La schiettezza di Virgilio Scapin
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Sicuramente Virgilio Scapin (1932-2006) scriveva per divertimento, ovvero non aveva scopi di apparizione mediatica di tipo letterario. Dai suoi scritti, di cui Cattivi pensieri è una sorta di distillato, emerge la figura di uno spettatore incredulo e indulgente della vita. L’incredulità gli viene da un’osservazione minuta delle cose, quelle che determinano un comportamento, un’azione o che le fanno da corollario. Oppure ancora che guidano l’attore verso un altro tipo di comportamento e di azione: su tutto, insomma, pesano le abitudini, ma c’è anche posto per qualcosa di personale. Il problema, che il libraio vicentino prestato alla scrittura capisce bene, è che la razionalità non ha ancora raggiunto – e magari non raggiungerà mai – una capacità speculativa tale da risolvere ogni problema interpretativo della realtà da parte dell’uomo. Meglio indugiare sulle osservazioni che sono possibili da fare e sorvolare sul resto, fingendo di farlo con buona disposizione d’animo: ed ecco servita l’indulgenza. Non bisogna esagerare, sembra dire Scapin, con le indagini. Più agevole ed anche più confortevole rimanere nell’ambito di una vita vissuta o da vivere in senso materiale. Il materialismo dello scrittore vicentino non è però volgare. Non lo è in alcun modo, sebbene la scelta di Scapin sia una descrizione cruda dei fatti, talvolta come prigionieri di una certa crudezza. Questa violenza è a sua volta sorretta da un disagio sotterraneo che una specie di canto liberatorio, un canto grasso, riesce a disperdere, a mimetizzare, a nascondere come si fa con la polvere sotto il tappeto. Non è volgarità quella di Scapin, ma è schiettezza, ed è disincanto. Lo scrittore, nei racconti citati, ci porta in un mondo pratico, dove le cose contano in funzione del servizio che offrono. Quando, nei racconti che riguardano gli animali, interviene qualche salvezza per loro, si capisce che lo scrittore vicentino fa volentieri una forzatura: in fondo lui è un buono che vuole credere alle favole. Purché non si sappia troppo in giro.) La praticità, la solarità hanno la meglio sulla mediazione letteraria convenzionale. Il Nostro non appartiene a mode di sorta e neppure a conventicole di qualsiasi accademia. Non corre il rischio della parodia di modelli maggiori, né gli interessano, per quanto si senta in qualche modo debitore della chiarezza espositiva che possiede. Gli anni di seminario, ad esempio, gli sono serviti. E così la professione di libraio nel cuore di Vicenza. Ma maggiormente gli è servita, per la formazione del suo carattere e come sfogo al suo temperamento, gli è servita la frequentazione enogastronomica (gli fece conoscere Tognazzi, la Vitti, Ettore Scola, Pietro Germi e altri. Con Germi e Scola fu anche attore). Il nostro personaggio divenne co-fondatore della Confraternita del baccalà alla vicentina. Il vino, il Torcolato in particolare, proveniva preferibilmente dalla cantina di Firmino Miotti a Breganze (di cui diventerà cittadino onorario): Firmino era stato immortalato nel libro I magnasoete (i mangia civette) per il suo senso dell’ospitalità, e per la sua figura di filosofo semplice, legato alla terra, alla natura. L’ambientazione dei racconti e dei romanzi di Virgilio Scapin è la provincia vicentina, ma si potrebbe dire la provincia in generale italiana, quella sana, quella saldamente solidale da sempre: una sorta di patria ridotta a tutti gli effetti. Lo scrittore la celebra con virile commozione, con estrema simpatia, con senso di fratellanza. Ne esce un amore immenso per l’umanità, un amore che va oltre le parole. La scrittura di Scapin è particolare: egli riesce nell’intento di tradurre in italiano i concetti espressi dal dialetto. Questa traduzione, per quanto parziale, è cosa veramente difficile perché il dialetto riesce a dire molte più cose di una lingua imposta. Riesce a cogliere sfumature concettuali e sentimentali che la lingua imposta non contempla neppure. Il nostro scrittore vicentino è stato paragonato al Ruzzante. Ma in Scapin non c’è alcun compiacimento narrativo, non c’è alcun virtuosismo disordinato (volutamente disordinato: Ruzzante è un ignorante finto, è un intellettuale vero e grande). Nei suoi racconti, che sono probabilmente la sua giusta cifra espressiva, c’è un ordine razionale ben preciso. La porzione istintiva, romantica, lo sguardo spirituale, sono tenuti a bada da un desiderio di raccolta delle idee e dei sentimenti che fornisca una testimonianza completa dell’esperienza vissuta. Il desiderio di oggettività è un sottofondo su cui poggia il tutto. Nei confronti di questa oggettività, che sovente tutto riduce a miseria, Scapin ha una reazione in qualche modo risentita che sfoga nell’eleganza letteraria e in una saggezza sentenziale positiva, idealistica, che invita all’abbraccio, alla convivialità più sincera e più serena. Scapin sembra dire: godiamoci questi momenti di sana follia persa nella visione di un mondo buono, di un mondo giusto. Procediamo sottobraccio. |
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