Le proprie esperienze e la voglia di raccontare emozioni, sensazioni, ricordi e sentimenti costituiscono il terreno sul quale nasce la nuova poesia di Giacomo Leopardi, espressa con forza e vigore negli Idilli, componimenti in endecasillabi sciolti nei quali i riferimenti storici e culturali — ridotti al minimo — lasciano il passo all’io più profondo e interiore. Giacomo sceglie l’idillio per avvalersi di una poetica libera da vincoli, perciò capace di riportare alla luce quelle sensazioni ineffabili, cui dedicava un’ampia riflessione nell’ambito della sua teoria del piacere, ora indagata rispetto alla natura e ai moti emozionali dell’anima.
Stanza dove nacque Giacomo Leopardi
Il pensiero di Jean-Jacques Rosseau inizialmente aveva guidato Leopardi verso l’esaltazione della natura e delle illusioni, conducendolo ad una concezione sensistica nella quale primeggia il problema della felicità; le illusioni agiscono sull’uomo, originandosi da una determinata condizione dettata dai sensi. È l’aspirazione al godimento — secondo la teoria del piacere — a scaturire qualsiasi umana condotta, ma il piacere mai riesce a realizzarsi in assoluto, oscillando tra un continuo desiderio e l’accettazione di un soddisfacimento perennemente illusorio. Il desiderio è sempre infinito: all’uomo resta solo l’immaginazione per «concepire le cose che non sono» e credere di porre fine alla sua sete di felicità.
L’adesione alla filosofia sensistica e l’accostamento al meccanicismo materialistico illuminista indussero Leopardi a elaborare il concetto di pessimismo cosmico, la revisione, dovuta a un progresso conoscitivo, di quell’atteggiamento agonistico verso il presente e il contemporaneo, avvertiti come nemici e corruttori dell’autenticità della natura, conosciuto invece come pessimismo storico. La natura non è più positività e bene, si trasforma in ostile e cieco vigore indirizzato alla umana specie; solo la consapevolezza della verità e dell’endemica infelicità dell’essere uomini riescono a svelare quanto effimere e vane siano le illusioni.
«Idilli, esprimenti, situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo», Leopardi definisce in questo modo la nuova ricerca poetica sottesa agli Idilli, di cui L’infinito è uno degli esiti più elevati.
Lungo l’arco di quindici versi, l’unità dell’endecasillabo è interrotta da ripetuti enjambements, parole concettualmente univoche che alla fine di un verso e all’inizio del successivo ampliano il significato di un periodo annullando la pausa dettata dal ritmo. L’elaborato tessuto metrico ordito dal Poeta racconta l’avvento dell’io nel mondo emozionale dell’infinito, rapportato a una fisicità tangibile — l’ermo colle della natìa Recanati — e ad un'acuta analisi di spazio e tempo — «interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi». La conoscenza dell’infinito si sovrappone all’esercizio poetico, ponendosi, ineguagliabile piacere del fantasticare, oltre qualsiasi possibilità percettiva.
La natura è il limite esterno, aggirato dalla forza cognitiva del Poeta capace di trasportarlo dove regnano gli incommensurabili spazi e le eterne profondità; la mente è ora aliena dalla umana concezione, affonda nelle immensità travolta dal fluire del tempo, percorsa dalle sonorità della natura — «e come il vento odo stormir tra queste piante» —, e poi minacciata dagli assoluti silenzi — «e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura».
Il pensiero conquista l’ineffabile, penetra nell’universalità del creato, culminando in un’ascesi prima fisica e poi intellettuale, per solcare un sentiero da lei stessa ideato sull’asse spazio-temporale. Oltrepassare la mera visione del circostante, dirigersi nel luogo governato dalla pura immaginazione è l’esperienza suprema cui il genere umano e lo stesso Poeta aspirano accostandosi a quell’universo dei sensi sconosciuto al creato. La vicenda interiore e i sussulti dell’anima sono originati dalla natura, contemplata con la curiosità di chi si figura ciò che gli è occultato, trasportandosi in un orizzonte artificiale nel quale la mente del Poeta supera ogni proprietà percettiva per dare libero sfogo alla forza evocativa della sua immaginazione.
L’Infinito è simultaneamente immensità dello spazio ed eternità del tempo, elementi conoscitivi e cognitivi del concetto d'ineffabile, una condizione indispensabile per ovviare alla presenza di barriere fisiche, il colle, la siepe, convertiti dalla cogitatio del Poeta in un incentivo ulteriore, che dai recessi della sua anima edifica un orizzonte illimitato e un soprannaturale silenzio in cui eterno, passato e presente si confondono, ponendolo in bilico tra la perdita di sé — «Così tra questa immensità s’annega il pensier mio» — e il piacere che da essa deriva — «E il naufragar m’è dolce in questo mare».
Giacomo Leopardi, come sottolineava Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, non può essere compreso solo in termini sensistici; egli indaga, partendo dalla razionalità matematica del concetto di spazio e tempo posta a confronto con l’indefinito, una questione dominante nella storia della filosofia: il rapporto tra l’idea d’infinito come spazio e tempo assoluti, e la nostra percezione pratica di tempo e spazio. E' la dolcezza nei versi dell’Infinito a sopprimere lo spavento di fronte a sensazioni sconosciute alla mente umana, la quale si ritrae, ma avverte simultaneamente un intenso e persistente senso di abbandono che conduce Giacomo a contatto con l’ignoto, straordinaria esperienza per il Poeta, salvo, dalla disperazione dell’esistenza, unicamente attraverso la speranza e l’immaginazione originate dai suoi stessi sensi.
A cura della Redazione Virtuale www.italialibri.net/opere/infinito.html
Milano, 27 giugno 2003 © Copyright 2003 italialibri.net, Milano