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NUMERAZIONE ROMANA

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I romani rappresentavano i numeri con alcune lettere maiuscole del loro
alfabeto. Il disegno di queste lettere:
I (uno), V (cinque), X (dieci), C (cento), D (cinquecento), M (mille), era
molto semplice e si poteva fare ovunque: per terra, sulla sabbia, sulla
polvere, con un bastoncino. In fondo la terra non è forse stato il primo
quaderno da scrivere?
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Le prime lettere dell'alfabeto furono disegnate su tavolette ricoperte di
sabbia; solo successivamente la sabbia venne sostituita dalla cera e le
lettere venivano incise con un ferro appuntito chiamato "stilo".
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La numerazione romana era fondata su questi principi:
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le lettere I - X - C si potevano ripetere fino a tre volte (II=2; III=3;
XX=20; XXX=30);
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una cifra piccola, posta alla destra di una più grande, si sommava (VI=6;
VIII=8; XII=12; LV=55);
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le cifre I - X - C, poste alla sinistra di una cifra più grande, si
sottraevano (IV=4; IX=9; XC=90; CD=400);
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un trattino orizzontale, segnato sopra una o più lettere, rendeva il
loro valore mille volte più grande (
=
3.000; = 10.000;
= 10.008);
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due trattini orizzontali rendevano il valore delle lettere un milione di
volte più grande (
= 5 milioni).
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Per poter fare i calcoli non usavano ovviamente la numerazione scritta, ma
alcuni sassolini, che in latino si chiamavano appunto "calcoli".
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I sassolini, a loro volta, venivano infilati nelle scanalature di un abaco.
Ovviamente i romani non avevano parole per i numeri più grandi di 100.000
(per i greci, d'altra parte, 10.000 era già una "miriade").
Enrico Galavotti
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