LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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GRECIA E SIRIA ANTICHE, SOMIGLIANZE E DIFFERENZEI - II
Nel mio precedente articolo (Grecia e Vicino Oriente: due mondi diversi) contrapponevo rigidamente la Grecia al mondo vicino orientale, senza considerare nella giusta misura le differenze che caratterizzano questa seconda – vastissima – realtà al proprio interno. Pur costituendo difatti il “Vicino Oriente” un insieme di regioni per molti aspetti unitario nei propri caratteri di fondo, non si deve ignorare come esso contenga inevitabilmente al suo interno una vastissima gamma di differenze. In particolare, ci soffermeremo qui avanti sulle regioni siriane (le regioni costiere corrispondenti agli attuali Libano, Siria, Palestina/Israele) vedendone gli elementi di somiglianza tanto ambientale quanto politico-culturale rispetto alla Grecia. Assieme a ciò, cercheremo di inquadrare le ragioni del diverso percorso politico da esse conosciuto, a dispetto delle forti somiglianze che le caratterizzano. Questo scritto, vuole essere una risposta e un approfondimento alle gentili osservazioni fatte dallo storico Barry Strauss a proposito del mio articolo precedente, osservazioni non a caso poste in apertura del presente scritto. a) Le tradizioni politico-sociali del Vicino Oriente Prima di tutto, cerchiamo di inquadrare la matrice prevalente delle società vicino asiatiche. Anche se (come non si potrà non notare) il discorso sviluppato in questo primo paragrafo sarà estremamente generale, penso che esso descriva bene i caratteri di fondo delle società vicino orientali complessivamente intese, ragione per cui varrà la pena di considerarlo. Le società dell’area vicino asiatica erano di solito società essenzialmente pastorali e agricole, legate allo sfruttamento della terra, e nutrivano una innata diffidenza nei confronti del mare e delle attività marittime (in questo dato, come vedremo, risiede una delle ragioni dell’anomalia delle regioni e delle culture siriane rispetto al resto del Vicino Oriente). Erano inoltre società fortemente gerarchizzate, in cui i poteri dirigistici regi si trovavano al vertice dell’organizzazione statale mentre i poteri burocratici locali costituivano un anello intermedio tra tale vertice e la base produttiva agricola. Tali poteri burocratici e amministrativi, pur molto articolati al loro interno, erano nelle mani di un’aristocrazia funzionariale e terriera che governava su territori ufficialmente di pertinenza del sovrano, ma da lui non direttamente controllabili. Esistevano poi una vasta e potente casta sacerdotale(le società vicino orientali erano profondamente religiose, e consideravano gli dei come i protettori dello Stato e della comunità, e la vita umana in tutti i suoi aspetti come una celebrazione della loro grandezza – se però gli uomini si macchiavano di qualche mancanza verso gli dei, tale sostegno veniva a mancare); una casta di militari di professione(anch’essa molto gerarchizzata al proprio interno); ed infine la grande massa della popolazione agricola, insediata nelle campagne e nei villaggi, politicamente asservita al re attraverso la mediazione dei poteri funzionariali locali. Soffermiamoci un attimo su due aspetti chiave per il presente discorso: il popolo agricolo delle campagne e la nobiltà dirigistica di Stato, risiedente nei centri urbani. Il popolo agricolo, come già si è detto, abitava nei villaggi e lavorava le terre circostanti, costituendo così il motore stesso dell’economia primaria (quella preposta alla creazione dei beni di consumo diretti). Le terre dei villaggi agricoli erano in gran parte comunitarie ovvero condivise dai membri dei vari clan gentilizi (la struttura gentilizia era più antica di quella statale e urbana, che su di essa per molti aspetti infatti si innestava). Vi erano inoltre anche piccoli proprietari privati e individuali delle terre, ma solitamente erano delle eccezioni. Esistevano spesso inoltre, all’interno delle campagne, anche delle grandi proprietà terriere. Esse, quando esistevano, erano sempre nelle mani dei nobili, i quali, come si è già detto, erano anche gli amministratori dei villaggi agricoli locali per conto del re e del potere centrale dello Stato. Il che significa che essi, tra l’altro e principalmente, erano a capo della gestione dei lavori comunitari che si svolgevano nelle campagne delle loro circoscrizioni, e avevano inoltre il compito di riscuotere le imposte regie. Ovviamente il discorso appena fatto variava nello specifico da zona a zona: in alcuni Stati i nobili potevano essere amministratori regi e possessori di grandi appezzamenti agricoli (formalmente dati loro in concessione dal re); in altri potevano essere solo proprietari di terre (feudatari, sempre per concessione regia) ma non amministratori (poteva esservi a questo scopo una classe di funzionari urbani, indipendente dalla nobiltà terriera); in altri potevano essere entrambe le cose. I nobili erano a volte più, altre volte meno strettamente asserviti al potere del sovrano (il caso ittita è molto esplicativo, a questo riguardo: la nobiltà di spada e terriera ittita per molto tempo godé di grande autonomia rispetto al potere regio; quando però lo Stato ittita si trasformò in un vero e proprio impero militare, essa dovette per forza di cose sottomettersi più rigidamente all’autorità del sovrano, rinunciando a parte delle proprie precedenti prerogative). Ma in entrambi i casi, il rigido dominio che i nobili esercitavano sulla popolazione delle proprie circoscrizioni (a partire dai contadini, per arrivare ai mercanti, che agivano essenzialmente su loro mandato) impediva che si sviluppasse una vita sociale da esso indipendente. Gran parte della vita economica e sociale dunque, in Oriente ruotava attorno a poteri superiori: a quelli del sovrano e dello Stato negli Stati più rigidamente centralizzati, a quelli della nobiltà in quelli in cui il potere regio era più debole, e in cui quindi l’aristocrazia locale godeva di maggiori autonomie. Erano presenti ovviamente anche classi economicamente benestanti, sia nelle campagne (ad esempio, i piccoli proprietari indipendenti, a volte artigiani specializzati che godevano di speciali privilegi in cambio dei servigi che rendevano alla comunità agricola nel suo complesso) sia e soprattutto nelle città (i centri urbani infatti, erano la sede delle attività “avanzate” e meglio retribuite: quelle secondarie – artigianato, mercati – e quelle terziarie – servizi: amministrazione, culto). Ciò non toglie però che anche tali classi, pur economicamente abbastanza floride, fossero al servizio di un’aristocrazia locale rispetto alla quale godevano di scarsa o nulla autonomia decisionale. Quasi tutte le società asiatiche del resto, conobbero nel corso del tempo alti e bassi. In particolare conobbero frequenti e violenti rimpasti a livello di classi dirigenti, spesso in seguito a invasioni di nuovi popoli cui si accompagnava quasi sempre, per l’appunto, un sostanziale ricambio dei membri delle élite di governo (lo vedremo a proposito degli Achei in Grecia e dei Luvii in Anatolia). Altre volte – ma era un caso molto più raro – l’arrivo di nuovi venuti coincideva con la cancellazione di alcuni Stati (…è di nuovo, qui, la storia ittita a darci un mirabile esempio: l’impero ittita difatti, fu letteralmente spazzato via nel XII secolo dalle invasioni – o dalle conseguenze di esse – dei Popoli del mare; ma eventi simili possiamo osservarli anche per quanto riguarda la storia della Mesopotamia, segnata da frequenti lotte per il predominio regionale tra diversi popoli, che a volte culminavano nella distruzione di importanti città-stato.) Eppure, dopo ogni periodo di cambiamento anche radicale, la tendenza dominante in queste zone fu sempre quella al riformarsi di Stati strutturalmente identici ai precedenti, ovvero politicamente accentrati e organizzati secondo una rigida gerarchia politico-sociale. Quella dispotica, in altri termini, pare essere la forma di governo largamente dominante e quindi “naturale” (anche se, come vedremo, non unica) del Vicino Oriente asiatico. L’unica eccezione, peraltro come vedremo solo parziale, a questa regola fu costituita dagli Stati costieri siriani. L’altra, situata peraltro ai margini occidentali di tale area e non propriamente all’interno di essa, fu costituita dalla Grecia e dalle vicine regioni egee, in particolare quali si svilupparono a partire dal XII secolo a.C. in seguito alle invasioni doriche. b) L’eccezionalità della Siria nel contesto vicino orientale Gli elementi di originalità caratterizzanti le civiltà dell’area siriana rispetto alle altre regioni vicino orientali (Mesopotamia, Assiria, Hatti, Egitto e le altre zone e Stati della stessa macro-area) hanno la loro origine principalmente negli insoliti caratteri geografici delle zone su cui sono insediate. Tali caratteri inoltre, hanno una singolare somiglianza con quelli propri dell’area greca ed egea. Svilupperemo avanti questo secondo argomento, per ora ci accontenteremo di analizzare il primo. I territori costieri delle regioni siriane sono caratterizzati (in modo simile che in Grecia) sia da una notevole frammentazione, sia da una minore resa agricola rispetto a quelli delle regioni vicine. Di nuovo come in Grecia poi, anche qui vi è l’eterna “scappatoia” del mare, il grande benefattore come lo definiva Gustav Glotz in riferimento ai popoli egei: riserva alimentare da una parte, ma anche dall’altra presenza ancestrale che attrae irresistibilmente e invita all’avventura, al commercio e alla libera intrapresa. Del resto, la natura non troppo generosa dei territori agricoli di tali zone spinse senza dubbio da subito i loro abitanti a non fare dell’agricoltura la loro unica (seppure inevitabilmente, la principale) fonte di sostentamento. Ma quest’ultima non fu la sola influenza che il territorio ebbe sulla vita economica e sociale di queste regioni. La loro natura territorialmente frammentata e disorganica infatti, rendeva più problematico e incerto per i centri urbani il compito di esercitare un controllo rigoroso sulla vita dei villaggi e delle campagne. Infine, sempre una tale frammentazione tendeva a ostacolare l’appropriazione di porzioni di terra eccessivamente vaste da parte della nobiltà, e con ciò lo sviluppo nella popolazione di differenze patrimoniali eccessivamente cospicue. La nobiltà terriera quindi, era qui probabilmente economicamente (oltre che, come si è visto, politicamente e amministrativamente) meno onnipotente che negli altri paesi vicino orientali. Infine, è probabile che una tale frammentazione rendesse meno solidi gli stessi vincoli comunitari e gentilizi caratterizzanti la vita dei villaggi agricoli, favorendo così l’appropriazione privata delle terre a scapito sia dei poteri dello Stato sia, appunto, di quelli gentilizi. In questa situazione poi, come si è visto, entra in gioco anche il mare, occasione costante di avventure non solo commerciali, ma anche piratesche, nonché a volte, come nel caso delle isole, presenza con cui fare i conti anche solo per entrare in contatto con i più vicini centri di civiltà. Ovviamente, le imprese marittime (soprattutto quelle più impegnative) richiedevano per forza di cose una base economica solida, quindi l’apporto di grandi capitali che almeno inizialmente solo lo Stato o la nobiltà, spesso non solo terriera ma anche mercantile, poteva fornire. E’ tuttavia un fatto che per lo Stato e per le classi superiori in genere, fosse per forza di cose meno facile esercitare un controllo “dall’alto” sui traffici marittimi che su quelli per via terrestre, per loro natura maggiormente legati a percorsi (le cosiddette “vie di traffico”) e modalità prefissate. La natura spiccatamente commerciale dell’economia di questi paesi, inoltre, implicava una vasta produzione di beni esportabili e impiegabili nei traffici come merci di scambio. La forza lavoro e coloro che finanziavano le imprese artigiane alla base di tale tipo di produzione (cui dobbiamo ascrivere la maggior parte della produzione artistica della regione) erano probabilmente molto spesso privati cittadini, le cui attività godevano di un forte grado di autonomia rispetto allo Stato e ai poteri superiori in genere: una sorta di borghesia dell’epoca, insomma. Come è facile vedere, abbiamo qui più o meno tutti gli elementi alla base di una società “aperta” e dinamica, nella quale l’iniziativa privata non solo è premiata ma tende anche a sfuggire alle maglie sia dell’organizzazione statale che di quella gentilizia di villaggio. Tali ingredienti sono l’esistenza diffusa di una piccola proprietà terriera semi-indipendente da una parte, e la possibilità di sviluppo di una libera iniziativa imprenditoriale e commerciale (legata soprattutto ai traffici marittimi) dall’altra. Ovviamente, non si deve dimenticare come anche qui fosse presente la tendenza, caratterizzante anche e ancor più gli altri Stati vicino orientali, ad un controllo statale dei traffici e delle attività economiche urbane in genere. Nel Vicino Oriente infatti, i mercanti e gli artigiani erano spesso agenti per conto dei poteri statali e/o comunitari piuttosto che (come noi oggi tenderemmo a credere) imprenditori privati e anarchici che devono rendere conto delle proprie attività solo a se stessi. A tale proposito vedremo più avanti come la dimensione del commercio privato e della libera intrapresa si affermassero senza dubbio con maggiore virulenza in Grecia che nel Vicino Oriente, e in tale discorso dobbiamo comprendere anche queste regioni “particolari”. Tuttavia, nonostante ciò, possiamo dire che la libera impresa privata o semi-privata (e con essa la formazione di un capitale privato, non controllato dallo Stato) avesse in linea di massima più facilità a svilupparsi in queste regioni che non negli Stati circostanti. Accanto a ciò, bisogna considerare poi il carattere relativamente ridotto dal punto di vista territoriale di questi Stati, essenzialmente città-stato anziché, come altri Stati coevi (l’Egitto, i vari imperi mesopotamici, l’impero Ittita, i grandi Stati come Urartu, Mitanni, ecc.) veri e propri imperi territoriali. Anche un tale fattore, che peraltro tali Stati condividevano con molte altre realtà della stessa area, contribuì senza dubbio a favorire l’affermazione sociale e politica di individui non inquadrati nelle rigide gerarchie politiche e amministrative statali. In contesti politico istituzionali più vasti e impersonali, difatti, fenomeni di questo tipo sono per forza di cose molto più difficili a realizzarsi che in realtà territorialmente più modeste. A coronamento di tutto ciò, dobbiamo osservare come la tradizione del commercio marittimo fosse in queste regioni un fatto molto più antico che nella Grecia continentale. Né ciò è affatto casuale. I grandi imperi di terra del Vicino Oriente difatti, oltre al commercio via terra contemplavano inizialmente al massimo quello fluviale, ma non certo quello marittimo. Eppure l’approvvigionamento di alcune materie prime (ad esempio, per l’Egitto i cedri del Libano) passava spesso per forza di cose attraverso le vie marittime. Queste popolazioni costiere furono quindi molto presto indotte a sviluppare questo tipo di competenze, al fine da agire da intermediari economici tra i vari Regni. La forma dello scambio non era al tempo ovviamente ancora monetale (la moneta vera e propria nascerà solo nel I millennio a.C.), ma le transazioni economiche tra Stati esistevano già e prendevano di solito la forma istituzionale del “dono” reciproco tra i sovrani dei diversi Stati. Ciò implicava presumibilmente che le prestazioni commerciali dei popoli costieri fossero retribuite da parte dei loro committenti attraverso il dono di materie prime o di vantaggi di varia natura, così come che lo scambio commerciale tra Stati assumesse la forma di un “regalo” che il sovrano dell’uno faceva a quello dell’altro, ricevendone per un patto implicito un regalo di valore corrispondente (cfr. Moses I. Finley, Il mondo di Odisseo). In tutto questo, ci si potrebbe chiedere perché, posto che queste regioni godevano di condizioni ambientali e economico-sociali simili per molti aspetti a quelle della Grecia, regione famosa per aver sviluppato (ma solo, come vedremo, a partire da un certo periodo) un tipo di società aperta e dinamica, non fondata (come invece quelle del Vicino Oriente) su gerarchie sociali rigide e su strutture politiche dispotiche, e caratterizzata da una mentalità razionalista e laica in deciso contrasto con quella religiosa e teocratica imperante sempre nel Vicino Oriente… perché, dicevo, anche queste regioni non abbiano dato vita (e anche, a rigor di logica, prima della Grecia, dato il precedente sviluppo dei commerci marittimi, potenti fattori di dinamismo economico e sociale) a sviluppi politici e culturali di eguale natura. Se questo fosse avvenuto, non potremmo ora parlare (come invece facciamo) di un “miracolo greco”. Solo in Grecia difatti, a partire dall’età arcaica, si assiste all’emergere di una società fortemente egualitaria, nella quale una consistente classe media si appropria, grazie a una serie di fattori che analizzeremo meglio avanti, del potere politico e decisionale a scapito dell’antico dominio esclusivo della nobiltà terriera e di sangue. O meglio, solo in Grecia questo fenomeno (presente come si è appena visto anche in Siria, ma in forme e quantità minori) giunge a dare vita a una civiltà di tipo nuovo, ovvero a una società strutturalmente egualitaria e individualistico-borghese nei suoi stessi presupposti di fondo. La risposta a questa domanda costituirà il tema di fondo di questo articolo. c) La Grecia prima e dopo le invasioni doriche Si è già visto come le formazioni del Vicino Oriente fossero il prodotto della fusione e dell’interazione tra le strutture comunitarie e di villaggio (e più in generale, gentilizie) precedenti la nascita delle istituzioni statali, e queste stesse ultime. Lo Stato aveva la sua sede più propria nei centri urbani, mentre la più antica organizzazione sociale gentilizia ancora regnava (seppure non più del tutto incontrastata) nelle campagne e in generale nei territori che, pur rientrando nel comprensorio statale, non erano i centri urbani. Mentre le istituzioni tribali avevano un carattere essenzialmente comunitario, nel senso che la comunità gentilizia era un’unità risultante dall’interazione fondamentalmente paritaria tra i suoi membri (carattere collegiale che trovava la propria espressione in istituzioni quali le Assemblee del popolo o i Consigli degli anziani), quelle statali avevano al contrario una natura prevalentemente piramidale, in quanto ogni livello sociale (casta) governava su quello immediatamente inferiore, essendo a sua volta espressione della volontà di quello superiore. In tale organizzazione, il Sovrano (affiancato a volte dalla casta sacerdotale, altre volte – di solito – indipendente e superiore anche a essa) costituiva il livello sommo, dal quale tutto il resto della società dipendeva, mentre il popolo agricolo (le comunità di villaggio, appunto) costituiva la base produttiva o l’ultimo livello, caratterizzato da una pura passività sul piano decisionale. Vi era quindi una lotta implicita tra queste due sfere: nel senso che in alcuni Stati la civiltà urbana (statale) era più forte e comandava sulle campagne in modo più deciso, mentre in altri al contrario essa doveva fare più pesantemente i conti con le tradizioni gentilizie e ne era più fortemente limitata. Vi era infine – lo abbiamo visto bene a proposito delle regioni siriane – un’altra tendenza: quella alla nascita di una classe per così dire “anarchica” e autonoma, in quanto non soggetta (almeno, non del tutto) né ai vincoli delle istituzioni gentilizie né a quelli delle istituzioni statali: nelle campagne difatti sorgeva a volte una forma di proprietà individuale indipendente (o semi) sia dall’autorità statale (grandi proprietà terriere) sia dai vincoli comunitari (proprietà tribali gentilizie), mentre nelle città si sviluppava una classe di imprenditori (semi) indipendenti dai poteri delle caste funzionariali statali, una classe legata soprattutto ai commerci, in particolare a quelli marittimi. - Minoici e Micenei: i primi Stati egei Quanto detto finora lo possiamo riscontrare anche nelle società micenee, formatesi e sviluppatesi nella penisola greca tra la prima metà del II millennio e la fine di esso. Tali società erano sorte per ispirazione diretta delle vicine società minoiche cretesi, a loro volta pesantemente influenzate nella propria evoluzione da quelle vicino orientali (Siria, Anatolia, Egitto) con cui intrattenevano stretti e frequenti rapporti economici e culturali. Entrambe queste culture, minoica e micenea, erano politicamente organizzate attorno all’autorità di un sovrano risiedente in un Palazzo urbano, centro della vita politica e decisionale dell’intera comunità statale. All’interno di tale Palazzo, vivevano e operavano il re e i più alti funzionari dello Stato. Nel resto del centro urbano invece, troviamo i membri di gran parte delle restanti gerarchie burocratiche e funzionariali, oltre alle sedi delle attività economiche specializzate (artigianato e mercati), religiose (casta sacerdotale) e militari. Le campagne invece, erano come sempre le sedi delle attività agricole di base, ed erano divise in vari lotti o distretti (temenoi) affidati dal sovrano a nobili dignitari che avevano il compito di governarli per suo conto (non si sa peraltro, con che grado di autonomia rispetto alla sua autorità). Pur con le inevitabili differenze, legate agli specifici fattori geografici e storici delle regioni greche rispetto a quelle del Vicino Oriente, troviamo qui replicata la tipica struttura statale caratterizzante queste ultime, una struttura fondata sull’assenza (o in ogni caso su un ridotto sviluppo) della proprietà e dell’iniziativa private e sul netto prevalere delle strutture statali piramidali e gentilizie comunitarie. Vi sono tuttavia anche notevoli differenze tra queste due realtà. In particolare, mentre nel mondo minoico (data la natura insulare e profondamente pacifica di tale civiltà) i commerci furono molto sviluppati, in quello miceneo la via del mare venne utilizzata soprattutto a scopi di rapina e di conquista militare, data (molto probabilmente) la natura decisamente meno pacifica della parte dominante della popolazione di tali regioni (gli Achei, giunti in Europa più o meno nel XX secolo a.C. e impostisi col tempo sulle popolazioni precedenti: i cosiddetti Pelasgi). Anche per queste civiltà, come per quelle delle regioni siriane, fondamentale fu la presenza del mare con i suoi traffici, che funsero da stimolo sia economico e sociale (sviluppo dei commerci e in genere delle attività marittime, nonché di conseguenza – presumibilmente – di una classe sociale semi-autonoma ed economicamente intermedia tra popolo e nobiltà), sia culturale (incontro con civiltà differenti e sviluppo di un’atmosfera maggiormente cosmopolita, nonché quindi di vaghi accenni di laicità e relativismo culturale). In quanto civiltà marittime, esse svilupparono dunque una visione e un’organizzazione sociale decisamente più aperta e dinamica rispetto a quelle sviluppate di solito dalle civiltà puramente terrestri. Ciò è vero soprattutto per i Cretesi, che si contraddistinsero per il carattere solare e non violento della loro civiltà, che si rifletté tra l’altro nella propensione verso attività pacifiche come gli scambi commerciali. Diversamente da loro, i Micenei furono invece il risultato dell’invasione avvenuta all’incirca nel XX secolo a.C. da parte di genti indoeuropee (Achei) provenienti dalle zone interne del continente europeo. Queste genti però, pur molto bellicose, non distrussero le civiltà già esistenti (come fecero alcuni secoli più tardi i Dori, sempre in Grecia) ma al contrario, dopo un primo periodo di acclimatamento e di convivenza “pacifica” con i popoli della zona (Pelasgi), si posero, forse anche con azioni violente, al vertice delle precedenti organizzazioni sociali, probabilmente già statali. Sorsero così gli Stati micenei, in modo abbastanza simile a come sorsero (più o meno negli stessi secoli) quelli Ittiti in Anatolia, dove un’altra popolazione indoeuropea (Luvii) si affermò come etnia dominante all’interno di realtà politiche già consolidate da secoli, senza però stravolgerne eccessivamente l’organizzazione preesistente. Probabilmente, proprio una simile origine conferì agli Stati micenei una natura meno pacifica rispetto a quelli vicini minoici (che infatti i Micenei distrussero e sottomisero probabilmente attorno al XV/XVI secolo a.C.). Pare non essere casuale quindi, il fatto che gli Achei delegassero spesso e volentieri ai Fenici lo svolgimento delle attività commerciali marittime, preferendo in ambito marinaro lo svolgimento di attività belliche e predatorie come quelle descritte nell’Iliade (poema che molto probabilmente racconta, trasfigurandola, una guerra reale) (Cfr. B. Strauss, La guerra di Troia). Ovviamente la guerra (soprattutto se con tale termine non si intendono azioni estemporanee di portata ridotta) non è un’attività anarchica, come può essere il commercio, in particolare marittimo. Il che implicò molto probabilmente un più basso grado di sviluppo di classi medie indipendenti nella Grecia continentale del II millennio a.C. rispetto alla Creta dello stesso periodo. Tutto sommato possiamo tuttavia ipotizzare che, mutatis mutandis, anche presso Minoici e Micenei si fossero sviluppati caratteri simili a quelli descritti in precedenza, a proposito delle civiltà siriane. E ciò non solo per la presenza del mare, ma anche perché i territori su cui tali popoli erano insediati furono, come quelli delle regioni costiere siriane, sempre piuttosto frastagliati e discontinui, con tutte le conseguenze che già vedemmo a proposito dei primi. Fin qui, dunque, cogliamo una sostanziale affinità tra queste due civiltà egee e le civiltà siriane, o fenicie che dir si voglia. Tutto ciò riflette inoltre la relativa unità culturale e la sostanziale omogeneità politica di cui godé il bacino del Mediterraneo orientale nell’Età del Bronzo, cioè nel periodo che va all’incirca dal III millennio al XII secolo a.C. In tutto questo, non si deve infine dimenticare come lo Stato come tale, abbia quasi sempre nelle sue espressioni più originarie una natura e un’organizzazione piramidale e di casta non solo (come nei casi sopra analizzati) per l’influenza culturale e politica esercitata da Stati già pienamente sviluppati, bensì anche e soprattutto per ragioni per così dire intrinseche al processo stesso da cui nasce. Esso sorge difatti in origine dal federarsi di più villaggi in un’unità politica, il cui fine è quello di alimentare, mettendo in comune i propri surplus produttivi, una ristretta cerchia di operai specializzati il compito dei quali è fornire loro gli strumenti alla base dello sviluppo e dell’implementazione delle proprie attività agricole. Da questo gruppo originario di individui, che vivono a spese delle comunità agricole circostanti con la parte socializzata del loro lavoro, si sviluppa col tempo la casta dei cittadini, ovvero dei residenti urbani: individui privilegiati in quanto nutriti a spese della comunità dei lavoratori delle campagne e che presto finisce per comprendere anche sacerdoti, amministratori-scribi, soldati (strumento di asservimento della popolazione agricola da parte di quella urbana!) e, naturalmente, vertice stesso della costruzione statale, il sovrano (cfr. M. Liverani, L’origine delle città). Una tale osservazione ci porta allora a considerare per nulla strano il fatto che, anche in regioni come quelle greche, strutturalmente predisposte verso uno sviluppo sociale e politico di tipo anarchico e privatistico, le prime forme di organizzazione statale abbiano avuto una natura fondamentalmente “di casta” quale quella qui descritta. - I Greci dopo le invasioni doriche (XII secolo a.C.) In base a quel che abbiamo detto finora, rimane insoluto l’arcano posto nel precedente paragrafo, sul perché Siria e Grecia, pur per molti aspetti così simili tra loro, abbiano conosciuto da un certo momento in poi sviluppi tanto diversi, la prima restando fondamentalmente (seppure meno di altri Stati del Vicino Oriente) nell’alveo della tradizione orientale dello Stato dispotico, l’altra invece fuoriuscendone e sviluppando un’organizzazione statale basata, in modo non solo marginale ma sostanziale, sull’apporto di individui liberi sia economicamente sia politicamente. La risposta a questa domanda potrebbe essere trovata in un evento decisivo della storia sia vicino orientale sia greca, o meglio in due distinti eventi riguardanti tali aree, ma tra loro così cronologicamente vicini da far pensare a un’origine comune. Tali eventi sono l’invasione della Grecia da parte di una seconda ondata di genti indoeuropee, i Dori (la prima, come si ricorderà, fu costituita dagli Achei) e l’ondata di distruzioni seminate in Anatolia, Siria e infine in Egitto (dove essa venne alla fine infranta e spezzata) dai misteriosi “Popoli del mare”. Entrambe queste catastrofi si collocarono all’incirca tra XIII e XII secolo, e ciò fa pensare che abbiano un’origine comune, probabilmente un movimento di popoli nelle zone occidentali d’Europa, che mise in moto con un meccanismo a catena la migrazione di altri popoli, alcuni dei quali giunsero infine a invadere la Grecia e l’Anatolia. In ogni caso, il XIII secolo costituisce l’inizio di un profondo sconvolgimento delle zone che qui ci interessano: durante esso infatti, i Dori si insediano in Grecia mentre i misteriosi “Popoli del mare” si abbattono come un ciclone lungo le coste dell’Anatolia, spingendosi peraltro anche nelle zone interne di essa, sulle coste siriane e infine in Egitto (dove, come già detto, vengono faticosamente annientati e fermati). Vi è però un’enorme differenza tra questi due eventi, le cui implicazioni avremo modo di analizzare meglio avanti. Mentre i Dori si stabilirono stabilmente sul territorio greco, con conseguenze importantissime e irreversibili sulla sua storia successiva, al contrario i Popoli del mare (un vero e proprio enigma storiografico) passarono come un ciclone distruggendo e saccheggiando, ma senza lasciare tracce stabili del proprio passaggio oltre appunto al vuoto materiale e di civiltà causato dal proprio passaggio. Parliamo dei Dori, innanzitutto. Il loro arrivo in Grecia viene – come del resto quello dei Popoli del mare – fatto coincidere con l’inizio dell’Età del Ferro: entrambe queste popolazioni infatti, erano dotate di armi in ferro, a differenza dei popoli residenti, ancora allo stadio del bronzo. Non che nell’Età del Bronzo il ferro fosse del tutto sconosciuto, ma era comunque presente in quantità esigue, ed era anzi considerato un materiale prezioso. Le armi dei popoli conquistatori erano quindi migliori e più performanti rispetto a quelle di coloro che dovettero resistere alla loro furia devastatrice. Proprio per questo forse, l’arrivo dei Dori ebbe effetti tanto devastanti. Essi non si insediarono in tutta la Grecia, ma solo in determinate aree (soprattutto meridionali), ma scacciando le popolazioni insediate prima del loro arrivo, le costrinsero a cercare a loro volta nuove terre su cui stabilirsi, cosa che esse fecero sia riversandosi sulle vicine coste ioniche, sia altre volte invadendo (come già avevano fatto i Dori) altre regioni greche. La Grecia alla fine di questi eventi è una realtà nuova, radicalmente trasformata: le guerre e le distruzioni hanno determinato infatti un notevole arretramento della precedente civiltà. Le strutture statali micenee, ormai giunte a un notevole avanzamento su tutti i fronti (amministrativi, economici e culturali), sono state in sostanza spazzate via. Secondo alcuni, la stessa civiltà agricola e stanziale è stata cancellata e per circa due secoli le popolazioni greche tornano alla pastorizia, ma questa tesi è discutibile e molto probabilmente eccessiva! Certo è che i Palazzi, centro e simbolo della progredita vita micenea, cadono presto in rovina, pur rimanendo per un certo periodo come vestigia del passato e come sedi dei nuovi sovrani. L’eredità micenea però non scompare del tutto. Le città oramai sono state “inventate”, e anche se cadute in rovina non possono certo essere cancellate per sempre (e infatti rinasceranno a partire dalla fine di questo plurisecolare periodo di oscurità, nel IX secolo). Con esse, in qualche modo, sopravvive anche la cultura statale, contrapposta a quella eminentemente agricola di villaggio. Le precedenti popolazioni, prima proprietarie collettivamente (secondo la tipica organizzazione tribale) delle terre, vengono estromesse dalle terre d’origine e ridotte in schiavitù, mentre i nuovi arrivati procedono a una nuova spartizione di esse, su basi molto probabilmente ancora tribali e comunitarie. Tuttavia, manca oramai una vera supervisione su tali proprietà, dal momento che lo Stato inteso in senso dispotico non esiste più. Esso assume infatti ora, in linea con l’organizzazione dei popoli conquistatori, una forma collegiale, laddove però solo i membri delle popolazioni conquistatrici sono dotati di diritti politici, mentre come si è detto le popolazioni originarie vengono (almeno per la maggior parte) ridotte a un rango servile e subalterno. La mancanza di un’autorità superiore agli interessi particolari, assieme alla frammentazione territoriale (un fattore che, come abbiamo già visto a proposito delle regioni siriane, costituisce un forte impulso all’appropriazione individuale del suolo), spingono l’organizzazione sociale verso una sempre maggiore diffusione della proprietà privata delle terre. Non che i vincoli tribali vengano cancellati dall’oggi al domani. Al contrario, essi resteranno vivi nei secoli, tanto che Clistene di Atene (ancora alla fine del VI secolo a.C.) cercherà con le sue riforme di indebolire tali vincoli, a favore di una piena affermazione dell’autorità statale. Tuttavia, essi sopravvivono indeboliti, non più cioè nella forma della proprietà collettiva della terra da parte dei membri del clan, ma in quella di un generico legame di fedeltà tra di essi, ormai singolarmente proprietari di una porzione di quella che era prima terra comune (che significa, spesso, come rapporto di clientela e vassallaggio da parte dei più poveri nei confronti dei più ricchi membri dello stesso clan!). In tal modo sono poste le basi della società greca successiva: preclassica o arcaica, e classica. Tali basi saranno: l’appropriazione personale e privata dei suoli come regola, anziché (come in precedenza) come eccezione e privilegio riservato a pochi individui; la nascita di una vasta classe di proprietari terrieri, sia ricchi (nobiltà) sia medi, e di una vasta classe di liberi nullatenenti (teti); i centri urbani sedi delle attività politiche, ma non più ruotanti attorno alle attività del Palazzo e del re, bensì attorno alle decisioni di una comunità di eguali costituita dai liberi cittadini:proprietari di terre e soldati e come tali appunto dotati di diritti politici. Col tempo si assisterà inoltre alla formazione di una élite politico-economica, la nobiltà, i cui componenti hanno esteso i propri possessi terrieri e le proprie ricchezze ai danni di altri membri della comunità tribale originaria. Si avrà cioè un processo di differenziazione sociale anche tra questi ultimi. Ciò non toglie tuttavia, l’esistenza anche in un tale contesto di una vasta classe di individui politicamente liberi e individualmente proprietari di appezzamenti di terra: la nascita cioè di una vera e propria cultura della medietà, dell’autonomia individuale e (quindi) della libera iniziativa, del tutto estranea (quantomeno in tale misura) a pressoché tutte le popolazioni del Vicino Oriente. Sono oramai poste le basi stesse della civiltà anarchico-privatistica e (col tempo sempre più marcatamente) razionalistica tipicamente greca e occidentale. Gli sviluppi futuri della storia ellenica, segnati dalla fondazione (tra VIII e VI secolo a.C.) di nuove colonie e dalla conseguente intensificazione dei traffici sia marittimi che terrestri, e dalla nascita e dall’affermazione degli eserciti oplitici, non faranno che consolidare un tale trend di sviluppo. Quanto agli eserciti oplitici, essi costituiscono senza dubbio una tappa fondamentale nell’affermazione di una vasta classe media non solo in seno alla proprietà terriera (processo già descritto sopra) ma anche in seno alla vita politica e pubblica. L’affermarsi di tali eserciti, rivelatisi presto essenziali nello svolgimento delle guerre campestri tipiche della vita politica e sociale degli Stati greci (città-stato), costituì infatti la base primaria delle rivendicazioni politiche delle classi medie. Erano infatti i cittadini medi a farne parte, non la nobiltà né i teti (poveri). La prima difatti si distingueva in battaglia per l’uso della cavalcatura (cavalieri), i secondi invece erano esclusi dalla guerra perché erano economicamente impossibilitati a pagarsi qualsiasi armamento. In quanto pilastro della difesa della città-stato, i piccoli proprietari dunque, potevano ora rivendicare un nuovo protagonismo politico, che li avvicinava ulteriormente ai membri della nobiltà terriera. E’ da notare inoltre, come un tale sviluppo militare sia del tutto estraneo alle tradizioni vicino asiatiche. In esse difatti la guerra è o guerra di popolo, complessivamente inteso (secondo le tradizioni tipicamente tribali cui è tendenzialmente estranea l’idea delle differenze di classe) o è condotta attraverso eserciti mercenari (cioè di professione) o composti attraverso la leva obbligatoria ai danni dei membri delle classi più umili. Solo in Grecia insomma, la guerra diviene un evento politico, nel senso di costituire (oltre che uno strumento di difesa e offesa militare) un’occasione di emancipazione politica. E di emancipazione delle classi inferiori, ovvero medie (i piccoli proprietari, attraverso gli eserciti oplitici) e a volte basse (i poveri, almeno nel caso delle democrazie), dalla tradizionale (peraltro modesta, se confrontata con altre situazioni) sudditanza nei confronti delle classi aristocratiche. d) Quel che resta del Vicino Oriente dopo il passaggio dei Popoli del mare Come già detto, molto diversa rispetto a quella appena descritta fu la vicenda dei Popoli del mare. Anch’essi muniti di armi in ferro, prodotto dell’avanzamento nelle tecniche della lavorazione dei metalli avvenuta nelle regioni settentrionali dell’Europa, essi sbaragliarono le difese di civiltà rispetto alla loro molto più avanzate da ogni altro punto di vista, ma impreparate a fronteggiare un simile attacco a sorpresa. Non è affatto chiaro chi fossero questi misteriosi popoli, né quali motivazioni li spingessero a assalire e a depredare le regioni contro cui si scagliavano. Molto probabilmente, essi erano (almeno in origine) popoli scacciati dalle loro sedi e alla ricerca di nuove terre su cui insediarsi o quantomeno da sottoporre a razzie. Quasi certamente poi, anche qui – come in Grecia – vi fu una sorta di effetto a catena, nel senso che alcuni gruppi oggetto delle devastazioni si unirono ai loro stessi assalitori e parteciparono alle loro successive scorribande, andando a rimpinguare i gruppi dei predoni. Ma la diversità fondamentale rispetto all’invasione dorica consisté nel fatto che i Popoli del mare non si insediarono stabilmente nelle regioni nelle quali passarono, limitandosi piuttosto a distruggere interi Stati e vie di commercio (e quindi di civiltà). Così ad esempio, in Anatolia, essi cancellarono in primo luogo il regno di Arzawa, storico rivale di quello Ittita, ma che con esso intratteneva anche stretti rapporti commerciali (commercio dei metalli), poi la Cilicia e Cipro e infine la Siria, tutte grandi fonti di approvvigionamento di metalli. L’Impero ittita fu tanto indebolito dalla perdita di queste vie commerciali (necessarie per la costruzione di armi) da essere a sua volta spazzato via dalle popolazioni settentrionali, i Gasga, suoi tradizionali nemici. Con la scomparsa di questi Stati (e in particolare di quello ittita) l’Anatolia complessivamente regredì in pochi anni di alcuni secoli. (Per inciso, la condizione di debolezza dell’Anatolia fu senza dubbio una delle ragioni per le quali la Grecia, a sua volta indebolita dalle invasioni doriche, poté comunque portare avanti un proprio originale percorso di sviluppo. C’è da chiedersi infatti se, trovandosi in una condizione migliore, gli Stati anatolici non avrebbero approfittato di una tale debolezza per estendere la propria influenza economico-politica sulle regioni egee, interrompendo in tal modo l’autonomo processo di sviluppo in esse in corso.) Furono alcuni piccoli Stati come quello di Tabal, a est di quello che era stato un tempo l’Impero ittita, a raccoglierne l’eredità politica e culturale, anche se rispetto a esso con una notevole differenza di forza e di prestigio. E furono proprio tali popoli, o meglio parte di essi, a rifluire verso le zone occidentali dell’Anatolia, laddove era fiorito secoli prima il regno di Arzawa, per fuggire dagli Assiri e dai Cimmeri, e a fondare probabilmente tra IX e VIII secolo a.C. i due grandi imperi Frigio e Lidico, protagonisti della storia politica della regione fino all’arrivo dei Persiani. (Cfr. James G. Macqueen, Gli Ittiti). Quanto alla Siria, anch’essa venne devastata dalle incursioni di questi popoli bellicosi, che lasciarono dietro di sé un vero e proprio deserto, distruggendo città-stato commerciali quali Aleppo, di fondamentale importanza per la vita economica e culturale dell’intero Vicino Oriente. Solo lo Stato dei Filistei rimase in piedi, mentre la nascente potenza dello Stato ebraico si avvantaggiò profondamente dello spaventoso vuoto venutosi a creare sia nelle regioni siriane circostanti sia in Egitto, paese che – come si è detto – fermò l’avanzata dei Popoli del mare a prezzo di grandissime perdite materiali, con la conseguenza di un declino che, pur temporaneo nelle sue espressioni più estreme, rimase poi definitivo. Quel che bisogna notare, in conclusione, è come questa lunga serie di eventi catastrofici, che inaugurarono (assieme all’invasione dorica in Grecia) l’Età del ferro mediterranea, ovvero il periodo nel quale l’uso del ferro divenne prevalente rispetto a quello del bronzo e del rame, determinò in un certo senso solo una temporanea crisi del mondo vicino orientale. Quest’ultimo, difatti, finì col tempo per ricostituirsi secondo coordinate politiche, sociali e culturali pressoché identiche a quelle dei periodi precedenti. Un discorso molto differente deve invece essere fatto per la Grecia, per la quale l’invasione dorica segnò – come si è mostrato ampiamente – l’inizio di una nuova storia, la nascita di un nuovo tipo di società, fondata come si è visto su presupposti radicalmente diversi da quelli dei precedenti periodi minoico e miceneo. e) Lo Stato ebraico e le sue peculiarità Un'interessante variante rispetto a quanto si è detto in precedenza a proposito degli Stati siriani è costituita dallo Stato di Israele, formatosi proprio durante il periodo delle invasioni dei Popoli del mare, e in gran parte proprio in conseguenza di esse. Anche in questo caso, troviamo una società caratterizzata da forti spunti egualitari, ma per ragioni diverse da quelle analizzate sin qui. In Siria e in Grecia (quella micenea e, ancor più, quella successiva) è la formazione della proprietà privata, dei piccoli e medi agricoltori e delle classi imprenditoriali urbane indipendenti, a costituire l’origine di tali spunti, in Israele invece, al contrario, è la sopravvivenza delle strutture comunitarie (e quindi egualitarie) del periodo tribale a esserne l’origine. In entrambi questi tipi di formazioni sociali emerge il valore dell’eguaglianza politica, in contrasto con le tradizioni asiatiche e dispotiche, ma se le prime giungono a una tale affermazione attraverso la scoperta e l’affermazione del valore dell’individuo come tale, la seconda (e più in generale, come vedremo, le società nomadi e seminomadi del deserto arabico) vi arrivano attraverso la conservazione dei rapporti socialistici e comunitari (tribali) tipici delle società primitive prestatali. Le prime, quindi, si spingono in un certo senso oltre lo Stato asiatico, così come lo Stato ebraico rimane tendenzialmente al di qua di esso. Ovviamente il discorso non può essere tutto nero o tutto bianco. La componente tribale fu infatti un elemento essenziale sia della vita politica e sociale del mondo greco (sia miceneo sia post-miceneo) e siriano, sia di quelle dei grandi Stati asiatici. Lo Stato infatti, sorge pur sempre da una trasformazione dei rapporti tribali primitivi, all’interno della quale (come si è visto) essi continuano a costituirne un elemento fondamentale. E del resto, anche lo Stato ebraico solo in un primo periodo si costituì effettivamente come una mera lega di tribù (le dodici tribù d’Israele) reciprocamente legate solo da vincoli religiosi. A partire dall’XI secolo infatti, in concomitanza con la sua graduale affermazione come Stato leader dell’area siriana, esso si diede una forma istituzionale monarchica simile a quella degli Stati vicini, soprattutto ai grandi Stati assiro ed egizio. E tale forma esso conservò anche dopo il suo smembramento, nel X secolo, in due Stati: Giudea a Sud e Israele a nord. Nonostante ciò, tuttavia, l’originaria organizzazione tribale del popolo ebraico – senza dubbio rafforzata da una religione che predicava valori di solidarietà universale e aveva forti accenti socialistici – rimase essenziale nella vita sia dello Stato unico che dei due Stati successivi, come si può notare dalla costante frizione tra i poteri politici della monarchia e quelli spirituali e religiosi dei sacerdoti e dei profeti. Più esattamente, bisogna osservare che, mentre il sacerdozio ufficiale venne effettivamente in gran parte ricompreso nelle istituzioni monarchiche, divenendone (come già accadeva nella gran parte degli Stati del Vicino Oriente) l’espressione a livello religioso, il fenomeno del profetismo sorse e si affermò proprio per contrastare tale tendenza. Esso rappresentò difatti sempre la coscienza originaria del popolo ebraico, coscienza di stampo ancora tribale, che non si lasciò mai piegare dalle trasformazioni che la comunità politica conobbe nel corso dei secoli successivi al suo insediamento in Palestina, e che furono legate sia a necessità oggettive, sia all’influenza politica e culturale dell’ambiente circostante. Una forte somiglianza ci è dato di riscontrare qui con i popoli semitici nomadi del deserto. (Né la cosa può essere casuale, dal momento che anche gli ebrei – come tutti i popoli semitici del resto – aveva origini nomadi.) Le popolazioni del deserto difatti, che vivevano ai margini della grande ecumene che chiamiamo Vicino Oriente, conservarono intatte, e ciò peraltro fino ai tempi di Maometto (VII sec. d.C.) le proprie istituzioni tribali originarie, rifiutando in modo ancora più deciso degli Ebrei, la forma monarchica e accentrata dello Stato. Del resto, le condizioni ambientali in cui tali civiltà si svilupparono (territori estremamente aridi, lontananza e latente ostilità ed estraneità tra le proprie comunità) non solo non favorirono, ma anzi impedirono una loro evoluzione verso forme statali propriamente dette, quali quelle conosciute dalle regioni circonvicine, comprese quelle dell’Arabia meridionale (Yemen). Tali popolazioni nomadi svilupparono un’economia agricola, ovviamente molto povera, e una economia mercantile, legata all’interscambio di merci tra il Sud dell’Arabia (l’Arabia felix dei Romani) e le regioni costiere siriane settentrionali. I rapporti sociali dominanti in esse rimasero sempre quelli comunitari e tribali, e la loro organizzazione sociale fu caratterizzata dallo sviluppo di oligarchie tribali e mercantili che avevano in mano i destini politici delle singole comunità o tribù. (Cfr. Sabatino Moscati, Le antiche civiltà semitiche). Nella storia ebraica e – ancor più – in quella dei popoli nomadi del deserto, troviamo dunque un esempio di comunità vicino orientali estranee (in parte o del tutto) alle tradizioni dispotiche prevalenti in tale area. E’ da notare inoltre, come le tradizioni egualitarie di questi popoli derivassero, anziché dallo sviluppo della proprietà privata e “borghese”, dal permanere di concezioni tribali tipicamente prestatali. f) Mediterraneo orientale vs Mediterraneo occidentale: due storie e due destini A conclusione di questa lunga digressione storica, ci pare utile riassumere i risultati della ricerca appena svolta e – cosa non meno importante – i principali sviluppi a livello mediterraneo della situazione qui descritta. Essenzialmente, abbiamo individuato tre tipi di organizzazione sociale: tribale, ovvero primitiva e comunitaria; statale in senso asiatico, ovvero burocratica e piramidale; privatistica, fondata sulla competizione, sulla proprietà privata e sull’individualismo come valore fondante.
Quest’ultimo tipo di soluzione, tipicamente greca, costituì al tempo un’eccezione pressoché unica non solo rispetto al vicino mondo Mediterraneo ma più in generale alla storia mondiale. Proprio per questo, in modo certamente eccessivo ma non del tutto fuori luogo, un tale tipo di sviluppo è stato definito “miracolo greco” ed europeo in genere, dal momento che la cultura greca pose i semi della civiltà europea dei secoli successivi, fino ai giorni nostri. Quanto agli sviluppi conosciuti dal mondo mediterraneo a partire dal periodo dell’affermazione della cultura “privatistica” greca e della (grosso modo concomitante) affermazione della cultura e della civiltà punica sulle coste europee e nord africane, vale a dire all’incirca dal IX secolo in avanti, possiamo dire che da allora un tale mondo si divise sempre di più in due distinte zone di influenza, tendenzialmente opposte tra loro: a Occidente vediamo infatti come i Greci e i Cartaginesi (eredi della cultura fenicia, in quanto prodotto del processo di colonizzazione delle coste europee e africane occidentali da parte dei Fenici) finiscano per porre i semi di una civiltà tipicamente occidentale, basata sull’apporto economico e politico delle classi medie e imprenditoriali in genere, e fondata in gran parte sul commercio e sulla proprietà privati; a Oriente invece, ovvero nel Vicino Oriente, assistiamo al permanere delle antiche tradizioni dispotiche e stataliste, mitigate in una certa misura a partire dal periodo ellenistico alessandrino dalla presenza dei conquistatori di cultura greco-macedone. Ovviamente, sarebbe eccessivo affermare che i popoli cartaginesi, eredi delle tradizioni teocratiche e stataliste asiatiche, giungessero a sviluppare una civiltà laica e razionalista, nonché un grado di eguaglianza politica paragonabile a quello delle città-stato greche prima e di quelle romane e italiche (loro principali eredi) poi. Anche i Cartaginesi tuttavia, si liberarono presto dell’organizzazione monarchica derivante dalle loro origini fenicie. La loro tipica forma di organizzazione divenne allora, più o come in Grecia prima dell’affermazione politica e militare delle classi medie, l’oligarchia. In complesso dunque, possiamo dire che il mondo mediterraneo occidentale venne “inseminato” da queste due più giovani culture, mentre quello vicino orientale rimase essenzialmente legato alle sue antiche tradizioni. Toccò prima di tutto a Roma e al suo Impero e, successivamente, all’Europa occidentale – e ciò poiché l’Africa settentrionale fu presto ricompresa all’interno del dominio politico-ideologico del Vicino Oriente, a partire soprattutto dalla grande diffusione della cultura islamica;mentre l’Europa dell’est gravitò attorno alla propaggine anatolica (Turchia), anch’essa di tradizioni dispotiche – la missione di portare avanti e di sviluppare ulteriormente le tradizioni politiche e sociali inaugurate dai Greci. L’Europa rimase, per secoli, l’espressione di punta di tali tradizioni, fino quantomeno all’affermazione della grande potenza continentale americana, che nel XX secolo ne raccolse in sostanza la missione di guida della compagine degli Stati occidentali. |
a cura di Adriano Torricelli