STORIA ROMANA


12. L'IMPERO E IL CRISTIANESIMO

1. introduzione

Con la fine della dinastia dei Severi, inizia per l'Impero romano un periodo di profondissima crisi, dovuta per altro ai medesimi motivi che erano stati all'origine delle difficoltà dei precedenti decenni (cioè insicurezza fuori e dentro i confini, invasioni, esasperata militarizzazione, incremento delle tasse, diminuzione della produttività, svuotamento delle città e crescita della proprietà fondiaria, ecc.), motivi per di più ora notevolmente aggravatisi.
Dopo un primo momento di disorientamento quasi totale (negli anni che comunemente vengono definiti dell'anarchia militare) vi sarà un riassetto dell'Impero, per merito soprattutto dei due celebri imperatori Diocleziano e Costantino, su basi notevolmente rinnovate.
Con essi inizia così una nuova fase (l'ultima) nella vita dell'Impero, segnata - oltre che da una gestione decisamente diversa della cosa pubblica rispetto agli anni passati, e rispetto alla stessa idea di Impero inaugurata da Augusto - anche dall'affermazione a livello politico e istituzionale del Cristianesimo, di quel movimento religioso cioè che, nato negli ambienti culturali della Palestina, si era da subito distinto dalle tradizioni - estremamente settarie e nazionalistiche - dalle quali era sorto, diffondendosi poi a macchia d'olio in tutto il Mediterraneo e nello stesso Impero romano.

Il periodo storico che andiamo a analizzare, dunque, si divide in due distinte fasi: la prima è quella dell'anarchia militare (236-284), la seconda quella della 'ristrutturazione' della compagine imperiale ad opera di Diocleziano (284-305) e di Costantino (306-337).

- Motivi di fondo (e elementi di continuità) di tutto il periodo

Nonostante si possa suddividere - molto schematicamente - questo lungo lasso di tempo, il cui corso va dal 236 al 337 d.C., in due distinti periodi (cioè il cinquantennio dell'anarchia militare e quello successivo della ristrutturazione dell'Impero), tra tali periodi sussistono anche profondi elementi di continuità, elementi di natura decisamente più sociale e strutturale che politico-istituzionale.
La differenza tra queste due diverse "età" difatti, non risiede tanto nell'essere poste di fronte a differenti problemi, quanto nel modo di affrontarli: mentre tendenza dominante del periodo dell'anarchia militare è il subirli passivamente, il periodo seguente, segnato appunto da un complessivo riassetto politico e istituzionale, cercherà di opporre attivamente a essi dei rimedi, nella consapevolezza che, qualora non vengano risolti, tali problemi finirebbero per minare la stabilità dell'Impero e risultare fatali per la sua stessa sopravvivenza.

Vediamo adesso più in dettaglio quali siano gli elementi problematici:
- in primo luogo, come già si è accennato, vi è un aggravamento ulteriore degli squilibri sociali tra ceti alti (soprattutto fondiari) e ceti medi e bassi, con la conseguente estensione della grande proprietà, parallelamente per altro all'aumento della pressione fiscale (il cui pagamento sempre più spesso avviene in natura), alla crescita numerica degli eserciti e alle sempre maggiori difficoltà per il commercio e per i ceti mercantili e finanziari;
- altro fenomeno sempre più pressante, ma anch'esso non certo nuovo, è quello della divisione interna tra le legioni dell'esercito (fenomeno parallelo per altro alle tendenze separatistiche di molte regioni, sia a ovest, sia a est);
- inoltre, accanto a un tale problema di forze centrifughe - e ovviamente a esso complementare -, si assiste a una massiccia recrudescenza dei tentativi di invasione dei popoli barbarici, sia nelle zone occidentali che in quelle orientali dell'Impero (e, assieme a essi, anche dell'espansionismo del regno neopersiano).

Una simile situazione, che - come si è già detto - provoca inizialmente un forte sbandamento in seno all'Impero, e successivamente un ripensamento delle sue strutture più profonde, si tradurrà in tre 'tendenze' di fondo compresenti nello Stato romano di questi anni:

- favorirà l'affermazione dei militari di professione un po' a tutti i livelli istituzionali - compreso quello supremo -, ovvero in tutte le cariche dell'Impero (a scapito chiaramente dei ceti nobiliari e di quelli finanziari, cioè equestri in senso più classico: i ceti di governo più tradizionali, insomma);
- costringerà i sovrani a dividere sempre più esplicitamente l'Impero in regioni differenti, ognuna governata più o meno autonomamente (decisione suggellata con l'instaurazione della famosa Tetrarchia di Diocleziano);
- e infine indurrà l'Impero, oramai internamente debole e stremato, a cercare il sostegno e l'alleanza di una nuova forza sociale: la nascente Chiesa cristiana.

2. I cinquant'anni di anarchia militare (236-284)

A. Introduzione

I cento anni che vanno dalla fine del regno di Alessandro alla fine di quello di Costantino, segnano la sconfitta definitiva dell'idea di Impero quale era stata concepita da Ottaviano Augusto e dai suoi successori (compresi Traiano e Adriano), idea che già aveva iniziato a vacillare con l'esasperata militarizzazione iniziata sotto la reggenza di Settimio Severo.
Tale idea si basava infatti sul presupposto che l'Impero dovesse fondarsi sulla collaborazione tra il princeps (capo supremo) e le varie forze politico-economiche interne (sia su quelle locali - come mostra l'estensione delle cariche a tutti i provinciali - sia, in generale, sui ceti più ricchi e influenti: ovvero i nobili e gli equestri). Ciò ovviamente al fine di migliorare la loro condizione - e assieme a essa, quella dell'Impero - sul piano politico e economico.
L'esercito, d'altra parte, non era che uno degli strumenti (per quanto assolutamente essenziale) per l'ottenimento di tale fine, quello preposto alla sicurezza interna e soprattutto all'espansione e al mantenimento dei confini.

Ma ora, invece, che le frontiere sono sempre più sovente minacciate da popolazioni barbariche o da altri nemici, che la ricchezza e la produttività interne (per vari ordini di ragioni) conoscono una drastica diminuzione, e che praticamente tutte le energie dello Stato vengono indirizzate - al fine di mantenere integri i confini - al sostentamento e al potenziamento delle milizie, sono queste ultime inevitabilmente a dettare legge anche sul piano istituzionale.
Così i ceti alti, ossia i tradizionali ceti di governo - nobiliari, latifondistici, finanziari, ecc. - vengono lentamente espropriati della loro preminenza politica e istituzionale mentre Roma diventa sempre di più un Impero essenzialmente militare, quasi interamente monopolizzato, anche a livello di alte cariche, dalle proprie legioni: in altri termini dai suoi soldati!
Da un'idea 'democratica' d'Impero (seppur in un senso oligarchico e plutocratico) si passa così a un'idea militaristica, per la quale le forze produttive e economiche debbono rimanere ai margini della vita politica, peraltro oramai divenuta fondamentalmente militare.
Tale trasformazione decreterà inoltre il trionfo di una concezione dello Stato assolutistica e di stampo orientale, all'interno della quale quest'ultimo, ponendosi al di sopra degli interessi particolaristici, finisce anche per agire indipendentemente da essi!

Negli anni trattati in questo articolo - e in special modo nel cinquantennio dell'anarchia militare - la preminenza degli eserciti non sarà mai nemmeno messa in discussione.
Il Senato, ad esempio, ricoprirà sempre di più in essi un ruolo politico secondario, e con lui le classi più ricche e economicamente influenti.
Sono le legioni ad esempio a decidere di solito quale debba essere l'Imperatore di turno e con ciò, implicitamente, le operazioni militari da portare avanti, in quanto 'interessanti' per le loro ambizioni (ambizioni soprattutto economiche: la guerra infatti porta sempre bottini…)
E sono le divisioni interne agli eserciti locali (occidentali, illirici, orientali…) a costituire, assieme alle invasioni barbariche, il principale elemento di destabilizzazione dell'unità dell'Impero.

Ciò che cambierà, da un cinquantennio all'altro, saranno invece le istituzioni: ancora legate a antichi schemi e quindi anche più fallibili e imperfette nel primo, rivedute e più efficienti nel secondo.
Certo, le novità introdotte da Costantino e soprattutto da Diocleziano conoscono delle 'avvisaglie' nelle scelte di alcuni degli imperatori precedenti - quali Valeriano, Gallieno o Aureliano -, ma trovano la loro sistemazione definitiva solo con i primi due.
Possiamo perciò classificare il cinquantennio di anarchia militare come un momento di transizione, tanto più tumultuoso e drammatico in quanto profondamente drammatiche sono in esso le condizioni dell'Impero.

Un altro fenomeno tipico di questi anni, suggellato poi nella divisione dell'Impero (la Tetrarchia) in quattro regioni messa in atto da Diocleziano, è la tendenza al separatismo di alcune zone, dovuta chiaramente all'incapacità del potere centrale di costituire un valido strumento di difesa per i loro confini.
Anche qui, emerge la profonda crisi della macchina statale, la quale - nonostante punti tutto sugli eserciti - non è in grado comunque di gestire le proprie enormi (ma insufficienti) risorse belliche al fine di difendere l'integrità dei suoi territori.

B. Il cinquantennio dell'anarchia militare

a) Piano degli imperatori (in grassetto quelli più importanti):

C. Giulio Massimino
[235-238]
---------------------------------------
|

Imperatori proclamati dal senato : [238]
|
Gordiano I (e Gordiano II)
|
M. Clodio Pupieno Massimo e D. Clelio Balbino

----------------------------------
|
|
Gordiano III (e il prefetto del pretorio Temesiteo)
[238-244]
|
M. Giunio Filippo
[245-249]
|
C. Messio Decio
[249-251]

|
C. Treboniano Gallo
[251-253]
|
M. Emiliano Emilio
[253]
|
P. Licinio Valeriano [253-260] e
suo figlio P. Licinio Egnazio Gallieno [253-268]

[253-268]
---------------------------------------------
|
|
Imperatori autoproclamatisi
|
Ingenuo
|
Regiliano
|
VARI SEPARATISMI LOCALI
|
Macriano [Oriente]
|
Postumo [Occidente]
-----------------------------------------------

M. Aurelio Claudio
[268-270]

|
L. Domizio Aureliano
[270-275]
|
M. Claudio Tacito
[275-276]
|
M. Aurelio Probo
[276-282]
|
M. Aurelio Caro (e i figli Carino e Numeriano)
[283-283]
|
DIOCLEZIANO
[dal 284]

---------------------------------------------------------------------------

b) Principali eventi del cinquantennio di anarchia militare

Massimino e le rivolte anti-imperiali

Primo imperatore dopo la morte di Alessandro (236) è Massimino, soldato di umilissime origini proveniente dalla Tracia (si crede addirittura che egli provenisse da una famiglia 'dediticia', di quelle cioè cui pur dopo l'editto di Caracalla del 212 non era stata riconosciuta la cittadinanza romana).
Il fatto che un uomo non nobile, la cui carriera è interamente legata all'esercito (avendo egli con ogni probabilità iniziato dai ranghi più bassi), abbia potuto divenire il capo supremo dell'Impero, la dice lunga su quali siano in esso le nuove tendenze politiche: è oramai chiaro infatti che il potere reale è detenuto sempre di più dai sodati, anziché dai nobili senatori o dai ricchi finanzieri (come, per lo più, è avvenuto fino al tempo di Traiano e Antonio Pio).
Anche il regno di Massimino avrà - come molti tra quelli che l'hanno preceduto e che lo seguiranno - breve durata, giusto il tempo di portare a termine la guerra, proditoriamente interrotta dal suo predecessore, contro i popoli Germanici sul fronte danubiano.

Gli anni del suo principato si distinguono inoltre per alcuni episodi di ribellione interna, segno delle tendenze disgregatrici dell'Impero: nel 238 le province africane (da sempre un "feudo" dei nobili e dei senatori) in rivolta contro la politica fiscale di Massimino, volta in massima parte a compiacere l'esercito, ma per loro estremamente penalizzante, eleggono a nuovo imperatore Gordiano I (cui questi associa il figlio, Gordiano II).
E dopo che questi, dopo soli pochi mesi, viene sconfitto e ucciso da uomini fedeli a Massimino, il Senato a sua volta eleggerà altri due imperatori (due, come i consoli), Pupieno e Balbino, con l'appoggio per altro dell'esercito del pretorio. Sarà quest'ultimo a affrontare e sconfiggere Massimino e a instaurare un nuovo princeps: Gordiano III.

Gli anni dei tradimenti

Poco dopo essere stato eletto imperatore con l'approvazione del Senato dall'esercito dei pretoriani (238), il giovanissimo Gordiano III - al quale si affianca come tutore e consigliere il prefetto del pretorio Temesiteo - decide di affrontare l'Impero Neo-persiano (ovvero l'antico Regno dei Parti, ora rinato sotto una nuova dinastia, quella Sasanide) alla cui testa si pone Sapore I.
Nel corso dell'impresa tuttavia, Temesiteo verrà a morte e sarà perciò sostituito da un nuovo prefetto, M. Giunio Filippo (che passerà alla storia come Filippo l'Arabo), il quale tradirà il principe e ne prenderà il posto (244).

Filippo stripulerà una pace con i Persiani, affrettandosi a raggiungere poi i confini settentrionali della Dacia, per combattere i tentativi di invasione dei Carpi.

Anche lui verrà tradito e ucciso (249) da colui che ne diverrà il successore, ovvero da C. Messio Decio, il comandante delle legioni stanziate in Pannonia.
Quello di Decio sarà un regno particolarmente breve (di soli due anni), e tuttavia significativo: si distinguerà infatti per persecuzioni contro i cristiani particolarmente severe e spietate. Le ragioni di tale scelta sono fondamentalmente di due tipi: da una parte vi è l'ormai cronica deficienza di fondi dello Stato; dall'altra, invece, vi è una politica di rafforzamento dell'autorità imperiale attraverso il culto dell'Imperatore, collante fondamentale (almeno nelle intenzioni di Decio) di un Impero che mostra sempre più chiari segni di disfacimento.
Col tempo infatti le comunità cristiane si sono fatte sempre più potenti (sia socialmente che economicamente). Come tali esse costituiscono un problema con cui lo Stato deve fare i conti: per tale ragione i decenni immediatamente precedenti alla definitiva riappacificazione tra Stato e Chiesa, sono anche quelli in cui, se da un lato l'autorità adotta spesso un atteggiamento molto tollerante verso di esse, dall'altro e in altri casi si assiste a delle vere e proprie recrudescenze di intolleranza, anche più violente di quelle che si sono avute nei periodi precedenti.
Di questa seconda tendenza è espressione l'editto promulgato da Decio nel 250, che costringe tutti i capi famiglia a dichiarare la propria fede religiosa e, soprattutto, ad attestare l'avvenuto adempimento dei sacrifici agli dei della tradizione pagana (tra i quali compare ora anche la divinità imperiale). Le pene per i trasgressori sono, chiaramente, molto severe (tra di esse vi sono la morte e la confisca dei beni), ciò che crea un grande sconcerto e un notevole sbandamento all'interno delle comunità cristiane - contro le quali peraltro è in realtà indirizzato tale editto.
Si tratta insomma, di un vero e proprio "braccio di ferro" tra Stato e Chiesa che, come si è detto, prelude alla loro riunificazione nei decenni seguenti!

La morte di Decio si colloca nell'anno successivo, il 251, e avviene mentre questi combatte contro i Goti in Mesia, a causa del tradimento del comandante in carica delle truppe di quella regione, Treboniano Gallo, suo successore.
Anche questi poi morirà (solo due anni dopo), mentre combatte in quelle zone, per un analogo tradimento da parte del suo luogotenete, Emiliano, il quale resterà in carica però solo per tre mesi, al termine dei quali l'esercito porrà fine al suo mandato.

Valeriano e Gallieno

Nel 253 giunge al potere P. Licio Valeriano, l'uomo a cui Decio aveva affidato la gestione finanziaria dell'Impero (vir consularis), al fine molto probabilmente di potersi occupare più intensamente delle questioni difensive e militari.
Senatore, particolarmente legato perciò agli antichi valori della tradizione patria (anche lui difatti, come Decio, porterà avanti soprattutto negli ultimi anni del proprio principato una politica piuttosto rigida nei confronti delle comunità cristiane), Valeriano dimostra di essere sinceramente preoccupato per le sorti dell'Impero, e seriamente intenzionato a ristabilire l'ordine.

Il suo passerà alla storia come il primo principato romano in cui, da implicita, la scelta di dividere l'Impero in due regioni indipendenti è divenuta esplicita.
Appena giunto a Roma difatti, Valeriano affida al figlio Gallieno il titolo di Augusto (in pratica la coreggenza) assieme alla parte occidentale dell'Impero, spingendosi invece lui in oriente, funestato in quegli anni sia dalle invasioni dei Goti in Asia minore, che dagli attacchi del Re neopersiano Sapore nell'estremo est.
E' chiaro come tale scelta 'bi-regionale' trovi le sue ragioni nell'impossibilità, oramai evidente, di gestire un territorio tanto vasto come quello di Roma - e i cui confini per di più sono bersaglio da tutte le parti delle incursioni di popoli ostili - attraverso un capo unico. [Come attestano anche le molteplici spinte separatiste e indipendentiste, sia nelle regioni asiatiche che in quelle occidentali].
Dopo aver sconfitto i Goti, Valeriano inizierà così una guerra contro il regno Persiano, nel corso della quale cadrà prigioniero del re Sapore, trovando la morte lo stesso anno (260), e lasciando così a suo figlio la reggenza di tutto l'Impero.

Negli anni precedenti la cattura di suo padre, Gallieno ha dovuto affrontare e sconfiggere non solo gli Alamanni e i Franchi (rispettivamente nelle zone danubiane e in quelle retiche) ma anche arginare le incursioni di un nuovo popolo, quello Sassone, e reprimere i tentativi di insurrezione di due aspiranti al titolo imperiale, Ingenuo e Regiliano.
E anche se ufficialmente, dopo la scomparsa di Valeriano, egli rimane il solo reggente della compagine imperiale (tornando così quest'ultima alla situazione precedente la divisione tra Occidente e Oriente) la sua è, in realtà, una supremazia più teorica che reale, dal momento che tanto a ovest quanto a est si sono formati dei regni che dichiarano la propria indipendenza da Roma.
Nelle zone occidentali è nato difatti quello che si autodefinisce il "Regnum Gallicum", alla cui testa si pone un certo Postumo (e la cui esistenza peraltro si prolungherà ben oltre il principato di Gallieno); in quelle orientali invece - dopo la scomparsa del reggente ufficiale - un certo Macriano, ufficiale dell'esercito di Valeriano che si è posto alla giuda delle truppe superstiti, ha preso in mano la situazione.
Entrambe queste manifestazioni di indipendentismo derivano, in massima parte, dalla sensazione di lontananza del potere centrale e dall'esigenza quindi di provvedere con mezzi propri alla difesa. (Non a caso, il Regnum Gallicum sarà un eccellente baluardo nei confronti dei tentativi di penetrazione dei popoli barbari nell'area occidentale.)

Per arginare le spinte autonomiste delle zone orientali, Gallieno cerca allora l'alleanza di Odenato, un nobile di Palmira, città carovaniera estremamente ricca e potente (punto di snodo per i traffici tra l'Impero e le zone interne dell'Asia) dotata di un forte esercito. Per ottenere l'alleanza di Odenato Gallieno promette a quest'ultimo vari privilegi, ad esempio una specie di sovranità sulle zone orientali (egli verrà così eletto Dux Orientis) e la riscossione di dazi doganali sulle merci in transito nei suoi territori.
Tale compromesso avrà buon esito, ma favorirà anche la nascita (seppure non ufficiale) di una potenza autonoma rispetto al dominio di Roma, la quale finirà per creare all'Impero problemi analoghi a quelli creati da Macriano.

Gallieno tuttavia non dimostra la propria indefessa volontà di tutelare l'integrità dell'Impero soltanto con imprese militari di grande respiro, ma anche attraverso alcune innovazioni apportate agli apparati militari e istituzionali dello Stato, innovazioni per altro in gran parte riprese dai suoi successori.
Certo, nei suoi anni l'Impero conosce - sia a est che a ovest - un frazionamento fino ad allora sconosciuto, ma ciò è dovuto soprattutto all'esplosione degli attacchi dei diversi nemici su tutti i confini, attacchi così serrati da sembrare addirittura frutto di una concertazione.

Come si è detto, le innovazioni di Gallieno riguardano principalmente l'organizzazione dell'esercito e quella delle cariche amministrative nelle province.
Quanto alle milizie, egli istituisce dei reparti mobili, non legati cioè a insediamenti fissi, ma capaci di muoversi liberamente attraverso l'Impero, laddove vi sia bisogno di difese. [L'Imperatore stesso, del resto, è sempre meno legato anche fisicamente alla capitale e sempre più occupato a viaggiare attraverso i suoi territori.]
In merito all'amministrazione delle province invece, decide di reclutarne i prefetti militari non più solo tra i senatori (cui tradizionalmente esse erano affidate), ma anche tra i centurioni - in altre parole, anche tra uomini di origini umili che abbiano seguito la carriera militare.
Uomo di ampie vedute, legato in amicizia al filosofo Plotino, egli abbandona la pratica delle persecuzioni contro le comunità cristiane, tornando a assumere un atteggiamento tollerante nei confronti di queste ultime.
Morirà nel 268 per una congiura militare ordita da alcuni ufficiali illirici (tra cui compaiono i due futuri imperatori: Claudio e Aureliano). Con lui Roma perderà non solo un grande generale, ma anche un grande imperatore.

Il periodo di Claudio e Aureliano

Dopo la morte di Gallieno (268), sale di nuovo al potere un militare, M. Aurelio Claudio, proveniente dalle zone illiriche.
Questi si impegna da subito nell'arginare le incursioni gotiche nei territori balcanici, in cui tali popoli scorrazzano liberamente, alla ricerca di una sistemazione stabile. Sono queste ultime, delle guerre sanguinosissime che si concludono con la vittoria dell'esercito romano, ma anche con l'inserimento dei Goti superstiti sul suolo imperiale (secondo la pratica, oramai sempre più diffusa, di integrazione delle popolazioni barbariche, sia negli eserciti che sul territorio). Dopo questa impresa, Claudio verrà ricordato inoltre come il 'Gotico'.
Ma anche i due domini indipendenti, quello gallico e quello palmirense, subiscono in questi anni dei cambiamenti, con la morte di Postumo nel primo e di Odenato nel secondo, e il passaggio dei poteri rispettivamente nelle mani di Pio Tetrico e di Zenobia.
Entrambi questi stati autonomi (per altro perfettamente organizzati, dotati ad esempio di un loro governo, di un loro senato, e anche - a volte - di una propria moneta) costituiscono per l'Impero una vera e propria spina nel fianco, sia dal punto di vista del prestigio che da quello della solidità politica e territoriale. E per tale ragione Aureliano, il successore di Claudio, non tarderà a sbarazzarsene.

Salito al potere nel 270, L. Domizio Aureliano inizia infatti subito un'opera di riorganizzazione dell'Impero, per la quale passerà alla storia come il "Restitutor Orbis" (ovvero come colui che ha ridato al mondo la sua 'giusta forma').
Le sue prime imprese lo portano nelle zone balcaniche e danubiane, nelle quali egli combatte prima contro i Vandali, insediatisi in Pannonia, e in seguito decide - prendendo per altro una decisione storica - il ritiro delle truppe romane dalla Dacia, regione che ormai procura all'Impero molti più guai che vantaggi, non fornendo più a esso un riparo naturale dalle invasioni barbariche.
Al termine di queste campagne egli si sposta nelle zone orientali, con l'obiettivo di riconquistare i territori che il neonato Regno palmirense ha sottratto a Roma (tra essi compare anche l'Egitto). Tra 271 e 273, riuscirà a riconquistare tali territori e a sconfiggere la potenza nemica, coronando la riconquista con la distruzione completa della città di Palmira, e acquisendo così il titolo di "Restitutor Orientis".
Tornato in Occidente, Aureliano si cimenta infine nell'ultima grande guerra, quella contro il Regno gallico, sconfiggendo Pio Tetrico e acquisendo un nuovo titolo onorifico, quello di "Restitutor Orbis".

Ma i meriti di questo imperatore non riguardano soltanto la riconquista di quei territori che erano precedentemente andati perduti. Egli è anche un riformatore religioso, instaura difatti in Roma il culto di Mitra - ovvero il culto solare - proclamando il proprio potere derivante direttamente da tale divinità e dichiarando i senatori semplici ministri di tale religione (è il trionfo insomma, di quella concezione dello Stato di impronta orientale, che vuole emancipare il Princeps da qualsiasi condizionamento politico e da qualsiasi limitazione esterna, compresa quella - più tradizionale - del Senato!)
Ma la sua azione va al di là anche del campo religioso, riguardando tra l'altro la monetazione (egli vara difatti due nuove monete, il nuovo antoniano e il sesterzio, che forniscono soprattutto al popolo nuovo potere d'acquisto, dopo la svalutazione della moneta tradizionale); portando avanti una politica di ricambio dei ceti di governo tradizionali (soprattutto nobili e senatori) in favore dei militari; e trasformando i 'collegia' - ovvero le associazioni di mestiere - da volontarie in obbligatorie, al fine soprattutto di costringere i membri di esse a corveè e a prestazioni di lavoro gratuite in favore della comunità (secondo una modalità, i cui inizi si collocano peraltro sotto il principato di Settimio Severo, che prevede una penetrazione dell'autorità imperiale e statale nelle fibre più profonde della società).
Altra celebre iniziativa di Aureliano è la costruzione delle mura che circondano la città di Roma (mura aureliane), mute testimoni della paura e dell'insicurezza che attanagliano in questi anni anche la capitale.

Dopo la sua morte, il potere passerà - prima dell'elezione di Diocleziano - ad altri tre imperatori: M. Claudio Tacito (il quale si dichiara imparentato alla lontana con il più celebre scrittore e storico), M. Aurelio Probo e M. Aurelio Caro.
Tutti fondamentalmente insignificanti, essi si impegneranno, come del resto i loro predecessori, nell'arginare il dilagare dei nemici alle frontiere, sia quelle occidentali che quelle orientali.

3. L'Impero sotto Diocleziano (284-305)

A. Le ragioni della scelta tetrarchica

I cinquant'anni di anarchia militare hanno dimostrato a tutti come il principale nemico dell'ordine interno e della stabilità politica dell'Impero sia costituito - oramai - dagli eserciti.
Dotati di grande autorità, in quanto divenuti mezzi indispensabili per la sopravvivenza stessa di Roma, attraverso la salvaguardia dei confini dai nemici esterni, essi però sempre più spesso sono all'origine di rivolte e di disordini che minano l'autorità del potere centrale, ovvero in sostanza dell'Imperatore, giungendo alle volte a proclamare l'indipendenza delle zone su cui sono insediati.
Ai nemici esterni (i Barbari e i Persiani) si sommano dunque anche quelli interni - tra cui vi sono appunto, in primo luogo, le milizie.
Inevitabilmente, priorità assoluta per lo Stato diviene quella di riacquistare un pieno controllo su tutto il territorio dell'Impero.

Già alcuni imperatori come Aureliano, Gallieno e Valeriano avevano dimostrato - con le loro scelte - di aver compreso chiaramente tale problema.
Sarà tuttavia Diocleziano a porre in essere una vera, radicale ristrutturazione dell'Impero, che costituirà peraltro il coronamento delle iniziative di riforma cui, nei decenni precedenti, i suoi predecessori avevano dato vita.

Tale riassetto ruoterà attorno al principio secondo cui, per mantenere l'ordine e il controllo delle province (Italia compresa), è necessario ridurre drasticamente la distanza tra le maggiori autorità imperiali e i poteri particolaristici e locali costituiti dalle truppe. Ciò, ovviamente, al fine di render più difficile a queste ultime l'attribuirsi dei poteri che oltrepassino le proprie effettive competenze, e intraprendere azioni contrarie all'autorità del princeps.

Ma per ottenere un tale obiettivo non vi è, allo stato attuale, che una via: quella di frazionare l'autorità somma dell'Imperatore in una pluralità di poteri, capaci (seguendo un fine comune e concertato) di porre in atto un'opera di mantenimento della compagine imperiale, impedendone la divisione in sotto-stati e soprattutto in stati indipendenti.
"Moltiplicando" gli imperatori infatti, Diocleziano ottiene un controllo - seppur fragile e precario - della situazione politica, determinando così un'ultima ripresa di vitalità dell'Impero.

Per favorire e rendere possibile, pur tra tante spinte separatistiche, un tale predominio politico, è indispensabile poi cercare di assoggettare anche psicologicamente e moralmente i soldati, nonchè - in generale - i sudditi dell'Impero, rendendo quindi più difficile ad alcuno il sostituirsi all'Imperatore (o meglio, agli Imperatori) e in generale alle autorità statali.
Anche in questo frangente, non è possibile che un solo escamotage, che consiste in sostanza: nell'aumentare il prestigio pubblico dell'Imperatore/i obbligando i sudditi a prosternarsi e ad adorarlo/i; nell'affermare - come già molti hanno fatto - l'origine divina e trascendente di tale potere; e nel circondarsi di un fasto e di uno sfarzo fino a allora estranei alle tradizioni politiche e culturali occidentali e romane. Una trasformazione in senso orientale, insomma, un dispotismo politico di stampo asiatico, che appare come l'unico mezzo rimasto per conservare e rafforzare la precaria situazione di dominio che lo Stato ancora conserva sui poteri particolaristici (miliari, ma anche fondiari) a esso ostili.

E' facile capire come tali soluzioni non siano affatto 'definitive', dal momento che non possono in alcun modo modificare la condizione di fatto dell'Impero, bensì soltanto cercare di contenerne gli effetti più distruttivi.
Non a caso, dopo l'abdicazione di Diocleziano - e quella a essa contemporanea del suo 'socio' Massimiano -, l'Impero piomberà nuovamente in una situazione di divisione interna e di guerre civili per il potere!

B. Le campagne contro i nemici esterni e interni

Sin dall'inizio del suo mandato, risulta chiara al nuovo imperatore l'impossibilità di reggere da solo l'intera compagine degli stati che rientrano formalmente sotto il dominio di Roma. Come vedremo infatti, i problemi cui egli sin dai primi anni deve dare una risposta, oltrepassano di gran lunga le capacità di un unico - per quanto abile - condottiero.

Ad esempio, egli dovrebbe misurarsi con Carino, uno dei figli di Caro - il precedente imperatore - e arginare contemporaneamente in Gallia le rivolte dei contadini Bagaudi (ovvero di fasce della popolazione gallica allo stremo della sopravvivenza, a causa della povertà dilagante nelle campagne).
Una delle prime decisioni prese da Diocleziano è quindi quella di incoronare Cesare un altro condottiero, un certo Massimiano - anch'egli come lui di origini illiriche, nonchè come lui uomo di umili natali - per avere avuto il merito di sedare tali rivolte.
Oltre alla guerra contro Carino poi, Diocleziano dovrà portare avanti, sempre coadiuvato da Massimiano, alcune campagne nelle zone danubiane contro i Sarmati, in quelle retiche contro i Franchi, ecc.

Ma la situazione ormai si dimostra tale da non consentire più una gestione adeguata dell'Impero nemmeno con il lavoro coordinato di due principi, richiedendo perciò un'ulteriore frazionamento del potere imperiale.
Per tale ragione, nel 290 Massimiano e Diocleziano optano per una soluzione ancora sconosciuta alla storia di Roma, la scelta tetrarchica, dividendo ulteriormente i loro poteri con l'elezione ciascuno di un proprio "vice". Ne risulta così uno Stato retto contemporaneamente da due Augusti (dei quali Diocleziano si pone come quello superiore) e da due Cesari, nelle persone di Galerio (vice di Diocleziano) e di Costanzo Cloro (vice di Massimiano).
Sebbene poi tale divisione non implichi ufficialmente una spartizione dei territori imperiali, Galerio e Massimiano governeranno principalmente sulle regioni a est e su quelle danubiane, mentre gli altri due si occuperanno essenzialmente di quelle occidentali.

Uno dei problemi più gravi con i quali l'Impero, nella persona di Cloro, deve scontrarsi, è la ribellione di un certo Carausio - ufficiale romano - al dominio di Roma, con la costituzione di un regno autonomo che va dalla Britannia alla Gallia settentrionale.
Tale questione, iniziata nel 286, si concluderà soltanto nel 296 con la sconfitta degli avversari (sconfitta causata anche da lotte intestine sul fronte britannico) e con la presa di Londra da parte di Costanzo Cloro e il ripristino dell'autorità imperiale.

Diocleziano e Galerio riusciranno invece, sul fronte orientale, a contenere le spinte dei popoli barbarici sul fronte danubiano e quelle dei Persiani (guidati da un nuovo imperatore, Narsete) sull'estremo confine orientale. E' da notare che, al termine di questa seconda guerra, i confini e le influenze politiche dei Romani in tale area torneranno a essere ancora quelle dei tempi migliori, cioè all'incirca quelle del periodo traianeo.
Un'altra impresa di Diocleziano in questi anni è la sconfitta di Achilleo, un generale che - barricatosi nella città di Alessandria - si è fatto promotore e interprete delle istanze indipendentiste (molto antiche) dell'Egitto.

Questi i risultati più eclatanti, da un punto di vista bellico, non solo della scelta di dividere l'Impero, ma anche dell'abilità di Diocleziano nel dirigere le azioni belliche e nell'eleggere i propri collaboratori.
Assieme a tali successi - e da essi resi possibili - riscontriamo inoltre un fenomeno generale di rafforzamento dei confini e delle milizie, e un riassesto generale di molte delle vie di transito, sia di quelle marittime sia di quelle sulla terra ferma.

C. Le riforme amministrative dell'Impero

Abbiamo già parlato del tipo di organizzazione instaurata da Diocleziano. Possiamo ora schematizzarla come segue:

Diocleziano: zone ad est | <----- due Augusti -----> | Massimiano: zone sud-occidentali

Galerio: zone danubiane | <-- ...e due Cesari --> | Cloro: zone nord-occidentali

Dal momento che, come si è già detto, Diocleziano rimane istituzionalmente l'Imperatore più importante, anche nei confronti del suo collega Massimiano, l'Impero - pur diviso al proprio interno - si può considerare ancora (almeno in un certo grado) una costruzione politica unitaria.
A ciò, poi, si aggiunga il carisma personale dell'Imperatore e la sua abilità nello scegliere dei collaboratori che condividano con lui una comune visione dell'Impero. Si avranno così le ragioni dell'effettiva solidità di quest'ultimo negli anni di Diocleziano.

La scelta tetrarchica però non trae origine solo dall'esigenza di controllo e difesa dei vastissimi territori imperiali, ma anche dal fatto di offrire - almeno sulla carta - la possibilità di appianare un problema molto antico e pressante, causa da sempre di tanti dissidi, quello della successione.
Il meccanismo istituito da Diocleziano vorrebbe difatti che, dopo la morte o con l'uscita di scena dei due Augusti, i due Cesari prendessero il loro posto, designando al tempo stesso i loro successori.
[E, come vedremo più avanti, sarà proprio questo secondo punto, quello della designazione dei Cesari, l'anello più debole della catena, che determinerà l'inizio di nuove lotte per il potere].

A livello di amministrazione territoriale, Diocleziano - nel segno di una sempre maggiore razionalizzazione nella gestione dei territori imperiali - porta fino a cento le province dell'Impero, e divide quest'ultimo in dodici diocesi, ognuna governata da un proprio vicario imperiale, alle dipendenze di uno degli oramai due prefetti del pretorio.

Quanto agli eserciti, negli anni della tetrarchia essi vengono rafforzati ulteriormente, sia con l'aumento complessivo dei soldati, sia con quello dei contingenti mobili di cavalleria e fanteria - i quali, oltre a tutto, hanno il vantaggio di essere controllati direttamente dagli Imperatori e dai Cesari, e di non dipendere quindi dai capi militari locali (garanzia di indipendenza da eventuali cattive influenze…)

Il Senato invece, espressione - come noto - di una classe fondiaria e nobiliare sempre più influente a livello locale, vede ridimensionarsi a livello statale il proprio ruolo politico, divenendo un'istituzione essenzialmente giudiziaria e perdendo molte delle sue antiche prerogative (come ad esempio quella dell'elezione dei consoli).
Di contro, è il "Consilium principis" (organo privato dell'Imperatore) che tende a sostituirsi a esso nelle questioni politiche.

Altre riforme importanti di questi anni sono: la riforma monetaria (con la nascita di una nuova moneta); la riforma tributaria (basata su una più rigorosa valutazione della proprietà dei singoli cittadini, con l'invenzione di nuove unità di misura del 'reddito' procapite; e sulla fine del privilegio italico di esenzione dalle tasse); i vari interventi statali per fissare i prezzi (con pene severissime per i trasgressori) e contenere in tal modo il fenomeno inflattivo; l'inizio della pratica di vincolamento delle persone alle attività tradizionalmente svolte dalla propria famiglia (la nascita in pratica delle caste professionali chiuse, dovuta alla tendenza, diffusa sia tra i cittadini medi che tra i piccoli agricoltori, a cercare rifugio nelle grandi proprietà e a fare propria la scelta del colonato, che offre loro maggiori garanzie di sopravvivenza, privando però lo Stato del loro contributo fiscale).

D. Il conflitto tra lo Stato e il Cristianesimo

Cresce, in questi anni, il divario tra lo Stato (sempre più invasivo nei confronti dei cittadini, e sempre più limitante delle loro libertà personali) e quel tipo di sensibilità che ruota attorno al concetto del valore della personalità umana e alla speranza di una sua liberazione dai vincoli sensibili, idee la cui diffusione è testimoniata tra l'altro dal consenso ottenuto dal messaggio cristiano un po’ a tutti i livelli e tra tutti gli strati sociali.
Stato e chiesa, quindi, si fronteggiano come due opposte concezioni dell'uomo e della vita (nonché, implicitamente, della società) entrando drasticamente in conflitto tra loro.

Tale fenomeno sarà alla base di un nuovo periodo di persecuzioni religiose, inaugurato nel 297 con un editto di Diocleziano ai danni delle comunità manichee (un culto di origine persiana) e proseguito con un altro editto del 303, ai danni questa volta delle comunità cristiane.

Alcuni storici, inoltre, attribuiscono la responsabilità di questi provvedimenti all'influenza esercitata sull'Imperatore dal suo 'vice' Galerio. E' certo, in ogni caso, che tali decreti siano stati attuati in modo molto più rigoroso nelle zone orientali dell'Impero, che in quelle occidentali.

E. Conclusioni

Gli anni del consolato di Diocleziano costituiscono indubbiamente per l'Impero un momento, per quanto effimero, di ripresa.
Merito fondamentale di Diocleziano è senza dubbio l'aver rinnovato l'Impero sul piano amministrativo, rafforzando lo Stato e la sua autorità sul territorio, e ponendo un argine sia ai moti indipendentisti sia ai sempre più diffusi tentativi d'invasione; dall'altro lato tuttavia il suo intervento non ha affatto mutato (né poteva farlo) la situazione reale, sociale e culturale, dell'Impero.

L'azione di Diocleziano, dunque, è stata fondamentalmente un'azione di tipo repressivo, con tutti i limiti che ne conseguono.
D'altra parte, gran parte dell'efficacia dei suoi provvedimenti deriva in realtà - più che dalla costruzione politica in sé - dal carisma personale dell'Imperatore e dalla sua abilità nel porre in atto i propri progetti di rinnovamento.
4. Costantino e la 'conversione' dell'Impero (305-337)

A. La lunga lotta per il potere (305-324)

- I principali personaggi della lotta per il potere imperiale -

- DIOCLEZIANO Augusto orientale (->305;+ 313)
- MASSIMIANO Augusto occidentale (->305;
+ 310)
------------------------------------------------------------------------
-- GALERIO Cesare orientale (->305); in seguito Augusto orientale
(+ 311)
-- COSTANZO CLORO Cesare occidentale (->305); in seguito Augusto occidentale
(+ 306)
-----------------------------------------------------------------------
- MASSENZIO Figlio di Massimino (escluso dalla successione); poi Augusto occidentale non riconosciuto
(+ 312)
- COSTANTINO Figlio di Costanzo Cloro (escluso dalla successione); poi Cesare occidentale; infine Imperatore unico (
+ 337)
---------------------------------------------------------------------
-- SEVERO Cesare occidentale; poi Augusto occidentale (
+ 308)
-- MASSIMINO DAIA Cesare orientale (
+ 313)
-- LICINIO Alla morte di Severo (308), viene eletto Augusto per le zone occidentali
da Diocleziano (->324 ;+ 325)

Nel 305, allo scadere cioè dei vent'anni del proprio principato, Diocleziano stabilisce (in linea con le decisioni prese all'inizio della Tetrarchia) di abdicare e porre fine alla propria reggenza, convincendo il suo socio Massimiano (seppur con difficoltà) a fare lo stesso.
Tale decisione è da ascriversi con ogni probabilità, oltre che alla stanchezza senile di Diocleziano, anche al bisogno di mettere alla prova la resistenza e la solidità della costruzione tetrarchica.

Come sappiamo, tale "prova" si concluderà negativamente, e già nei primi anni dopo l'abdicazione dei due vecchi Augusti sarà visibile a tutti l'impossibilità per i vari contendenti (tra i quali compaiono anche i due 'Cesari mancati': il figlio di Cloro e quello di Massimiano) di mettersi d'accordo sulla distribuzione delle cariche.
Da questa situazione deriverà una nuova divisione dell'Impero in regioni indipendenti, ognuna comandata da un proprio capo e in guerra (più o meno esplicitamente) con tutte le altre. Tale condizione di competizione generalizzata avrà termine soltanto con la vittoria finale di uno di essi, cioè di Costantino, e con il ritorno alla soluzione imperiale classica, che prevede un unico capo supremo.

Ma la storia di questi anni ci porta una volta di più a fare una considerazione. Il fatto che la Tetrarchia (pur 'moribonda' già nei primi anni dopo il 305) venga costantemente rispolverata e chiamata in causa nei decenni seguenti, ogni qual volta ciò serva a conferire una parvenza di legittimità ai precari equilibri stabilitisi tra i competitori, assieme al fatto della disgregazione pressoché immediata dell'Impero subito dopo l'abdicazione dei due anziani Augusti, dimostrano bene come l'anima più profonda della Tetrarchia si identificasse in realtà proprio con Diocleziano, il quale col suo impegno e la sua volontà ferrea aveva impedito che essa degenerasse e scadesse in poteri meramente particolaristici di tipo militare.
Non è dunque un caso che, poco dopo la sua uscita dalla scena politica, ciò avvenga puntualmente.

- Eventi principali tra il 305 e il 324

Qui di seguito si cercherà di descrivere gli eventi salienti di questa decennale lotta per il potere. [A tale scopo abbiamo inserito, all'inizio di questo paragrafo, un breve elenco dei personaggi più eminenti di questa competizione.]

Nel 305, appena avvenuta la proclamazione dei due nuovi Augusti (Galerio e Cloro) e dei due nuovi Cesari (rispettivamente, Massimino Daia e Severo), Costantino e Massenzio - ovvero i due aspiranti al trono per diritto di nascita, in quanto figli di Cloro e di Massimiano - si ritirano l'uno presso il padre in Britannia, l'altro in Roma (avendo regnato il padre Massimiano, oramai destituito, sull'Africa e l'Italia).

Nel 306 Costanzo Cloro muore, e lascia così vacante il posto di Augusto occidentale. Di una tale situazione ovviamente approfitta subito suo figlio Costantino, facendosi proclamare Augusto dalle truppe stanziate in Britannia.
Tuttavia Galerio, erede di Diocleziano e quindi capo supremo della Tetrarchia, si oppone a una simile soluzione innalzando alla carica di Augusto Severo (insediato fino ad allora nelle zone sud occidentali come Cesare) ed eleggendo Costantino Cesare occidentale.

Nel 307 scende in campo anche Massenzio, il quale appoggiato dai pretoriani e richiamando inoltre il padre Massimiano nell'agone politico e militare, si appropria della corona di Severo ingaggiando contro questi battaglia e sconfiggendolo.
Dopo la sua cattura e uccisione, Massenzio regna (assieme a Massimino) sulle zone sud occidentali, pur non essendo tale potere né gradito né riconosciuto da Galerio.

L'anno successivo Galerio decide perciò di passare all'attacco e di sfidare Massenzio e Massimiano sul loro stesso terreno. Egli avrà tuttavia la peggio.
Questo indurrà lo stesso Diocleziano (che, soddisfatto del suo esilio dorato nel suo palazzo di Spalato, non rimpiange affatto, a differenza di Massimiano, la vita militare e non ha nessuna intenzione di tornare a governare) a intervenire, eleggendo contro gli usurpatori un nuovo Augusto, tale Licinio, cui viene affidato il compito di combattere Massenzio.

Licinio però rinuncerà da subito a combattere i suoi avversari, accontentandosi di governare su una ristretta zona balcanica.
Ora, tuttavia, anziché quattro, sono cinque i sovrani: Massenzio governa sull'Europa meridionale (di fatto, se non ufficialmente), Costantino su quella settentrionale, Licinio sulle regioni della Pannonia, Galerio sulle restanti zone balcaniche, Daia infine su quelle dell'estremità orientale.

In seguito a dissapori esplosi tra Massenzio e Massimino, quest'ultimo verrà costretto a fuggire dall'Italia e cercherà rifugio presso Costantino, il quale tuttavia lo farà imprigionare e lo costringerà al suicidio (310).

Nel 311 muore anche Galerio; ma, poco prima di lasciare il mondo, egli decide (forse per paura della divina collera) di revocare quegli editti di persecuzione verso i cristiani che lui stesso aveva promulgati nel 303 e che avevano dato inizio a un nuovo periodo di persecuzioni.

Nel 312 finalmente, dopo un lungo periodo di preparazione, Costantino ingaggia battaglia contro Massenzio, sconfiggendolo presso il Ponte Milio e divenendo in tal modo l'unico imperatore delle zone occidentali - primo passo verso la realizzazione di un progetto più ambizioso: la conquista anche dei territori orientali.

Nel 313 Costantino tenta un avvicinamento politico a Licinio, con il matrimonio di quest'ultimo con sua sorella Costanza, e con la promulgazione comune presso Milano di un editto di tolleranza religiosa, teso essenzialmente a sospendere ogni ostilità da parte dello Stato romano nei confronti delle comunità cristiane (editto che riprende e sviluppa quello, del 311, di Galerio).

Ma questa decisione non è casuale: a partire dalla battaglia del Ponte Milio infatti, si ha notizia di una conversione di Costantino al Cristianesimo, un evento che - seppure non meramente politico, in quanto riguarda anche la sfera delle convinzioni personali dell'Imperatore - prelude a una nuova alleanza tra lo Stato e la Chiesa cristiana, e avrà per il futuro dell'Impero conseguenze di enorme portata.

Sempre nel 313 Massimino Daia, reagendo a quella che sente - e non a torto - come una rottura degli equilibri politici a proprio sfavore, attacca Licinio.
Sconfitto presso Adrianopoli, egli lascerà così l'Impero nelle mani di due soli reggenti, Licinio e Costantino appunto. Data inoltre l'ambizione di quest'ultimo, è certo che una tale situazione non possa essere considerata definitiva.

Tuttavia, non è negli interessi di nessuno dei due contendenti, per il momento, combattersi reciprocamente.
Per tale ragione, l'ostilità tra i due sarà rimandata di qualche anno, e si manifesterà a più riprese nel 316, nel 319 e nel 324.
Fino al 316, varrà nell'impero una sorta di "pace tetrarchica", quella nata nel 313 a Milano con l'accordo e il matrimonio tra Costanza e Licinio Liciniano.

Le ambizioni di Costantino sulle zone orientali però, sono già manifeste, come si può arguire dai seguenti aspetti della sua politica: a) prima di tutto la sua linea filo-cristiana, volta a compiacere le regioni a est e a fare in esse grandi proseliti (si ricordi che le comunità cristiane d'Oriente sono da sempre meglio organizzate e più agguerrite di quelle d'Occidente, e per tale ragione anche più problematiche per lo Stato, quindi anche oggetto di maggiori vessazioni e maltrattamenti); b) in secondo luogo l'opera di propaganda dinastica in proprio favore, secondo la quale egli sarebbe un discendente diretto dell'Imperatore Claudio il Goto, e come tale avrebbe diritto di governare sull'Impero nella sua interezza!

Nel 316 si ha così la prima avvisaglia dei futuri conflitti tra i due Augusti. Nel corso di una battaglia Costantino si appropria di parte dei territori balcanici del suo avversario, volgendo in proprio favore la situazione.

Ma sarà sul piano della propaganda religiosa che si giocherà la carta decisiva e finale del conflitto. Costantino difatti accuserà (ingiustamente!) il proprio nemico di portare avanti una politica persecutoria nei confronti della Chiesa cristiana, e si proporrà così come difensore dei cristiani orientali.

La guerra vera e propria poi scoppierà nel 323, concludendosi l'anno seguente. Pretesto di essa, sarà un'intromissione momentanea di Costantino nei territori di Licinio a fini puramente difensivi (egli infatti sta combattendo una guerra contro i Goti).
Nel 324 infine, Licinio subirà la sconfitta definitiva presso Crisopoli, e verrà costretto dal vincitore a ritirarsi a vita privata, per poi essere assassinato l'anno seguente.
In questo modo, Costantino diviene Imperatore unico di Roma e può dare inizio a una nuova fase della sua storia: l'ultima, quella cristiana.

B. Costantino e la Chiesa

Al di là degli aneddoti e delle leggende sulla conversione dell'Imperatore (la quale pare sia avvenuta, se non alla vigilia, quantomeno nel periodo della guerra contro Massenzio), al di là del problema posto dalla sincerità di tale vocazione religiosa (che oggi si tende a non escludere, anche data l'indole emotiva e superstiziosa di Costatino), è comunque un fatto indiscutibile che scegliendo d'abbracciare la fede cristiana Costantino compie un passo le cui implicazioni sul piano organizzativo e politico saranno, nei decenni seguenti, enormi.

Prescindendo di nuovo dagli aspetti personali della scelta religiosa, da un punto di vista meramente storico si vede come, nelle mani dell'Imperatore d'Occidente, la chiesa cristiana divenga da subito un mirabile strumento politico, e ciò sia a breve termine (costituendo - come si è appena visto - un eccellente mezzo di propaganda politica anti-orientale), sia sui tempi lunghissimi (dal momento che tale sodalizio segnerà per Roma una svolta epocale dal punto di vista religioso, culturale e organizzativo).

- La Chiesa in Oriente e in Occidente

Si è detto nel paragrafo precedente, che le accuse di persecuzioni ai danni delle comunità cristiane rivolte da Costantino a Licinio siano fasulle e del tutto strumentali.
Anche se ciò è vero, esse tuttavia non contengono solo menzogne. Nonostante difatti tali addebiti amplifichino molto la realtà della situazione, si può scorgere in essi anche un nucleo di verità.
Da sempre infatti nelle regioni orientali (nelle quali peraltro il culto cristiano ha avuto origine) le comunità cristiane sono meglio organizzate e più agguerrite, ragion per cui anche l'azione repressiva dello Stato nei loro confronti è in linea di massima più profonda e radicale.
Sebbene - dopo gli editti di Galerio e di Costantino - non si possa più assolutamente parlare di vere e proprie persecuzioni nei confronti delle comunità cristiane, è un fatto comunque che da parte di Licinio e di Massimino Daia permanga verso di esse un atteggiamento di maggiore diffidenza che in Occidente, e che i due Imperatori orientali portino ancora avanti misure che, in qualche misura, cercano di scoraggiare e di ostacolare le riunioni e le attività di tali comunità.
Tale politica - che, lo ripetiamo, non si può certo definire persecutoria - sarà in ogni caso un valido pretesto per aggredire militarmente Licinio, presentandosi Costantino come difensore della causa cristiana.

D'altra parte, è sempre la minore conflittualità tra Stato e Chiesa d'occidente, a rendere in questi territori più facile (anche se non inevitabile né necessaria) una loro riunificazione!

Tuttavia sarebbe un errore anche credere che, all'indomani della conversione imperiale al Cristianesimo, l'Impero subisca una svolta repentina e totale verso questo nuovo culto. E' chiara difatti la volontà di Costantino di rispettare molte delle antiche usanze pagane (conservando ad esempio la carica di Pontifex Maximus), così come è certo che da un editto di tolleranza verso i Cristiani non si passa - quantomeno subito - a un editto di tolleranza verso i pagani.
Abilità di Costantino, il quale dimostrerà durante tutto il suo regno di possedere vere doti di stratega e di politico, sarà quella di portare avanti un processo graduale di conversione, anche attraverso misure che favoriranno l'affermazione sociale della nascente Chiesa cattolica.

- Costantino "tutore" della Chiesa cristiana

L'alleanza tra Stato e Chiesa (alleanza a fini politici e di governo) richiede tuttavia che quest'ultima si organizzi in modo da diventare sempre di più una realtà unitaria, cioè priva di divisioni interne - specialmente laddove queste ultime implichino contrasti violenti e conflitti inconciliabili.
Ciò di cui l'Impero ha infatti bisogno è, nella visione di Costantino, una Chiesa universale che funga da complemento e da collante culturale e sociale per un Impero universale!
E inoltre, egli sa fin troppo bene che il permanere di dissidi nella Chiesa fungerebbe da deterrente nei confronti di essa, favorendo in più le critiche dei suoi detrattori.

Per tali ragioni, è nell'interesse di Costantino cercare di appianare - in veste di Imperatore e di capo supremo dell'Impero - le dispute che nascono in seno alla Chiesa.
Inoltre, con tali azioni di pacificazione, egli si pone implicitamente come il "tutore" stesso dell'istituto ecclesiastico, affermando quindi il proprio potere su di esso (e dando vita così a una politica che nei prossimi anni si affermerà sempre di più, quella cesaro-papista).

Eventi fondamentali di questa politica di mediazione e di conciliazione saranno sia l'intervento nelle dispute sulle dottrine donatiste (313, nelle regioni africane), sia quello nelle dispute - i cui effetti sono ancora più gravi - sull'arianesimo (325, in Oriente).
In entrambi i casi vediamo una posizione forte (che in futuro dovremo definire 'cattolica') scontrarsi con un'altra, la quale nel primo caso è caratterizzata da un atteggiamento di fondo decisamente integralista (i donatisti difatti negano che coloro i quali, al tempo delle persecuzioni, hanno ceduto alle minacce dell'Impero, abbiano ancora il diritto di far parte della Chiesa), e che nell'altro caso invece (la dottrina ariana) nega la natura divina di Cristo.
Bisogna notare inoltre come fine di Costantino non sia tanto l'affermazione di una o di un'altra tesi teologica, quanto la pacificazione dei dissidi e attraverso essa il ritorno della Chiesa nell'ordine e nella legalità.
In questi anni, poi, vediamo affermarsi e consolidarsi alcuni di quei dogmi che in futuro costituiranno lo spartiacque tra i cattolici e gli eretici.

Una prova evidente di tale atteggiamento 'pragmatico' dello Stato nei confronti dei dogmi di fede, la sia ha se si considera la vicenda che sta alla base della conversione dei popoli Goti al Cristianesimo. In essa, infatti, non si esiterà a favorire l'eresia ariana, come unico strumento efficace al fine di ottenere la conversione di tali popoli.
Il che ci fa riflettere inoltre in merito al ruolo unificatore e pacificatore che la Chiesa comincia a assolvere in questi anni, all'interno dell'orizzonte sempre più variegato e tormentato dell'Impero romano.

- Provvedimenti sulla Chiesa

Come si è detto, Costantino cercherà in molti modi di favorire l'affermazione a tutti i livelli delle comunità cristiane, attraverso quella delle istituzioni ecclesiastiche.
Questi i provvedimenti più importanti in favore di esse: a) la concessione dell'immunità fiscale ai chierici (in seguito parzialmente revocata); b) la possibilità giuridica del ricorso al tribunale ecclesiastico nei casi dubbi e oggetto di contestazione (il che favorisce un alleggerimento del lavoro per i tribunali dello Stato); c) la concessione dei trasporti gratuiti per le più alte gerarchie ecclesiastiche (equiparate da questo punto di vista all'alta burocrazia imperiale).

Si afferma infine, l'usanza da parte della corte imperiale e della nobiltà cristiana, di fare elargizioni e donazioni in favore della Chiesa (cosa che ne aumenterà la ricchezza e il potere economico e politico).

C. Le riforme amministrative, politiche e finanziarie di Costantino

Ma oltre a tali aspetti di carattere religioso e rivoluzionario, nell'azione di Costantino si trovano anche dei provvedimenti tendenti a sviluppare l'idea di organizzazione imperiale promossa precedentemente già da Diocleziano.
Ovviamente, rispetto a quest'ultimo, egli rinunzia alla concezione tetrarchica del potere, portando avanti comunque quelle idee in merito alla gestione imperiale, che mirano a rafforzare i poteri centrali dello Stato, a scapito di quelli particolaristici.
Egli continua cioè nel processo di formazione dello Stato Assoluto, a scapito delle forze particolaristiche e locali dell'Impero, in modo tale da concentrare i poteri decisionali esclusivamente nelle mani delle alte sfere statali, e in modo che la sottomissione dei sudditi e soprattutto degli eserciti a queste ultime sia più rigidamente garantita e tutelata che in passato.

Riguardo agli eserciti, Costantino prosegue nell'incremento dei reparti mobili alle dirette dipendenze dello Stato; ma prosegue anche nella pratica del vincolamento professionale (che oramai si estende non solo ai mestieri più umili, ma anche a quelli più alti - come ad esempio quelli concernenti le cariche pubbliche che, pur prestigiose, sempre più spesso divengono troppo onerose, anche per i cittadini ricchi).

Importante è poi la riforma monetaria, con l'introduzione di una nuova moneta: il 'solidus aureus', interamente in oro e dotata perciò di un forte potere d'acquisto e di una notevole stabilità. Demerito di essa sarà tuttavia la scarsa - o nulla - accessibilità ai ceti medi e bassi, la quale contribuirà ad aumentare ulteriormente il divario tra ricchi e poveri.
Tuttavia, nella visione di Diocleziano, ciò non costituisce affatto un problema primario, dal momento che una delle tendenze della sua politica consiste nell'affidare la sorte di questi ultimi alle pratiche assistenzialistiche della Chiesa (la quale, attraverso questa attività, trova un potente strumento di affermazione sociale).

D. La nascita di Costantinopoli

A coronamento della grande trasformazione dell'Impero da lui stesso inaugurata, ma anche della tendenza dei sovrani - in atto oramai da decenni - a disinteressarsi alla capitale storica, Roma [si ricordi, per esempio, che Diocleziano l'ha visitata solo una volta nel corso del suo mandato], Costantino fonderà e inaugurerà tra il 324 e il 331 una nuova città, Costantinopoli, seconda capitale - e a prevalenza cristiana - dell'Impero.
Posta in un punto strategico (laddove cioè sorgeva la vecchia città di Bisanzio, collocata in un punto di snodo tra le zone d'Oriente e quelle d'Occidente), essa diverrà in futuro la capitale dell'Impero Bizantino, il quale sopravviverà per più di mille anni al suo 'gemello' occidentale.

CONCLUSIONI (236-337)

I cento anni che abbiamo qui analizzato conoscono essenzialmente due fasi distinte.

- In una prima fase (236-284), il progressivo spostamento dei pesi politici nelle mani delle milizie (avvenuto soprattutto a partire dal principato di Settimio Severo) porterà l'Impero a un passo o quasi dalla dissoluzione, in quanto le forze centrifughe in esso presenti - che si identificano principalmente con gli eserciti locali - non troveranno più nell'autorità centrale dello Stato un efficace deterrente e un adeguato contrappeso.
Saranno gli sforzi eroici di imperatori quali Gallieno e Aureliano a impedire che questo movimento disgregativo giunga alle sue estreme conseguenze, determinando così la fine dell'Impero stesso.

- In un secondo periodo (284-337) le forze centralistiche dello Stato torneranno ad avere la meglio su quelle particolaristiche e militari, ma a prezzo di assottigliare ulteriormente la libertà d'azione dei cittadini (e in primo luogo, ovviamente, quella degli eserciti).
In tal modo, l'Impero romano perderà per sempre quei connotati politici che lo legano alla tradizione occidentale - vale a dire, almeno in un certo grado, il pluralismo e la partecipazione assembleare -, qualità dalle quali fino ad allora esso era stata caratterizzato, avvicinandosi sempre di più a uno Stato assoluto di matrice orientale.

In entrambi questi periodi inoltre, si assiste alla demolizione di quell'antica concezione del potere imperiale d'origine augustea, basata anche sul principio della concertazione politica tra le parti sociali, per la quale quello dell'Imperatore non era ancora un governo di tipo pienamente autocratico.
Il declino dell'Impero romano, difatti, porterà con sé anche quello di tutte quelle forze che fino ad allora avevano avuto un peso politico sulle decisioni del princeps: sia cioè delle antiche istituzioni d'origine repubblicana, quali il Senato (fino ad allora rimaste attivamente al fianco delle più giovani istituzioni imperiali), sia di quei ceti commerciali, finanziari e affaristici che, nel periodo di maggiore fortuna dell'Impero, costituivano ancora una componente irrinunciabile della vita sociale e politica di esso.
A guida di un tale Stato, infatti, si porranno fondamentalmente da una parte l'Imperatore e la sua corte, e dall'altra gli eserciti.

Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 11/09/2014