira, e acquisendo così il titolo di "Restitutor Orientis".
Tornato in Occidente, Aureliano si cimenta infine nell'ultima grande
guerra, quella contro il Regno gallico, sconfiggendo Pio Tetrico e acquisendo
un nuovo titolo onorifico, quello di "Restitutor Orbis".
Ma i meriti di questo imperatore non riguardano soltanto la riconquista
di quei territori che erano precedentemente andati perduti. Egli è
anche un riformatore religioso, instaura difatti in Roma il culto di
Mitra - ovvero il culto solare - proclamando il proprio potere
derivante direttamente da tale divinità e dichiarando i senatori
semplici ministri di tale religione (è il trionfo insomma,
di quella concezione dello Stato di impronta orientale, che vuole emancipare
il Princeps da qualsiasi condizionamento politico e da qualsiasi limitazione
esterna, compresa quella - più tradizionale - del Senato!)
Ma la sua azione va al di là anche del campo religioso,
riguardando tra l'altro la monetazione (egli vara difatti due
nuove monete, il nuovo antoniano e il sesterzio, che forniscono soprattutto
al popolo nuovo potere d'acquisto, dopo la svalutazione della moneta
tradizionale); portando avanti una politica di ricambio dei ceti di
governo tradizionali (soprattutto nobili e senatori) in favore dei militari;
e trasformando i 'collegia' - ovvero le associazioni di mestiere - da
volontarie in obbligatorie, al fine soprattutto di costringere i membri
di esse a corveè e a prestazioni di lavoro gratuite in favore
della comunità (secondo una modalità, i cui inizi si collocano
peraltro sotto il principato di Settimio Severo, che prevede una penetrazione
dell'autorità imperiale e statale nelle fibre più profonde
della società).
Altra celebre iniziativa di Aureliano è la costruzione delle
mura che circondano la città di Roma (mura aureliane),
mute testimoni della paura e dell'insicurezza che attanagliano in questi
anni anche la capitale.
Dopo la sua morte, il potere passerà - prima dell'elezione di
Diocleziano - ad altri tre imperatori: M. Claudio Tacito (il quale si
dichiara imparentato alla lontana con il più celebre scrittore
e storico), M. Aurelio Probo e M. Aurelio Caro.
Tutti fondamentalmente insignificanti, essi si impegneranno, come del
resto i loro predecessori, nell'arginare il dilagare dei nemici alle
frontiere, sia quelle occidentali che quelle orientali.
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3. L'Impero sotto Diocleziano
(284-305)
A. Le ragioni della scelta tetrarchica
I cinquant'anni di anarchia militare hanno dimostrato a tutti come il
principale nemico dell'ordine interno e della stabilità politica
dell'Impero sia costituito - oramai - dagli eserciti.
Dotati di grande autorità, in quanto divenuti mezzi indispensabili
per la sopravvivenza stessa di Roma, attraverso la salvaguardia dei
confini dai nemici esterni, essi però sempre più spesso
sono all'origine di rivolte e di disordini che minano l'autorità
del potere centrale, ovvero in sostanza dell'Imperatore, giungendo alle
volte a proclamare l'indipendenza delle zone su cui sono insediati.
Ai nemici esterni (i Barbari e i Persiani) si sommano dunque
anche quelli interni - tra cui vi sono appunto, in primo luogo,
le milizie.
Inevitabilmente, priorità assoluta per lo Stato diviene quella
di riacquistare un pieno controllo su tutto il territorio dell'Impero.
Già alcuni imperatori come Aureliano, Gallieno e Valeriano avevano
dimostrato - con le loro scelte - di aver compreso chiaramente tale
problema.
Sarà tuttavia Diocleziano a porre in essere una vera, radicale
ristrutturazione dell'Impero, che costituirà peraltro
il coronamento delle iniziative di riforma cui, nei decenni precedenti,
i suoi predecessori avevano dato vita.
Tale riassetto ruoterà attorno al principio secondo cui, per
mantenere l'ordine e il controllo delle province (Italia compresa),
è necessario ridurre drasticamente la distanza tra le
maggiori autorità imperiali e i poteri particolaristici e locali
costituiti dalle truppe. Ciò, ovviamente, al fine di render più
difficile a queste ultime l'attribuirsi dei poteri che oltrepassino
le proprie effettive competenze, e intraprendere azioni contrarie all'autorità
del princeps.
Ma per ottenere un tale obiettivo non vi è, allo stato attuale,
che una via: quella di frazionare l'autorità somma dell'Imperatore
in una pluralità di poteri, capaci (seguendo un fine comune
e concertato) di porre in atto un'opera di mantenimento della compagine
imperiale, impedendone la divisione in sotto-stati e soprattutto in
stati indipendenti.
"Moltiplicando" gli imperatori infatti, Diocleziano ottiene un controllo
- seppur fragile e precario - della situazione politica, determinando
così un'ultima ripresa di vitalità dell'Impero.
Per favorire e rendere possibile, pur tra tante spinte separatistiche,
un tale predominio politico, è indispensabile poi cercare di
assoggettare anche psicologicamente e moralmente i soldati, nonchè
- in generale - i sudditi dell'Impero, rendendo quindi più difficile
ad alcuno il sostituirsi all'Imperatore (o meglio, agli Imperatori)
e in generale alle autorità statali.
Anche in questo frangente, non è possibile che un solo escamotage,
che consiste in sostanza: nell'aumentare il prestigio pubblico dell'Imperatore/i
obbligando i sudditi a prosternarsi e ad adorarlo/i; nell'affermare
- come già molti hanno fatto - l'origine divina e trascendente
di tale potere; e nel circondarsi di un fasto e di uno sfarzo fino a
allora estranei alle tradizioni politiche e culturali occidentali e
romane. Una trasformazione in senso orientale, insomma, un dispotismo
politico di stampo asiatico, che appare come l'unico mezzo rimasto per
conservare e rafforzare la precaria situazione di dominio che lo Stato
ancora conserva sui poteri particolaristici (miliari, ma anche fondiari)
a esso ostili.
E' facile capire come tali soluzioni non siano affatto 'definitive',
dal momento che non possono in alcun modo modificare la condizione di
fatto dell'Impero, bensì soltanto cercare di contenerne gli effetti
più distruttivi.
Non a caso, dopo l'abdicazione di Diocleziano - e quella a essa contemporanea
del suo 'socio' Massimiano -, l'Impero piomberà nuovamente in
una situazione di divisione interna e di guerre civili per il potere!
B. Le campagne contro i nemici esterni e interni
Sin dall'inizio del suo mandato, risulta chiara al nuovo imperatore
l'impossibilità di reggere da solo l'intera compagine degli stati
che rientrano formalmente sotto il dominio di Roma. Come vedremo infatti,
i problemi cui egli sin dai primi anni deve dare una risposta, oltrepassano
di gran lunga le capacità di un unico - per quanto abile - condottiero.
Ad esempio, egli dovrebbe misurarsi con Carino, uno dei figli
di Caro - il precedente imperatore - e arginare contemporaneamente in
Gallia le rivolte dei contadini Bagaudi (ovvero di fasce della
popolazione gallica allo stremo della sopravvivenza, a causa della povertà
dilagante nelle campagne).
Una delle prime decisioni prese da Diocleziano è quindi quella
di incoronare Cesare un altro condottiero, un certo Massimiano
- anch'egli come lui di origini illiriche, nonchè come lui uomo
di umili natali - per avere avuto il merito di sedare tali rivolte.
Oltre alla guerra contro Carino poi, Diocleziano dovrà portare
avanti, sempre coadiuvato da Massimiano, alcune campagne nelle zone
danubiane contro i Sarmati, in quelle retiche contro i Franchi, ecc.
Ma la situazione ormai si dimostra tale da non consentire più
una gestione adeguata dell'Impero nemmeno con il lavoro coordinato di
due principi, richiedendo perciò un'ulteriore frazionamento del
potere imperiale.
Per tale ragione, nel 290 Massimiano e Diocleziano optano per
una soluzione ancora sconosciuta alla storia di Roma, la scelta tetrarchica,
dividendo ulteriormente i loro poteri con l'elezione ciascuno di un
proprio "vice". Ne risulta così uno Stato retto contemporaneamente
da due Augusti (dei quali Diocleziano si pone come quello superiore)
e da due Cesari, nelle persone di Galerio (vice di Diocleziano)
e di Costanzo Cloro (vice di Massimiano).
Sebbene poi tale divisione non implichi ufficialmente una spartizione
dei territori imperiali, Galerio e Massimiano governeranno principalmente
sulle regioni a est e su quelle danubiane, mentre gli altri due si occuperanno
essenzialmente di quelle occidentali.
Uno dei problemi più gravi con i quali l'Impero, nella persona
di Cloro, deve scontrarsi, è la ribellione di un certo Carausio
- ufficiale romano - al dominio di Roma, con la costituzione di un regno
autonomo che va dalla Britannia alla Gallia settentrionale.
Tale questione, iniziata nel 286, si concluderà soltanto nel
296 con la sconfitta degli avversari (sconfitta causata anche da lotte
intestine sul fronte britannico) e con la presa di Londra da parte di
Costanzo Cloro e il ripristino dell'autorità imperiale.
Diocleziano e Galerio riusciranno invece, sul fronte orientale, a contenere
le spinte dei popoli barbarici sul fronte danubiano e quelle dei Persiani
(guidati da un nuovo imperatore, Narsete) sull'estremo confine orientale.
E' da notare che, al termine di questa seconda guerra, i confini e le
influenze politiche dei Romani in tale area torneranno a essere ancora
quelle dei tempi migliori, cioè all'incirca quelle del periodo
traianeo.
Un'altra impresa di Diocleziano in questi anni è la sconfitta
di Achilleo, un generale che - barricatosi nella città di Alessandria
- si è fatto promotore e interprete delle istanze indipendentiste
(molto antiche) dell'Egitto.
Questi i risultati più eclatanti, da un punto di vista bellico,
non solo della scelta di dividere l'Impero, ma anche dell'abilità
di Diocleziano nel dirigere le azioni belliche e nell'eleggere i propri
collaboratori.
Assieme a tali successi - e da essi resi possibili - riscontriamo inoltre
un fenomeno generale di rafforzamento dei confini e delle milizie, e
un riassesto generale di molte delle vie di transito, sia di quelle
marittime sia di quelle sulla terra ferma.
C. Le riforme amministrative dell'Impero
Abbiamo già parlato del tipo di organizzazione instaurata da
Diocleziano. Possiamo ora schematizzarla come segue:Diocleziano: zone ad
est | <-----
due Augusti ----->
| Massimiano: zone sud-occidentali
Galerio: zone danubiane
| <-- ...e
due Cesari -->
| Cloro: zone nord-occidentali
Dal momento che, come si è già
detto, Diocleziano rimane istituzionalmente l'Imperatore più importante,
anche nei confronti del suo collega Massimiano, l'Impero - pur diviso
al proprio interno - si può considerare ancora (almeno in un certo
grado) una costruzione politica unitaria.
A ciò, poi, si aggiunga il carisma personale dell'Imperatore e
la sua abilità nello scegliere dei collaboratori che condividano
con lui una comune visione dell'Impero. Si avranno così le ragioni
dell'effettiva solidità di quest'ultimo negli anni di Diocleziano.
La scelta tetrarchica però non trae origine solo dall'esigenza
di controllo e difesa dei vastissimi territori imperiali, ma anche dal
fatto di offrire - almeno sulla carta - la possibilità di appianare
un problema molto antico e pressante, causa da sempre di tanti dissidi,
quello della successione.
Il meccanismo istituito da Diocleziano vorrebbe difatti che, dopo la morte
o con l'uscita di scena dei due Augusti, i due Cesari prendessero il loro
posto, designando al tempo stesso i loro successori.
[E, come vedremo più avanti, sarà proprio questo secondo
punto, quello della designazione dei Cesari, l'anello più debole
della catena, che determinerà l'inizio di nuove lotte per il potere].
A livello di amministrazione territoriale, Diocleziano - nel segno di
una sempre maggiore razionalizzazione nella gestione dei territori imperiali
- porta fino a cento le province dell'Impero, e divide quest'ultimo
in dodici diocesi, ognuna governata da un proprio vicario imperiale,
alle dipendenze di uno degli oramai due prefetti del pretorio.
Quanto agli eserciti, negli anni della tetrarchia essi vengono rafforzati
ulteriormente, sia con l'aumento complessivo dei soldati, sia con quello
dei contingenti mobili di cavalleria e fanteria - i quali, oltre
a tutto, hanno il vantaggio di essere controllati direttamente dagli Imperatori
e dai Cesari, e di non dipendere quindi dai capi militari locali (garanzia
di indipendenza da eventuali cattive influenze…)
Il Senato invece, espressione - come noto - di una classe fondiaria e
nobiliare sempre più influente a livello locale, vede ridimensionarsi
a livello statale il proprio ruolo politico, divenendo un'istituzione
essenzialmente giudiziaria e perdendo molte delle sue antiche prerogative
(come ad esempio quella dell'elezione dei consoli).
Di contro, è il "Consilium principis" (organo privato dell'Imperatore)
che tende a sostituirsi a esso nelle questioni politiche.
Altre riforme importanti di questi anni sono: la riforma monetaria
(con la nascita di una nuova moneta); la riforma tributaria (basata
su una più rigorosa valutazione della proprietà dei singoli
cittadini, con l'invenzione di nuove unità di misura del 'reddito'
procapite; e sulla fine del privilegio italico di esenzione dalle tasse);
i vari interventi statali per fissare i prezzi (con pene severissime
per i trasgressori) e contenere in tal modo il fenomeno inflattivo; l'inizio
della pratica di vincolamento delle persone alle attività
tradizionalmente svolte dalla propria famiglia (la nascita in pratica
delle caste professionali chiuse, dovuta alla tendenza, diffusa sia tra
i cittadini medi che tra i piccoli agricoltori, a cercare rifugio nelle
grandi proprietà e a fare propria la scelta del colonato, che offre
loro maggiori garanzie di sopravvivenza, privando però lo Stato
del loro contributo fiscale).
D. Il conflitto tra lo Stato e il Cristianesimo
Cresce, in questi anni, il divario tra lo Stato (sempre più invasivo
nei confronti dei cittadini, e sempre più limitante delle loro
libertà personali) e quel tipo di sensibilità che ruota
attorno al concetto del valore della personalità umana e alla speranza
di una sua liberazione dai vincoli sensibili, idee la cui diffusione è
testimoniata tra l'altro dal consenso ottenuto dal messaggio cristiano
un po’ a tutti i livelli e tra tutti gli strati sociali.
Stato e chiesa, quindi, si fronteggiano come due opposte concezioni dell'uomo
e della vita (nonché, implicitamente, della società) entrando
drasticamente in conflitto tra loro.
Tale fenomeno sarà alla base di un nuovo periodo di persecuzioni
religiose, inaugurato nel 297 con un editto di Diocleziano ai danni delle
comunità manichee (un culto di origine persiana) e proseguito con
un altro editto del 303, ai danni questa volta delle comunità
cristiane.
Alcuni storici, inoltre, attribuiscono la responsabilità di questi
provvedimenti all'influenza esercitata sull'Imperatore dal suo 'vice'
Galerio. E' certo, in ogni caso, che tali decreti siano stati attuati
in modo molto più rigoroso nelle zone orientali dell'Impero,
che in quelle occidentali.
E. Conclusioni
Gli anni del consolato di Diocleziano costituiscono indubbiamente per
l'Impero un momento, per quanto effimero, di ripresa.
Merito fondamentale di Diocleziano è senza dubbio l'aver rinnovato
l'Impero sul piano amministrativo, rafforzando lo Stato e la sua autorità
sul territorio, e ponendo un argine sia ai moti indipendentisti sia ai
sempre più diffusi tentativi d'invasione; dall'altro lato tuttavia
il suo intervento non ha affatto mutato (né poteva farlo)
la situazione reale, sociale e culturale, dell'Impero.
L'azione di Diocleziano, dunque, è stata fondamentalmente un'azione
di tipo repressivo, con tutti i limiti che ne conseguono.
D'altra parte, gran parte dell'efficacia dei suoi provvedimenti deriva
in realtà - più che dalla costruzione politica in sé
- dal carisma personale dell'Imperatore e dalla sua abilità nel
porre in atto i propri progetti di rinnovamento.
|
4. Costantino e la 'conversione'
dell'Impero (305-337)
A. La lunga lotta per il potere (305-324)- I principali personaggi
della lotta per il potere imperiale -
- DIOCLEZIANO
Augusto orientale (->305;+
313)
- MASSIMIANO Augusto occidentale
(->305;+ 310)
------------------------------------------------------------------------
-- GALERIO Cesare orientale
(->305); in seguito Augusto orientale (+
311)
-- COSTANZO CLORO Cesare occidentale
(->305); in seguito Augusto occidentale (+
306)
-----------------------------------------------------------------------
- MASSENZIO Figlio
di Massimino (escluso dalla successione); poi Augusto occidentale non
riconosciuto (+
312)
- COSTANTINO Figlio
di Costanzo Cloro (escluso dalla successione); poi Cesare occidentale;
infine Imperatore unico (+
337)
---------------------------------------------------------------------
-- SEVERO Cesare occidentale;
poi Augusto occidentale (+
308)
-- MASSIMINO DAIA Cesare orientale
(+
313)
-- LICINIO Alla morte di Severo
(308), viene eletto Augusto per le zone occidentali da
Diocleziano (->324 ;+
325)
Nel 305, allo scadere cioè
dei vent'anni del proprio principato, Diocleziano stabilisce (in linea
con le decisioni prese all'inizio della Tetrarchia) di abdicare e porre
fine alla propria reggenza, convincendo il suo socio Massimiano (seppur
con difficoltà) a fare lo stesso.
Tale decisione è da ascriversi con ogni probabilità, oltre
che alla stanchezza senile di Diocleziano, anche al bisogno di mettere
alla prova la resistenza e la solidità della costruzione tetrarchica.
Come sappiamo, tale "prova" si concluderà negativamente, e già
nei primi anni dopo l'abdicazione dei due vecchi Augusti sarà
visibile a tutti l'impossibilità per i vari contendenti (tra
i quali compaiono anche i due 'Cesari mancati': il figlio di Cloro e
quello di Massimiano) di mettersi d'accordo sulla distribuzione delle
cariche.
Da questa situazione deriverà una nuova divisione dell'Impero
in regioni indipendenti, ognuna comandata da un proprio capo e in guerra
(più o meno esplicitamente) con tutte le altre. Tale condizione
di competizione generalizzata avrà termine soltanto con la vittoria
finale di uno di essi, cioè di Costantino, e con il ritorno
alla soluzione imperiale classica, che prevede un unico capo supremo.
Ma la storia di questi anni ci porta una volta di più a fare
una considerazione. Il fatto che la Tetrarchia (pur 'moribonda' già
nei primi anni dopo il 305) venga costantemente rispolverata e chiamata
in causa nei decenni seguenti, ogni qual volta ciò serva a conferire
una parvenza di legittimità ai precari equilibri stabilitisi
tra i competitori, assieme al fatto della disgregazione pressoché
immediata dell'Impero subito dopo l'abdicazione dei due anziani Augusti,
dimostrano bene come l'anima più profonda della Tetrarchia si
identificasse in realtà proprio con Diocleziano, il quale col
suo impegno e la sua volontà ferrea aveva impedito che essa degenerasse
e scadesse in poteri meramente particolaristici di tipo militare.
Non è dunque un caso che, poco dopo la sua uscita dalla scena
politica, ciò avvenga puntualmente.
- Eventi principali tra il 305 e il 324
Qui di seguito si cercherà di descrivere gli eventi salienti
di questa decennale lotta per il potere. [A tale scopo abbiamo inserito,
all'inizio di questo paragrafo, un breve elenco dei personaggi più
eminenti di questa competizione.]
Nel 305, appena avvenuta la proclamazione dei due nuovi Augusti (Galerio
e Cloro) e dei due nuovi Cesari (rispettivamente, Massimino Daia e Severo),
Costantino e Massenzio - ovvero i due aspiranti al trono per diritto
di nascita, in quanto figli di Cloro e di Massimiano - si ritirano l'uno
presso il padre in Britannia, l'altro in Roma (avendo regnato il padre
Massimiano, oramai destituito, sull'Africa e l'Italia).
Nel 306 Costanzo Cloro muore, e lascia così vacante il posto
di Augusto occidentale. Di una tale situazione ovviamente approfitta
subito suo figlio Costantino, facendosi proclamare Augusto dalle truppe
stanziate in Britannia.
Tuttavia Galerio, erede di Diocleziano e quindi capo supremo della Tetrarchia,
si oppone a una simile soluzione innalzando alla carica di Augusto Severo
(insediato fino ad allora nelle zone sud occidentali come Cesare) ed
eleggendo Costantino Cesare occidentale.
Nel 307 scende in campo anche Massenzio, il quale appoggiato dai pretoriani
e richiamando inoltre il padre Massimiano nell'agone politico e militare,
si appropria della corona di Severo ingaggiando contro questi battaglia
e sconfiggendolo.
Dopo la sua cattura e uccisione, Massenzio regna (assieme a Massimino)
sulle zone sud occidentali, pur non essendo tale potere né gradito
né riconosciuto da Galerio.
L'anno successivo Galerio decide perciò di passare all'attacco
e di sfidare Massenzio e Massimiano sul loro stesso terreno. Egli avrà
tuttavia la peggio.
Questo indurrà lo stesso Diocleziano (che, soddisfatto del suo
esilio dorato nel suo palazzo di Spalato, non rimpiange affatto, a differenza
di Massimiano, la vita militare e non ha nessuna intenzione di tornare
a governare) a intervenire, eleggendo contro gli usurpatori un nuovo
Augusto, tale Licinio, cui viene affidato il compito di combattere Massenzio.
Licinio però rinuncerà da subito a combattere i suoi avversari,
accontentandosi di governare su una ristretta zona balcanica.
Ora, tuttavia, anziché quattro, sono cinque i sovrani:
Massenzio governa sull'Europa meridionale (di fatto, se non ufficialmente),
Costantino su quella settentrionale, Licinio sulle regioni della Pannonia,
Galerio sulle restanti zone balcaniche, Daia infine su quelle dell'estremità
orientale.
In seguito a dissapori esplosi tra Massenzio e Massimino, quest'ultimo
verrà costretto a fuggire dall'Italia e cercherà rifugio
presso Costantino, il quale tuttavia lo farà imprigionare e lo
costringerà al suicidio (310).
Nel 311 muore anche Galerio; ma, poco prima di lasciare il mondo,
egli decide (forse per paura della divina collera) di revocare
quegli editti di persecuzione verso i cristiani che lui stesso aveva
promulgati nel 303 e che avevano dato inizio a un nuovo periodo di persecuzioni.
Nel 312 finalmente, dopo un lungo periodo di preparazione, Costantino
ingaggia battaglia contro Massenzio, sconfiggendolo presso il Ponte
Milio e divenendo in tal modo l'unico imperatore delle zone occidentali
- primo passo verso la realizzazione di un progetto più ambizioso:
la conquista anche dei territori orientali.
Nel 313 Costantino tenta un avvicinamento politico a Licinio,
con il matrimonio di quest'ultimo con sua sorella Costanza, e con la
promulgazione comune presso Milano di un editto di tolleranza
religiosa, teso essenzialmente a sospendere ogni ostilità
da parte dello Stato romano nei confronti delle comunità cristiane
(editto che riprende e sviluppa quello, del 311, di Galerio).
Ma questa decisione non è casuale: a partire dalla battaglia
del Ponte Milio infatti, si ha notizia di una conversione di
Costantino al Cristianesimo, un evento che - seppure non meramente politico,
in quanto riguarda anche la sfera delle convinzioni personali dell'Imperatore
- prelude a una nuova alleanza tra lo Stato e la Chiesa cristiana, e
avrà per il futuro dell'Impero conseguenze di enorme portata.
Sempre nel 313 Massimino Daia, reagendo a quella che sente - e non a
torto - come una rottura degli equilibri politici a proprio sfavore,
attacca Licinio.
Sconfitto presso Adrianopoli, egli lascerà così l'Impero
nelle mani di due soli reggenti, Licinio e Costantino appunto.
Data inoltre l'ambizione di quest'ultimo, è certo che una tale
situazione non possa essere considerata definitiva.
Tuttavia, non è negli interessi di nessuno dei due contendenti,
per il momento, combattersi reciprocamente.
Per tale ragione, l'ostilità tra i due sarà rimandata
di qualche anno, e si manifesterà a più riprese nel 316,
nel 319 e nel 324.
Fino al 316, varrà nell'impero una sorta di "pace tetrarchica",
quella nata nel 313 a Milano con l'accordo e il matrimonio tra Costanza
e Licinio Liciniano.
Le ambizioni di Costantino sulle zone orientali però, sono già
manifeste, come si può arguire dai seguenti aspetti della sua
politica: a) prima di tutto la sua linea filo-cristiana, volta
a compiacere le regioni a est e a fare in esse grandi proseliti (si
ricordi che le comunità cristiane d'Oriente sono da sempre meglio
organizzate e più agguerrite di quelle d'Occidente, e per tale
ragione anche più problematiche per lo Stato, quindi anche oggetto
di maggiori vessazioni e maltrattamenti); b) in secondo luogo l'opera
di propaganda dinastica in proprio favore, secondo la quale egli
sarebbe un discendente diretto dell'Imperatore Claudio il Goto, e come
tale avrebbe diritto di governare sull'Impero nella sua interezza!
Nel 316 si ha così la prima avvisaglia dei futuri conflitti tra
i due Augusti. Nel corso di una battaglia Costantino si appropria di
parte dei territori balcanici del suo avversario, volgendo in proprio
favore la situazione.
Ma sarà sul piano della propaganda religiosa che si giocherà
la carta decisiva e finale del conflitto. Costantino difatti accuserà
(ingiustamente!) il proprio nemico di portare avanti una politica persecutoria
nei confronti della Chiesa cristiana, e si proporrà così
come difensore dei cristiani orientali.
La guerra vera e propria poi scoppierà nel 323, concludendosi
l'anno seguente. Pretesto di essa, sarà un'intromissione momentanea
di Costantino nei territori di Licinio a fini puramente difensivi (egli
infatti sta combattendo una guerra contro i Goti).
Nel 324 infine, Licinio subirà la sconfitta definitiva presso
Crisopoli, e verrà costretto dal vincitore a ritirarsi a vita
privata, per poi essere assassinato l'anno seguente.
In questo modo, Costantino diviene Imperatore unico di Roma e può
dare inizio a una nuova fase della sua storia: l'ultima, quella cristiana.
B. Costantino e la Chiesa
Al di là degli aneddoti e delle leggende sulla conversione dell'Imperatore
(la quale pare sia avvenuta, se non alla vigilia, quantomeno nel periodo
della guerra contro Massenzio), al di là del problema posto dalla
sincerità di tale vocazione religiosa (che oggi si tende a non
escludere, anche data l'indole emotiva e superstiziosa di Costatino),
è comunque un fatto indiscutibile che scegliendo d'abbracciare
la fede cristiana Costantino compie un passo le cui implicazioni sul
piano organizzativo e politico saranno, nei decenni seguenti, enormi.
Prescindendo di nuovo dagli aspetti personali della scelta religiosa,
da un punto di vista meramente storico si vede come, nelle mani dell'Imperatore
d'Occidente, la chiesa cristiana divenga da subito un mirabile strumento
politico, e ciò sia a breve termine (costituendo - come si
è appena visto - un eccellente mezzo di propaganda politica anti-orientale),
sia sui tempi lunghissimi (dal momento che tale sodalizio segnerà
per Roma una svolta epocale dal punto di vista religioso, culturale
e organizzativo).
- La Chiesa in Oriente e in Occidente
Si è detto nel paragrafo precedente, che le accuse di persecuzioni
ai danni delle comunità cristiane rivolte da Costantino a Licinio
siano fasulle e del tutto strumentali.
Anche se ciò è vero, esse tuttavia non contengono solo
menzogne. Nonostante difatti tali addebiti amplifichino molto la realtà
della situazione, si può scorgere in essi anche un nucleo di
verità.
Da sempre infatti nelle regioni orientali (nelle quali peraltro il culto
cristiano ha avuto origine) le comunità cristiane sono meglio
organizzate e più agguerrite, ragion per cui anche l'azione repressiva
dello Stato nei loro confronti è in linea di massima più
profonda e radicale.
Sebbene - dopo gli editti di Galerio e di Costantino - non si possa
più assolutamente parlare di vere e proprie persecuzioni nei
confronti delle comunità cristiane, è un fatto comunque
che da parte di Licinio e di Massimino Daia permanga verso di esse un
atteggiamento di maggiore diffidenza che in Occidente, e che i due Imperatori
orientali portino ancora avanti misure che, in qualche misura, cercano
di scoraggiare e di ostacolare le riunioni e le attività di tali
comunità.
Tale politica - che, lo ripetiamo, non si può certo definire
persecutoria - sarà in ogni caso un valido pretesto per
aggredire militarmente Licinio, presentandosi Costantino come difensore
della causa cristiana.
D'altra parte, è sempre la minore conflittualità tra Stato
e Chiesa d'occidente, a rendere in questi territori più facile
(anche se non inevitabile né necessaria) una loro riunificazione!
Tuttavia sarebbe un errore anche credere che, all'indomani della conversione
imperiale al Cristianesimo, l'Impero subisca una svolta repentina e
totale verso questo nuovo culto. E' chiara difatti la volontà
di Costantino di rispettare molte delle antiche usanze pagane (conservando
ad esempio la carica di Pontifex Maximus), così come è
certo che da un editto di tolleranza verso i Cristiani non si passa
- quantomeno subito - a un editto di tolleranza verso i pagani.
Abilità di Costantino, il quale dimostrerà durante tutto
il suo regno di possedere vere doti di stratega e di politico, sarà
quella di portare avanti un processo graduale di conversione,
anche attraverso misure che favoriranno l'affermazione sociale della
nascente Chiesa cattolica.
- Costantino "tutore" della Chiesa cristiana
L'alleanza tra Stato e Chiesa (alleanza a fini politici e di governo)
richiede tuttavia che quest'ultima si organizzi in modo da diventare
sempre di più una realtà unitaria, cioè
priva di divisioni interne - specialmente laddove queste ultime implichino
contrasti violenti e conflitti inconciliabili.
Ciò di cui l'Impero ha infatti bisogno è, nella visione
di Costantino, una Chiesa universale che funga da complemento
e da collante culturale e sociale per un Impero universale!
E inoltre, egli sa fin troppo bene che il permanere di dissidi nella
Chiesa fungerebbe da deterrente nei confronti di essa, favorendo in
più le critiche dei suoi detrattori.
Per tali ragioni, è nell'interesse di Costantino cercare di appianare
- in veste di Imperatore e di capo supremo dell'Impero - le dispute
che nascono in seno alla Chiesa.
Inoltre, con tali azioni di pacificazione, egli si pone implicitamente
come il "tutore" stesso dell'istituto ecclesiastico, affermando quindi
il proprio potere su di esso (e dando vita così a una politica
che nei prossimi anni si affermerà sempre di più, quella
cesaro-papista).
Eventi fondamentali di questa politica di mediazione e di conciliazione
saranno sia l'intervento nelle dispute sulle dottrine donatiste
(313, nelle regioni africane), sia quello nelle dispute - i cui effetti
sono ancora più gravi - sull'arianesimo (325, in Oriente).
In entrambi i casi vediamo una posizione forte (che in futuro dovremo
definire 'cattolica') scontrarsi con un'altra, la quale nel primo caso
è caratterizzata da un atteggiamento di fondo decisamente integralista
(i donatisti difatti negano che coloro i quali, al tempo delle persecuzioni,
hanno ceduto alle minacce dell'Impero, abbiano ancora il diritto di
far parte della Chiesa), e che nell'altro caso invece (la dottrina ariana)
nega la natura divina di Cristo.
Bisogna notare inoltre come fine di Costantino non sia tanto l'affermazione
di una o di un'altra tesi teologica, quanto la pacificazione
dei dissidi e attraverso essa il ritorno della Chiesa nell'ordine e
nella legalità.
In questi anni, poi, vediamo affermarsi e consolidarsi alcuni di quei
dogmi che in futuro costituiranno lo spartiacque tra i cattolici e gli
eretici.
Una prova evidente di tale atteggiamento 'pragmatico' dello Stato nei
confronti dei dogmi di fede, la sia ha se si considera la vicenda che
sta alla base della conversione dei popoli Goti al Cristianesimo. In
essa, infatti, non si esiterà a favorire l'eresia ariana, come
unico strumento efficace al fine di ottenere la conversione di tali
popoli.
Il che ci fa riflettere inoltre in merito al ruolo unificatore e pacificatore
che la Chiesa comincia a assolvere in questi anni, all'interno dell'orizzonte
sempre più variegato e tormentato dell'Impero romano.
- Provvedimenti sulla Chiesa
Come si è detto, Costantino cercherà in molti modi di
favorire l'affermazione a tutti i livelli delle comunità cristiane,
attraverso quella delle istituzioni ecclesiastiche.
Questi i provvedimenti più importanti in favore di esse: a) la
concessione dell'immunità fiscale ai chierici (in seguito
parzialmente revocata); b) la possibilità giuridica del ricorso
al tribunale ecclesiastico nei casi dubbi e oggetto di contestazione
(il che favorisce un alleggerimento del lavoro per i tribunali dello
Stato); c) la concessione dei trasporti gratuiti per le più alte
gerarchie ecclesiastiche (equiparate da questo punto di vista all'alta
burocrazia imperiale).
Si afferma infine, l'usanza da parte della corte imperiale e della nobiltà
cristiana, di fare elargizioni e donazioni in favore della Chiesa (cosa
che ne aumenterà la ricchezza e il potere economico e politico).
C. Le riforme amministrative, politiche e finanziarie di Costantino
Ma oltre a tali aspetti di carattere religioso e rivoluzionario, nell'azione
di Costantino si trovano anche dei provvedimenti tendenti a sviluppare
l'idea di organizzazione imperiale promossa precedentemente già
da Diocleziano.
Ovviamente, rispetto a quest'ultimo, egli rinunzia alla concezione tetrarchica
del potere, portando avanti comunque quelle idee in merito alla gestione
imperiale, che mirano a rafforzare i poteri centrali dello Stato, a
scapito di quelli particolaristici.
Egli continua cioè nel processo di formazione dello Stato
Assoluto, a scapito delle forze particolaristiche e locali dell'Impero,
in modo tale da concentrare i poteri decisionali esclusivamente
nelle mani delle alte sfere statali, e in modo che la sottomissione
dei sudditi e soprattutto degli eserciti a queste ultime sia
più rigidamente garantita e tutelata che in passato.
Riguardo agli eserciti, Costantino prosegue nell'incremento dei reparti
mobili alle dirette dipendenze dello Stato; ma prosegue anche nella
pratica del vincolamento professionale (che oramai si estende
non solo ai mestieri più umili, ma anche a quelli più
alti - come ad esempio quelli concernenti le cariche pubbliche che,
pur prestigiose, sempre più spesso divengono troppo onerose,
anche per i cittadini ricchi).
Importante è poi la riforma monetaria, con l'introduzione di
una nuova moneta: il 'solidus aureus', interamente in oro e dotata
perciò di un forte potere d'acquisto e di una notevole stabilità.
Demerito di essa sarà tuttavia la scarsa - o nulla - accessibilità
ai ceti medi e bassi, la quale contribuirà ad aumentare ulteriormente
il divario tra ricchi e poveri.
Tuttavia, nella visione di Diocleziano, ciò non costituisce affatto
un problema primario, dal momento che una delle tendenze della sua politica
consiste nell'affidare la sorte di questi ultimi alle pratiche assistenzialistiche
della Chiesa (la quale, attraverso questa attività, trova un
potente strumento di affermazione sociale).
D. La nascita di Costantinopoli
A coronamento della grande trasformazione dell'Impero da lui stesso
inaugurata, ma anche della tendenza dei sovrani - in atto oramai da
decenni - a disinteressarsi alla capitale storica, Roma [si ricordi,
per esempio, che Diocleziano l'ha visitata solo una volta nel corso
del suo mandato], Costantino fonderà e inaugurerà tra
il 324 e il 331 una nuova città, Costantinopoli, seconda
capitale - e a prevalenza cristiana - dell'Impero.
Posta in un punto strategico (laddove cioè sorgeva la vecchia
città di Bisanzio, collocata in un punto di snodo tra le zone
d'Oriente e quelle d'Occidente), essa diverrà in futuro la capitale
dell'Impero Bizantino, il quale sopravviverà per più di
mille anni al suo 'gemello' occidentale.
|
CONCLUSIONI (236-337)
I cento anni che abbiamo qui analizzato
conoscono essenzialmente due fasi distinte.
- In una prima fase (236-284), il progressivo spostamento dei pesi politici
nelle mani delle milizie (avvenuto soprattutto a partire dal principato
di Settimio Severo) porterà l'Impero a un passo o quasi
dalla dissoluzione, in quanto le forze centrifughe in esso presenti
- che si identificano principalmente con gli eserciti locali - non troveranno
più nell'autorità centrale dello Stato un efficace deterrente
e un adeguato contrappeso.
Saranno gli sforzi eroici di imperatori quali Gallieno e Aureliano a
impedire che questo movimento disgregativo giunga alle sue estreme conseguenze,
determinando così la fine dell'Impero stesso.
- In un secondo periodo (284-337) le forze centralistiche dello Stato
torneranno ad avere la meglio su quelle particolaristiche e militari,
ma a prezzo di assottigliare ulteriormente la libertà
d'azione dei cittadini (e in primo luogo, ovviamente, quella degli eserciti).
In tal modo, l'Impero romano perderà per sempre quei connotati
politici che lo legano alla tradizione occidentale - vale a dire, almeno
in un certo grado, il pluralismo e la partecipazione assembleare -,
qualità dalle quali fino ad allora esso era stata caratterizzato,
avvicinandosi sempre di più a uno Stato assoluto di matrice orientale.
In entrambi questi periodi inoltre, si assiste alla demolizione
di quell'antica concezione del potere imperiale d'origine augustea,
basata anche sul principio della concertazione politica tra le
parti sociali, per la quale quello dell'Imperatore non era ancora un
governo di tipo pienamente autocratico.
Il declino dell'Impero romano, difatti, porterà con sé
anche quello di tutte quelle forze che fino ad allora avevano avuto
un peso politico sulle decisioni del princeps: sia cioè delle
antiche istituzioni d'origine repubblicana, quali il Senato (fino ad
allora rimaste attivamente al fianco delle più giovani
istituzioni imperiali), sia di quei ceti commerciali, finanziari e affaristici
che, nel periodo di maggiore fortuna dell'Impero, costituivano ancora
una componente irrinunciabile della vita sociale e politica di esso.
A guida di un tale Stato, infatti, si porranno fondamentalmente da una
parte l'Imperatore e la sua corte, e dall'altra gli eserciti.
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Adriano Torricelli
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