LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Storia ed evoluzione della Grecia classica


3- Il decennio dell'egemonia tebana (371 - 362)

Analizzeremo qui avanti, in primo luogo, i motivi che furono alla base dell'affermazione come stato guida di Tebe (città dell'entroterra fino ad allora relativamente 'secondaria', almeno in un'ottica complessiva, rispetto a stati come Sparta e Atene), nonché le strategie da essa adoperate per conquistare e successivamente per mantenere il proprio predominio; in secondo luogo poi, cercheremo di descrivere i principali eventi che furono all'origine tanto dell'emergere quanto del declinare di tale città come potenza egemone in Grecia.

Successivamente, dal momento che la dominazione tebana fu l'ultima vera egemonia greca in Grecia, tenteremo di fare un brevissimo bilancio del percorso storico delle libere poleis elleniche.

Cercheremo in particolare, di rispondere alle seguenti domande: Quale apporto duraturo tali istituzioni diedero al mondo circostante (tanto a quello vicino occidentale quanto, e soprattutto, a quello asiatico)? Quali furono i motivi di fondo del loro graduale ma irreversibile declino come entità politico-militari (…seppure certo, non come centri economici e culturali)? E in che modo poi, esse poterono continuare - anche dopo la perdita sostanziale della propria indipendenza - a esercitare una positiva influenza sul resto del mondo conosciuto?

Infine, delineeremo brevemente l'evoluzione delle città-stato greche del sud d'Italia e della Sicilia, sottolineando le (parziali) somiglianze tra gli sviluppi - di carattere territoriale - di queste ultime, e quelli che caratterizzarono le città della madrepatria a partire dal periodo della dominazione macedone.

- Situazione generale degli stati greci e motivi della potenza tebana

Primo punto da analizzare per comprendere le ragioni del succedere di Tebe a Sparta come città-stato egemone in Grecia, è un fatto che precedette di circa settant'anni l'inizio di questa nuova dominazione. Dopo il 404 infatti (con la fine cioè del grande conflitto intra-greco), il declino di Atene come potenza militare e politica di primissimo piano (declino al quale sarebbe peraltro seguita una solo parziale rinascita della stessa) aveva creato all'interno del mondo ellenico un vuoto di potere che nessun'altra città-stato aveva saputo colmare.

La responsabilità dell'intera compagine greca era allora passata nelle mani della più tradizionale avversaria di Atene, Sparta, la quale tuttavia - come si è già più volte detto - non aveva certo da sola la forza necessaria a tenere saldamente insieme una compagine di stati che, oltre a essere spesso divisi da interessi contrastanti e da antiche rivalità, erano per tradizione estremamente orgogliosi della propria indipendenza e desiderosi di esercitare almeno a livello locale una supremazia indiscussa.

Né del resto, gli eventi culminanti nella cosiddetta "Pace del Re" del 386 - i quali pure avevano reso a Sparta un servigio inaspettato, trasformando la Persia, che in precedenza era stata per lei una spina nel fianco, in una preziosissima alleata per il controllo sugli altri stati greci - avevano realmente dato a una tale egemonia una base più solida di prima.

Ne è prova, tra l'altro, il fatto che negli ultimi anni tanto Atene (che in poco tempo aveva rimesso in piedi - seppure su basi decisamente più 'democratiche' che in passato - la sua antica Lega marittima), quanto Tebe (la quale, dopo avere rifondato la Lega beotica contro gli accordi di pace del 386, aveva sui campi di Leuttra definitivamente sfatato il mito dell'imbattibilità militare spartana) fossero riuscite a riguadagnare buona parte del loro antico splendore e della loro influenza sugli altri stati.

E fu appunto a partire da una simile situazione che Tebe riuscì, negli anni immediatamente successivi alla battaglia di Leuttra, a coalizzare attorno a sé le simpatie di molti stati greci, ai quali essa era ovviamente accomunata dall'ostilità verso la dominazione spartana.

Tuttavia, come si è già detto, il dominio tebano portava in sé - non certo meno di quello della sua rivale! - delle notevoli debolezze strutturali, le quali abbastanza presto (dopo cioè circa una decina d'anni) gli sarebbero risultate fatali. Sebbene infatti Tebe costituisse da sempre il terzo principale centro politico della compagine greca (si può infatti dire sommariamente che Sparta dominasse sulle zone a sud, Atene su quelle a est, e Tebe su quelle a nord), essa non aveva mai esercitato un'influenza territoriale paragonabile per vastità a quella esercitata da Sparta (in sostanza, ormai da alcuni secoli dominatrice della gran parte degli stati del Peloponneso), né aveva sviluppato una rete di traffici, e quindi una ricchezza economica, anche solo lontanamente paragonabile a quella sviluppata da Atene.

Per tale ragione dunque, non è fuori luogo dire che Tebe fosse il centro politico di un'area priva o quasi di sbocchi marittimi e la cui economia era rimasta in gran parte agricola, di una zona relativamente 'povera' insomma, né che il suo successo come potenza militare e politica panellenica fosse dovuto essenzialmente a due motivi contingenti : innanzitutto alla vittoria ottenuta sulla sua rivale nella battaglia di Leuttra (371), e in secondo luogo alla capacità del suo leader Epaminonda, di porre in atto una serie di innovative strategie sul piano bellico che ne prolungarono per alcuni anni (fino cioè alla sua morte) l'egemonia. [1]

Gli eventi compresi tra il 371 e il 362 - cioè appunto il periodo di tale egemonia - avrebbero chiaramente dimostrato l'incapacità sostanziale di Tebe a tenere insieme quelle stesse forze che, sulla scia dei successi iniziali, si erano coalizzate attorno alla sua Lega beotica. A tal fine le mancava infatti, tanto una potenza militare di primo piano come quella detenuta da Sparta, quanto una rete di interessi commerciali paragonabile a quella che aveva consentito ad Atene, nei decenni precedenti, di esercitare una ferrea leadership politica (oltre che militare) sugli stati marittimi dell'Egeo.

Ben presto difatti, seppure dopo alcuni successi nel processo di estensione delle proprie influenze verso nord (Tessaglia) e verso est (e in particolare verso gli Stretti, da sempre peraltro oggetto anche delle mire ateniesi…), Tebe vedeva sfaldarsi quella costruzione politico-militare che aveva in così breve tempo costruita.

La Grecia ripiombava allora in un nuovo caos, in cui era di nuovo Atene - anche se senza aver più ormai la forza di un tempo - ad emergere come maggiore potenza militare e politica greca.

Il collasso dell'egemonia tebana, in altri termini, avrebbe finito per coincidere con quello delle stesse poleis libere e indipendenti in Grecia: un evento quest'ultimo, che - come vedremo - sarebbe stato determinato anche dall'emergere di una nuova realtà forte, la Macedonia, uno stato che (sotto l'azione dei suoi ultimi sovrani, e soprattutto di Filippo II) aveva negli ultimi decenni conosciuto una specie di rinascita, in virtù di una profonda rigenerazione sia delle proprie strutture politiche che di quelle militari.

- Strategie del dominio tebano

Ma oltre alla già citata componente militare (e cioè alle nuove strategie e ai nuovi armamenti…), alla base dell'ascesa della potenza beotica e tebana in Grecia, vi fu anche un programma abbastanza definito di espansione e di mantenimento delle proprie influenze sia sugli stati vicini che su quelli più lontani.

Le coordinate di un tale programma furono essenzialmente due: innanzitutto, era necessario neutralizzare il principale ostacolo al proprio predominio, il quale era ovviamente costituito dalla rivale potenza spartana. Per tale ragione, Epaminonda si preoccupò innanzitutto di minare il predominio spartano sulle vicine regioni del Peloponneso, favorendo il sorgere in esse di stati indipendenti dal dominio Laconico (vedremo tra poco quali) e ad esso inoltre anche potentemente ostili.

In secondo luogo, cosciente dell'intrinseca debolezza della Lega beotica (e ciò anche considerando gli stati che a tale Lega si erano immediatamente associati, ovvero essenzialmente quelli della Grecia centrale), aveva intrapreso un programma di espansione politico-militare verso le zone di nord-est, zone che - affacciandosi sul mare e costituendo un essenziale punto di raccordo tra regioni d'oriente e d'occidente - svolgevano un ruolo d'approvvigionamento essenziale per tutta la Grecia.

Oltre a ciò, Epaminonda cercava di ampliare le influenze politiche tebane anche verso nord, soprattutto verso la Tessaglia; e ciò soprattutto approfittando di una grave crisi dinastica che, dopo la morte del precedente sovrano, ne stava rimettendo in discussione le stesse basi di potere.

Vedremo, qui avanti, in che modo un tale articolato programma venisse - con successo peraltro solo parziale - portato avanti, ciò che avrebbe determinato prima l'apice e successivamente il declino della potenza tebana.

- Eventi principali del periodo tebano

Divideremo qui il periodo dell'egemonia tebana in due sotto-fasi: una essenzialmente ascendente, e una essenzialmente discendente.

Se nella prima, Epaminonda riuscì a estendere la sua influenza a varie zone della Grecia, in quella seguente al contrario - anche in conseguenza di un "calo di coesione" degli stati consociati alla neonata potenza beotica - i punti scoperti dell'egemonia tebana vennero drammaticamente al pettine: le discordie interne alle città-stato filo-tebane infatti, portarono la nascente federazione a incrinarsi molto rapidamente, mentre le conquiste marittime che Epaminonda e Pelopida avevano guadagnato tanto faticosamente nel periodo precedente, non poterono essere difese militarmente e andarono quindi presto perdute.

(a) la fase iniziale (371 - 367 ca)

Si è già accennato a come la vittoria dei tebani nella battaglia di Leuttra avesse distrutto un mito, quello cioè della superiorità e dell'invincibilità degli eserciti spartani, e come a un tale evento fosse quindi seguito un generale ammutinamento anche tra le città e le regioni in cui tradizionalmente era più forte l'influenza spartana.

Come già era accaduto tra 395 e 386 (periodo delle guerre patrocinate dalla Persia), anche ora molti stati si ribellavano ai governi oligarchici imposti dagli Spartani, instaurando poi spesso dei regimi democratici. A differenza che in tale periodo però, una tale ribellione avveniva adesso nel cuore stesso Peloponneso, ovvero in quella zona nella quale più forte era da sempre - per tradizione - l'autorità spartana.

I primi stati ad allearsi esplicitamente con la potenza tebana furono comunque quelli della Grecia centrale: la Locride (occidentale e orientale), la Focide, l'Eubea, l'Etolia, ecc.

Ben presto tuttavia anche il Peloponneso, istigato da Epaminonda, iniziò a ribellarsi all'antico dominio spartano. Fu nel 370 che il duce tebano compì la prima delle sue quattro discese in tale regione, con l'intento di scardinare dall'interno l'assetto della dominazione spartana annientandone le stesse basi territoriali.

In quegli anni Tebe ottenne due notevolissimi risultati, che solo pochi anni prima sarebbero forse apparsi impensabili: da una parte pose le basi per la formazione di una Lega arcadica indipendente con capitale Megalopoli (370), e dall'altra (369) determinò la nascita di uno Stato messenico indipendente !

Ma fu il secondo risultato quello più eclatante. La Messenia era infatti, ancora da tempi remoti, una colonia spartana, base territoriale di molti di quegli Iloti (gli "schiavi di stato") che provvedevano, col proprio lavoro e con le loro fertili terre, al mantenimento di gran parte dei componenti dell'aristocrazia spartana. Ovviamente, nonostante una tale perdita, restava a Sparta il pieno dominio del suo più antico territorio, la Laconia (e ciò sebbene gli Iloti ivi residenti fuggissero in gran massa verso la vicina Messenia), ma le fonti della ricchezza e della solidità dello stato spartano erano ormai pesantemente compromesse.

Sempre in questi anni poi, si ebbe un ulteriore avvicinamento tra Sparta e Atene in funzione anti-tebana, mentre lo stesso sovrano di Siracusa, Dionisio I (del quale parleremo in un prossimo paragrafo), si fece avanti per difendere Sparta da una distruzione pressoché totale.

Sempre nel 370 poi (ovvero con la morte di Giasone di Fere, il monarca che aveva portato tale regno all'apice del suo potere), si aprì in Tessaglia una lunga crisi dinastica.

Col tempo, Atene divenne sostenitrice di uno dei due pretendenti al trono, Alessandro, e Tebe dell'altro, Tolomeo, il quale tuttavia risultò perdente. Ciò costituì il fallimento sostanziale (nonostante un parziale recupero negli anni successivi) del tentativo tebano di penetrazione ed estensione delle proprie influenze verso nord - un fatto che oltretutto andava a tutto vantaggio della sua rivale nell'Egeo, Atene.

Proprio in questi anni inoltre, per assicurarsi la non belligeranza della Tessaglia contro la propria nazione, Epaminonda prendeva in ostaggio alcuni esponenti della nobiltà tessala: tra questi vi era anche quel Filippo (allora peraltro ancora bambino) che, di lì a poco, tanta parte avrebbe avuto negli sviluppi della storia greca!

Nel 367 infine, dopo inutili tentativi da parte degli stati greci (come al solito vittime di un costante stato di conflittualità intestina) per concordare una nuova pace panellenica, l'iniziativa di quest'ultima - in modo peraltro non dissimile a quanto era avvenuto nel 386 - passava nelle mani del Gran Re di Persia, il quale stabiliva con le parti interessate delle condizioni alle quali nessuno poteva, né tantomeno osava, opporsi. Preso atto inoltre del cambiamento di leadership avvenuto in Grecia, al vicino impero asiatico non restava altro da fare che trarne le inevitabili conseguenze, facendo di Tebe la nuova controparte cui affidare il controllo di tale regione.

A differenza di quanto era accaduto nel 386, era ora quindi Tebe la gran favorita, mentre Sparta e Atene uscivano da una tale pace fondamentalmente mutilate e limitate nei propri poteri.

Se da un lato infatti, la Persia appoggiava le mire espansionistiche tebane (e ciò anche dal momento che queste - come già si è detto - più che unire, disunivano), dall'altro invece le sue avversarie - Sparta e Atene - vedevano fortemente ridimensionati quei poteri territoriali (la prima) e marittimi e commerciali (la seconda) che avevano faticosamente acquisito nei precedenti periodi. Più precisamente, mentre da una parte la Persia confermava, tra le altre cose, l'esistenza di uno stato messenico indipendente (ciò che, come si è già detto, costituì un colpo davvero mortale inferto alla potenza spartana! …oltre che un problema che si sarebbe trascinato ancora molto a lungo), dall'altra Atene subiva lo smantellamento della rinata flotta marittima, e cioè di uno dei suoi più potenti strumenti di controllo sulle vicine regioni egee - un controllo che (guarda caso) disturbava gli interessi persiani in quelle zone.

Con gli accordi di pace del 367 dunque, Tebe e la Lega beotica raggiungevano l'apice della propria potenza e del proprio dominio: un dominio che, tuttavia, era ben presto destinato a declinare.

(b) Il declino della potenza tebana

Nonostante infatti il "trionfo" del 367, l'egemonia beotica era più apparente che reale. E uno degli elementi essenziali alla base del suo declino, sarebbe stata la ripresa della potenza ateniese.

Gli Ateniesi difatti, già da tempo avevano rinunciato a una politica ligia ai dettami della Pace del 386 (in cui, cioè, fosse bandita qualsiasi forma di imperialismo, in nome del principio dell'autonomia e dell'indipendenza locali). Proprio in sfregio a tali accordi, nel 365 essi si riappropriavano dell'isola di Samo (fino ad allora dominio del Gran Re persiano) fondando inoltre nei territori delle proprie alleate parecchie cleruchie (colonie o distaccamenti territoriali per l'insediamento dei cittadini ateniesi). Assieme a ciò, essi riprendevano il proprio programma espansionistico nelle regioni traciche e nei pressi degli Stretti.

In una tale situazione di riformazione di alcune delle antiche Leghe territoriali (soprattutto di quella beotica e di quella ateniese), solo Sparta - ridotta ai margini del Peloponneso, e sempre più arroccata in una disperata posizione difensiva, anche perché oramai abbandonata pure dall'alleata degli ultimi anni, Atene - vedeva un declino definitivo.

Tebe dal canto suo, dopo un parziale recupero della situazione in Tessaglia (nel 364 infatti, nella battaglia di Cinoscefale, il sovrano Alessandro di Fere rimaneva sconfitto e la Tessaglia - ora parzialmente sottomessa - era costretta a fornire delle truppe alla Lega beotica), iniziava un faticoso percorso di espansione verso le regioni di nord-est, scontrandosi così - anche se in modo non esplicito - con le mire espansionistiche ateniesi.

Tuttavia, nonostante i successi che essa riusciva a ottenere (sempre nel 364, Bisanzio diveniva un dominio tebano, mentre le isole di Chio e Rodi, già stati della Lega marittima ateniese, se ne dissociavano in favore di Tebe), tali conquiste non potevano essere mantenute a lungo. Tebe non aveva difatti una tradizione marittima paragonabile a quella della sua antagonista (la quale, si deve notare, era ancora al centro di un floridissimo e ricco mercato marittimo), né fondi bastanti a mantenere un dominio efficace su terre tanto ambite.

Fu tuttavia nel Peloponneso, che presero corpo gli eventi dai quali la dominazione beotica avrebbe ricevuto il 'colpo di grazia'.

Nel 365 infatti, i particolarismi che dividevano tra loro gli stati di quella regione, erano ancora una volta esplosi incontrollati! Né la Lega beotica aveva il potere o l'autorità necessarie a tenerli a freno. Elide ed Arcadia, che si erano scontrate per il possesso della Trifilia, avevano richiesto l'aiuto rispettivamente di Sparta e di Atene, minando così la stabilità di quelle zone e ponendo inoltre le basi di un ritorno della politica di potenza spartana nel Peloponneso. Epaminonda allora, disceso per la quarta volta nel Peloponneso, cercava - peraltro con successo - di ristabilire con una nuova campagna il precedente ordine.

Tuttavia, per somma sfortuna della stessa Lega boetica, la sua morte improvvisa nel 362 sui campi di Mantinea dava inizio al declino irreversibile dell'egemonia tebana.

Possiamo allora dire che la scomparsa inaspettata di Epaminonda, capo carismatico e regista dell'imperialismo tebano beotico, decretasse in sostanza anche la rovina di quest'ultimo, essendone egli in realtà l'anima più profonda. A tale caduta inoltre, faceva seguito una momentanea ed effimera ripresa di Atene come principale potenza tra gli stati greci.

Nel 361 si concludeva poi, una precaria pace panellenica (simile peraltro a quelle del 386 e del 367, e ad altre che a esse sarebbero seguite): una pace dalla quale tuttavia si dissociava una volta di più l'orgogliosa Sparta, cui ancora non veniva riconosciuto il possesso della vicina Messenia.

In questi anni, inoltre, sempre più chiara diveniva la debolezza dell'Impero persiano, diviso al suo interno da fortissime lotte dinastiche: un fattore di cui però la Grecia - indebolita da lotte intestine ancor più distruttive - non avrebbe saputo approfittare, cosa che invece avrebbe fatto qualche decennio più tardi il giovane Alessandro III, re di Macedonia.

- Un breve bilancio del percorso e del destino storico delle libere poleis greche

Dal momento che, come si è detto, quella tebana fu l'ultima manifestazione di coesione interna delle poleis greche - cadute, poco dopo il 362, sotto il giogo esplicito di una potenza straniera, quella macedone - vogliamo tentare qui avanti di fornire una sorta di brevissimo 'resoconto' dell'apporto che tali istituzioni (nella loro condizione originaria di libertà e autonomia politica…) diedero alla storia umana, nonché dei motivi alla base di quel declino che - relativamente in pochi decenni - le portò alla perdita sostanziale della propria indipendenza (un processo che, come vedremo tra poco, prese avvio proprio in concomitanza con il decollo stesso di tali istituzioni, cioè negli anni seguenti la vittoria sul vicino impero asiatico).

(a) Origini e motivi del declino delle poleis

Se da una parte le guerre persiane accentuarono la consapevolezza dei Greci di comporre nel bene e nel male un'unica nazione, esse al tempo stesso diedero anche nuova linfa - attraverso la nascita di Leghe militari contrapposte - a quelle discordie interne che da sempre dividevano tra loro le varie regioni della Grecia, ponendo in tal modo i semi di quel costante stato di guerra che, nei decenni successivi, avrebbe funestato le città-stato greche esaurendone lentamente la carica vitale e gran parte delle energie morali.

Bisogna tuttavia distinguere tra un primo periodo di relativo equilibrio e di relativa stabilità interna (che fece seguito appunto alle guerre contro la Persia, terminate in sostanza nel 478), ed un altro periodo (iniziato con le guerre peloponnesiache del 431, e terminato poi con l'instaurazione dell'egemonia prima spartana e poi tebana) di incontrollata conflittualità.

A base del primo periodo, vi fu senza dubbio soprattutto la paura da parte delle città-stato di rompere quel fragile ma prezioso equilibrio che, al termine delle guerre persiane, si era venuto a creare tra i due grandi blocchi contrapposti: quello filo-spartano e quello filo-ateniese.

Il timore per le conseguenze che una tale rottura avrebbe determinato, tenne insomma a freno (seppure soltanto entro un certo limite, come già abbiamo visto nel capitolo dedicato alle Guerre peloponnesiache ), quelle spinte e quei dissidi particolaristici - vere e proprie "bombe a orologeria", che minavano la precaria pace creatasi tra i due blocchi - che col tempo avrebbero inevitabilmente finito per prevalere.

D'altra parte, la vittoria degli spartani e delle fazioni oligarchiche su quelle democratiche filo-ateniesi, e l'annullamento conseguente della potenza militare e politica di Atene, crearono nella compagine greca un vuoto di potere che nessuno - né cioè la stessa potenza ateniese, successivamente in parte rinata, né quella di qualsiasi altra città-stato - fu poi in grado di colmare.

Né ovviamente la potenza spartana, e più in generale il blocco degli stati oligarchici peloponnesiaci da essa guidato, avevano in sé energie sufficienti a tenere insieme la vasta e variegata - e alquanto litigiosa! - massa dei particolarismi greci.

Fu proprio la precarietà del dominio spartano che spianò la strada al predominio di Tebe e della Lega beotica, le quali tuttavia - nonostante la vittoria ottenuta nel 371 contro Sparta sui campi di Leuttra, e dopo la quale si posero alla testa di un vasto movimento di rinascita degli stati ostili all'egemonia spartana - erano nei fatti ancora più sprovviste rispetto alla loro nemica dei mezzi materiali (tanto militari, quanto economici) necessari a portare avanti un'efficace opera di controllo sulle altre poleis greche.

In conclusione, fu proprio la fine dell''angoscioso' bipolarismo spartano-ateniese ciò che - determinando il collasso di qualsiasi (seppur labile) forma di coesione tra gli stati ellenici, e con ciò quindi di qualsiasi capacità di resistenza di fronte ad ingerenze esterne - decretò la rovina definitiva della Grecia indipendente.

(b) Le conquiste macedoni e l'eredità lasciata dalle libere poleis greche al vicino mondo orientale

A partire all'incirca dalla fine del conflitto peloponnesiaco, era sorta in Grecia l'idea di una koiné eirene, ovvero di una pace generale stipulata di comune accordo tra le varie città-stato, al fine di arginare la conflittualità inarrestabile da cui erano afflitte. E di tentativi fatti in tal senso la storia di quegli anni fu davvero piena - tra essi annoveriamo ad esempio le molte "paci panelleniche", stipulate a volte sotto l'egida del Gran Re persiano, altre volte autonomamente.

Tuttavia, gli interessi contrastanti e le tradizionali ostilità locali finivano sempre col prendere il sopravvento sui più buoni propositi di pace, e ciò col risultato che da tempo si faceva strada un'idea nuova: quella cioè di un sovrano-dio capace, con le proprie forze, di rimettere ordine nella compagine degli stati greci. [2]

E fu appunto nel contesto di tali idee e di tali tendenze che poterono andare a segno - anche peraltro sul piano politico e culturale - le mire espansionistiche dei sovrani macedoni.

Se da una parte dunque, in seguito alla conquista della Grecia da parte di Filippo II, le città greche perdettero una delle loro più tradizionali (nonché delle più profonde) peculiarità, ovvero quella dell'autodeterminazione, dall'altra esse guadagnarono qualcosa in termini di stabilità politica, e (almeno in un secondo periodo, quello cioè della conquista persiana da parte di Alessandro) dal fatto di poter estendere la propria influenza politico-culturale e i propri traffici fin nelle più lontane regioni asiatiche.

Nonostante insomma un tale nuovo assetto determinasse la sconfitta sostanziale di molti aspetti della concezione politica più tipicamente greca, la colonizzazione e l'asservimento macedone comportarono per i Greci - almeno da alcuni punti di vista - l'inizio di una nuova e floridissima epoca. Se è quindi giusto definire l'età ellenistica (e gli anni a essa immediatamente precedenti, quelli cioè di Filippo e di Alessandro) come un periodo di declino delle poleis, non è ipso facto giusto considerarla anche come un periodo di decadenza dello stesso mondo e della stessa civiltà Ellenica!

A tale proposito, ad esempio, scrive lo storico tedesco Hermann Bengtson: "Come già [era accaduto] in epoca arcaica, al tempo della grande colonizzazione, i costumi, la religione e il pensiero greci trovarono una nuova patria in terre lontane. E affinché lo spirito greco potesse conquistarsi un nuovo mondo, la polis ellenica dovette necessariamente soccombere sotto la propria impotenza."

D'altronde, la civiltà delle libere città-stato greche aveva - come si è visto - già posto durante i secoli precedenti quelli che si possono considerare i caratteri fondamentali dell'uomo occidentale.

Tra essi scorgiamo ad esempio un innato anelito verso l'indipendenza e l'autonomia, l'insofferenza verso strutture politiche eccessivamente oppressive e vincolanti, una fortissima volontà individuale di partecipazione politica (la quale trovò - e tuttora trova - la sua massima espressione nei governi democratici), nonché infine l'affermazione della libera iniziativa privata nel campo degli interessi economici!

Tutti caratteri che, con l'Ellenismo, i Greci avrebbero copiosamente esportato - seppure, come vedremo, con fortuna solo parziale! - al di fuori delle proprie terre d'origine, verso le aride e desertiche lande dell'Asia, appartenute in precedenza all'Impero persiano.


[1] Appurato allora che Tebe non fosse una città particolarmente potente, viene naturale chiedersi quale fu il punto di forza che rese possibile la sua egemonia. Oltre a quell'insieme di circostanze esterne favorevoli, alle quali si è appena accennato, alla base di questa vi fu senza dubbio il genio militare di Epaminonda - una peraltro delle figure più rappresentative dell'intera storia greca nel IV secolo.

Questi, che seppe - assieme al suo amico e alleato Pelopida - guidare le imprese di Tebe e dei suoi alleati sia verso le regioni meridionali (cioè nel Peloponneso) che verso quelle di nord-est (verso cioè le coste della Tracia), escogitò una lunga serie di innovazioni nella tecnica militare che resero possibili le vittorie tebane contro gli eserciti spartani e peloponnesiaci, e più in generale contro gli altri stati greci, ancora organizzati sulla base della falange oplitica. Le innovazioni introdotte da Epaminonmda consisterono essenzialmente in una nuova tecnica di aggiramento dell'avversario (mentre quelle più tradizionali si basavano sulla mera forza d'urto della falange) e su un armamento più leggero (che sostituiva la corazza e lo scudo - alquanto pesanti - degli opliti tradizionali, rendendo poi la picca molto più lunga che in passato).

Anche attraverso tali innovazioni, egli poté trasformare Tebe (e la Beozia) nel nuovo centro politico dell'Ellade, e mantenervela poi per quasi dieci anni. (torna su)

[2] Un chiaro esempio di questo tipo di pratica (detta apoteosi) consistente nell'elevare gli uomini d'armi più celebri ed abili, ad un rango più che umano, fu costituito da Lisandro, il duce spartano che concluse vittoriosamente la guerra contro Atene nel 404, e che - per tale ragione - ancora in vita godette in molte regioni della Grecia di onori divini.

D'altra parte, come vedremo, soprattutto il figlio di Filippo II, Alessandro Magno, avrebbe in seguito fondato il proprio potere politico su basi molto simili a queste, attribuendo a se stesso un'ascendenza divina e costringendo inoltre i Greci a riconoscerla. (torna su)


a cura di Adriano Torricelli

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 01/05/2015