Francesco
Costa Sento molto il ritmo musicale
nella scrittura, ma a evitare le stonature mi aiuta anche il mio primo mestiere, quello di
attore.
Ogni pagina la rileggo ad alta voce, come quando facevo l'attore e preparavo la parte; se
scopro una parola che rompe il ritmo la modifico. Per mantenere il ritmo ho dovuto
riscrivere qualche pagina per 25 volte.
Una scrittura scorrevole, musicale, senza sciatterie è l'effetto di mille limature: per
arrivare alla "naturalezza" bisogna passare per la complessità. (Avvenimenti,
12 feb 97)
Franco Cuomo
Tra pittura, musica, cinema e letteratura stento a
distinguere i confini. Si tratta, in fondo, di diversi linguaggi dell'espressione.
Scrivere romanzi, in particolare, dà la possibilità di esprimersi in maniera più estesa
e di avere un pubblico più vasto. Il teatro, invece, è per definizione aleatorio,
richiede un'organizzazione, un lavoro di più persone. La narrativa offre il vantaggio di
poter fare tutto da soli.
In genere, quando penso a una storia in qualche modo la programmo, traccio un itinerario
di base. Ma non sempre le cose si svolgono secondo la scaletta che avevo prefissato. A
volte, p.es., mi capita di verificare che i personaggi fanno cose diverse da quelle che
avevo programmato. A quel punto nella mente scatta semplicemente qualcosa che serve a far
funzionare il meccanismo narrativo.
Per lo scrittore c'è la possibilità di avvicinarsi di più alla verità rispetto al
giornalista, perché il romanzo ti affranca dall'onere della prova. Ti consente di dire
ciò che tu ritieni sia la verità, senza il rischio di essere contraddetti o smentiti. E
ho scoperto di essere arrivato a fatti reali semplicemente viaggiando con l'immaginazione.
Le verità si mescolano alle fantasie. Scrivere romanzi, insomma, ha il vantaggio di non
porre steccati.
Per quanto mi riguarda, anche nei momenti di più sfrenata e improbabile fantasia
visionaria cerco di dare quel dettaglio, quella spiegazione storicamente attendibile che
mi riconduce alla realtà o all'attualità. È un modo per dare al lettore una certa
sicurezza, senza però annoiarlo. La "verità" del giornalista nel mestiere di
scrittore di romanzi dev'essere rimpiazzata quanto meno dalla plausibilità. (Avvenimenti,
13 nov 96)
Andrea De Carlo
Mentre lavoro mi disturba il rumore, anche quello
di una voce in casa. Perché per la scrittura è un lavoro da fare in solitudine. Però
non sono un solitario, per questo mi sono imposto di lavorare di giorno. La sera esco,
incontro gli amici, vivo in mezzo agli altri.
La musica serve per distendermi, ma non mentre lavoro.
Il computer è più vicino di ogni altro mezzo al meccanismo sofisticato del pensiero
umano. È in grado di soffermarsi su un particolare, di tornare indietro, di correggere.
La macchina da scrivere è senz'altro più bella esteticamente, ma è un mezzo più
freddo, procede in modo orizzontale. Qui dentro stampo quello che scrivo, pagina per
pagina, poi mi soffermo sui singoli fogli e correggo a penna. Perché la scrittura
meditata, o meglio la riscrittura, è indispensabile.
È necessario darsi un metodo, adattandolo al modo di vivere che abbiamo, perché la
creatività va indirizzata, organizzata in una forma definita, per esprimersi appieno.
Lo scrittore maledetto, quello che passa notti ad ubriacarsi, vagabondare, drogarsi, eppoi
sforna capolavori, è un falso mito. Scrivere con regolarità può essere un modo per
farti raggiungere le maggiori possibilità individuali. (Avvenimenti, 27 set 95)
Michele
D'Arcangelo
Non ho mai perso il culto della letteratura e della
parola, sono un amante delle parole, uno preciso, a volte pignolo: per ogni cosa mi piace
trovare il termine adeguato; in casa mia ci sono più di 80 vocabolari tecnici.
Per scrivere ho girato il mondo e mi sono appassionato alle cause dei perdenti, dei più
deboli, perché quasi sempre era la causa più giusta. (Avvenimenti, 6 ago 97) |
Giuseppe
Culicchia Quand'ero bambino non
c'era la televisione che c'è adesso e il modo migliore per passare le giornate, non
soltanto quelle estive, era leggere.
Ho cominciato a scrivere imitando Hemingway. Ho cominciato a scrivere e riscrivere un
racconto di Hemingway intitolato Colline con elefanti bianchi. Questo lavoro mi è
servito per capire che scrivere ha delle regole. Bisogna aver voglia di buttar via un
sacco di tempo per imparare a scrivere…
Soprattutto nei primi romanzi c'è la tendenza a far vedere tutto quello che si sa…
Ho cercato di far entrare la musica nella struttura dei libri, nel ritmo stesso della
scrittura… in modo che uno potesse leggerli velocemente. C'è poco tempo per leggere
e ne abbiamo sempre meno perché facciamo una vita frenetica, perché c'è la televisione,
perché c'è il cinema, per un sacco di altri motivi. (Mucchio Selvaggio, ottobre 1995)
Maria Rosa Cutrufelli
Parto scrivendo quella che sarà la prima pagina
anche se poi nel testo definitivo non la si ritrova. Ho bisogno di un "inizio",
dopodiché faccio una scaletta molto approssimativa, poi il libro cresce man mano. Seguono
altre scalette perché mentre il filo si dipana devo sistemare le cose. Ma la prima
pagina, i personaggi e alcune situazioni non sono sufficienti per costruire un romanzo.
Documentarsi diventa necessario se voglio che la storia parli "dei fatti
nostri", cioè sia riconoscibile.
Le letture possono essere le più diverse, quello che m'interessa è come l'autore o
l'autrice affronta alcuni nodi formali. La mia attenzione si fissa così su alcune
soluzioni estetiche che mi possono tornare utili: m'interessa come viene costruita una
frase, la scelta di alcune parola piuttosto che altre. Importante è capire come rendere
un'immagine, una situazione, un dialogo, un personaggio. In ogni caso la mia lettura è
sempre finalizzata a quello che sto scrivendo.
Non si tratta solo d'inventare situazione coinvolgenti per dare drammaticità a ciò che
si scrive, bisogna anche inventare il modo di renderle attraenti e questo lo si può fare
solo lavorando sulla scrittura. Non è soltanto la lettura che mi costringe a ripensare
alle tecniche e il farlo in modo sistematico mi aiuta moltissimo. Diventa una riflessione
sulla mia stessa scrittura, arricchita da un'analisi comparata con quella di altri.
(Avvenimenti, 21 feb 96)
Daniele del Giudice
C'è un eccessivo appiattimento sia verso il
linguaggio del giornale sia verso l'immediatezza del messaggio. La letteratura è
comunicazione, fa parte della comunicazione, ma attraverso un percorso suo che tende
all'ambiguo, al mistero, che ha bisogno dell'equivoco.
L'elemento acquatico su cui si muovono le narrazioni è fatto di ambiguità, di
precarietà, non di messaggi chiari e diretti, riconducibili a un telegramma, ad uno
slogan.
Il lavoro per me non è nella scrittura, forse agli inizi vi facevo molta più attenzione,
adesso questa scrittura che sembra così curata, limata, mi viene in qualche modo naturale
e faccio veramente poche correzioni, forse perché quello che a me sta a cuore davvero è
l'al di là della scrittura, cioè una scrittura mi serve soltanto per mettere in evidenza
i personaggi, le zone del sentimento, dell'immaginario.
Io vorrei essere uno scrittore di tante pagine ma sono il primo ad annoiarmi. Mi pare che
le parole servano veramente un po' per mettere in vita qualcosa, quando sento che c'è
questa tensione, quando sento che le parole riescono a custodire il mistero non è poi
tanto difficile creare una storia, semmai difficile è custodire il mistero mentre devi
fare chiarezza attraverso la narrazione, e tenere questa soglia tra luce e ombra, sapendo
poi che quello che veramente comunichi ai lettori è proprio la parte in ombra del
linguaggio, della parola, della storia… (Avvenimenti, 23 lug 97) |