STORIA ROMANA


Marco Giunio Bruto

Marco Giunio Bruto (85-42 a.C.) in un ritratto romano
Musei Capitolini di Roma

Marco Giunio Bruto Cepione (latino: Marcus Iunius Brutus Caepio; 85 a.C.–42 a.C.), o semplicemente Bruto, fu un senatore romano della tarda Repubblica romana e uno degli assassini di Gaio Giulio Cesare.

Bruto era figlio dell'omonimo tribuno della plebe Marco Giunio Bruto e di Servilia Cepione, sorellastra di Catone Uticense ed amante di Giulio Cesare. Alcune fonti accennano alla possibilità che Cesare fosse suo padre, ma appare improbabile visto che Cesare al tempo della nascita di Bruto aveva solo quindici anni.

Uno zio di Bruto, Quinto Servilio Cepione, fratello di sua madre Servilia, lo adottò quando era giovane e Bruto aggiunse il suo cognomen al proprio nome. La sua carriera politica cominciò quando divenne assistente di Catone, mentre questi era governatore di Cipro. Durante quel periodo, si arricchì praticando l'usura. Sin dalla sua prima apparizione in senato, Bruto si schierò con gli Ottimati (la fazione conservatrice) contro il Primo Triumvirato di Crasso, Pompeo e Cesare. Aveva del resto ottimi motivi per odiare Pompeo, il quale aveva fatto assassinare suo padre nel 77 a.C., durante le proscrizioni di Silla.

Quando però nel 49 a.C. scoppiò la guerra civile fra Pompeo e Cesare, Bruto seguì il suo vecchio nemico Pompeo, divenuto capo degli Ottimati. Dopo il disastro della battaglia di Farsalo, Bruto scrisse a Cesare porgendogli le proprie scuse, Cesare accettò le scuse e lo perdonò. Cesare lo accolse quindi nella sua cerchia e lo nominò governatore della Gallia in occasione della sua spedizione in Africa all'inseguimento di Catone e di Metello Scipione. L'anno successivo (45 a.C.) lo nominò pretore.

Bruto era un conservatore per natura, e non celò mai le sue convinzioni. Sposò Porcia che era sua prima cugina e una figlia di Catone e scrisse un testo che elogiava le qualità del suo suocero defunto. Cesare era molto affettuoso nei confronti di Bruto e rispettava le sue opinioni. Tuttavia, Bruto, come molti altri senatori, non era soddisfatto per lo stato della Repubblica. Cesare era stato nominato dittatore a vita e stava approvando una legislazione per concentrare il potere nelle proprie mani.

Insieme al suo amico e cognato Cassio ed altri uomini, Bruto cominciò a cospirare contro Cesare. Alle Idi di marzo (15 marzo; vedi calendario romano) del 44 a.C., un gruppo di senatori, tra i quali Bruto, assassinò Cesare sui gradini del Teatro di Pompeo . Nel Giulio Cesare di William Shakespeare, il dittatore rivolge le sue ultime parole famose a lui: "Et tu Brute?" ("Anche tu, Bruto?"). Svetonio afferma che Cesare abbia detto, in greco, "και συ τεκνον;" (kai su, teknon? - "anche tu, figlio?") (De Vita Caesarum Liber I Divus Iulius, LXXXII) e anche Cassio Dione riporta le stesse parole (Hist. Rom. 44, 19) da cui poi nasce la traduzione più poetica (ma la più conosciuta): "Tu quoque, Brute, fili mi! ".

I cospiratori ebbero un'amnistia provvisoria da parte di Marco Antonio che alla morte di Cesare era diventato il capo dello stato. Tuttavia, la città stessa era contro di loro, perché la maggior parte della popolazione amava Cesare. Antonio decise di sfruttare le circostanze ed il 20 marzo parlò duramente contro gli assassini durante l'elogio funebre di Cesare. Poiché Roma non li vedeva più come i salvatori della Repubblica e rischiavano l'accusa di tradimento, Bruto e gli altri cospiratori fuggirono in Oriente.

Ad Atene, Bruto si dedicò allo studio della filosofia e, cosa non meno importante, alla ricerca di fondi ed al reclutamento di soldati per formare legioni. Antonio ed il figlio adottivo di Cesare Ottaviano erano determinati a inseguire lui e Cassio per cercare vendetta.

Gli eserciti di Antonio e di Ottaviano fecero la loro apparizione nell'estate del 42 a.C. Il 3 ottobre, la Prima battaglia di Filippi non fornì un risultato decisivo. Gli uomini di Bruto sconfissero Ottaviano, ma Antonio aveva sconfitto Cassio. Cassio si era allora suicidato, senza sapere della vittoria del suo alleato. Entrambi gli eserciti si raggrupparono e combatterono nella Seconda battaglia di Filippi il 23 ottobre. Secondo Plutarco e Svetonio, Bruto era afflitto da sogni di Cesare e da altri presagi che prevedevano la sua sconfitta ed il suo morale era molto basso. "Ci vediamo a Filippi" il saluto di un fantasma dato a Bruto in sogno la notte prima della battaglia. Questa volta Ottaviano ed Antonio furono i vincitori incontestati. Bruto organizzò la fuga, ma non andò molto lontano. I suoi amici lo esortarono a fuggire ancora, ma egli rispose con una delle sue più famose frasi: "Fuga, sì, ma questa volta con le mani, non con i piedi". Detto questo, si uccise.

Fonte: it.wikipedia.org/wiki/Marco_Giunio_Bruto


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 15/11/2016