CELLULARE, MON AMOUR?

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


TELEFONINO, MON AMOUR?

Nato intorno al 1985-1986, in meno di 20 anni si è quasi imposto con prepotenza: se nel mondo si contano oggi circa un miliardo di cellulari su di una popolazione di oltre 6 miliardi (dunque 1/6), nella vecchia Europa le proporzioni cambiano. In Italia infatti ci sono ben 48 milioni di cellulari in funzione, a dire che, esclusi i neonati e i centenari, ogni italiano ha quasi un telefonino e mezzo a testa. Un dato che potrebbe sorprendere, ma che non ci da il record: gli Inglesi infatti ci superano anche in questo. Il cellulare insomma è un fenomeno nuovo, che assume sempre più contorni anche sociali: è vero che aiuta a comunicare oppure diventa un alibi per evitare il confronto diretto? E quali conseguenze può provocare in delicate fasce d’età come quelle adolescenziali?

Di questo si è discusso qualche tempo fa a Treviso, nel corso del convegno “Le tanto diffuse forme di telefonia odierna hanno trasformato i sistemi di comunicazione: sappiamo tutto, arriviamo dappertutto ma ci incontriamo sempre di meno e la solitudine a tutte le età è in grande aumento…”, organizzato dall’Ammi trevigiana (Associazione mogli medici italiani) che ha ospitato per l’occasione Luca Migliorini (vice questore aggiunto della Questura di Treviso), Luca Pezzullo (psicologo e docente al Master di Psicologia dell’Emergenza dell’Università di Padova) e Lenio Rizzo (direttore dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’Ulss 9 di Treviso e docente alla Facoltà di psicologia di Padova).

Un bisogno di onnipotenza

“In un’epoca troppo densa di avvenimenti di tutti i generi e dove tutto sembra scorrere troppo velocemente avere uno strumento che consente il continuo collegamento con gli altri sembra rappresentare un importante strumento di rassicurazione contro l’angoscia da isolamento e da solitudine - ha affermato Marilisa Grigolon, psicologa e psicoterapeuta di Ammi - Per le famiglie lo stesso strumento dato in uso ai figli adolescenti e prossimi alla loro autonomia, se non economica, almeno psicologica rappresenta un efficace e rassicurante palliativo dell’ansia da distacco. Da un punto di vista psicologico sembra infatti essere questa una delle caratteristiche più salienti nell’uso del telefono cellulare, cioè di funzionare da regolatore della distanza e moderatore della separazione e di rappresentare simbolicamente un oggetto in grado di rispondere ad un bisogno infantile di onnipotenza, che crea l’illusione di controllare quasi completamente la realtà, ma che per contro comporta effetti non costruttivi e non maturativi quali la mancata elaborazione dell’ansia e della separazione”.

Più sicuri e protetti, ma anche più preoccupati

Come non bastasse, il cellulare rappresenta anche un oggetto costoso che crea preoccupazione perché nel mirino di ladri e truffatori. Un tema sul quale è intervenuto il vice questore Migliorini che ha riferito alcune valutazioni ed esperienze sull’influenza della telefonia cellulare sia sul piano dei reati (truffe a mezzo cellulare, furti di cellulari, diffusione di “hot-line”, violazione Privacy ecc.) che dei vantaggi per gli stessi operatori della sicurezza: “La diffusione del cellulare è divenuta ormai un dato di fatto: a Treviso sono state tolte 40 buche postali perché le persone scrivono di meno, preferendo magari digitare al telefonino messaggi con linguaggi cifrati tutti particolari. Anche la Polizia Postale non esiste più, sostituita dalla Polizia della Comunicazione e presto negli elenchi telefonici molto probabilmente verranno visualizzati anche i cellulari. Sono diminuiti anche gli squilli del campanello, perché talvolta si telefona davanti la porta di casa.

Ma questo ha portato con sé anche solitudine e insieme grandi reati. Il soggetto solo cerca il gruppo e, dai 14 ai 24 anni, si forma questa volontà di identificazione e di riconoscimento nella società, persa forse anche a causa del telefonino. Aumentano le molestie, i ricatti e i furti e intanto si affina anche il riciclaggio del cellulare stesso: nell’area del Mediterraneo ogni anno assistiamo al furto di circa 2 milioni di telefonini. Ma cos’ha di così speciale? Il giovane vede nel telefonino un punto di aggregazione che lo accomuna agli altri, soprattutto adesso che ci sono anche le funzioni video senza sapere che in questo caso si crea una nuova tipologia di reati che va dalla violazione dei diritti d’autore, alla violazione della privacy, al rischio di truffa.

Ma di fronte a tutto questo scenario che deve far riflettere, ci sono i giusti risvolti positivi: questo mezzo ci consente di svolgere le indagini, superando anche certe omertà. A Osaka, per esempio, in Giappone, chi assiste a un reato può filmarlo e, restando anonimo, inviarlo alle autorità via telefonino. In Usa invece gli agenti di polizia possono mandare i dati via cellulare e farsi inviare subito la foto con gli estremi di riconoscimento per bloccare immediatamente il sospetto. Anche a Treviso, persone in procinto di suicidio sono state individuate dalle ‘cellule’ a telefono spento e salvate. Ma quali conseguenze ha nella gente? E’ stato condotto un esperimento su 300 individui tra i 14 e i 60 anni, privati per 15 giorni del telefonino. Il 75% di loro dopo 10 giorni a ogni squillo di un telefonino si auto perquisiva, litigava con il partner e manifestava tic. Insomma, dopo la patente, il telefonino è l’oggetto per il quale l’italiano va in crisi. Certo, il cellulare ha risolto molti problemi lavorativi: possiamo andare dove vogliamo perché siamo rintracciabili. Con un piccolo grande paradosso però: adesso passiamo più ore al telefono che con la famiglia”.

Un pezzo di vita che corre in rete

Telefonino ‘mon amour’ insomma, che non rappresenta solo uno strumento di lavoro o di comunicazione, ma spesso una parte della propria vita: “Ho lavorato per quattro anni presso il Customer Service di un gestore italiano di Telefonia Cellulare – riferisce Pezzullo – E ho assistito a 30 mila telefonate di clienti. Dimostravano ansia: manager, ragazzi, casalinghe che magari per poche ore non potevano usare il cellulare. Avevo manager che mi urlavano addosso ‘lei non sa cosa vuol dire per me rimanere senza cellulare per due ore’ e avevano vicino il telefono fisso. Insomma, persone che per 50 anni erano vissute felicemente senza cellulare, oggi scoppiano d’ansia se non l’hanno con sé.

Il telefono fisso è stato il primo strumento a farci superare la distanza biologica, ma il cellulare ha fatto di più: prima chiamavamo un luogo, ora una persona. E’ diventato come un feticcio che veicola la nostra relazionalità. Con tutto un suo linguaggio: lo squillo tra innamorati, lo squillo della prima della buona notte… Col fisso potevamo non trovare l’altro e l’altro non lo sapeva. Ora comunica sempre qualcosa, l’altro l’ha con sé e non può dire di non sapere. Prendiamo ad esempio la funzione dei messaggi sms, il sogno ideale delle compagnie perché i costi reali sono una frazione rispetto a quello che guadagnano. Molti li teniamo memorizzati e questo vuol dire portare con noi sempre qualcosa di quella persona. La rabbia dei clienti derubati per esempio non era tanto indirizzata alla perdita dell’oggetto telefono, quanto alla propria parte di vita contenuta in esso”.

Vicini ma tanto lontani…

Dunque, il telefonino (e con esso altre nuove forme di comunicazione quali per esempio Internet) ha portato più informazione, più comunicazione e meno solitudine? Paradossalmente, secondo Rizzo, sembra proprio di no. Nella nostra società, dove si parla sempre più di comunicazione, in realtà sarebbero in notevole aumento, anche nell’infanzia e nell’adolescenza, tutte le patologie che riguardano proprio la comunicazione stessa: “Oggi nell’infanzia si sta diffondendo il disturbo autistico e dello sviluppo generalizzato – ha commentato Rizzo – Negli anni ’40 ne soffrivano 4 su 10 mila nati, oggi 3 su 1.000.

Cresce insomma l’idea di una comunicazione diffusa ma in realtà la comunicazione stessa crolla e non riguarda solo l’autismo. Il problema più presente è oggi il disturbo dell’attenzione con ipercinesia: in Usa ne soffrono il 3-7% dei bimbi scolarizzati. Un altro è la dislessia evolutiva che riguarda la comunicazione scritta (in Usa il 2-3% dei bambini). E le famiglie ci chiedono: cosa avverrà dei nostri figli? La verità è che iniziano fin da neonati a controllarli con un monitor in camera. Che si sta evolvendo: in Italia non è ancora arrivato, ma nei Paesi del Nord sì: lo strumento potrà attribuire senso al pianto e dire se si tratta di un pianto per fame, per malessere, per richiamo alla madre…

Un controllo totale della comunicazione di un neonato che peraltro potrà così starsene da solo con il suo strumento, senza che nessuno si preoccupi di colmare questa solitudine con un contatto fisico. Avete presente il film di Truman Show dove il protagonista crede di vivere una vita normale, in realtà controllata da una videocamera giorno e notte che trasmette a tutto il pianeta la sua vita fin dalla nascita? Sapevate che in Usa un bimbo di 8 ani va in onda 24 ore su 24? E’ un reality-show… E alla domanda del perché lo faccia, ha risposto: ‘E’ il miglior modo per diventare famosi’… Non possiamo non interrogarci su dove ci porterà tutto questo”.

Soli per imparare a crescere

Non sfugge a dubbi e interrogativi neppure il mondo di Internet: “I giovani sono oggi spesso più in rapporto coll’esterno e con gli sconosciuti, che non col proprio ambiente domestico e i propri cari, dai quali si emarginano o si auto segregano – aggiunge Rizzo – E tutto per sfuggire a questa ‘solitudine’. Ma la solitudine è essenziale per passare a un nuovo pensiero e stile di vita, soprattutto per chi sta crescendo. Il ragazzo deve sperimentare momenti solitari, con i suoi pensieri, sentimenti, difficoltà e rappresentazioni del mondo. Così come anche il bambino deve essere lasciato in grado di star da solo per proseguire il suo sviluppo”.

Ben venga dunque un mondo dove si può comunicare facilmente da una parte all’altra del Pianeta, condividendo in questo modo esperienze e contatti prima inimmaginabili tra culture e razze differenti. Con un’avvertenza però: la stretta di mano, il caldo sorriso, un cappuccino al bar o una chiacchierata a quattrocchi rimarranno sempre i più adeguati sistemi di comunicazione tra gli esseri viventi, che sono fisici e proprio per questo hanno bisogno di contatti caldi e diretti. L’essere umano non potrà mai farne a meno, pena la sua stessa sopravvivenza.

Paola Fantin - www.tg0.it


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018