La spiritualità di Hermann Hesse

La spiritualità di Hermann Hesse

Hermann Hesse

Dario Lodi


Hermann Hesse (1877-1962) è autore prolifico: 32 romanzi, 15 raccolte di racconti, 15 di poesie. Centrale nella sua produzione letteraria è “Siddharta”. Non è un fatto riduttivo concentrarsi su quest’opera per quanto riguarda la personalità dello scrittore tedesco. Non lo è perché l’opera appare di una sincerità per così dire conclusiva. “Siddharta” racchiude l’universo di Hesse. Si tratta di un universo preciso, dove la spiritualità va ad occuparne la parte centrale, nevralgica.

Hesse vive in una realtà difficile e composita, caratterizzata dalla sbrigatività e dalla spietatezza. Due guerre mondiali ci stanno nel mezzo. Le dittature di Mussolini, ma soprattutto di Hitler e di Stalin hanno fatto del materialismo una vera e propria aberrazione. Poche e poco significative le reazioni perché è soprattutto lo stupore, per tanto disastro, a dominare la scena. Gli intellettuali sono increduli. Tanto più lo sono coloro che coltivano interessi più alti.   

Hesse entra in contatto con diverse esperienze speculative, diventa un amante della cultura indiana, si fa buddhista, di Buddha rivive e vive l’intera dottrina. E’ come un andare fuori del mondo, fuori della realtà. E’ come rifugiarsi in qualcosa di superiore. Lo scrittore non odia il materialismo, semplicemente lo vuole ignorare, come non esistesse. Il successo (soprattutto con “Siddharta”, “Narciso e Boccadoro”, “Il gioco delle perle di vetro”) viene da lui vissuto come il segno di un ravvedimento e di un consenso da parte della versione pura e sensibile dell’umanità.

Non è un cadere nel sistema borghese e mercantile imperante (sarà vero?). Hesse raccomanda la scelta dell’opzione spirituale. Nel suo libro più famoso, “Siddharta”, appunto, egli percorre ad occhi sbarrati l’esperienza del Buddha, ne evidenzia la discesa nell’intimo della questione vitale applicata all’esistenza. Lo scrittore tedesco è un esistenzialista nel senso che va verso il tentativo di comunicare con l’esistere. La vita ha senso se si muove con questo scopo. L’esistenza è il mondo, la vita è semplicemente l’uomo, ma può diventare mondo se si esce da se stessi.

Per uscire da se stessi occorre una ricognizione attenta e profonda del proprio animo: se si vuole, esso entra in comunicazione con le cose e con i loro segreti sino a rivelare la grandezza del tutto e della logica che lo guida.

Questa logica, nel caso di Buddha, può essere ridotta ai minimi termini attraverso l’apparente annullamento della propria personalità. L’annullamento buddhista è un sciogliere il proprio animo nel flusso della realtà. Lo scioglimento è tuttavia attivo, in quanto esiste la consapevolezza del processo. Esistendo questa consapevolezza, il processo diventa ragionevole: c’è, insomma, il consenso e una certa compartecipazione al tutto.

Dire che Hesse sia persuaso di tutto ciò probabilmente non è vero, ma sicuramente egli persegue il raggiungimento della bontà della tesi con tutta la sensibilità di cui è in possesso. La sua ricognizione spirituale non è sottomessa a pregiudizi. Il suo Buddha è un insieme di possibilità espressive aperte e chiuse su una ricchezza di speranze, in qualche modo legate al protagonismo, che ha molto di consolatorio (ma non in senso svenevole) e molto di ascetico, pur senza fanatismi di sorta. E’ la mancanza di fanatismo che attrae lo scrittore tedesco e che lo porta a ritenere la dottrina buddhista la più corretta per la personalità umana.

Il suo intervento manca tuttavia di un’adesione totale alla spiritualità del Buddha intesa come risolutiva di ogni tribolazione dell’uomo. Forse è più risolutivo lo stoicismo che tuttavia Hesse rifiuta in quanto atteggiamento umano poco tenero nei confronti del concetto ideale dell’esistenza.

Buddha coinvolge di più ed esige un impegno costruttivo, non tutto o anche solo parzialmente distruttivo come è nel caso degli stoici. La presa di posizione stoica è poi fatta di superbia perché pone l’uomo davanti ad ogni cosa, mentre Buddha lo mescola con l’insieme maggiore, immaginando, con intensità particolare, un’armonia generale e sostanziale.    

Da buon figlio di un ambiente protestante, Hesse indugia ad esprimere una propria, ferma, opinione: preferisce rifugiarsi in un certo esoterismo e lasciarsi prendere da stimoli e provocazioni di natura metafisica che vorrebbe però più comprensibili.

Non è la ragione convenzionale a pretendere tutto questo, ma è la ragione del sentimento, alla fine determinata a farsi valere: c’è in gioco, del resto, il superamento del mondo vero, che è troppo limitato. Un gioco difficile che richiede un impegno insolito.

Hesse ritiene di trovare questo impegno nella venerazione discreta, ma fortemente argomentata, di un Buddha al quale crede non certo come personaggio mitico, bensì come portatore di una regola di vita che va a braccetto con l’esistenza. E’ ancora qualcosa di esterno, intendiamoci, ma che può diventare interiore leggendo attentamente l’avventura del pensiero buddhista scritta da un Hesse particolarmente ispirato ed umile. Un Hesse al servizio totale della spiritualità,convinto dell’efficacia della stessa sino alla commozione (ad occhi asciutti) per questa eccezionale scoperta, penetrata nel suo animo sino in fondo. Un’ancora di salvezza per sé e per l’umanità intera.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019