PAOLO VOLPONI: IL CORAGGIO DELLA DIVERSITà |
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MEMORIALE
Questo primo romanzo, edito da Garzanti nel 1962, ha fatto correre all'autore il pericolo di rimanere sempre associato alla ristrettiva formula di "letteratura industriale". Volponi è anche questo, ma è molto più di questo. A me pare di trovare un comune denominatore in tutte le sue opere, che è quello della "diversità" dei personaggi principali da lui creati, diversità che dà loro, al contempo, malessere e inconsuete capacità conoscitive. L'ispirazione a creare il personaggio di Albino Saluggia, protagonista di Memoriale, gli venne durante il suo lavoro di capo dei Servizi Sociali alla Olivetti, quando lesse una lettera indirizzata ad Adriano Olivetti da parte di un operaio tubercolotico che se la prendeva con i medici che volevano allontanarlo dalla fabbrica, mentre lui asseriva di non essere ammalato. Si trattava di un evidente delirio persecutorio. Albino, nato ad Avignone in Francia, torna in Italia dopo la prigionia, quindi nel '45, dopo la seconda guerra mondiale quando sono comparsi tutti i suoi "mali", di cui ritiene responsabili i vari personaggi negativi con cui ha interagito, che lo hanno sempre trattato male. In realtà il suo male è più antico, nasce durante l'infanzia dal legame con la madre, da lui amata/odiata (anche perché sospetta che ad Avignone se la intendesse con un operaio francese): il complesso edipico gli procura l'impossibilità di un rapporto concreto col sesso femminile. Pasolini, che lesse il romanzo per primo, consigliandone la pubblicazione, parlò chiaramente di omosessualità inconscia del protagonista.(1) In Italia nutre grandi speranze. Diventa un operaio che vede nella fabbrica piemontese in cui lavora, inizialmente la sua "terra promessa". Ma egli è malato di tubercolosi: i medici aziendali che lo visitano lo ricoverano più di una volta in sanatorio, lui reagisce malamente, parlando con tutti (parroco e carabinieri compresi) di una persecuzione nei suoi confronti. Eppure la fabbrica continua a proteggerlo, nel tempo in cui non lavora gli passa un sussidio. Il rapporto con gli altri operai è freddo e diffidente. Solo nel suo primo capo-reparto, Grosset, troverà un po' di comprensione, perché quest'ultimo è un altruista, un tantino debole in casa dove sopporta i palesi tradimenti della moglie, ma ben disposto verso gli operai, al punto che in una poesia che Albino scriverà in sanatorio, dopo la morte di quello per cancro, parlerà di lui come di un santo. Ma anche se Grosset gli ha consigliato di non fare della fabbrica l'unica ragione della sua vita e di non ritenersi un perseguitato, Albino non ha orecchi per queste parole, non riesce a conquistare quella leggerezza che sola potrebbe salvarlo e metterlo in contatto con il prossimo. Le sue "tare" sono anche ideologiche: il suo cattolicesimo è un miscuglio di repressione sessuale ed eccessiva fiducia nel clero, anche se verso la fine del suo "memoriale" (nell'ultimo ricovero in sanatorio scrive pure questo, oltre alle lettere ai presunti persecutori e, come si è detto, poesie) capisce che il potere dei padroni è alleato con i preti. C'è nella sua paranoia, insomma, un fondo di verità. Infatti il corpo dirigente della fabbrica e persino i medici sono indulgenti (divenendo insopportabile per lui il lavoro di operaio, gliene danno uno di piantone presso i magazzini), fino a quando non partecipa a una protesta sindacale addirittura incitando i cuochi della mensa a scioperare. Allora viene licenziato. Un altro fondo di verità nella sua nevrosi è caratterizzato dalla impurità delle donne con cui ha a che fare. Esse lo deridono in sanatorio perché non accetta di fare l'amore come tutti gli altri, senza amore. Cerca un amore autentico e invece si imbatte immancabilmente in donne che sfruttano e tradiscono. Non ricordo dove lessi un concetto realistico di Moravia sulle donne, ma è sicuro che l'ho letto: le donne - egli dice - sono buone con l'uomo di cui si innamorano e cattive con l'uomo di cui non sono innamorate. Nessuna di loro può amare Albino, perché lui è realmente diverso dagli altri e gli mancano gli strumenti culturali (in primo luogo la conoscenza della psicoanalisi) per portare a galla tutto il suo inconscio. A causa di questa inconsapevolezza dei suoi veri mali, si direbbe che si "autopunisce" con la tubercolosi. C'è un momento nel memoriale in cui parla di un medico-mago e della sua cricca, a cui si è rivolto per disperazione: anche un Albino superstizioso! Eppure eppure... la ricerca di affetto vero e la mancanza di ipocrisia fanno di questo personaggio una creatura amabile da parte di chi riconosce le sue ragioni oltre le debolezze. Nel suo stare a metà strada tra la malattia (determinata dalla inconsapevolezza) e la forza di un intellettuale indipendente quale era Volponi, comprendiamo anche le ragioni stilistiche di questo romanzo, il sovrapporsi di due strati linguistici, quello appartenente a un operaio tubercolotico paranoico e quello di un poeta colto. L'ambizione letteraria di Volponi era grande: egli non voleva descrivere la realtà, ma il suo "realismo visionario" nasceva dalla esigenza, appunto ambiziosa, di "trasformare" la realtà stessa. Tuttavia la frase che chiude il memoriale di Albino è deludente, se auspichiamo una rigenerazione morale del mondo: "A quel punto ho capito che nessuno può arrivare in mio aiuto."(2) Queste parole hanno indotto taluni (come Michele Rago) a parlare di pessimismo volponiano,(3) come se il male morale fosse davvero inestirpabile. Forse non è il caso di dare una definizione certa riguardo alla speranza o alla disperazione dell'autore, perché il bene e il male vanno conosciuti mai definitivamente, ma volta per volta, nei casi concreti in cui essi si realizzano, spesso in una commistione in cui è difficile distinguerli. Sicuramente Volponi non voleva dare un senso di totale pessimismo con quella frase, ma solo mettere in luce l'emarginazione e la solitudine del ribelle, che non per questo deve tradire se stesso, in cambio di un finto amore... (1) Pasolini Pier Paolo, Una scrittura su «due lastre», in Zinato Emanuele, Volponi, Palumbo, Palermo, 2001, p. 211. (torna su) (2) Volponi Paolo, Memoriale, in Romanzi e Prose, volume primo, Einaudi, Torino, 2002, p. 232. (torna su) |
a cura di Leonardo Monopoli
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