Laboratorio didattico: Ovidio racconta il mito di Aracne
Il testo
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greco-romane
Questo materiale è adatto ad un quarto anno, sia come
lavoro da svolgere in classe sotto la guida dell’insegnante, sia, in
qualche sua parte, per le verifiche. Richiede una programmazione su più
ore, prevede l’uso del dizionario; è opportuno che ci sia a disposizione
un dizionario di mitologia.
Il poeta, l’opera e il contesto storico in
cui è stata prodotta saranno già stati presentati in precedenza nei loro
aspetti essenziali.
Si esercitano o si verificano:
capacità di riconoscere le articolazioni del contenuto
capacità di riconoscere gli strumenti propri del linguaggio poetico
sensibilità lessicale
capacità di scegliere tra opzioni interpretative diverse
capacità di istituire confronti
Il passo, a causa della sua lunghezza, è diviso in due parti, ciascuna delle quali è corredata da esercizi su punti specifici (A), che richiedono comunque una provata disponibilità all’indagine linguistico-letteraria; per gli aspetti che coinvolgono l’intero episodio si veda alla fine (B). Gli aspetti morfologico-sintattici, non sono qui oggetto di sistematica attenzione, tuttavia, dal momento che la traduzione a fianco riportata è tutt’altro che una trasposizione de verbo ad verbum, sarà facile, in caso, coltivare quella com-petenza chiedendo la traduzione letterale di un certo numero di versi.
Ovidio, Metamorphoseon, VI, 1-145
[…] Huius ut adspicerent opus admirabile, saepe deseruere sui nymphae vineta Timoli, deseruere suas nymphae Pactolides undas. Nec factas solum vestes, spectare iuvabat tum quoque, cum fierent: tantus decor adfuit arti, sive rudem primos lanam glomerabat in orbes, seu digitis subigebat opus repetitaque longo vellera mollibat nebulas aequantia tractu, sive levi teretem versabat pollice fusum, seu pingebat acu; scires a Pallade doctam. Quod tamen ipsa negat tantaque offensa magistra 'certet' ait 'mecum: nihil est, quod victa recusem!' Pallas anum simulat: falsosque in tempora canos addit et infirmos, baculo quos sustinet, artus. Tum sic orsa loqui 'non omnia grandior aetas, quae fugiamus, habet: seris venit usus ab annis. Consilium ne sperne meum: tibi fama petatur inter mortales faciendae maxima lanae; cede deae veniamque tuis, temeraria, dictis supplice voce roga: veniam dabit illa roganti.' Adspicit hanc torvis inceptaque fila relinquit vixque manum retinens confessaque vultibus iram talibus obscuram resecuta est Pallada dictis: 'mentis inops longaque venis confecta senecta, et nimium vixisse diu nocet. Audiat istas, si qua tibi nurus est, si qua est tibi filia, voces; consilii satis est in me mihi, neve monendo profecisse putes, eadem est sententia nobis. Cur non ipsa venit? cur haec certamina vitat?' Tum dea 'venit!' ait formamque removit anilem Palladaque exhibuit: venerantur numina nymphae Mygdonidesque nurus; sola est non territa virgo, sed tamen erubuit, subitusque invita notavit ora rubor rursusque evanuit, ut solet aer purpureus fieri, cum primum Aurora movetur, et breve post tempus candescere solis ab ortu. Perstat in incepto stolidaeque cupidine palmae in sua fata ruit; neque enim Iove nata recusat nec monet ulterius nec iam certamina differt. haud mora, constituunt diversis partibus ambae et gracili geminas intendunt stamine telas: […] Utraque festinant cinctaeque ad pectora vestes bracchia docta movent, studio fallente laborem. Illic et Tyrium quae purpura sensit aenum texitur et tenues parvi discriminis umbrae; qualis ab imbre solent percussis solibus arcus inficere ingenti longum curvamine caelum; in quo diversi niteant cum mille colores, transitus ipse tamen spectantia lumina fallit: usque adeo, quod tangit, idem est; tamen ultima distant. Illic et lentum filis inmittitur aurum et vetus in tela deducitur argumentum. |
(Nei versi 1-13 Ovidio racconta di come
Minerva, offesa nelle sue prerogative, decida di colpire la giovane
Aracne, la cui fama di tessitrice e ricamatrice si è estesa a tutta la
regione , benché la sua origine sociale sia assai modesta; il nome della
ragazza è sostituito talvolta dalla provenienza, Maeonis o
Maeonia)
Per vedere i suoi meravigliosi lavori, spesso le ninfe del Timòlo lasciarono i loro vigneti, le ninfe del Pactòlo lasciarono le loro acque. E non soltanto meritava vedere i tessuti finiti, ma anche assistere a quando li faceva, poiché era un vero spettacolo. Sia che agglomerasse la lana greggia nelle prime matasse, sia che lavorasse di dita e sfilacciasse uno dopo l’altro con lungo gesto i fiocchi simili a nuvolette, sia che con l’agile pollice facesse girare il liscio fuso, sia che ricamasse, si capiva che la sua maestria vaniva da Pallade. Ma Aracne sosteneva di no, e invece di essere fiera di una così grande maestra, diceva impermalita:”Che gareggi con me! Se mi vince, potrà fare di me quello che vorrà”. Pallade si traveste da vecchia, si mette sulle tempie una finta capigliatura bianca e prende anche un bastone che sorregga le membra piene di acciacchi. Poi comincia a parlare così:” Non tutto è male nell’età avanzata. Più s’invecchia, più cresce l’esperienza. Dài retta a me: ambisci pure ad essere la più grande tessitrice tra i mortali; ma non voler competere con la dea, e chiedile con voce supplichevole di perdonarti per quello che hai detto o temeraria; chiediglielo e non ti rifiuterà il perdono”. Aracne le lancia una torva occhiata, lascia andare i fili già cominciati e a stento trattenendosi dal percuoterla, con una faccia che tradisce l’ira, così dice di rimando a Pallade che ancora non si è palesata: “O scimunita, smidollata dalla lunga vecchiaia, vivere troppo eccome se rovina! Queste cose valle a dire a tua nuora, valle a dire a tua figlia, se ne hai una! Io mi so regolare benissimo da me, e perché tu non ti creda di aver combinato qualcosa con i tuoi ammonimenti, sappi che io la penso come prima. Perché non viene qui? Perché non accetta la sfida?” Allora la dea: “E' venuta!”, dice, e si spoglia della figura di vecchia e si rivela – Pallade. Le ninfe e le donne della Lidia si prostrano davanti alla divinità; soltanto la vergine non si spaventa. Tuttavia trasalisce e un improvviso rossore le dipinge suo malgrado il viso e poi si dilegua, come l’aria si imporpora al primo comparire dell’aurora e dopo breve tempo s’imbianca, quando sorge il sole. Insiste sulla via che ha preso, e per insensata bramosia di gloria corre verso la propria rovina. E infatti la figlia di Giove non rifiuta, e non l’ammonisce più, e nemmeno rinvia più la gara. Subito si sistemano una da una parte, una dall’altra, e con gracile filo tendono ciascuna un ordito. ( segue la descrizione tecnica dell’operare al telaio, vv. 53- 58) Lavorano tutte e due di lena, e liberate le spalle dalla veste, muovono le braccia esperte, con tanto impegno che non sentono fatica. Mettono nel tessuto porpora che ha conosciuto la caldaia a Tiro, e sfumature delicate, distinguibili appena: così, quando la pioggia rifrange i raggi solari, l’arcobaleno suole tingere con grande curva, per lungo tratto, il cielo, e benché risplenda di mille diversi colori, pure il passaggio dall’uno all’altro sfugge all’occhio di chi guarda, tanto quelli contigui si assomigliano, sebbene gli estremi differiscano. Anche intridono i fili di duttile oro, e sulla tela si sviluppa un’antica storia. |
Proposta A Al v. 18 tantus decor
fuit arti risulta tradotto con “era un vero spettacolo”: Nei vv. 35-36 l’opposizione tra confessa iram e obscuram. Pallada è suggestiva: spiega come attraverso di essa cominci a delinearsi il destino fatale dell’incauta Aracne. Ai vv. 42-44 c’è uno dei momenti narrativamente più felici:
Al v. 50 c’è l’ipallage stolidaeque cupidine palmae: si può usare per spiegare che cos’è questa non frequente figura retorica oppure chiedere agli studenti di mostrarne la struttura a partire da questo esempio: |
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[…] sibi dat clipeum, dat acutae cuspidis hastam, dat galeam capiti, defenditur aegide pectus, percussamque sua simulat de cuspide terram edere cum bacis fetum canentis olivae; mirarique deos: operis Victoria finis. ut tamen exemplis intellegat aemula laudis, quod pretium speret pro tam furialibus ausis quattuor in partes certamina quattuor addit, clara colore suo, brevibus distincta sigillis: Threiciam Rhodopen habet angulus unus et Haemum, nunc gelidos montes, mortalia corpora quondam, nomina summorum sibi qui tribuere deorum; […] circuit extremas oleis pacalibus oras (is modus est) operisque sua facit arbore finem. Maeonis elusam designat imagine tauri Europam: verum taurum, freta vera putares; ipsa videbatur terras spectare relictas et comites clamare suas tactumque vereri adsilientis aquae timidasque reducere plantas. Fecit et Asterien aquila luctante teneri, fecit olorinis Ledam recubare sub alis; addidit, ut satyri celatus imagine pulchram Iuppiter inplerit gemino Nycteida fetu, Amphitryon fuerit, cum te, Tirynthia, cepit, aureus ut Danaen, Asopida luserit ignis, Mnemosynen pastor, varius Deoida serpens. […] Ultima pars telae, tenui circumdata limbo, nexilibus flores hederis habet intertextos. Non illud Pallas, non illud carpere Livor possit opus: doluit successu flava virago et rupit pictas, caelestia crimina, vestes, utque Cytoriaco radium de monte tenebat, ter quater Idmoniae frontem percussit Arachnes. Non tulit infelix laqueoque animosa ligavit guttura: pendentem Pallas miserata levavit atque ita 'vive quidem, pende tamen, inproba' dixit, 'lexque eadem poenae, ne sis secura futuri, dicta tuo generi serisque nepotibus esto!' Post ea discedens sucis Hecateidos herbae sparsit: et extemplo tristi medicamine tactae defluxere comae, cum quis et naris et aures, fitque caput minimum; toto quoque corpore parva est: in latere exiles digiti pro cruribus haerent, cetera venter habet, de quo tamen illa remittit stamen et antiquas exercet aranea telas. |
(Pallade dipinge così la collina
che diventerà l’acropoli di Atene e l’antica contesa per il nome
da dare alla città. Nei versi 72-77 viene descritto il ricamo,
con gli dei schierati a giudizio, il rivale Nettuno, il dono del
cavallo,- o, secondo un’altra lezione, la sorgente -) Quanto a se stessa, si raffigura con loscudo, con la lancia dalla punta acuta, con l’elmo in capo e il petto protetto dall’egida; e rappresenta la terra che percossa dalla sua lancia produce una pallida pianta d’olivo, con tanto di olive, e gli dei stupefatti. Infine, la scena della propria vittoria. Ma perché la rivale capisca da qualche esempio che cosa dovrà aspettarsi da così folle ardire, aggiunge ai quattro angoli quattro altre sfide, a colori vivaci, con tante piccole figurine. In un angolo si vedono Rodope di Tracia ed Emo, oggi gelidi monti, ma un giorno esseri mortali, che avevano usurpato i nomi dei più grandi dei. (Seguono, ai vv. 90-100, altri tre casi di uomini e donne trasformati chi in uccello, chi in roccia) Contorna i bordi con rami d’olivo, segno di pace, e così conclude l’opera, con la pianta che le è sacra. Aracne disegna Europa ingannata dalla falsa forma di toro: diresti che il toro è vero, che è vero il mare, e si vede lei che guarda indietro verso terra e invoca le sue compagne e per paura degli spruzzi tira su timorosamente i piedi. E rappresenta Asterie ghermita dall’aquila a viva forza, rappresenta Leda sdraiata sotto le ali del cigno. E aggiunge le storie di Giove che sotto parvenze di Satiro ingravida di due gemelli la bella figlia di Nicteo; che diventa Anfitrione per possedere te, Alcmena di Tirinto; che fattosi oro inganna Danae, fattosi fuoco la figlia d’Asopo, pastore Mnemosine, screziato serpente la figlia di Cerere ( la descrizione continua, ai vv.114-126, con altre imprese amorose da parte di divinità che, variamente travestite, espugano la ritrosia di creature mortali o, indifferentemente, immortali) Tutt’intorno alla tela corre un fine bordo. con fiori intrecciati a rami d’edera flessuosi. Neppure Pallade, neppure la Gelosia poteva trovare qualcosa da criticare in quell’opera. ma la bionda dea guerriera ci rimane malissimo e fece a brandelli la tela che illustrava a colori le colpe degli dei, e trovandosi in mano la spola di legno del Citoro, tre e quattro volte colpì con quella sulla fronte Aracne, figlia di Idmone. La poveretta non lo tollerò, e corse impavida a infilare il collo in un cappio. vedendola pendere, Pallade ne ebbe compassione e la sorresse, dicendo così:” Vivi pure, ma penzola, malvagia, e perché tu non stia tranquilla per il futuro, la stessa pena sia comminata alla tua stirpee a tutti i tuoi discendenti!” Detto questo, prima di andarsene la spruzzò di succhi di erbe infernali, e subito al contatti del terribile filtro i capelli scivolarono via, e con esso il naso a gli orecchi; e la testa diventa piccolissima, e tutto il corpo d’altronde s’impicciolisce. Ai fianchi rimangono attaccate esili dita che fanno da zampe. Tutto il resto è pancia. ma da questa Aracne riemette del filo e torna a rifare –ragno- le tele come una volta. ( Trad. di P. Bernardini Marzolla) |
Proposta A Al v. 104
si può far riconoscere e rappresentare graficamente il chiasmo.
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Proposta B Comprensione della struttura narrativa La contesa tra la giovane e la dea si svolge come in una gara
a tappe, in cui la presunzione temeraria della prima si misura,
con esiti alterni, con la gelosia di potere della seconda. Di
Aracne sono mostrati, in successione, l’orgoglio giovanilmente
sfrontato, l’arroganza che offende, la percezione inascoltata
del peri-colo, l’ostentazione dell’abilità; Pallade offre alla
nemica la via del pentimento, scende in gara alla pari,
suggerisce ancora una volta, con alti mezzi, l’umiltà).
Individua i passi che corrispondono ai diversi momenti. Comprensione della tecnica della rappresentazione Nel passo sono presenti tre tipi di trasformazione: che cosa
le distingue? Nella ‘visività’ che caratterizza lo stile di Ovidio molto dell’effetto è affidato al colore: segnala tutti i punti in cui l’autore si serve di questo strumento e valutane complessivamente l’esito. Approfondimenti interpretativi Non vi è dubbio che in Aracne Ovidio rappresenta sia
l’orgoglio che sostiene l’artista che il rischio cui l’orgoglio
lo espone, tanto che alcuni passi potrebbero essere considerati
dichiarazioni di poetica: Confronti intertestuali C’è una bella -e orrida- descrizione dell’Invidia (che
equivale al Livor del v. 129) cui si rivolge Pallade nella
storia di Aglauro nel libro II, vv.760-782. Confronti extratestuali Al museo del Prado é conservata una tavola di D. Velasquez il
cui soggetto è stato variamente interpretato, ma di cui è
accertato ab antiquo il titolo ‘ Leggenda di Aracne’ (1657?),
insieme al più frequente ‘Les hilanderas’; del resto una copia
delle Metamorfosi era presente nella biblioteca del pittore.
Potrebbe essere interessante chiedere agli studenti quali
elementi del racconto ovidiano credono di indivi-duare nel
quadro. Ulteriori confronti e indicazioni In che cosa consistono la disgrazia e la liberazione di Lucio
nel ‘romanzo’ di Apuleio? La lettura delle Metamorfosi di Ovidio, oltre che
relativamente facile, si presta a molteplici collegamenti
intertestuali e interdisciplinari (nonché alla costruzione di
veri e propri percorsi), con qualche rischio, per altro, di
pretestuosità. |