ESISTE ANCORA UNA LETTERATURA RUSSA?
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Si ha come l'impressione che la letteratura russa abbia subìto una sorta di evoluzione inversamente proporzionale al livello di democratizzazione raggiunto nel proprio immenso paese. Nel senso cioè che il meglio di sé pare l'abbia dato quando il potere politico le permetteva di esprimersi di meno. E qui non ci riferiamo tanto a quei grandissimi geni artistici dell'umanità, come Puskin, Tolstoj, Dostoevskij..., che pur avendo vissuto sotto un'oppressiva autocrazia zarista, riuscirono comunque a produrre, con difficoltà più o meno grandi, le loro opere, raggiungendo un livello di espressione artistica tuttora ineguagliato; quanto piuttosto a tutti quegli scrittori e artisti in generale che, pur essendo vissuti in un'epoca storica ancora più oppressiva, la stalinista, sfornarono nella clandestinità o in condizioni di libertà artistica assolutamente proibitive, opere di tutto rispetto, spesso di rilevanza mondiale, la cui grandezza non pare essere stata eguagliata in quest'ultimo quarto di secolo, cioè a partire dal momento in cui la perestrojka gorbacioviana operò una svolta decisiva verso la democratizzazione del paese. La stessa Europa occidentale era molto più attenta alla letteratura proveniente dai paesi del cosiddetto "socialismo reale" quando poteva utilizzarla in chiave anticomunista. Oggi al massimo se ne interessa a livello accademico. Dalla caduta del muro di Berlino sembra che dall'Europa dell'est non venga più prodotto alcunché di significativo. La montagna di un dissenso durato oltre mezzo secolo cos'ha prodotto, un topolino? Certamente nei paesi dell'est è stato possibile pubblicare, dopo il 1985, testi vietatissimi, che potevano essere letti solo di nascosto, spesso attraverso delle semplici fotocopie, ma l'effetto che questo epocale disgelo ha provocato non pare sia stato particolarmente innovativo. Si sono fatti i conti col proprio passato, ci si è liberati di pesi insopportabili, ma non si è stati capaci di generare, in letteratura, nuovi splendidi neonati. Ma facciamo un passo indietro, riassumendo quel che è avvenuto in Russia, in questo settore artistico, subito dopo la perestrojka e la glasnost. Romanzi e novelle, per anni tenuti nel cassetto, sono stati i primi, una volta pubblicati, a squarciare il velo sulla collettivizzazione forzata della campagna, sui gulag, sul terrore staliniano e sul genocidio operato contro le popolazioni interne, sulla terribile carestia dei primi anni Trenta, sulla deportazione di interi popoli da un luogo all'altro della "Confederazione". La critica letteraria, la pubblicistica, così ossequiose fino a quel momento, non hanno potuto fare altro che prendere atto di questa potente "rivelazione" e di proseguirne il cammino, sviluppandola ulteriormente. Tutta la storia del paese praticamente doveva essere reinterpretata. Al centro di questa operazione di ampio respiro democratico non vi sono state tanto le case editrici, lente a muoversi, quanto piuttosto le riviste, che in Russia, anche nei momenti peggiori, han sempre goduto di grande influenza e prestigio, non solo perché i russi sono accaniti lettori, ma anche perché le "grosse" riviste letterarie, in questo paese, hanno sempre avuto l'abitudine di pubblicare, a puntate, opere assai voluminose. Gli stessi Puskin, Nekrasov, Dostoevskij... erano stati direttori di riviste. Questi potenti strumenti di lavoro artistico erano e ancora oggi sono una specie di associazioni informali di intellettuali, i quali discutono su quanto reciprocamente producono. Ai tempi di N. Krusciov il mensile "Novyj Mir", diretto da A. Tvardovskij, era diventato il fulcro non ufficiale del pensiero politico del paese. Fino alla destituzione di quel premier (1964), il mensile era stato il maggiore organo di rinnovamento democratico della società, pur mostrando pecche dogmatiche di non poco conto, come quando p.es. rifiutò di pubblicare Il dottor Živago di B. Pasternak e Il Maestro e Margherita di M. Bulgakov, che uscì con ampi tagli solo nel 1966 sul mensile "Moskva". Successivamente, con la stagnazione voluta dall'entourage di Breznev, la redazione venne sostituita. Dopo il 1985, nelle maggiori riviste letterarie del paese, la cui tiratura come minimo raddoppiò (si pensi solo a "Družba Narodov", "Znamja", "Oktiabr", "Neva" e ovviamente alla stessa "Novyj Mir"), sono apparse opere chiaramente anti-totalitarie, come p.es. I figli dell'Arbat di A. Rybakov, Vesti bianche di V. Dudintsev, la novella di A. Pristavkin, Pernottava una nuvoletta d'oro, il romanzo di B. Jampolskij, Una via moscovita, la novella di L. Ciukovskaja, Sofja Petrovna, scritta negli anni 1939-40, il romanzo di J. Dombrovskij, La Facoltà delle cose inutili, il poema del suddetto Tvardovskij, Col diritto della memoria, i Racconti di Kolyma di V. Shalamov, le Cose non inventate di L. Razgon, il famoso Requiem di A. Akhamatova e l'ancora più famoso romanzo Vita e destino di V. Grossman, oggetto di stretta censura nella stessa epoca kruscioviana. Il manoscritto infatti fu confiscato all'autore nel 1961 e, con esso, persino la carta carbone conservata nella casa della dattilografa. Questo perché il testo forniva un quadro articolato del funzionamento dello stalinismo in tutte le sfere della vita sociale e smentiva nettamente l'idea che la Russia si fosse liberata dal nazismo grazie alla direzione di Stalin. Il premier Suslov disse a Grossman che il romanzo avrebbe potuto essere pubblicato dopo 200 anni! Queste opere letterarie e molte altre provenienti dagli scrittori emigrati all'estero, hanno liberato il popolo russo dai sensi di colpa che il regime gli aveva instillato, dalla psicosi del sospetto, da quel senso di fatale rassegnazione che lo portava ad accettare tutte le ingiustizie e le privazioni possibili, nella convinzione di essere comunque a capo di un esperimento politico senza precedenti storici. La letteratura eversiva in sostanza ha portato a compimento quella destalinizzazione iniziata da Krusciov e sbrigativamente interrotta dalla stagnazione. Tuttavia questo sconquasso epocale ha lasciato i russi in una profonda crisi d'identità. Rinunciare al "socialismo reale" per finire nelle braccia del "capitalismo reale" non può certo aiutare a ritrovare se stessi. Ha scritto, a tale proposito, lo storico J. Afanassiev: "Ci guardiamo allo specchio e non riusciamo a riconoscerci. L'immagine va in frantumi". E come potrebbe essere altrimenti, dopo che il socialismo burocratico ha completamente distrutto la plurisecolare cultura contadina russa? La Russia sta diventando come un qualunque paese occidentale: avendo eliminato la cultura contadina, ritiene di non avere alcun motivo, una volta messo in soffitta il socialismo di Stato, per non diventare borghese. Se non fosse quel gigante che è, a quest'ora sarebbe già entrata a pieno titolo nell'Unione Europea. Nuovi pericoli, al massimo, possono venire, internamente, dai tentativi separatisti e autonomisti di quei popoli che nel passato han sofferto sia sotto lo zarismo che sotto la stalinismo e che oggi s'illudono di poter star meglio affidando la gestione della loro sicurezza a un paese come gli Stati Uniti, che non ha mai visto di buon occhio non solo l'avvicinamento della nuova Russia all'Europa ma neppure un'Europa unita e che ancora oggi sogna di fare della Russia un satellite non molto diverso dall'Europa occidentale. |