LE AVVENTURE DELL'AUTOBIOGRAFIA
quando la vita è un romanzo


Agostino d'Ippona (354-430)

Durante la veglia pasquale del 387 d. C. Agostino, maestro di retorica nato a Tagaste nel 354, riceve dal vescovo di Milano, Ambrogio, il battesimo cristiano insieme al figlio Adeodato e al discepolo Alipio. L’adesione alla fede cristiana in età matura (ha ormai trentadue anni) riporta alla luce gli insegnamenti evangelici della madre Monica e segna per sempre l’abbandono della dissoluta vita di Cartagine e delle eresie manichee con le quali era entrato in contatto.

S. Agostino (Antica miniatura)

Il viaggio che lo aveva portato da Cartagine a Roma e poi a Milano rappresenta dunque la svolta della sua vita, la cesura che separa il retore pagano dal santo cristiano, sebbene nella sua vita la madre Monica e l’amore per lei rappresenti un filo di continuità tra le due esistenze.

L’autore di De Civitate Dei, della Doctrina Christiana e delle Confessioni, che leggiamo, ora è soprattutto un uomo le cui scelte non sono maturate da una folgorazione improvvisa, o dalla lettura di un libro, ma dalla vita stessa.

Ad Ostia muore nel 388 Monica che lo aveva precedentemente raggiunto a Milano per seguirlo nella sua conversione. Questo tragico evento è raccontato nel capitolo X delle Confessioni a suggello della straordinaria maturità di fede dell’autore.

Nello stesso anno Agostino lascia Roma e raggiunge in Africa la città di Ippona dove sarà consacrato presbitero del vescovo Valerio e poi vescovo egli stesso alla sua morte.

Gli anni trascorrono nell’attività episcopale e nella pastorale, finché muore nel 430 d.C. quando ormai Cartagine è posta sotto l’assedio dei Vandali di Genserico.

Agostino, Confessioni, 1

Voglio ricordare le mie colpe passate, le contaminazioni della mia anima, non perché le amo, ma perché voglio amare te, Dio mio.

Benozzo Gozzoli, S. Agostino

Lo faccio per amore del tuo amore, rievocando le mie vecchie strade perverse. Il ricordo è amaro, ma spero di sentire la dolcezza tua, dolcezza che non inganna, felice e sicura, e voglio ricompormi in unità dopo le lacerazioni interiori subìte quando, allontanatomi da te, che sei l'Uno, mi persi in tante vanità.

Nell'adolescenza bramavo saziarmi delle cose più vili ed ebbi il coraggio di avvilirmi in diversi, oscuri amori; la mia bellezza si guastò, e ai tuoi occhi ero come in putrefazione, mentre piacevo a me stesso e cercavo di piacere agli occhi degli uomini.

Commento alle Confessioni di S. Agostino, 1

Che cosa pensa un santo del proprio passato? Qual è la riflessione di un padre della chiesa sui ricordi del tempo perduto? E se ne parla, perché lo fa?

Maestro Teodorico di Praga, Agostino, sec. XIV (Galleria Nazionale di Praga)

Nel linguaggio evangelico il credente è chiamato ad essere uomo nuovo, cioè morto al peccato e rinato alla luce della grazia divina. In questo senso sembrerebbe interrotta ogni relazione con il passato. Ma non è così. Esso rivive come ricordo del labirinto, memoria della dispersione nella quale si trovava l'autore.

In questo senso anche il peccato diviene esemplare, in quanto segnala in senso negativo un modello opposto a quello indicato dalla luce divina. Il passato è un luogo di oscurità, un buco nero nel quale affondava senza apparente speranza la condizione umana di chi cercava un senso alla propria esistenza senza trovarlo, di chi tentava e ritentava un percorso già fatto tante volte per trovare una via di uscita, una speranza.

Ma la ragione del ricordo è il presente, non il passato, in quanto Dio permette che il tempo perduto ritorni alla memoria perché possa essere gustata con ancora più gioia la dolcezza che non inganna della nuova condizione.

Allo stesso modo in cui nel Paradiso di Dante le anime dei beati hanno una percezione intima ma non drammatica della precedente vita, l'autobiografo religioso vede in lontananza l'orizzonte di una condizione umana per sempre superata.

Agostino, Confessioni, 2

Ma c'è qualche paludato maestro che rimane calmo nell'ascoltare un collega che proclama: Queste cose se le è inventate Omero: egli attribuiva agli dèi qualità umane; io però preferirei che avesse trasferito quelle divine in noi? (Cicerone, Tusculanae disputationes, 1, 26, 64.).

E sarebbe più esatto dire che egli, inventando queste cose, attribuiva qualità divine a uomini viziosi affinché i vizi non fossero considerati tali, e chi commetteva quelle colpe si convincesse di imitare non già uomini corrotti, ma divinità celesti.

Eppure, o fiume infernale, i figli degli uomini sono gettati fra le tue onde, e per di più si paga perché imparino tutte quelle nozioni!

Antonello da Messina, S. Agostino, Galleria Nazionale della Sicilia

La cosa poi diventa importante, quando la si compie in pubblico, nella piazza principale della città, col benestare della legge, che anzi stabilisce compensi e salari.

Tu, col rumore delle tue onde che s'infrangono sui sassi, sembri dire: "Qui s'imparano le parole, qui si acquista l'eloquenza indispensabile per persuadere gli altri e per esprimere il proprio pensiero".

E veramente noi non conosceremmo le parole "pioggia aurea", "grembo", "trucco", "templi del cielo", e le altre che sono scritte là, se Terenzio non avesse messo in scena un giovanetto vizioso che si propone come esempio di stupro il comportamento di Giove, guardandolo dipinto su una parete dove era questo disegno: Giove che, secondo il racconto si trucca da donna per raggiungere Danae e farle cadere in grembo una pioggia aurea (Terenzio, Eunuchus 584, 589).

E guarda come quegli si eccita dietro l'autorevole esempio celeste: Che Dio! - dice - Egli sconquassa i templi del cielo con grande fragore: ed io, semplice mortale, non dovrei fare quelle cose? E invece le ho latte e sono contento (Terenzio, Eunuchus, 590 s.).

Non è affatto vero che è attraverso queste volgarità che s'imparano meglio certe parole; semmai, è attraverso quelle parole che si compiono più tranquillamente certe azioni disoneste.

Non faccio colpa alle parole, che chiamerei vasi eletti e preziosi, ma al vino dell'errore che in esse ci veniva propinato da maestri ubriachi; e se non lo bevevamo, venivamo picchiati senza poterci appellare a un giudice giusto.

Eppure io, o mio Dio dinanzi al quale rievoco ormai serenamente questi ricordi, imparavo volentieri quelle cose e mi piacevano: povero me! proprio per questo mi si riteneva un ragazzo di belle speranze!

Commento alle Confessioni di S. Agostino, 2

E’ questa pagina un’interessante condanna dell’antico da parte di un padre che di cultura classica è intriso, dal momento che di essa è un contemporaneo.

Condannare l’antico significa in senso morale rigettare la civiltà pagana e la sua esaltazione delle forze della natura, dell’impeto delle passioni, così come viene raffigurato nelle immagini mitologiche.

L’uomo nuovo scaturito dal battesimo in Cristo non può più accettare la cultura degli impulsi naturali, di cui la lussuria inesauribile di Giove appare il simbolo intensificato.

Gli dei diventano così demoni, cioè immagini del peccato, perché esprimono in modo potenziato tutte le tendenze peccaminose degli uomini.

Di queste immagini fuorvianti la letteratura è portatrice, ne è intrisa, animata. La natura umana viene analizzata nella vertigine interna delle sue passioni, una volta che s'affacci sullo specchio della mitologia che ne porta alla luce tutto l’abisso e lo splendore, senza decidere tra l’uno e l’altro.

Il Pinturicchio, Sant'Agostino d'Ippona (Galleria Nazionale di Perugia)

Al senso di orizzontalità del mondo pagano, al suo politeismo di immagini e culti succede l’alto e il basso della beatitudine e del peccato, l’ascesa e la caduta nell’inferno di se stesso.

Sant'Agostino, Le confessioni, 2010, Newton Compton

TEST SU AGOSTINO D'IPPONA

Ideazione e testi di Bruno Capaci

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 22/04/2012