LA CRISI DELLA LETTERATURA FRANCESE DEGLI ANNI '80
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Lo stato attuale della letteratura francese (e dell'arte in genere) è possibile caratterizzarlo senza fare appello ai fenomeni del modernismo, entrati irreversibilmente in crisi già dalla metà degli anni '70. Ora siamo in piena epoca "post-modernista". La negazione anti-borghese ha perduto il suo elemento creativo ed è stata riassorbita dalla società. L'ère du vide, l'importante libro di Gilles Lipovetsky apparso nell'83, ci indica che il vuoto ideologico, l'assenza di idee sono diventati un segno dei tempi, un indicatore della decadenza morale ed estetica della nostra epoca. L'avanguardia non fa che ripetersi, e senza più fantasia. Persino gli autori del nouveau roman, ivi incluso il premio Nobel 1985, Claude Simon. L'appellativo di nouveau roman, naturalmente lusinghiero per i sentimenti nazionali, ha stupito gli stessi francesi, i quali però sanno bene che non si tratta di qualcosa di assolutamente inedito. Questo anche se la stampa parigina ha qualificato Les géorgiques (1981) di Simon come l'opera più significativa non solo dello scrittore ma anche di tutta la letteratura francese dall'inizio degli anni '80. Una valutazione senza dubbio esagerata. L'opera è sì monumentale, ma il tema della guerra non la riscatta, né la rende più interessante di un altro scritto dell'autore, La Route des Flandres. Tanto più che in rapporto ai principi del "nuovo romanzo", Simon ha detto cose che in realtà si erano già sentite: "Io continuo a mettere in dubbio gli erronei principi di causalità, di concatenamento cronologico, che dominano il romanzo tradizionale e che suggeriscono l'idea di un'onnipotenza del letterato..."(cfr. Le Nouvel Observateur, 25-31.X.1985). Nelle Géorgiques la rivoluzione francese, la guerra civile di Spagna degli anni '30, la IIa guerra mondiale si confondono nel nastro scorrevole della coscienza. Tutto gira in una sorta di diabolica giostra che fa dimenticare la storia, le sue leggi, i suoi avvenimenti più significativi. Il tempo storico è occultato dal tempo delle sensazioni soggettive, dalla presenza permanente e sovrastante dell'umidità, del freddo, del fango dei morti, delle luride innumerevoli guerre... E' un disordine che disarma e che alla fine stanca. Peraltro, questo modo di scrivere, ripetendo il déjà vu non fa che svalorizzarlo. La ripetizione è ancora più ossessiva nelle opere di Alain Robbe-Grillet, ove la parola viene manipolata con maggiore abilità. Il suo Djinn (1981) è stato scritto come manuale di studio per una università americana. Infatti si legge come un esercizio di tecnica del nouveau roman. Ma, contrariamente al miglior romanzo dell'autore, Dans le labyrinthe (1959), ciò che attende il lettore di Djinn è solo un gioco attraente di moltiplicazione dei personaggi, di riflessi allo specchio, di ripetizioni che nascondono l'esistenza reale: insomma una specie di cartone animato. La sfida lanciata da Robbe-Grillet a Balzac sul terreno della realtà non è convincente, poiché in questo pseudo-nuovo romanzo la vita, con i suoi problemi veri, sentiti, vissuti, non scalfisce neppure il sistema di parole e immagini rigorosamente delimitato, anchilosato, che si è voluto costruire. Gli elementi di parodia del consumismo stereotipato dei primi romanzi di Robbe-Grillet acquistano ora una nuova tonalità d'autoparodia e diventano uno specchio in cui la società consumista si ripete all'infinito. Esiste quasi una sorta di autocompiacimento del limite, del non-senso che si analizza e che si ritiene insuperabile. I romanzieri francesi (e non solo loro) hanno un culto sempre più spiccato per la "parola". Anche questo è un segno di decadenza. Michel Butor giustifica questo flusso ultrasofisticato di parole con l'esplosione informatica della nostra epoca. Più ancora di Robbe-Grillet, egli spezza le forme dei generi letterari convenzionali, li considera obsoleti rispetto alle potenzialità racchiuse nei mass-media non letterari come la radio, la stampa, la televisione. Su questo, i percorsi di Butor, Robbe-Grillet, Ricardou e Sollers, benché formalmente diversi, giungono a intersecarsi. Philippe Sollers ha detto del suo testo Paradis (1981) che si tratta d'un mezzo "audiovisivo". Questi tentativi d'agganciarsi ai media sono un'eloquente testimonianza del bisogno di stabilire dei legami con la realtà vera, con l'epoca attuale, e nel contempo la testimonianza dell'assoluta artificiosità di questi legami. Di qui l'americanizzazione della letteratura francese, che avviene anche contro la volontà dei nuovi romanzieri, i quali cercano di evitarla conferendo alle loro opere un senso autobiografico. Ma si può forse risolvere la crisi sostituendo le ambizioni "totali" all'ideale con qualcosa di più modesto, senza avvertire l'esigenza di un mutamento radicale delle cose? Enfance (1983) di Nathalie Sarraute ha avuto una grande risonanza. E' un libro di ricordi, più "normale" del previsto, considerato che anche questa scrittrice è un'esponente del "nuovo romanzo". I ricordi e le memorie hanno praticamente accalappiato molti nuovi romanzieri, ma anche questo genere odora di muffa, benché (o forse proprio per tale ragione) la Sarraute si preoccupi di ridimensionare ogni pretesa ideologica. Resta il fatto tuttavia che per una parte considerevole dell'intellighenzia occidentale, e soprattutto francese, la possibilità stessa d'un rinnovamento è legata all'avanguardia letteraria. Le pretese dunque ci sono e devono esserci. Con il livello di consapevolezza acquisita negli "anni caldi" non è possibile tornare indietro come se nulla fosse. In particolare, il prestigio dell'attività letteraria e della cultura in genere è in Francia, per il momento, ancora così grande che i segni precursori della sua decadenza appaiono in questo Paese come un sintomo della fine del secolo, anzi del mondo. Circa la cultura "in genere", un inciso meriterebbe la pittura, anch'essa entrata profondamente in crisi dalla metà del XX secolo. Più ancora che la letteratura, la pittura ha cercato un secondo soffio vitale nella cultura di massa, nei mezzi audiovisivi, palesando una totale mancanza di fantasia, di creatività. Sartre è apparso negli anni '80 a molti intellettuali come l'ultimo maître à penser, come un simbolo dell'epoca in cui sparivano le grandi idee e le grandi personalità. La Francia ha pubblicato scrupolosamente in questi ultimi anni tutte le sue opere, inclusi Les carnets de la drôle de guerre (ancora inediti), le lettere ecc. La cérémonie des adieux (1981) di Simone de Beauvoir -una raccolta di conversazioni con lo scrittore malato e cieco- è stato per molto tempo un best-seller. La resurrezione di Sartre è una cerimonia d'addio nei riguardi di un'epoca di "rivoluzionari", nella vita e nell'arte, un'epoca di avanguardismo, di letteratura impegnata, di responsabilità dell'artista. Chi fa gli addii è una Francia post-modernista, dunque già contaminata, satura di spirito consumistico e indifferente. E' una società che sempre più si evolve verso lo stile di vita americano. parte seconda In Francia la portata della Resistenza si commisura, in un certo senso, a quella della sconfitta del 1940, preceduta dall'assurda guerra in cui il governo combatteva la sinistra e non il nazismo: un periodo quello di demoralizzazione e disorientamento. La disfatta della Francia nell'estate 1940 poteva sembrare la fine di una "grande potenza", ma la Resistenza e la Liberazione significarono la rinascita del suo prestigio nazionale. Anzi, la Resistenza rafforzò il prestigio della Francia "di sinistra", della Francia anti-fascista e della letteratura francese ispirata dalla Resistenza. Una letteratura che recava in sé l'idea della responsabilità sociale, lo slancio eroico e combattivo. Una visione epica e democratica del tema della Resistenza ha dominato per lungo tempo nel dopo-guerra, persino. quando gli esistenzialisti parlavano di "scelta". La Resistenza come riscontro etico-morale, come incarnazione d'ideali indiscutibili, come test del valore dell'individuo, resta un tema importante della letteratura francese. Si pensi al successo di opere come Radeau de la Méduse di Vercors (1969) e dei Cerfs-volants di Romain Gary (1980). La trilogia di Régine Desforges, La bicyclette bleue (1918-85), ha conosciuto un'incredibile fortuna (milioni di copie vendute). Stando a un sondaggio de L'Express (1983) la Liberazione era ancora in testa fra gli avvenimenti politici d'interesse. Il tema della guerra attira il lettore francese, ed è questo che spiega il successo del libro della Desforges, la quale però ha affermato che studiando quell'epoca s'è potuta convincere che molti dei cosiddetti "eroi" avevano il "fango" fino alle ginocchia. Un invito insomma a non creare facili illusioni, sciocchi miti. Non fu certo per caso che nel 1950 Roger Nimier, col suo romanzo Le hussard bleu, preferì distinguere gli anni '40, cioè l'epoca della letteratura impegnata, ispirata dall'epopea antifascista, dall'epoca seguente, ove la letteratura disimpegnata saliva alla ribalta. Il testo tuttavia è scritto con tono molto provocatorio e con cinismo intenzionale, in quanto voleva smentire lo stile della letteratura resistenziale. Il fatto è che compromettere la Resistenza significa per la maggioranza dei francesi compromettere la sinistra. Di questo la destra è perfettamente consapevole: anzi negli anni '80 tale obiettivo è diventato un elemento fondamentale della vasta campagna anticomunista lanciata dagli ambienti conservatori. In ogni caso, l'ultima guerra resta per i francesi un punto di partenza per tutta l'epoca contemporanea, per la storia stessa. I francesi vi cercano ancora le loro radici, le loro origini, anche se sanno benissimo di non poter risolvere, in tal modo, le contraddizioni del presente. Nel romanzo Villa triste (1975) di Patrick Modiano, il figlio d'un eroe della Resistenza preferisce suicidarsi quando si rende conto che dalla Resistenza non è scaturita una vita diversa, originale. Anche i romanzi di Alphonse Boudard, Les combattants du petit bonheur (1977) e Le Café du pauvre (1983) rifiutano il mito della Resistenza e la sua ideologia: i protagonisti dei suoi racconti preferiscono dedicarsi a una realtà più prosaica e più concreta: il sesso. Mentre quelli di Claude Courchay, Retour à Malaveil (1982) e Le chemin de le repentance (1984) si spingono ad affermare che molte leggi morali non furono violate solo dai nazisti ma anche dagli stessi antifascisti. Più complesso invece è il romanzo di Robert Sabatier, Les années secrètes de la vie d'un homme (1984). Qui l'eroe della Resistenza, nel momento stesso in cui uccide un tedesco e lo osserva da vicino, scopre d'avere davanti a sé non un "nemico" ma soltanto un "uomo". Di colpo il protagonista perde ogni ideale e finisce col trascinarsi in un'esistenza priva di significato. Merita d'essere ricordato anche Bernard-Henri Lévy, che di tutto il gruppo dei "nuovi filosofi", formatosi intorno alla metà degli anni '70, è forse il più rappresentativo. Gruppo che, a dir il vero, non riguardò i filosofi professionisti propriamente detti, bensì dei giornalisti-saggisti che annunciarono a viva voce la morte degli ideali, la crisi della civiltà, il "vuoto". E' appunto del "vuoto" che tratta il romanzo di Lévy, Le Diable en tête (1984). Il suo eroe paga per tutti senza sentirsi veramente in colpa. Il non-essere della vita lo porta a scomparire senza lasciare tracce. Lo stato di "vuoto", come il sintomo d'una nuova malattia, si espande rapidamente in tutta la letteratura francese, provocando il panico, paralizzando la volontà. Tutto comincia con il dubbio sulla realtà storica, morale e politica della Resistenza. E' sufficiente un colpo d'occhio sui romanzi premiati dall'Accademia Goncourt nella prima metà degli anni '80 per convincersene. Il premio del 1980 è andato a Yves Navarre, Le jardin d'acclimatation, un romanzo particolarmente decadente e intimista; quello dell'82 a Dominique Fernandez, Dans la main de l'ange, il cui protagonista è il nostro Pasolini. Qui la scena finale assume una tonalità tragica: il vuoto e il non-senso la riempiono completamente. Secondo l'autore la morte è più rispettabile degli obiettivi realizzati dall'eroe. Questo modo di vedere le cose non è molto diverso da quello di Camus, il quale, anche se non ha conosciuto negli anni '80 una seconda rinascita come Sartre, è citato sempre più spesso nell'atmosfera neo-romantica e decadente della odierna letteratura. Il trionfo dell'assurdo, la possibilità di elevarsi al di sopra dell'assurdo attraverso il suo riflesso nell'arte: queste idee di Camus divengono sempre più note. Solo la conoscenza dell'assurdo è concessa all'eroe dei romanzi Egarés (Prix Goncourt 1983) e Dans la main de l'ange di Frédérick Tristan: un eroe che non crede in niente, salvo che nell'uomo solo, condannato, ma che rifiuta di sottomettersi. Nell'84 il premio è andato a L'Amant di Marguerite Duras, che ha avuto un enorme successo. Qui il vuoto viene riempito dalla passione d'una ragazza di 16 anni per un ricco cinese. Anche nell'85 il romanzo Les noces barbares di Yann Queffélec rispecchia la percezione d'una realtà vuota, il sentimento d'una perdita irrimediabile. Buona parte della critica l'ha considerato il miglior romanzo degli ultimi cinque anni. Tuttavia, benché il capitalismo moderno sia più subìto che conosciuto dalla letteratura contemporanea, più negato che rappresentato, esso, come sfondo, appare sempre assai nettamente in molti romanzi. Il potere assoluto dei monopoli, i meccanismi economico-politici che assoggettano la personalità servono come pretesto ai romanzieri per costruire delle immagini semi-fantastiche di orribili imprese industriali. La tradizione della fiction sociale di Robert Merle e Pierre Boulle è ormai diventata un classico. Ne L'Energie du désespoir (1981) Boulle permette a una mostruosa centrale elettrica di trasformare in elettricità l'energia psichica di giovani squilibrati. Non molto diverso è il messaggio dell'altro suo romanzo, Miroitements (1982). Oltre a ciò, il post-modernismo con le venature neo-romantiche influenza anche la diffusione di sentimenti utopici. Nella Francia odierna l'utopismo è assai di moda. Max Gallo non nasconde nel suo libro, La troisième alliance pour un nouvel individualisme (1984), l'utopismo del programma politico di salvezza dell'umanità da lui proposto. L'avvenire socialista è, nella sua filosofia, un "nuovo individualismo", un regno di idee onnipotenti che si sono emancipate dalla dipendenza verso il partito o le classi, le ideologie o gli Stati. Ne La demeure des puissants (1983), Gallo ha intenzione di realizzare il suo programma attraverso l'esempio morale d'un mafioso pentito, ma il risultato lascia molto a desiderare. Il romanzo di Françoise Sagan, De guerre lasse (1985), è più veridico. Qui l'amore muore perché non può sopravvivere nel regno della morte. Secondo l'autrice, l'amore è la forza più potente, il sentimento più profondo e più capace di trasformare gli uomini. Ma può l'amore vincere l'occupazione nazista, il fascismo? L'eroe, un borghese di modeste condizioni, cerca di rifugiarsi nel suo amore per la bella Alice, che però muore. L'amato raggiunge la Resistenza non perché antifascista ma perché non ha altro posto in cui vivere. Non ci sono valori oggettivi da affermare, ma al massimo situazioni soggettive. La realtà esterna è deformata dalle preoccupazioni, dalle ansietà psicologiche dell'individuo. I romanzi di Jean Cayrol, in questo senso, sono molto eloquenti: L'homme dans le rétroviseur (1981), Un mot d'auteur (1983), Qui suis-je? (1984). In questi romanzi resta ancora una speranza cui aggrapparsi, quella dell'amore, ma si tratta pur sempre d'un amore idealizzato, egocentrico, privo di sbocchi. Non risolve l'angoscia, l'insicurezza. Antoine de Saint-Exupéry scrisse che dopo la vittoria sul fascismo la società avrebbe dovuto affrontare la questione essenziale del senso della vita e che la cultura borghese non avrebbe potuto trovare una risposta adeguata a una questione così difficile. In effetti è stato così: la mancanza di una risposta valida, convincente, è diventata un segno della crisi del capitalismo contemporaneo della fine del secolo. Ma Saint-Exupéry non poteva prevedere che tale crisi avrebbe intaccato anche le radici della cultura democratica e progressista, scuotendo l'albero apparentemente solido di tutta la cultura francese. Il fatto è che la letteratura della Francia odierna ha voluto emanciparsi non solo dalle illusioni del passato, dagli schemi ideologici, dalle false sicurezze, ma anche dalle vere esigenze della gente, dai suoi bisogni spirituali più profondi. Si è perduto il contatto con le masse. Nel giornalismo la tematica operaia è del tutto marginale, le rare opere letterarie sugli operai sono segnate dalle rievocazioni nostalgiche d'un glorioso passato (vedi ad es. A. Stil, Les berlines fleuries, 1981; R. Bordier, La grande vie, 1981). I libri sulla vita dei contadini hanno per molti più valore, soprattutto per il grande interesse che ancora si coltiva per il folklore, il "colore locale", l'originalità delle diverse regioni culturali della Francia (vedi ad es. le opere di P. J. Hélias). Ma una cultura nazionale non può nutrirsi di vuoto. Ed è dubbio che l'ideologia di destra emergente possa riempirlo. E' difficile immaginarsi una Francia soddisfatta degli ideali della "libera impresa" e del consumismo. Occorre recuperare il legame del movimento letterario col movimento politico della sinistra più progressista. Il discredito del pensiero democratico, socialista e comunista rischia di lasciare la letteratura francese davanti a un baratro... |