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| Polifemo promette di dargli ospitalità perché ha apprezzato il vino, ma in cambio vuole sapere come Ulisse si chiama, e questi, siccome non può scendere a patti con un essere così spregevole e inferiore, fa leva sulla propria superiorità linguistica e mente un'altra volta, abbindolandolo: "Mi chiamo Nessuno". Si noti come in questa ambiguità terminologica si celi anche, psicologicamente, un rapporto falsato che Ulisse ha con la realtà e col suo interlocutore, qui come altrove. Assai raramente si fa riconoscere o svela le sue origini: dà sempre l'impressione di essere un uomo privo di identità, senza un passato. A forza di mentire, d'ingannare, di tradire sembra che si vergogni di essere quel che è, cioè da un lato sembra che l'umano sia un sentimento del tutto atrofizzato, dall'altro però proprio questo continuo bisogno di negarsi svela indirettamente un certo senso di colpa. La distanza tra i due è comunque incolmabile e il delitto dell'istintivo ed esasperato Polifemo rende vana qualunque possibilità di intesa. Nella mente di Ulisse frulla solo un'idea: come eliminare l'avversario. Il vino viene usato come narcotico, svolge una funzione ingannatrice tipica della civiltà occidentale nei suoi rapporti con le formazioni pre-schiavistiche. L'alcool come invito a godere le gioie della vita (sullo stile dionisiaco), affinché chi lo offre possa indebolire le difese personali di chi lo accetta e colpirlo là dove meno se l'aspetta, cioè nella fiducia riposta in chi offre un dono gratuitamente. Attraverso il vino Ulisse realizzerà non solo il proprio inganno e la propria frode ma anche la propria violenza. Il vino è l'arma della pubblicità, che produce il contrario di ciò che promette, come il serpente dell'Eden. Omero a questo punto ha gioco facile: obbliga Polifemo a rimangiarsi la promessa non perché Ulisse ha mentito, ma perché sin dall'inizio la promessa stessa del ciclope era falsa, doveva apparire falsa. Ulisse inganna uno che mente: l'uso strumentale del vino è lecito. La descrizione dell'accecamento deve necessariamente essere molto dettagliata, perché deve suscitare da parte del lettore-ascoltatore il gusto di una rivincita. Al sentire le sue urla gli altri ciclopi accorsero subito, smentendo così che Polifemo vivesse una vita del tutto isolata. Qui il racconto cade nel ridicolo. Polifemo non apre la porta della grotta, ma spiega agli amici che "Nessuno" lo ha reso cieco. Al che è naturale che gli altri lo ritengano come uscito quasi di senno e se ne vadano immediatamente. I consigli che gli danno sono gli stessi che avrebbero potuto dargli gli uomini civilizzati. Tutto il suo male gli viene dal suo ateismo, che è in definitiva protervia. Solo con la fede potrà risanarsi, cioè recuperare il senno. |
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