Storia delle piante medicinali. Epoca antica

HERBIS NON VERBIS
STORIA DELLE PIANTE MEDICINALI


EPOCA ANTICA
CINA INDIA EGITTO MESOPOTAMIA MESOAMERICA

Le prime notizie sull'uso di piante ed erbe a scopo curativo si perdono nella notte dei tempi e non c'è alcuna concordanza su questo argomento da parte dei manuali di storia delle piante medicinali, neppure quando si citano fonti scritte.

Alcuni autori infatti le fanno risalire a 10.000 anni fa, provenienti dall'India (i Veda in effetti contengono molti riferimenti al mondo vegetale). Altri a 5.000, al massimo 8.000 anni fa, provenienti dalla Cina. L'unica cosa certa è che è del tutto inutile far risalire gli inizi di questa scienza antichissima ai documenti scritti che abbiamo: la storia appartiene all'uomo in quanto tale e non solo a quello che sa leggere e scrivere; anzi la storia "alfabetizzata" ha meno di seimila anni: un nulla rispetto all'altra.

CINA

Anche quando si presume di avere delle certezze inconfutabili, parlando p.es. dell'imperatore cinese Chen-nong (o Shen-nung), il padre della medicina cinese e inventore dell'agopuntura, il primo grande medico della storia che sperimentò su di sé l'efficacia delle 365 medicine, derivate da minerali, piante e animali, descritte nel primo erbario e trattato di materia medica del mondo, Pen Ts'ao Ching (Trattato medico o Studio delle erbe), ci si deve in realtà affidare a delle leggende, che peraltro collocano l'evento in un arco di tempo abbastanza indeterminato: dal 3000 al 2700 a.C.

Con certezza si sa solo che sulla base di quel primo erbario se ne produsse un altro chiamato Pen Ts'ao Kang Mu (Enciclopedia delle erbe), il cui autore, Li Shih-chen (1518-1593) ci mise 27 anni per descrivere, in ben 52 volumi, circa 2.000 piante medicinali e circa 8.000 prescrizioni erboristiche.

Le piante furono catalogate e descritte con la loro storia, le loro dosi medicinali e i loro metodi di preparazione: è un'opera di inestimabile valore, in cui sono evidenti le tracce dell'antica filosofia cinese del Tao, coi suoi principi eterni e immutabili, che si manifestano nei segni opposti dello ying e dello yang e nei cinque elementi naturali: terra, acqua, fuoco, legno e metallo, fra loro interconnessi. L'elemento della terra, p.es., è collegato allo stomaco-milza, lo stato d'animo è l'ansia, la stagione è l'estate e il gusto è il dolce: un tonico per questo elemento è la radice di liquerizia.

Tale filosofia è stata ripresa dalla medicina omeopatica e da altre medicine che ritengono l'essere umano un prodotto sincretico di tutti gli elementi della natura e che seguono il principio fondamentale dei fattori opposti: maschile-femminile, caldo-freddo, luce-buio, umido-asciutto ecc. cui ogni medicamento deve fare riferimento.

Una delle "droghe" enumerate è il tè, che proveniva dalla Corea e che in Cina fu adottata come bevanda nazionale. Nonostante su di esso Lu Yu, un eremita buddista cinese, avesse scritto il più importante testo sulla cultura del tè di tutti i tempi, il Cha Ching (Canone del tè), nell'VIII secolo d.C., in Europa si comincia a parlare di questa "bevanda curativa" solo nel 1559, e si deve aspettare il 1610 prima di vedere gli olandesi importarlo dai porti giapponesi e giavanesi, e solo alla fine dell'Ottocento gli scienziati europei comprenderanno le proprietà terapeutiche di questa pianta.

Un'altra famosa "droga" cinese era il rabarbaro, usato già 3000 anni a.C. In Europa, ai tempi di Marco Polo, pur conoscendolo già come medicamento sin dai tempi greco-romani, non si conosceva ancora la sua origine botanica, sicché la sua riproduzione poté avvenire solo alla fine dell'Ottocento.

Di rilievo anche lo Huang-Ti Nei-Ching Su Wen (Huangdi Neijing), il più antico documento della medicina cinese (sicuramente il primo libro organico sull’agopuntura), attribuito all'imperatore Giallo Huang Ti (2696-2598 a.C.). Si tratta di una compilazione di brani appartenenti a scuole ed epoche diverse. Il nucleo più antico del testo attuale deriva da fonti diverse databili tra il 400 a.C. e il 260 d.C.

Ai cinesi, nel 500 a.C. (ma vi sono tracce risalenti al 1000 a.C.), si deve attribuire anche la nascita dell'alchimia, abbinando l'uso di essenze profumate, incenso, erbe odorose per la preparazione delle medicine. Questi studi furono ripresi dagli arabi.

INDIA

In India il medico Charaka scrisse nell'VIII sec. a.C., in sanscrito, il Charaka Samhita, uno dei testi fondamentali dell'Ayurveda: il sistema di medicina naturale più antico (2500 a.C.) di cui l'uomo abbia memoria. Il testo tratta ogni aspetto clinico, basato su erbe e piante medicinali, per il mantenimento della salute e la prevenzione della malattia, studiandone l'origine.

La parola Ayurveda significa "Conoscenza o Scienza della vita" (da Ayus = Vita e Veda = Conoscenza o Scienza). E' una filosofia di vita basata sull'equilibrio interiore degli elementi e il soffio di vita (prana). Ogni essere umano è costituito di tre umori: aria, fuoco (bile) e acqua (muco), ai quali qualcuno aggiungeva il sangue. La prevalenza di uno di essi determina il carattere di una persona. Il medico, prima di fare la diagnosi della malattia, deve valutare l'umore. La cura quindi è personalizzata e include erbe come cibo, digiuno, yoga, astinenza sessuale e controllo della respirazione. Queste idee non erano molto diverse da quelle che si trovano in Ippocrate e Galeno.

Un altro medico indiano, Susruta, scrisse nel VIII sec. a.C. il Susruta Samhita, con cui si applicano le proprietà delle piante in campo chirurgico, nella clinica preventiva e post operatoria.

E agli inizi del II secolo d.C. vi sono importanti studi sulla iatrochimica (scienza della preparazione dei farmaci minerali) da parte del filosofo, medico ayurvedico e monaco buddhista Nagarjuna. Grazie a lui molte sostanze che in precedenza erano considerate tossiche, come p.es. il mercurio, furono trasformate in efficaci rimedi terapeutici. I monaci buddhisti erano spesso medici e farmacisti.

Generalmente si sostiene che la pratica medica indiana era molto influenzata da animismo, panteismo e magia: la malattia veniva considerata come un demone che s'impadroniva del corpo e che doveva essere costretto a uscire (con vomito, evacuazione, starnuti...: il pepe, p.es., prima di essere usato come spezia, serviva per far starnutire). Spesso le piante venivano scelte in base alla somiglianza del colore o della forma rispetto alla malattia. Tuttavia le descrizioni di queste piante medicinali furono molto apprezzate da Ippocrate, Dioscoride, Plinio e anche dagli arabi.

EGITTO

In Egitto antiche iscrizioni e pitture sulle pareti dei templi e delle tombe ci parlano dell'uso che si faceva di almeno 500 diverse specie di piante intorno al 3000 a.C. Vi erano specialisti per ogni tipo di malattia. Numerose ricette dei grandi medici classici (Ippocrate, Dioscoride, Galeno) non sono che la trascrizione delle prescrizioni presenti nei papiri egizi.

Il più antico manoscritto sull'argomento è un papiro (1550 a.C.) che G. M. Ebers, egittologo e romanziere tedesco (1837-1898), acquistò da un arabo che lo aveva trovato tra le ginocchia di una mummia. Vi contiene circa 700 ricette per differenti malattie. Inoltre include una descrizione molto accurata del sistema circolatorio, in quanto viene notata l'esistenza dei vasi sanguigni in tutto il corpo e la funzione del cuore come motore della circolazione del sangue.

I disordini mentali come la depressione e la demenza sono trattati in modo tale che l'origine dei disturbi fisici e quelli mentali pare la stessa. Il papiro, tradotto nel 1890 e conservato nel museo di Lipsia, contiene anche capitoli sulla contraccezione, sul riconoscimento delle gravidanze, sulla ginecologia in generale, sui disturbi intestinali, sui parassiti, sui problemi oculistici e dentistici, sul trattamento chirurgico degli ascessi e dei tumori, sulle fratture ossee e sulle ustioni.

Peraltro, sono stati proprio gli egizi (e non per caso, evidentemente) a scrivere per la prima volta la parola "cervello" ed a fornire la prima descrizione anatomica delle meningi (che lo ricoprono) e del liquido cerebrospinale. La parola "cervello" compare nel cosiddetto "papiro chirurgico" di Edwin Smith, un egittologo americano nato nel 1822 e morto nel 1906. Forse scritto dal grande medico egiziano Imhotep, visir del faraone Zoser, intorno al 2800 a.C. (ma si basa su testi risalenti al 3000 a.C.), il papiro fu tradotto nel 1930.

Gli studiosi di storia della medicina sono stati colpiti dalla razionalità e dall'approccio scientifico alla diagnosi e al trattamento dei 48 pazienti citati. I metodi usati sono basati sulla osservazione razionale e sul trattamento pratico. Non vi è traccia di magia o superstizione, benché generalmente il nesso medicina/religione fosse fondamentale per gli egizi: da un lato infatti gli erboristi amavano ammantarsi di poteri sovrumani mantenendo segrete le loro conoscenze, dall'altro sapevano che l'autosuggestione, cioè la fede nelle potenze extraumane, contribuiva notevolmente alla guarigione. Spesso il malato non doveva fare altro che aspirare densi fumi provenienti da incenso, cedro, cipresso... posti su braci ardenti.

A motivo delle loro tecniche di imbalsamazione gli egizi sono stati anche i primi a elaborare un'arte aromataria con cui distruggere funghi e batteri responsabili dei processi di decomposizione. I principi odorosi attivi di fiori, foglie, radici, resine, bacche, semi e frutti, assorbiti dagli oli usati come eccipienti, trovavano applicazione anche nella cosmesi e nell'igiene, e questi metodi rimasero in vigore sino alla scoperta dell'alambicco.

In Egitto anche le donne erano ammesse agli studi di farmacia e medicina. Cleopatra, p.es., era un'illustre farmagnosta e possedeva un alambicco per la cosmesi. L'olio che porta il suo nome, composto di mirto e labdano, era ritenuto ottimo contro la caduta dei capelli.

Molti principi seguiti dagli egizi oggi si ritrovano nella medicina naturopatica. I medici infatti avevano capito che la causa primaria della malattia è dovuta quasi sempre a un eccesso di cibo, che intossica gli umori. Di qui la terapia basata sui digiuni, sui lavaggi intestinali e sull'assorbimento di sostanze emetiche.

MESOPOTAMIA

Le tre più importanti civiltà mesopotamiche: sumera (3000 a.C.), babilonese (2000 a.C.), assira (1000 a.C.) avevano conoscenze approfondite delle piante medicamentose e delle resine fragranti.

Il primo erbario sumerico sembra risalire al 2500 a.C. circa e ci è pervenuto in una copia trascritta del VII secolo a.C. Anche il codice di Hammurabi, scolpito circa duemila anni a.C., parla dell'uso di molte piante medicinali.

Le tavolette cuneiformi della civiltà assiro-babilonese, tra cui quella di Assurbanipal (668-627 a.C.) che menziona la belladonna, la canapa indiana, l'oppio, la cassia, ecc., accennano a circa 250 prodotti medicinali di origine vegetale riconosciuti, e ad altri 180 non ancora del tutto identificati. La stessa parola "sammu" indicava sia l'erba che la medicina.

I sumeri avevano concezioni mediche avanzate, in cui magia e medicina procedevano di pari passo e che per molti versi assomigliano a quelle egizie.

L'origine di molti nomi coi quali oggi si conoscono le piante è proprio di derivazione sumerica, filtrata attraverso la lingua greca e araba.

Sono state anche ritrovate delle scene murali del 3500 a.C. in cui operai soffiatori con canna fabbricavano oggetti di vetro per uso alchemico.

CIVILTA' MESOAMERICANE

Gli aztechi conoscevano circa 3.000 piante, come risulta da un erbario tradotto da Johannes Badianus, conservato presso la Biblioteca Vaticana. Per loro l'arte medica non aveva alcunché di magico.

Il piccolo manoscritto del 1552, detto Barberini Codex, costituisce il primo trattato a noi noto sulle piante medicinali messicane. Poiché non esistevano termini equivalenti latini per molte piante, il traduttore fu costretto a conservare i nomi aztechi. Essendo inoltre illustrato, esso costituisce una fonte preziosa per la lessicografia azteca.

Il Codice fu il lavoro di due aztechi: Martinus de la Cruz, il medico nativo che lo scrisse, e Johannes Badianus, che lo tradusse in latino. Entrambi lavorarono presso l'Università di Santa Cruz in Tlaltelolco, uno dei grandi centri culturali nel primo periodo della colonizzazione spagnola, e regalarono l'erbario all'imperatore spagnolo Carlo V. Alla fine del XVII secolo lo si trova a Roma e qui rimase del tutto sconosciuto fino a 1929, quando Charles Upson Clark lo scoprì nella Biblioteca Vaticana portandolo all'attenzione degli studiosi.

Nicola Monardes (1493-1588), medico di Siviglia, scrisse una Historia Medicinal in tre libri (1569-74) sull'uso delle piante medicinali da parte degli indigeni mesoamericani, tradotti nelle principali lingue europee, che gli valsero il titolo di "pioniere della etnomedicina".

INDIANI NORDAMERICANI

La pratica delle erbe medicinali è strettamente connessa, presso le tribù indiane nordamericane, a esperienze spirituali e sciamaniche che riguardano i sogni, le visioni, il respiro, il canto, la preghiera, il digiuno, le fumate con la pipa ecc.

Il che però non deve far pensare che gli indiani avessero una qualche religione positiva. Anzi, se vogliamo, non esiste alcuna religione nativa americana, ma semmai una pratica basata sul sacro rispetto della natura. Il sacro veniva sperimentato sotto forma di territorio, nel senso che determinati luoghi venivano considerati interdetti a qualunque intervento umano. Non a caso sono state proprio queste vaste aree selvatiche che nel passato hanno garantito uno straordinario grado di biodiversità e che ancora oggi permettono alle ultime tribù indigene sparse nel mondo di sopravvivere.

Oltre a ciò gli indiani prestavano molta attenzione al comportamento degli animali, in particolar modo l'orso, considerato, proprio in quanto formidabile cercatore di radici e di erbe, un vero protagonista della fitoterapia.

Le piante usate dagli indiani, grandi conoscitori di narcotici e di tossici, che usavano p.es. per addormentare il malato durante l'intervento chirurgico, erano generalmente selvatiche, non coltivate in appositi giardini. Le piante venivano considerate alla stregua di esseri umani.

Poiché ritenevano che le malattie somatiche avessero spesso una concausa di tipo psichico, le cure dovevano per forza essere personalizzate.

Purtroppo le osservazioni degli studiosi del XIX e XX secolo sul loro uso delle piante medicinali sono state molto superficiali e fortemente condizionate da pregiudizi razziali.

EBRAISMO

Tutta la medicina ebraica deriva da quella egizia e in genere veniva esercitata dai leviti che ne custodivano i segreti, al punto che, per non perdere i loro privilegi, fecero distruggere un libro di re Salomone che offriva molti suggerimenti per curare le malattie con mezzi naturali.

Buona parte delle loro pratiche preventive erano basate sull'osservanza scrupolosa di norme igieniche.

La Bibbia ci tramanda l'uso, da parte degli ebrei, di alcune piante, come l'issopo e il cedro, per curare le malattie. Il profeta Isaia p.es. guarì re Ezechia da un'ulcera con un cataplasma di fichi.

Lo stesso olio non veniva usato solo per ungere i sovrani intronizzati e le spose prima delle nozze, ma anche per curare i lebbrosi.

Nel Nuovo Testamento l'assenza totale di fitoterapia non deve far pensare che gli ebrei non conoscessero o non usassero questa pratica medica. Essendo testi (specie quelli evangelici) di natura teologico-politica, in cui si doveva dimostrare la netta superiorità della cultura ebraico-cristiana su tutte le altre e, all'interno di questa, della corrente cristiana su quella ebraica classica, i redattori non erano interessati a servirsi di guarigioni avvenute con procedimenti diciamo standardizzati, facilmente rinvenibili anche nel mondo pagano. Tant'è che quando parlano di guarigioni, queste appaiono sempre in maniera miracolosa, operate o da Cristo o nel suo nome. Proprio in quei racconti mistificati si trovano le tracce più antiche delle controversie pubbliche, relative al progetto di liberare la Palestina dai romani, che vedevano coinvolti i protagonisti dell'epoca.


Le immagini sono state gentilmente offerte da Davide Fagioli

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza
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Aggiornamento: 23/04/2015