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MARIA E PARTENOGENESII
Il nome "Maria" viene dal greco; in ebraico è "Miryàm". Solo i vangeli apocrifi dicono che i suoi genitori si chiamavano Anna e Gioachino, discendenti di Davide e della tribù di Giuda. Lc 1,27 non parla di "promessa sposa", cioè di "fidanzata", ma già di "sposa" di Giuseppe (1): i vv. 34-38 possono essere stati aggiunti in seguito (in particolare questo versetto: - Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo" - contrasta col fatto ch'era già fidanzata con Giuseppe e che prima o poi questi l'avrebbe portata in casa propria). Mt 1,23, al fine di sostenere la "verginità" di Maria, riprende in maniera errata un passo di Is 7,14, dove la parola che indica "vergine" (nella traduzione dei LXX) sta semplicemente a significare una "giovane donna" ("halmah"). La versione più antica di Mt 1,24 dice semplicemente che Giuseppe non ebbe rapporti con Maria fino a quando questa non gli ebbe partorito il figlio primogenito. Da notare peraltro che solo in Matteo Giuseppe vuole ripudiare Maria (licenziare in segreto); in Luca neppure un accenno. Nell'età ellenistica e romana, ma anche nella civiltà egizia, sono tante le divinità vergini che generano o no figli eroi: Astarte, Afrodite, Venere, Tyche, Fortuna, Iside, Demetra. (1) Il verbo greco usato da Luca, emnestéumene, è lo stesso che usa in 2,5 e indica ch'era già sposata. Infatti nel costume ebraico non si faceva molta differenza tra fidanzamento e matrimonio. Questo ovviamente non significa che Maria non fosse vergine quando si sposò, né che vi siano state delle "stranezze" nel parto di Maria. Semplicemente è da escludere che Maria avesse scelto la verginità come stile di vita. Ovviamente è nell'interesse della chiesa affermare, nella traduzione italiana e latina, che in Maria vi fu partenogenesi proprio perché era vergine fidanzata. Ma se vi fu una partenogenesi nessuno è in grado di stabilirne la modalità, neppure Maria: ecco perché né Marco né Giovanni ne parlano. II
Va detto, a testimonianza degli influssi pagani sul cristianesimo primitivo, che negli ambienti ellenistici i miti partenogenici erano di regola accettati (Pitagora, Platone, Augusto, Perseo), mentre in quelli ebraici erano decisamente rifiutati. Il giudaismo infatti non attendeva un messia nato da una vergine. La decantata verginità dei vangeli dell'infanzia è forse da collegare al fatto che per gli ebrei cristianizzati di allora una liberazione dal giogo romano era considerata così difficile da far risultare come necessaria l'aspettativa di un evento miracoloso. Tale evento, almeno fino all'ideologia paolina, che lo sostituirà con quello della resurrezione, restava comunque legato ad aspettative di liberazione nazionale. O, per meglio dire, mentre il mito della resurrezione è servito per rinunciare definitivamente a qualunque pretesa nazionalistica, è probabile che in certi ambienti cristiano-ebraici della diaspora si sia avvertita l'esigenza di ribadire la necessità di un messia divino sin dalla nascita, in grado un giorno di restaurare il glorioso regno davidico. Un'altra tesi sostiene che i racconti natalizi siano stati elaborati per mostrare il modo in cui gli ebrei avrebbero dovuto credere se avessero saputo interpretare correttamente le profezie dell'antico testamento. Che i racconti natalizi siano posteriori alla predicazione paolina è documentato dal fatto che nel vangelo di Marco non si parla di annunciazione e nascita miracolosa del Cristo, anche se nella pericope del battesimo, del tutto inventata, i simboli religiosi sono numerosi. In Mc il Cristo diventa "figlio di Dio" solo al momento del battesimo, cioè come se fosse stato "adottato" dal Dio-Padre; in Mt e Lc lo è invece a partire dal momento della nascita, per volontà del Dio-Padre espressa attraverso l'azione dello Spirito. Solo in Paolo e Giovanni si parla di "eternità della divinità". |