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IL SILENZIO COME NUOVO STILE DI COMUNICAZIONE
Si può definire il silenzio come assenza di rumore; ma il silenzio autentico è la sordità. La sordità vera a sua volta non sta nell’incapacità di udire i rumori, bensì nell’incapacità di intendere i significati. Il processo mediante il quale i rumori diventano significati, cioè la storia del pensiero, deve fare i conti con questa pervicace sordità. Si tratta in gran parte di una sordità organica a un certo contesto, nel senso che riguarda l’uomo nel quadro di una società; potremmo anche chiamarla sordità sociale. L’enorme sviluppo della comunicazione ai giorni nostri si è dimostrato del tutto inefficace sotto questo profilo: esso ha ingigantito il rumore, ma non ha migliorato l’ascolto e la comprensione. Il mondo, che oggi si suole identificare col mondo della comunicazione, è in realtà il mondo del rumore. Sembra questa la vera condanna: assenza di una reale comunicazione, barriera del rumore, sconfitta dell’intelligenza, mortificazione dell’individuo. Nulla a che vedere col silenzio - semplice mancanza di suoni, il quale rappresenta anzi un terreno ideale per l’emergere dei significati. In verità la comunicazione autentica, quando si realizza, conferisce un vero e proprio spessore ai contenuti, che si organizzano in struttura; il rumore invece assorbe tutto. La dimensione del rumore è l’attualità, quella della comunicazione è la storia. Quest’idea di spessore strutturale della comunicazione si rivela in effetti basilare. La comunicazione è veramente tale solo quando stabilisce un rapporto fra ambiti distinti e separati: nel tempo, nello spazio, nell’esperienza, nel livello o nella tipologia delle conoscenze, ecc. All’interno di uno stesso ambito la comunicazione è scarsa o inesistente. Essa vive per così dire ai margini, ai confini, borderline, la sua divinità originaria è Ianus, una faccia rivolta all’interno e una all’esterno. E’ qui che si manifesta quella funzione intellettiva, che coniugando fra loro ambiti diversi, e relativizzando conseguentemente le conoscenze, le inserisce in una dinamica strutturale. Il rumore invece tipicamente “sovrasta”, avvolgendo tutto in modo indifferenziato. Se acquisiamo in buona sostanza il concetto di rumore come forma generica di comunicazione priva di spessore, dobbiamo in effetti ricomprendervi una gran quantità di manifestazioni ed eventi, che appaiono nella società di oggi assolutamente dominanti. Anzi si può dire che ogni tentativo di innescare circuiti comunicativi che perforino il rumore si scontra con difficoltà insuperabili, e va incontro comunque a una difficile convivenza con il rumore di fondo. Un tempo la stampa svolgeva un ruolo per così dire di lingua dei dotti; oggi non c’è più un mezzo che abbia tale funzione, in quanto ogni mezzo è condiviso, e segue pertanto una dinamica di massa, largamente indipendente dai singoli. Si manifestano così ondate convergenti d’interesse su temi specifici, tali da farli divenire rapidamente imprescindibili, necessari, unici. In tal modo si affermano e dilagano paradigmi che al loro apparire potevano solo suscitare incredulità, tanto sembravano banali e inconsistenti. Il loro territorio specifico è l’emotività. Non perché nella comunicazione strutturata l’emozione sia assente, tutt’altro; ma essa interviene, per così dire, in seconda battuta, presupponendo comunque la comprensione. In quella comunicazione priva di spessore, che abbiamo chiamato rumore, invece, l’emotività esaurisce per intero lo spazio comunicativo; non ha bisogno di mediazioni, si autogiustifica. Ma in tale ambito, come prima detto, prende corpo la mortificazione dell’individuo in quanto tale, la sua uscita di scena, il suo silenzio, in prospettiva la sua fine. Egli diviene una voce che conta solo nel momento in cui si unisce al coro e si identifica con esso. Le sue eventuali valorose e potenzialmente dirompenti prese di posizione scorreranno via come acqua sulla pelle, o al massimo saranno interpretate quali interessanti divagazioni; salvo che casualmente non intoppi in qualcosa che già stava maturando per esplodere, nel qual caso egli sarà un genio. Ho parlato in precedenza di dinamica di massa; mi correggo. Il concetto di massa è statico, tipicamente otto-novecentesco, funzionale all’idea di lotta di classe. Oggi dobbiamo più correttamente parlare di dinamica dei sistemi complessi. E’ lo sviluppo della comunicazione che ha reso complesso il sistema. E lo ha reso di conseguenza largamente indipendente dall’azione dei singoli individui. Basta osservare il fenomeno in politica, come a livello mondiale non esista più l’ombra di tutti quei personaggi che fino a non molto tempo fa, nel bene e nel male, facevano la storia. Non esisteva quasi paese, per quanto piccolo, nel quale non emergessero a personificare il potere figure carismatiche e decisive; e al contrario non vi è oggi paese, per quanto grande e importante, a riconoscersi pienamente in qualcuna di tali figure. La dinamica dei sistemi complessi è in effetti tale da configurarsi in modo assolutamente spontaneo e autonomo; nonché imprevedibile e improgrammabile: una speciale creatività della comunicazione, o, meglio, una creatività del rumore. Lo strapotere connesso al mondo della comunicazione, e a chi vi gravita attorno, non sta quindi tanto nelle contropartite economiche, quanto nel fatto ch’esso rispecchia direttamente e compiutamente le configurazioni del sistema. La progressiva interconnessione dei flussi informativi rende di fatto impossibile il controllo preventivo dei medesimi. In queste condizioni supporre che la politica conservi le capacità risolutive di un tempo è illusorio. Essa si trova di fronte a scenari e sistemi obbiettivamente più aperti e disponibili a coinvolgimenti globali. In tali condizioni può solo “accodarsi” o cercare di interpretare movimenti e situazioni, che insorgono in modo imprevedibile e imprevisto. Essa sembra cioè destinata a seguire gli eventi, piuttosto che a determinarli, riuscendo quando può e nel migliore dei casi a cogliere i segnali giusti al momento giusto e a leggere dietro alle apparenze; evitando ogni tentazione di riferimento a schemi di giudizio assiomatici e precostituiti. Soprattutto cercando di tenersi contigua ai nodi privilegiati della comunicazione, non tanto e non solo con l’obiettivo di gestirla, quanto di venirne legittimata. Fonti
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