LE AVVENTURE DELL'AUTOBIOGRAFIA
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Silvio Pellico (1789-1854) Prima dell’arresto per attività cospiratrice a fini insurrezionali, avvenuto nel 1820, la vita di Silvio Pellico, nato a Saluzzo nel 1789, è quella di un borghese colto di sicura vocazione europea che ha trascorso la giovinezza e la prima maturità tra Torino, Lione, e Milano. Dal 1809 al 1820 egli si trova a Milano dove partecipa all’attività della rivista il "Conciliatore" di cui fu infaticabile redattore. Affiliato alla Carboneria dal bohémien romagnolo Pietro Maroncelli, che a Milano aveva organizzato una vendita, egli si trova coinvolto nella repressione che lo porterà al processo e alla condanna inflittagli dalla Commissione speciale austriaca. Detenuto ai Piombi e allo Spielberg, egli comincia a scrivere Le Mie prigioni, diario-autobiografia della sua prigionia, che pubblicherà nel 1832 due anni dopo la sua liberazione. Esse chiudono il periodo più significativo dell’esistenza di Silvio Pellico, consegnando al lettore romantico, ma anche a quello contemporaneo il senso di una profonda conversione religiosa, testimoniata dai soliloqui e dai più rari dialoghi registrati dalla loro narrazione. La fermezza dell’eroe risorgimentale che seppe resistere all’infamia del processo inquisitorio, che ammise le sue responsabilità senza tradire gli amici, si sviluppa nella profondità delle ragioni cristiane, che affiorano quando l’autore sembrerebbe crollare nella più nera disperazione. Gli ultimi vent’anni della vita di Silvio Pellico sono racchiusi nel privato, dal quale emergono solo per dare vita all’immagine di un uomo provato, in qualche modo sopravvissuto a se stesso e alla condizione disperante del carcere. L’eroe passò le sue consegne al libro di memorie e ritornò per certi versi nella condizione di un uomo qualsiasi. Da questa situazione egli emerge soltanto per incontrare Mazzini nel 1853. Pellico, Le mie prigioni, 1
Il mattino che ripartii per Milano, la separazione fu dolorosissima. Il padre entrò in carrozza con me, e m'accompagnò per un miglio; tornò indietro soletto. Io mi voltava a guardarlo, e piangeva, e baciava un anello che la madre m'avea dato, e mai non mi sentii così angosciato di allontanarmi da' parenti. Non credulo a' presentimenti, io stupiva di non poter vincere il mio dolore, ed era forzato a dire con ispavento: "D'onde questa mia straordinaria inquietudine?" Pareami pur di prevedere qualche grande sventura.
Chiusi la finestra, passeggiai un'ora, credendo di non aver requie tutta la notte. Mi posi a letto, e la stanchezza m'addormentò. Commento alle Mie prigioni di Silvio Pellico E’ la prima notte in prigione per Silvio Pellico, eroe risorgimentale e cospiratore carbonaro. Dopo lo stupore e il trauma psicologico dell’arresto si fanno strada nella sua mente i volti dei familiari salutati l’ultima volta a Torino e la voce interna che si rivolge a Dio.
La presenza della madre nei ricordi sembra quella ortisiana di chi simboleggia il culto degli affetti e nello stesso tempo il senso più vero della preghiera a Dio. Alla sua voce risponde quella della coscienza che invoca "colui che dava la forza a una madre di seguire il Figlio al Golgota". Nella condizione di segregato, Silvio Pellico riscopre il motivo centrale della propria fede non tanto per l’attesa di una salvezza materiale dal carcere, quanto nell’aspirazione a far confluire in essa il significato della propria esistenza e del proprio pensiero. L’idea di una seconda vita e di un mondo redento appare come la nobilitazione del proprio pensiero, piuttosto che come la rinuncia alle sue conclusioni più impegnative. Queste considerazioni trasformano anche lo stesso luogo del carcere che sembra animarsi di presenze spiritualmente superiori, quasi angeli custodi del senso della vita evangelica. Tale è la figura del secondino che spiega al carcerato come egli soffra e cristianamente compatisca la condizione dei detenuti che cerca di alleviare, perché si consolino, con una finzione d’allegria. A lui spetta infine il compito di indicare a Silvio Pellico come oltre il cortile, in un altro carcere, tra le donne di mala vita, tra le peccatrici esistano esseri riscattati dalla loro condizione infelice. Il genio femminile protagonista di tanta opera romantica riappare nelle parole del carceriere "Ebbene, signore, ve n’è che sono angeli, quanto al cuore. E s’ella fosse secondino…". Pellico, Le mie prigioni, 2 Lo svegliarsi la prima notte in carcere è cosa orrenda! "Possibile!" dissi ricordandomi dove io fossi "possibile! Io qui? E non è ora un sogno il mio? Ierì dunque m'arrestarono? Ieri mi fecero quel lungo interrogatorio, che domani, e chi sa fin quando dovrà continuarsi? Ieri sera, avanti di addormentarmi, io piansi tanto, pensando a' miei genitori?"
Una voce interna parea rispondermi: "Colui che tutti gli afflitti invocano ed amano e sentono in se stessi! Colui che dava la forza ad una Madre di seguire il Figlio al Golgota, e di stare sotto la sua croce! l'amico degl'infelici, l'amico dei mortali!" Quello fu il primo momento, che la religione trionfò del mio cuore; ed all'amor filiale debbo questo benefizio. Per l'addietro, senza essere avverso alla religione, io poco e male la seguiva. Le volgari obbiezioni, con cui suole essere combattuta, non mi parevano un gran che, e tuttavia mille sofistici dubbi infievolivano la mia fede. Già da lungo tempo questi dubbi non cadevano più sull'esistenza di Dio, e m'andava ridicendo che se Dio esiste, una conseguenza necessaria della sua giustizia è un'altra vita per l'uomo, che patì in un mondo così ingiusto: quindi la somma ragionevolezza di aspirare ai beni di quella seconda vita; quindi un culto di amore di Dio e del prossimo, un perpetuo aspirare a mobilitarsi con generosi sacrifizi. Già da lungo tempo m'andava ridicendo tutto ciò, e soggíungeva: "E che altro è il Cristianesimo se non questo perpetuo aspirare a nobilitarsi?" E mi meravigliava come sì pura, sì filosofica, si ínattaccabile manifestandosi l'essenza del Cristianesimo, fosse venuta un'epoca in cui la filosofia osasse dire: "Farò io d'or innanzi le sue veci". Ed in qual modo farai tu le sue veci? Insegnando il vizio? No certo. Insegnando la virtú? Ebbene sarà amore di Dio e del prossímo; sarà ciò che appunto il Cristianesimo insegna. Ad onta ch'io così da parecchi anni sentissi, sfuggiva di conchiudere: "Sii dunque conseguente! sii cristiano! non ti scandalizzar più degli abusi! non malignar più su qualche punto difficile della dottrina della Chiesa, giacché il punto principale è questo, ed è lucidissimo. ama Dio e il prossimo". In prigione deliberai finalmente di stringere tale conclusione, e la strinsi. Esitai alquanto, pensando che se taluno veniva a sapermi più religioso di prima, si crederebbe in dovere di reputarmi bacchettone, ed avvilito dalla disgrazia. Ma sentendo ch'ío non era né bacchettone né avvilito, mi compiacqui di non punto curare i possibili biasimi non meritati, e fermai d'essere e di dichiararmi d'or in avanti cristiano. Rimasi stabile in questa risoluzione più tardi, ma cominciai a ruminarla e quasi volerla in quella prima notte di cattura. Verso il mattino le mie smanie erano calmate, ed io ne stupiva. Ripensava a' genitori ed agli altri amati, e non disperava più della loro forza d'animo, e la memoria de' virtuosi sentimenti, ch'io aveva altre volte conosciuti in essi, mi consolava. Perché dianzi cotanta perturbazione in me, immaginando la loro, ed or cotanta fiducia nell'altezza del loro coraggio? Era questo felice cangiamento un prodigio? era un naturale effetto della mia ravvivata credenza in Dio? - E che importa chiamar prodigi, o no, i reali sublimi benefizi della religione? Pellico, Le mie prigioni, 3 Rimasi stabile in questa risoluzione più tardi, ma cominciai a ruminarla e quasi volerla in quella prima notte di cattura. Verso il mattino le mie smanie erano calmate, ed io ne stupiva. Ripensava a' genitori ed agli altri amati, e non disperava più della loro forza d'animo, e la memoria de' virtuosi sentimenti, ch'io aveva altre volte conosciuti in essi, mi consolava. Perché dianzi cotanta perturbazione in me, immaginando la loro, ed or cotanta fiducia nell'altezza del loro coraggio? Era questo felice cangiamento un prodigio? era un naturale effetto della mia ravvivata credenza in Dio? - E che importa chiamar prodigi, o no, i reali sublimi benefizi della religione? A mezzanotte, due secondini (così chiamansi i carcerieri dípendenti dal custode) erano venuti a visitarmi, e m'aveano trovato di pessimo umore. All'alba tornarono, e mi trovarono sereno e cordialmente scherzoso. - Stanotte, signore, ella aveva una faccia da basilisco; - disse il Tirola - ora è tutt'altro, e ne godo, segno che non è... perdoni l'espressione... un birbante: perché i birbanti (io sono vecchio del mestiere, e le mie osservazioni hanno qualche peso), i birbanti sono più arrabbiati il secondo giorno del loro arresto, che il primo. Prende tabacco? - Non ne soglio prendere, ma non vo' ricusare le vostre grazie. Quanto alla vostra osservazione, scusatemi, non è da quel sapiente che sembrate. Se stamane non ho più faccia da basilisco, non potrebb'egli essere che il mutamento fosse prova d'insensatezza, di facilità ad illudermi, a sognar prossima la mia libertà? - Ne dubiterei, signore, s'ella fosse in prigione per altri motivi; ma per queste cose di stato, al giorno d'oggi, non è possibile di credere che finiscano così su due piedi. Ed ella non è siffattamente gonzo da immaginarselo. Perdoni sa: vuole un'altra presa? - Date qua. Ma come si può avere una faccia così allegra, come avete, vivendo sempre fra disgraziati? - Crederà che sia per indifferenza sui dolori altrui: non lo so nemmeno positivamente io, a dir vero; ma l'assicuro che spesse volte il veder piangere mi fa male. E talora fingo d'essere allegro affinché i poveri prigionieri sorridano anch'essi. - Mi viene, buon uomo, un pensiero che non ho mai avuto: che si possa fare il carceriere ed essere d'ottima pasta. - Il mestiere non fa niente, signore. Al di là di quel voltone ch'ella vede, oltre il cortile, v'è un altro cortile ed altre carceri, tutte per donne. Sono... non occorre dirlo... donne di mala vita. Ebbene, signore, ve n'è che sono angeli, quanto al cuore. E s'ella fosse secondino... Pellico Silvio, Le mie prigioni, 2011, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli |