STORIA ROMANA


11. I SEVERI E LA MILITARIZZAZIONE DELL'IMPERO

1. La fine dell'Età aurea

1.1. L'età d'oro

Quella degli Antonini (grosso modo il secondo secolo) viene ricordata dagli storici come "l'età aurea" della storia imperiale.
Un tale periodo si distingue infatti per una notevole stabilità - che rimarrà peraltro insuperata - sia a livello sociale che a livello politico, dovuta soprattutto al mirabile equilibrio instauratosi tra le diverse classi che compongono la società imperiale (con particolare riferimento a quelle nobiliari, che danno un'adesione pressoché incondizionata ai valori universalistici dell'Impero, riconoscendo così l'autorità delle istituzioni statali e dell'Imperatore).
Esso, inoltre, è caratterizzato da un livello di vita molto alto e da un lungo periodo di pace.

Ma il merito di una tale situazione non sta tanto nell'abilità a livello amministrativo della classe dirigente, quanto piuttosto in una congiuntura storica particolarmente favorevole. I confini dell'Impero infatti non sono seriamente minacciati da nessuna popolazione barbarica, né il sistema di produzione schiavista mostra ancora evidenti segni di crisi e di stanchezza.

Certo si possono intravedere i primi sintomi della futura crisi già sotto il principato di Antonino il Pio (138-161), quando alcune popolazioni barbariche tentano - per la prima volta - di forzare le frontiere dell'Impero.
Stessa sorte toccherà poi al principato di Marco Aurelio (161-180), e inoltre con esiti molto più gravi (si ricordi l'invasione marcomanna di Aquileia e del Veneto).
Sotto Commodo (180-192) infine, se anche si verificheranno dei tentativi di invasione delle zone britanniche da parte di popolazioni barbariche, possiamo dire che la prima ondata di migrazioni si sia oramai placata.

1.2. Le coordinate della crisi dell'Impero

E' difficile riassumere attraverso concetti astratti il complesso meccanismo che si trova alla base della crisi imperiale, il cui inizio si colloca peraltro sul finire dell'età aurea.
Non vi è dubbio però che siano le accresciute esigenze a livello difensivo il fattore principale (o quantomeno quello più evidente) determinante gli squilibri sociali e politici dell'Impero.

Vediamo, molto schematicamente, quali siano i punti salienti di un tale processo:

A - Uno dei fattori principali, forse quello preponderante, sono le accresciute esigenze a livello militare, quindi le aumentate spese dello Stato per gli eserciti e, inevitabilmente, la maggiore pressione fiscale esercitata sui cittadini.
E' ovvio come tali esigenze provochino un impoverimento diffuso tra tutti gli strati della popolazione (a eccezione, possiamo dire, delle frange impiegate negli eserciti, sempre più numerose ma anche - per la propria utilità - sempre più capaci di condizionare le scelte politiche).

D'altra parte la minor sicurezza interna, dovuta anche a episodi di pirateria e banditismo (prodotto in buona parte di una tale situazione di impoverimento e di diffuso disagio sociale), rende più difficoltosa la mobilità interna delle merci e con essa le stesse attività commerciali.
Il che poi si traduce in un indebolimento di quei ceti medi (burocratici, commerciali, ecc.) che costituiscono la 'spina dorsale' dell'Impero romano.
[Infatti, come si è già detto, il vero scopo di quell'enorme macchina burocratica e organizzativa che è l'Impero sta nel favorire i traffici e, con essi, il benessere di buona parte dei suoi sudditi; esso trova dunque nei ceti medi - impiegati tanto in mansioni istituzionali e gestionali, quanto in mansioni finanziarie e commerciali - il suo principale alleato. E' altresì chiaro, come il declino delle classi medie sia complementare a quello dello Stato imperiale.]

B - Ma crisi delle classi medie significa anche crisi della piccola proprietà terriera.
Quest'ultima infatti cede sempre di più il passo ai grandi proprietari, i quali finiranno col tempo per assorbire quasi totalmente al loro interno quelli più piccoli.
Questi ultimi - in gran parte veterani dell'esercito cui lo Stato ha concesso piccoli appezzamenti di terra, coi quali essi hanno inaugurato una piccola attività in proprio - risentono particolarmente sia dell'accresciuta pressione fiscale, sia della maggiore insicurezza interna e sono perciò costretti molto spesso a confluire nei latifondi, dal momento che questi che offrono loro maggiori garanzie: sono i futuri coloni della terra che - quantomeno nei prossimi secoli - finiranno per sostituirsi all'antica classe degli schiavi.

C - Alla crisi della borghesia mercantile e cittadina si accompagna dunque la crisi dei ceti medi rurali, e di conseguenza anche un notevole arricchimento (assieme a una crescita di peso sul piano politico) della classe nobiliare, ovvero dei grandi proprietari terrieri.

Ora più che mai, lo Stato e la nobiltà si fronteggiano come nemici: l'uno alleato e difensore sul piano politico e ideologico di quei ceti medio-borghesi (dei quali è anche, tuttavia, una delle principali cause d'impoverimento, pur costituendo essi per l'Impero una indispensabile condizione di sopravvivenza!) che l'altra tende invece ad assorbire al proprio interno.
Una lotta che si risolverà sui tempi lunghi (come tutti sanno) in favore dei grandi possidenti, e che non ha più - come aveva invece avuto nei primi decenni dell'Impero - motivazioni di carattere principalmente ideologico, bensì economiche.

Anche il fatto che, con l'aumentare delle necessità e delle spese statali, la pratica delle confische ai danni dei nobili - già utilizzata negli anni precedenti da molti imperatori per 'fare cassa' - tenda a inasprirsi, finisce per alimentare la conflittualità tra il governo e i ceti più ricchi della società (rompendo così l'idillio, creatosi nel secolo precedente, tra lo Stato imperiale e il Senato: tra i valori universalistici e monarchici e quelli della libertas senatoria).
E non sono solo le esigenze di carattere militare a gonfiare i conti dello Stato, ma in generale l'esasperato sviluppo di tutti i suoi apparati (ad esempio di quelli con funzioni di intervento economico o 'propagandistico', come i 'collegia', un tipo di istituzioni di cui si parlerà più avanti).

1.3. Conclusioni

Questi, e i prossimi anni, saranno dunque caratterizzati da:
- un fenomeno di "gigantismo statale" (segno soltanto apparente di solidità dell'Impero);
- un diffuso impoverimento dei ceti medi e di quelli più bassi;
- il costante ampliamento delle grandi proprietà, nonchè quindi l'accrescimento - anche su un piano politico - del potere nobiliare (a scapito ovviamente di quello imperiale).

Il tutto poi sullo sfondo della crisi economica del terzo secolo, crisi dovuta non solo alle molteplici invasioni esterne e alla maggiore insicurezza sui confini (fattore cui già si è accennato), ma anche all'"affaticamento" del sistema di produzione schiavista (delle cui ragioni si parlerà più avanti).

2. Il principato di Settimio (193-211)

A. Le guerre civili

Una prova evidente dell'accresciuto potere degli eserciti la si ha se si considera la situazione che fa seguito alla morte di Commodo (192), ovvero la lotta per la conquista della carica imperiale.
E' ormai evidente infatti, come gli aspiranti imperatori debbano passare tutti attraverso le 'forche caudine' dell'approvazione e del sostegno dell'esercito (quantomeno di una parte di esso), per potere sostenere una competizione divenuta oramai essenzialmente militare e monetaria.

I pretendenti alla carica suprema sono in questi anni di due tipi: il primo è quello degli italici (Pertinace e Didio Guiliano), ovvero coloro che provengono da regioni che da sempre - per tradizione consolidata - forniscono all'Impero i quadri della classe dirigente.
Essi, per ottenere il titolo augusto, debbono essenzialmente 'comperare' con consistenti donativi la fedeltà dell'esercito dei pretoriani.

Il secondo tipo invece è composto da militari provenienti da regioni più periferiche. Questi ultimi - sostenuti dagli eserciti provinciali, ovvero dalle proprie legioni (ad essi associate da legami di fedeltà, oltre che da interessi politici contingenti) - tentano un'affermazione a livello internazionale. Essi sono: Clodio Albino (comandante delle legioni della Britannia), Pescennio Nigro (comandante delle legioni siriache) e Settimio Severo (comandante delle legioni danubiane, e futuro imperatore).

Questi gli eventi principali della lotta per il potere: nel 192, alla morte di Commodo, è Pertinace ad acquisire il titolo imperiale; solo tre mesi dopo, Didio Giuliano (altro italico) riesce a farlo eliminare dai pretoriani (con la promessa di larghi donativi) e a prenderne il posto; contemporaneamente però si sono creati nelle province anche altri aspiranti imperatori (Albino, Nigro e Settimio) i quali minacciano d'arrivare fino a Roma e prendere di prepotenza il posto di Giuliano.
Sarà Settimio Severo (193) a compiere per primo tale mossa, e a farsi incoronare princeps dal Senato (dopo essersi assicurata la fedeltà dell'esercito del pretorio).

I quattro anni seguenti egli li passerà a lottare contro i propri rivali e i loro sostenitori, condizione indispensabile per divenire realmente imperatore unico: nel 194 sconfigge così il suo rivale a oriente, Nigro, il quale ha cercato e trovato contro il proprio nemico l'alleanza dell'ultimo sovrano partico, Vologese IV (fatto questo che costringe Settimio a riprendere la politica aggressiva contro le zone orientali: ovvero a riconquistare - ancora una volta - la Mesopotamia trasformandola in provincia, eguagliando così le imprese belliche dello stesso Traiano!).
Nel 197 infine Settimio sconfigge e elimina nelle regioni galliche anche il suo secondo avversario, Clodio Albino (generale delle truppe britanniche), divenendo finalmente sovrano a tutti gli effetti e inaugurando una nuova dinastia: quella dei Severi.

B. Settimio Severo, statizzazione e militarizzazione dell'Impero

1 - Onnipervasività dello Stato sotto Settimio

Per comprendere le scelte politiche di Settimio Severo, è necessario tenere presente la trasformazione (già brevemente descritta sopra) che ha subito l'Impero sia negli anni del suo principato, sia nei decenni immediatamente precedenti.
Tali trasformazioni riguardano essenzialmente: i poteri sempre più accentuati degli eserciti; l'influenza sempre maggiore (sia a livello economico che politico) dei latifondisti all'interno della società; l'ampliamento, più o meno in tutte le zone dell'Impero, delle fasce di povertà.
Il tutto converge nel determinare la fine di quell'armonia tra i ceti ricchi e lo Stato, nonché tra questi e le masse degli indigenti ossia dei ceti parassitari (sempre meno tutelati, per forza di cose), e con essa l'inizio dello scollamento tra le istituzioni imperiali e le reali forze produttive, nonché più in generale tra tali istituzioni e il reale tessuto sociale di cui è composto l'Impero.

E' in questa situazione di graduale - ma inesorabile - allontanamento tra lo Stato e l'effettiva vita sociale dell'Impero, che prende corpo e si afferma la tendenza verso l'onnipresenza e l'onnipervasività dello Stato nei confronti di quest'ultima.
Ed è altresì chiaro come un tale atteggiamento costituisca un tentativo di reazione a uno stato di cose - quello descritto sopra appunto - che in realtà resta per se stesso difficilmente superabile.

La politica di Settimio Severo avrà infatti come obiettivi principali: da una parte quello di fare affluire maggiori entrate nelle casse dello Stato (a spese soprattutto, data la loro ricchezza, dei ceti latifondistici) e mantenere quindi finanziariamente sia gli eserciti sia gli apparati dell'amministrazione imperiale (entrambe realtà in costante crescita); dall'altra di contenere l'avanzamento politico della grande proprietà, mantenendo viva inoltre la fedeltà ai valori e alle istituzioni dell'Impero nella popolazione, in particolare nelle classi medie.
Per raggiungere tali obiettivi, Settimio perseguirà una politica di penetrazione e di controllo sempre più capillare all'interno della società romana, non escludendo in una tale opera nemmeno (anzi…) alcuni aspetti di natura economica e produttiva, rimasti fino ad allora appannaggio esclusivo dei privati cittadini.

- La politica economica

Gli anni del consolato di Settimio Severo conoscono un livello di statizzazione dell'economia quale mai era stato raggiunto in precedenza: soprattutto l'economia agraria conosce in questo periodo un vero e proprio imprigionamento nelle maglie della burocrazia statale attraverso l'azione di funzionari che - seppure spesso fondamentalmente inesperti e incapaci di una gestione efficace - possono per mandato imperiale deliberare su di essa.

E' in atto dunque - da parte di uno Stato sempre più centralizzato - un processo di accentramento di quelle forze produttive che stanno alla base dell'economia imperiale: processo che, anziché rafforzarle, non farà che indebolirle, contribuendo così ad accelerare il collasso economico e politico dell'Impero nel terzo secolo.

Senza contare il fatto che tali misure, assieme ad un'accresciuta pressione fiscale (è del principato di Settimio l'istituzione di una nuova e gravosa tassa finalizzata al mantenimento degli eserciti: l'annona militare, che colpisce soprattutto i grandi proprietari), contribuiscono notevolmente a guastare i rapporti tra lo Stato e i ceti latifondistici e nobiliari, essendo anzi il principale motivo alla base dell'interruzione delle loro buone relazioni.

- I 'collegia'

Sorti nel secondo secolo, come espressione degli interessi delle classi medie, i 'collegia' conoscono in questi anni un ulteriore sviluppo.
Ma cosa sono i 'collegia'? Essenzialmente associazioni di categoria (ovvero associazioni professionali, da alcuni studiosi paragonate, a torto o a ragione, alle corporazioni medievali) oppure associazioni giovanili, agenti essenzialmente a livello municipale.
Tali associazioni, se da una parte favoriscono l'affermazione politica delle classi medie e dei ceti meno abbienti - contrastando così il tradizionale predominio politico all'interno dei municipi delle classi più ricche, cioè dei latifondisti e degli equestri -, dall'altra rinsaldano l'alleanza ideologica e politica tra ceti medi e Impero (avendo tali istituti origine da quest'ultimo, ed essendone inoltre finanziati).
Dal punto di vista dello Stato quindi, i 'collegia' sono essenzialmente uno strumento di penetrazione e di controllo del tessuto sociale, ragione per cui Settimio ne incrementerà la presenza.

E' da notare poi come queste istituzioni siano - come già si è accennato - di due diversi tipi: il primo è costituito dalle associazioni professionali (ad esempio quelle dei mugnai, o dei tessitori); il secondo invece è costituito dai 'collegia iuvenis', associazioni finalizzate all'educazione della gioventù (attraverso incontri, tornei, ecc.) ai valori della società imperiale e volte a coltivarne l'affezione e la gratitudine verso lo Stato.
[Si ricordino a questo proposito - come un precedente - le 'alimentationes' istituite da Traiano, anch'esse finalizzate a coltivare la futura classe media - burocratica - dell'Impero].

- La riorganizzazione dell'Impero

Sono due essenzialmente le coordinate dell'azione imperiale nei riguardi dell'amministrazione interna: da una parte vi è la tendenza verso una parificazione tra tutte le regioni dell'Impero (in altri termini a trasformarle tutte - Italia compresa - in mere province imperiali), dall'altra la tendenza verso il livellamento politico e giuridico di tutti i ceti sociali (nobiliari, cittadini, popolari…) nei confronti dell'autorità e delle istituzioni imperiali.

Entrambi questi orientamenti sono indirizzati ovviamente a rafforzare l'autorità e il potere dello Stato e dell'Imperatore: l'uno attraverso un'azione di decentramento amministrativo che comporta l'abolizione di molti dei privilegi tradizionali degli Italici (ad esempio quelli militari), l'altro invece elidendo le prerogative politiche dei ceti più ricchi (i quali, a causa dei propri poteri economici e politici, sono potenzialmente più pericolosi per l'autorità statale).

Inoltre, crescendo il raggio d'azione delle istituzioni statali, cresce parallelamente anche l'esigenza di creare un'organizzazione più efficiente e articolata a livello amministrativo.
Per tale ragione, un peso sempre maggiore finiscono per rivestire all'interno degli apparati imperiali gli uomini di legge (un esempio del rigoglio nel campo degli studi giuridici durante il periodo dei Severi ce lo fornisce Papiniano, famoso giurista e prefetto del pretorio sotto Settimio).

Ma accanto alla tendenza verso l'estensione e l'ingigantimento degli apparati statali, possiamo scorgerne un'altra - a essa complementare - in direzione di un accentramento personalistico dei poteri (soprattutto di quelli finanziari) nella figura del principe. Un doppio movimento, insomma: dal centro verso la periferia, e da questa verso il centro.
Principale espressione di questo secondo aspetto saranno - come vedremo tra poco - le riforme finanziarie.

- La riorganizzazione delle finanze

Tra tutte le riforme strutturali messe in atto da Settimio, la più importante è senza dubbio quella riguardante l'organizzazione delle finanze imperiali.
Tale trasformazione comporta un accentramento quasi totale del patrimonio statale nelle mani del princeps, accentramento che riduce ciò che prima era 'fisco', cioè patrimonio dello Stato, a un bene personale (res privata) del sovrano.
E' dunque evidente, qui come altrove, come sia in atto all'interno dell'Impero uno sviluppo in senso 'orientaleggiante': se da una parte infatti ogni bene dello Stato tende a divenire sempre di più un possesso privato dell'Imperatore [si ricordi, ad esempio, che in Egitto il Faraone resta legalmente l'unico proprietario di tutti i beni], dall'altra anche la crescita costante degli apparati burocratici tende a rafforzare l'autorità di quest'ultimo su tutte le regioni sottoposte al suo dominio.

Ma vi è anche un altro punto che rende la politica finanziaria di Settimio Severo anomala - quantomeno rispetto ai decenni precedenti -, ovvero la tendenza a cercare di accrescere, sistematicamente e in tutti i modi possibili, il patrimonio finanziario dello stato (il quale peraltro, si identifica oramai con il capitale finanziario personale dell'Imperatore).

Le fonti di arricchimento dello Stato sono essenzialmente tre:
- la prima è una presunta adozione del nuovo imperatore da parte di Marco Aurelio, attraverso la quale Settimio se da una parte si pone fondamentalmente il come continuatore dell'opera di governo degli Antonini, dall'altra incamera in una volta sola tutte le sostanze da essi accumulate sin dai tempi di Nerva;
- la seconda è la pratica (oramai di lunga tradizione) delle confische ai danni della nobilitas e dei proprietari terrieri;
- la terza infine sono le confische dei beni fatte ai suoi due nemici e concorrenti per il titolo imperiale, Nigro e Albino, alla vigilia della loro morte.
Con tali misure Settimio arriverà ad accumulare un capitale finanziario che non ha eguali nel mondo classico, ma che - questo ci fa riflettere - non basterà in ogni caso da solo a colmare la richiesta di danaro da parte dello Stato, costringendo quest'ultimo ad aumentare la moneta circolante con inevitabili risultati di carattere inflattivo.

L'organizzazione imperiale sembra quindi regredire, in questi anni, verso forme personalistiche di potere che ricordano quelle che hanno caratterizzato il declino della Repubblica e i primi decenni dell'Impero.
Tali cambiamenti però, sono espressione della volontà dell'Imperatore di contrastare la tendenza in atto all'interno della compagine imperiale verso la frantumazione, attraverso misure di tipo centralistico e personalistico di segno opposto.

2 - Il rafforzamento degli eserciti

Anche Settimio - come molti imperatori prima di lui, tra i quali ad esempio lo stesso Traiano - ha origini militari. E anche lui, come gli altri, non smentirà tali origini con la propria azione di governo.
Le principali imprese belliche di Settimio saranno tre: le prime due si collocano negli anni iniziali del suo principato, l'ultima invece in quelli finali.

Delle due imprese iniziali, quella contro Nigro in Oriente (194) e quella contro Albino in Gallia (197), è senza dubbio la prima quella più degna di essere ricordata: con essa difatti l'Impero arriva a conquistare alcune zone della Mesopotamia rimaste estranee persino alla conquista traianea, e per di più con minor dispendio sia di mezzi che di tempo.

Ma le campagne orientali sono importanti anche per altre ragioni.
Con esse ha inizio infatti: a) la pratica di arruolamento di ausiliari locali (Arabi, Parti, ecc.) nelle milizie imperiali, in altri termini l'impiego dei Barbari contro i Barbari che caratterizzerà la strategia romana fino alla caduta; b) la creazione di tre nuove legioni (segno evidente delle accresciute esigenza difensive); c) un'ulteriore apertura degli eserciti, anche nei gradi superiori, a personaggi appartenenti all'ordine equestre anziché a quello nobiliare.

Sotto Settimio dunque, assistiamo a una consistente crescita quantitativa degli eserciti e del loro peso (anche politico) all'interno della società romana.
E le spese per il loro mantenimento saranno una delle principali cause del deficit dello Stato (e ciò, come si è detto, nonostante le modifiche subite dalle finanze imperiali in questi anni), portando tra l'altro il fenomeno inflazionistico ad un livello mai raggiunto prima (la presenza di argento nel denario, la moneta romana, arriverà in questi anni a toccare il picco negativo del 42%).

Nel 208 Settimio si trasferisce, assieme ai suoi due figli Caracalla e Geta, in Britannia, dove combatte contro i Caledoni per l'annessione della Scozia. Le campagne non si riveleranno un gran successo, pur concludendosi con una vittoria romana.

Nel 211, sempre in Britannia, Settimio muore. Sul letto di morte egli consiglierà ai propri figli, futuri imperatori, di compiacere soprattutto gli eserciti, largheggiando in stipendi e in donativi.
Un consiglio che, infondo, è il suggello stesso della sua politica: una politica incentrata attorno all'idea di uno Stato forte, capace di 'tenere saldamente in pugno' la situazione sia dentro che fuori dai confini, e la cui principale risorsa sono - in ultima analisi - proprio gli eserciti!

C. La crisi del sistema schiavista

Si è già accennato a come, in realtà, non sia soltanto l'aumentata pressione fiscale (dovuta essenzialmente alle accresciute esigenze militari) la causa dell'impoverimento dei ceti medi e bassi nonché, in generale, di un po’ tutta la popolazione dell'Impero.
Vi sono difatti anche altri e più profondi motivi alla base della crisi del mondo romano, motivi di ordine produttivo.

L'economia antica è un'economia schiavile. Essa ha nella schiavitù la sua vera (se non l'unica) forza-lavoro, essendo lo schiavo una sorta di "macchina-umana", priva di qualsiasi (anche del più elementare) diritto, utilizzabile quindi dal padrone nei modi più svariati e senza alcuna limitazione di sorta.
A livello produttivo, l'utilizzo di maggior rilievo degli schiavi è quello agricolo. E infatti - come si è già detto più volte - la produzione agraria è la base stessa di tutto il sistema economico imperiale.

Il ricambio continuo di schiavi, dovuto alle frequenti guerre di conquista romane in terre straniere, garantisce all'economia imperiale, almeno fino a un certo momento, l'afflusso di sempre nuova linfa aumentando o quantomeno impedendo una diminuzione della produttività.
Ma quando, raggiunti i suoi limiti estremi, l'Impero sarà costretto per ragioni strutturali a rinunciare ad ulteriori espansioni territoriali (ciò da cui deriverà una drastica diminuzione di manodopera schiavile), le sue capacità produttive finiranno per esserne pesantemente compromesse.
Sarà appunto una tale diminuzione, assieme alle aumentate spese per il mantenimento dello Stato e degli eserciti, una delle principali cause del tracollo economico del III secolo!

Ma le nefaste conseguenze della diminuzione della forza-lavoro schiavile colpiscono inevitabilmente più la piccola e la media proprietà rispetto alla grande.
Anche se infatti, come è ovvio, un tale fenomeno riguarda tutta la produzione agricola, sono tuttavia i piccoli e i medi produttori - in quanto più vulnerabili di fronte ai mutamenti del mercato - a patire maggiormente queste trasformazioni, ciò che li porta a riversarsi nelle grandi proprietà fondiarie alla ricerca di un più solido rifugio.
Viceversa, le grandi proprietà riusciranno a rimediare alla carenza di manodopera schiavile accogliendo questi nuovi soggetti, provenienti peraltro non solo dalla piccola e dalla media proprietà agraria, ma anche dalle città.

Inizia, in questi anni, il processo di formazione della classe dei 'coloni', ovvero di quella classe che nei secoli futuri finirà - attraverso un lento processo che culminerà con la formazione dell'economia feudale - per sostituire quella degli schiavi.
E diviene inoltre col tempo sempre più visibile lo svuotamento delle città (dovuto, in massima parte, alla stagnazione dei traffici), così come l'ampliamento dei latifondi e il diffondersi in essi dell'economia 'colonica'.

Non bisogna credere però, che - sotto i Severi - un tale processo conosca già il suo apice. Al contrario, in questo periodo l'economia di scambio è ancora molto florida, soprattutto in alcuni settori.
E tuttavia è indiscutibilmente già in atto quella trasformazione (le cui basi per altro sono state poste proprio nel 'periodo aureo', quando l'Impero avendo toccato i suoi limiti espansivi ha bloccato il proprio processo di dilatazione) che gradualmente porterà a un rovesciamento della situazione, a vantaggio delle forze particolaristiche e locali, e a svantaggio dello 'Stato sovranazionale' romano.

3. Caracalla (211-217) e la cittadinanza universale

A. Evoluzione dell'Impero sotto Caracalla

1 - Il ruolo degli eserciti

Principale sostegno del principato di Carcalla (il cui vero nome è Marco Aurelio Antonino) saranno le milizie, alle quali egli elargirà - come del resto suo padre gli aveva consigliato di fare - diversi favori.
Aumento degli stipendi, donativi, ed altri favori sono infatti oramai mezzi necessari per assicurarsi il sostegno e l'amicizia degli eserciti, divenuti strumenti importanti - se non addirittura indispensabili - sia per il mantenimento dell'integrità territoriale, che come mezzo da parte dei sovrani di consolidamento e conservazione del proprio potere.
[E infatti, come vedremo, tutti i discendenti di Settimio Severo avranno negli eserciti il proprio 'giudice supremo', che ne decreterà non solo la missione politica eleggendoli (prima del Senato), ma anche la fine (attraverso il cesaricidio)].

2 - L'uguaglianza politica

Ma il sostentamento e il mantenimento degli apparati militari (e in generale di quelli statali) richiede per forza di cose anche delle grandi spese, e con esse un ulteriore aumento della pressione fiscale.
E' a una tale esigenza di denaro che molto probabilmente si deve la promulgazione, nel 212, della celebre "constitutio antoniana de civitate", un editto con il quale l'Imperatore concede anche ai sudditi delle province (pur se con alcune eccezioni) la cittadinanza romana.
Tale editto costituisce ovviamente, per queste ultime, un grande passo in avanti. Proseguendo nell'opera del padre, che si era impegnato a parificare la loro condizione politica a quella italica, Caracalla ne riconosce infatti anche sul piano giuridico la condizione di uguaglianza rispetto ai sudditi italici.

Ma oltre che un atto di coraggio, che va contro le più antiche e consolidate tradizioni di Roma, un tale editto è il riconoscimento di uno stato di fatto: del fatto cioè che oramai in tutti gli ambiti della vita sociale dell'Impero (dall'esercito, alla burocrazia, per arrivare alla composizione stessa del Senato) i ruoli si sono 'internazionalizzati', non essendovi più quindi - se non in misura davvero trascurabile - un'effettiva egemonia italica.

Questo provvedimento quindi, che pure risulta indiscutibilmente un affronto nei confronti dei sostenitori del tradizionalismo romano, non intacca seriamente gli interessi di nessuna categoria sociale, essendo piuttosto il riflesso e l'esito di un processo - in atto da tempo - di parificazione tra le varie regioni dell'Impero (processo inoltre a quest'ultimo consustanziale, dal momento che l'Impero non può per sua natura avere un centro, essendo un organismo la cui forza in realtà sta tutta nella capacità di istituire degli scambi commerciali e culturali tra le proprie zone, anche le più distanti, e favorirne così l'integrazione).
Il provvedimento di Caracalla è perciò l'atto conclusivo di un percorso la cui origine si colloca al tempo delle prime e lontanissime manifestazioni dell'imperialismo e dell'internazionalismo di Roma.

In ogni caso, questa concessione non è veramente universale. Vi sono infatti anche degli esclusi: sono i "peregrini dediticii", da identificare probabilmente con alcune popolazioni stanziate nei confini dell'Impero e non urbanizzate.

3 - Implicazioni finanziarie dell'editto di Caracalla

Ma, come già si è accennato sopra, l'Editto del 212 non è soltanto il prodotto di aspirazioni di carattere ideale, bensì anche (e secondo molti prima di tutto) di esigenze finanziarie.
Lo scopo dell'estensione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'Impero, non è infatti solo quello d'ampliarne i diritti, ma anche i doveri - come del resto prova il fatto che esso estenda a tutti i suoi sudditi il dovere di pagare le imposte sulla successione e quelle sulla manomissione (l'atto con cui vengono affrancati gli schiavi).
Un tale diritto di cittadinanza universale, dunque, non comporta vantaggi soltanto per i neo-cittadini, ma anche per lo Stato romano.

4 - L'indebolimento del Senato

Un altro importante aspetto del governo di Caracalla - e in generale dei Severi - è la tendenza ad esautorare il Senato dai suoi più tradizionali compiti politici e amministrativi.
Esso difatti, in quanto espressione della classe nobiliare e latifondista (nonché come istituzione non direttamente dipendente dall'autorità dell'Imperatore, e per quest'ultimo quindi anche più difficilmente controllabile) viene "rispettosamente" allontanato da ogni reale funzione di carattere politico.
Anzichè ai senatori, il princeps preferisce infatti concedere i propri favori ai cavalieri, e in generale a quelle forze sociali - cittadine o militari - che sono più direttamente legate alla sua autorità e i cui interessi, ora più che mai, hanno molta più affinità con i suoi.
In tutti i settori quindi (amministrativi, giuridici, militari, ecc.), i ceti "borghesi" tendono a sostituire quelli senatori - e ciò anche nei ranghi più alti, i quali per tradizione consolidata appartengono invece alla nobiltà.

Lo Stato insomma si difende dalla crescita dei latifondi (ovvero delle forze produttive agrarie potenzialmente eversive rispetto al suo potere, in quanto se da una parte conoscono un costante incremento territoriale, sono dall'altra sempre più portatrici di interessi e di valori particolaristici e locali, molto divergenti rispetto a quelli imperiali) cercando di delegittimare l'autorità politica del Senato e della nobiltà terriera.

In questi anni hanno luogo, quindi, due fenomeni opposti ma complementari: da una parte vi è la crescita degli apparati statali (soprattutto di quelli militari), mentre dall'altra vi è quella delle grandi proprietà (che si costituiscono spesso come veri e propri luoghi di assembramento e di rifugio rispetto al resto della società).
Si verifica, in altri termini, un allontanamento tra le reali forze produttive e sociali che stanno alla base dell'Impero, e quelle invece di carattere più propriamente politico e amministrativo.

B. Eventi del principato di Caracalla

Anche se il periodo del principato di Caracalla è relativamente breve, esso resta comunque in un'ottica storica molto significativo, e ciò non solo per la promulgazione dell'editto sulla cittadinanza universale.
Sebbene la memoria di quest'ultimo sia infatti incrinata dall'episodio dell'assassinio (pare davanti alla madre, Giulia Domina) di suo fratello Geta, aspirante alla coreggenza imperiale, è indiscutibile tuttavia che egli si sia attivamente impegnato per salvaguardare i confini imperiali sia a Occidente, con le campagne sul confine retico contro i Germani (213), che ad Oriente, con quelle contro i Parti (214-217).

Riguardo alle seconde, alla loro base vi è senza dubbio anche il desiderio di guadagnarsi gloria e fama personali con l'estensione dell'Impero verso est, approfittando di una momentanea incertezza politica, dovuta a questioni dinastiche, del regno partico.
E sarà proprio l'esito disastroso di queste campagne a perderlo, facendogli mancare l'appoggio fondamentale degli eserciti. Egli infatti verrà ucciso a Carre, nel 217, dai suoi stessi soldati.

Al suo posto diverrà imperatore (seppure per pochissimo tempo) un certo Macrino, primo esempio nella storia di Roma di uomo asceso fino alla dignità imperiale partendo dalla carica di prefetto del pretorio. Egli realizzerà in tal modo il sogno di molti tra coloro che lo avevano preceduto in tale carica - tra i quali, su tutti, spicca Seiano.

4. Il breve regno di Elagabalo (217-222)

Macrino, facendosi incoronare imperatore dagli eserciti senza neanche attendere la conferma del Senato, dimostra subito di confidare totalmente nella solidarietà e nell'appoggio di questi ultimi.
Tuttavia egli non riuscirà a conservarsi nemmeno il loro favore, probabilmente a causa di una pace ingloriosa e onerosa stipulata con il regno dei Parti, un atto non approvato dalle truppe; verrà ucciso perciò da queste ultime dopo solo pochi mesi di governo.

Al suo posto viene allora eletto imperatore Eliogabalo (Marco Aurelio Antonino), allora quattordicenne, per iniziativa della nonna Giulia Mesa, la quale sostiene tra le milizie orientali un'ampia campagna in suo favore.
Gli eserciti inoltre lo acclamano imperatore anche per i vincoli di parentela che egli riveste con Settimio e Caracalla, della cui dinastia si pone come continuatore.

L'interesse del suo regno è essenzialmente di carattere culturale e religioso.
Ciò che lo caratterizza infatti è un ambizioso tentativo di rinnovamento dell'Impero sia a livello religioso, sia a livello di classe dirigente. Ma sarà proprio un tale ambizioso progetto a perderlo, risultando inaccettabile agli occhi della classe politica romana. Verrà ucciso infatti - come Caracalla - dai pretoriani nel 222.

- La crisi 'd'identità' dell'Impero

Oltre che dalla crisi istituzionale e politica dell'Impero, il terzo secolo è caratterizzato da una crisi di natura culturale e religiosa. Si diffondono difatti in questo periodo molti nuovi culti, sui quali si affermerà gradualmente il cristianesimo.

Sebbene non sia ancora divenuta la religione ufficiale dell'Impero (cosa che accadrà nel secolo seguente), tale culto si è infatti già largamente diffuso in tutto il mondo romano, spesso anche tra i ceti più elevati.
Molti imperatori inoltre, ad esempio Commodo, tendono rispetto al passato a mostrarsi decisamente più tolleranti verso la nuova religione, rinunciando ad atteggiamenti eccessivamente ostili e persecutori nei suoi confronti.
D'altronde, anche tra i cristiani inizia a svilupparsi un diverso clima ideologico e un diverso atteggiamento verso lo Stato (ne è un esempio un discorso di Celso della fine del II secolo, nel quale questi auspica un maggiore impegno e una maggiore sollecitudine dei cristiani verso l'attività pubblica).

Ma il cristianesimo è soltanto una delle molte religioni che in questi anni stanno prendendo piede all'interno del mondo occidentale, segno questo della profonda crisi d'identità che attraversa tali zone. Tra essi, vi sono per esempio il culto di Mitra o quello di Iside.
Quasi tutti d'origine orientale, essi testimoniano l'influenza esercitata sull'Occidente dalla cultura asiatica, non solo sul piano politico ma anche su quello culturale e religioso.

Ed è appunto in un tale clima di forte fermento religioso, che si colloca il tentativo del giovane imperatore Elagabalo di instaurare in Roma una nuova religione, che si affianchi integrandolo all'antico pantheon degli dei della tradizione occidentale.

- La riforma religiosa di Elagabalo

Appartenente all'aristocrazia asiatica, estraneo perciò agli ambienti di governo occidentali, Elagabalo giungerà a Roma soltanto nel 219 (a due anni circa dalla propria proclamazione).
Qui giunto, egli si preoccuperà soprattutto di diffondere il culto solare di Baal, la religione monoteistica della quale è sacerdote.
Assieme a questa, egli esporterà a Roma - e da qui in tutto il mondo romano - concezioni e costumi di origine orientale, gli stessi peraltro che sono alla base del fascino esercitato sui romani anche dalle altre religioni orientali.

Poco si sa del governo del giovanissimo Elagabalo (che fu, oltre a tutto, molto breve). Su di lui rimangono inoltre soprattutto degli scritti di parte senatoria, che descrivono il suo regno come un insano crogiolo di vizi e di eccessi in stile - appunto - orientale.

Pare però che, alla base del suo omicidio, vi sia un'incompatibilità fondamentale tra le sue idee (e quelle del suo seguito) e quelle della vecchia classe dirigente romana occidentale.
Nel 222, l'ormai solita congiura delle guardie imperiali pone infatti fine alla sua vita e quella del suo regno.

5. Alessandro Severo (222-235) e la ripresa della politica senatoria

- La nuova politica filo-senatoria

Salito al potere ancora molto giovane, all'incirca alla stessa età di suo cugino Elagabalo (che lo ha adottato nel 211), Alessandro governerà comunque molto più a lungo di questi, anche probabilmente grazie alla propria istintiva disposizione a piegarsi ai desideri della classe dirigente romana e occidentale.
Sotto la sapiente guida di Ulpiano, il maggiore giurista del suo tempo, egli porta avanti una politica moderata, vicina agli ideali della classe senatoria, nonché in genere dei tradizionalisti.

Sotto il suo principato, molti degli antichi privilegi nobiliari verranno ripristinati, e l'istituzione senatoria (e assieme a essa, i soggetti che ne fanno parte: i senatori) riacquisterà almeno una parte del suo antico prestigio (compatibilmente ovviamente con la mutata situazione di fatto, ormai decisamente differente rispetto agli anni passati, in quanto caratterizzata: dallo strapotere degli eserciti; da un'amministrazione imperiale estremamente centralizzata ed 'esclusiva'; dalla tendenza alla penalizzazione della città di Roma - sede appunto del Senato -, ormai quasi parificata dal punto di vista giuridico agli altri municipi imperiali; ecc.)

Uno dei provvedimenti presi a favore del Senato sarà, per esempio, quello di sopprimere l'antico principio di incompatibilità tra il rango senatorio e la carica del prefetto del pretorio (carica che - come si è visto - dà grandi prospettive di carriera politica a chi la ricopre).

Non si arresta, comunque, il processo alla base della crisi dell'Impero, e con esso la necessità di continui interventi statali in tutti i settori (economici, militari, ecc.), con la conseguenza inevitabile della crescita della pressione fiscale.
In questi anni, poi, parallelamente al diffondersi del fenomeno inflattivo a livello monetario, prende piede sia la pratica dei pagamenti in natura sia quella delle prestazioni di lavoro e di servizi in luogo dei pagamenti in danaro.

- Imprese militari

Negli ultimi anni del suo principato, Alessandro dovrà fronteggiare i tentativi di invasione dei Parti in Armenia (230-232), e quelli di alcuni popoli barbari sui confini germanici (234-235).

Le campagne orientali sono dovute a una nuova offensiva del Regno partico, guidato in questi anni da una nuova e più aggressiva dinastia, quella Sasanide.
Il nuovo sovrano Artaserse conquista infatti l'Iran, l'Afghanistan, la Mesopotamia e parte dell'Armenia, avvicinandosi così pericolosamente ai domini romani.
Dopo alcuni inutili tentativi di mediazione, Alessandro si vede quindi costretto a intervenire militarmente: le sue saranno campagne vinte 'per il rotto della cuffia', ma in ogni caso vinte. Nel 232 infatti i romani riprendono possesso della Mesopotamia.

Le campagne combattute in Germania, contro l'offensiva dei popoli barbari, costeranno invece la vita all'imperatore e al suo seguito.
Forse ciò avviene per aver Alessandro tentato di 'comprare' la pace col nemico (pratica molto in uso nel periodo tardo-imperiale), o forse per il sospetto di un indirizzo eccessivamente filo-orientale del suo orientamento politico-militare.
In ogni caso anche lui verrà eliminato, come molti suoi predecessori e successori, da una rivolta delle proprie legioni - in questo caso quelle occidentali - nel 235.

CONCLUSIONI (193-235)

Il periodo dei Severi conosce, rispetto a quello precedente degli Antonini, una brusca inversione di tendenza, dovuta a difficoltà sia interne (fondamentalmente di carattere produttivo) che esterne (legate essenzialmente a una maggiore insicurezza sui confini).

Tali difficoltà causano infatti:
- un incremento degli apparati statali (in particolar modo di quelli militari);
- una generale diminuzione del benessere economico, soprattutto tra le classi medie e i ceti popolari (i quali tendono di conseguenza a riversarsi all'interno delle grandi proprietà terriere);
- la crescita delle proprietà latifondistiche;
- l'emarginazione politica del Senato e in generale delle classi nobiliari (i cui interessi divergono sempre più rispetto a quelli dei ceti filo-imperiali) dall'amministrazione dello Stato.

Inizia in questi anni quel lungo processo di disfacimento, sia territoriale che politico, che culminerà nei secoli successivi con la caduta stessa dell'Impero.

Adriano Torricelli


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014