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XEPELLA CRISI IRREVERSIBILE DELLA MICROECONOMIA“chi cerca non si vanta mai di non aver trovato nulla” (Lev Trotskij) Introduzione E' un fallimento tutto interno alla costruzione logica della microeconomia.
In questo breve scritto, per dimostrare tale fallimento non utilizzeremo la
vasta letteratura pro e contro la teoria microeconomica, ma semplicemente un
manuale di microeconomia; in particolare, utilizzeremo il manuale di Mas-Colell
e altri[1]. Questo perché, innanzitutto, è
il più rigoroso e completo matematicamente, in secondo luogo è il più usato o
almeno rinomato tra i testi della categoria. Per dimostrare che il paradigma microeconomico è fallito bisogna dimostrare
innanzitutto che la nostra idea di che cosa sia la microeconomia è corretta.
Risolto preventivamente questo problema cercheremo di mostrare che il tentativo
della microeconomia di arrivare alla società partendo dall’individuo naufraga
miseramente.
Tanto dovrebbe bastare relativamente alla funzione che alla microeconomia è assegnata dagli stessi microeconomisti; concentriamoci ora sull’altro punto, ovvero il passaggio dall’individuo alla società. Questo percorso viene tentato discutendo di domanda aggregata[2]. Gli autori assegnano alla microeconomia la funzione di aggregare le posizioni dei singoli individui:
Ma svolgendo l’analisi, arrivano alla conclusione che tale domanda aggregata non può derivare logicamente dalle funzioni individuali, ovvero che la funzione di domanda aggregata (walrasiana) si può costruire solo tenendo conto dell’interazione tra gli individui:
Questo implica che, nella pratica, l’unico modo per avere una funzione aggregata è che non ci siano effetti ricchezza (cioè, come si dice tecnicamente, le preferenze siano additive, omotetiche, la cosiddetta forma di Gorman). E gli autori capiscono che: “needless to say, this is a very restrictive condition on preferences” (p. 108). Come procedere dunque?:
Quest’interessante proposta implica, ovviamente, la rinuncia a qualsiasi microfondazione della teoria economica: se si parte dall’individuo si rimane all’individuo, nulla è possibile dire circa le leggi di funzionamento sociale dell’economia. Dato che questo abbandono mina alla base la teoria della domanda (cioè la ragion d’essere della microeconomia), viene da chiedersi perché gli autori non abbiano rinunciato a questa ipotesi già dalla prima pagina. Visto che, alla fine, la domanda aggregata dipende dai prezzi e dalla ricchezza aggregata, perché non sbarazzarsi esplicitamente subito dell’individualismo metodologico? Ovviamente perché questo avrebbe implicato la sconfessione totale del nucleo ideologico della teoria microeconomica. La strada scelta è stava dunque un’altra e cioè una nuova robinsonata, l’agente rappresentativo: la funzione di domanda aggregata esiste se la consideriamo generata da un agente rappresentativo fittizio. L’agente rappresentativo è certo una soluzione: se tutti gli individui della società sono identici, la società è automaticamente rappresentabile da un individuo. Ma che non si tratti di una vera soluzione è ovvio: a che pro leggi sociali se la società è equivalente a un individuo? L’ipotesi di agente rappresentativo (IAR) è comunque necessaria (ma non sufficiente):
Arriviamo dunque a questa conclusione: senza l’IAR non c’è aggregazione. Se si accetta l’esistenza di una pluralità di soggetti che compongono l’economia, si deve rinunciare, in generale, alla possibilità di costruire funzioni aggregate, a meno che non si ricorra a semplici criteri statistici, strada che però conduce fuori dall’individualismo metodologico:
La teoria della domanda (e dell’offerta) fallisce dunque nel tentativo di descrivere leggi di funzionamento sociali del capitalismo. Naturalmente, questo fallimento si estende inevitabilmente alle parti della teoria che cercano di descrivere ricette pratiche, ovvero la teoria della politica economica. Anche in quel frangente la teoria è costretta a ricorrere all’IAR per costruire lo strumento teorico che descrive le scelte a disposizione della società (la cosiddetta funzione di benessere sociale). La dimostrazione migliore che il programma microeconomico giunge alla conclusione che il mercato non esprime i desideri sociali, in quanto non c’è nessun modo per aggregare le preferenze, sta nel fatto che per dire qualcosa su queste materie gli autori sono costretti a introdurre “a benevolent central authority”, un concetto antitetico al mercato e, peraltro, mancante di qualsiasi microfondazione. Quanto detto sin qui basta, a nostro giudizio, a dimostrare non solo che il passaggio da Robinson alla società non riesce, ma che non sta in piedi nemmeno il punto di partenza e cioè la microfondazione. Detto altrimenti: il povero Robinson è un prodotto della sua società e la
teoria economica può spiegare il suo comportamento solo analizzando la società
in cui questo tizio vive. In altre parole, se letto con attenzione, il più
raffinato manuale di microeconomia del mondo pone una pietra tombale
sull’individualismo metodologico. Dire che la montagna ha partorito il topolino non renderebbe l’idea. Nel suo complesso, il programma di ricerca è stato un fallimento totale. Nonostante l’aiuto di topologi, statistici, algebristi, caosologi e ogni altro genere di specialisti, la teoria economica si ritrova con questa conclusione: l’equilibrio da qualche parte esiste, e quando ci siamo è tutto meraviglioso (in base ai due noti teoremi dell’economia del benessere), solo che l’equilibrio non è unico né stabile e non esiste alcun metodo che ci conduca ad esso. Per giungere a questo risultato occorre scomodare il teorema del punto fisso, o, in versioni più sofisticate, risultati ignoti persino alla maggior parte dei matematici (teorema di Filippov, disuguaglianza di Ky Fan ecc.[3]). Marx, ragionando da solo al British Museum aveva raggiunto le stesse identiche conclusioni (l’equilibrio esiste ma è un caso) senza scomodare simplessi e iperpiani. Ma gli economisti sono riusciti a fare anche peggio. L’ultimo grido in fatto di EEG è infatti davvero patetico; si tratta, come noto, del teorema Sonnenschein-Mantel-Debreu che viene così sintetizzato nel libro di Mas-Colell e altri:
Ovvero, “anything goes”. Sorvoliamo su cosa avrebbe detto il vecchio Popper di un simile modo di procedere (infatti si tratta, tra l’altro, di una teoria infalsificabile); il punto è che, come sottolineano molti critici di questa teoria, ricordiamo per tutti Garegnani, e come convengono gli autori, “the essence of the negative point being made is, unfortunately, much more general” (p. 602), ovvero l’essenza della teoria microeconomica è che ci dice cosa non succede, cosa non vale, cosa non è vero. Non scopre mai nulla che si possa fare, e dunque:
Questi economisti, piegati alla necessità di giustificare matematicamente un’ipotesi ideologica (il mercato è efficiente), sono costretti a introdurre ipotesi, quali la sostituibilità lorda e altre amenità del genere, che mancano di ogni spiegazione economica, scientifica. Mas-Colell e soci non tentano, onestamente, nessuna difesa fattuale (e nemmeno teoretica) di queste ipotesi aggiuntive, limitandosi a constatarne la necessarietà tecnica. A questo ha condotto un secolo di analisi dell’equilibrio economico generale. La stessa teoria borghese non riesce dunque a dimostrare l’efficienza del mercato almeno in ipotesi caratterizzate da un qualsivoglia grado di generalità (non già di realismo, ché quello non c’è mai stato). Il teorema di Arrow e le sue implicazioni Il paradigma dell’EEG dal lato puramente strutturale (l’economia) è finito dunque in un fiasco clamoroso, in proposizioni che vietano di dire alcunché di utile e non descrivono nessuna situazione interessante anche solo logicamente, figurarsi sotto il profilo fattuale. Unendo il fallimento dell’aggregazione al fallimento dell’analisi di equilibrio generale arriviamo al fallimento sul versante dell’analisi politica. Sin dagli inizi del paradigma microeconomico, gli economisti hanno ammesso che l’efficienza del mercato, persino all’interno del loro quadro concettuale, era impossibile in presenza di “non linearità fondamentali”, termine tecnico che si traduce in esistenza di economie esterne (per esempio l’inquinamento, il traffico, la produzione congiunta di beni), o di beni pubblici (che la teoria economica identifica con i beni la cui produzione è “non escludibile e non rivale”[4], come la difesa ecc.). Se si ammette l’esistenza di questi “fallimenti del mercato”, occorre trovare un metodo sociale che aggreghi in modo efficiente le preferenze individuali. A questo serve la teoria della scelta sociale, elaborata negli ultimi cinquant’anni da Arrow e altri. La già citata funzione di benessere sociale dovrebbe sintetizzare il tutto, permettendo di veicolare le opinioni individuali in programmi politici. Essa sarebbe la giustificazione teorica delle istituzioni politiche borghesi, il rationale dei parlamenti e delle elezioni. Su questo versante, i risultati ottenuti sono forse ancora più scarsi di quelli descritti prima. La teoria tenta di studiare “the problem of aggregating individual preferences over any number of alternatives” e giunge, nel caso generale, al noto Teorema di impossibilità di Arrow che dimostra come l’aggregabilità non sia possibile. Anche in tal caso, l’unico modo per aggirare il fallimento è allentare le ipotesi di partenza. Una delle modalità con cui si esce dall’impasse è, naturalmente, l’ipotesi di agente rappresentativo. Se c’è un solo individuo, le preferenze sono facilmente aggregabili, essendo necessariamente identiche. Ma basta pensare a questa soluzione per comprenderne la futilità: se c’è un solo individuo, che cosa c’è da aggregare? I teorici della microeconomia, dal canto loro, non sembrano dolersi eccessivamente per questi fallimenti:
Si tratta davvero di una scoperta rivoluzionaria! Valeva la pena scomodare la
matematica superiore per arrivare a simili portentose verità, che anche un
ragazzino delle elementari considererebbe banali. Ma l’aspetto più rilevante di
questa ammissione è la sua conseguenza sui punti da cui siamo partiti: l’analisi
microeconomica non pone capo ad alcun risultato macro, sia esso legge puramente
economica o analisi politica. Conclusioni: la microeconomia è un cadavere puzzolente
“Zenone chiedeva al sofista Protagora: via dimmi – affermava – o Protagora,
cadendo produce forse rumore un singolo grano di miglio o la sua decimillesima
parte? Al suo dire che non ne produceva - ma lo staio - affermava – di miglio
cadendo produce rumore o no? - Al suo rispondere che faceva rumore lo staio - e
cosa dunque - affermava Zenone – non anche dei rumori ci saranno proporzioni
reciproche, le stesse? Come in effetti stanno le cose che rumoreggiano, così
anche i rumori, farà rumore anche il singolo grano di miglio e la decimillesima
parte del singolo grano”. Così è stato Arrow, certo involontariamente, a mettere la parola fine alle speranze degli economisti ortodossi di fornire una spiegazione del funzionamento della politica a partire dall’EEG. Senza metodi di aggregazione delle preferenze, senza possibilità di conciliare i meriti del mercato e della democrazia, che cosa rimane di questo progetto? Ragionando secondo i canoni di una qualsiasi filosofia della scienza, la teoria dell’equilibrio economico generale andrebbe consegnata alla storia del pensiero economico. Il suo successo pratico, invece, non accenna a diminuire, perché la percentuale degli economisti interessati alla coerenza logica del proprio mestiere è bassa e, per giunta, in diminuzione. Ma il problema non è tanto la scarsa avvedutezza epistemologica degli economisti, ma la funzione pratica dell’economia. Le idee dominanti sono le idee della classe dominante. La borghesia non ha trovato né può trovare giustificazioni logiche alla sopravvivenza del capitalismo. Per questo i suoi rappresentanti scientifici, gli economisti, procedono come se nulla fosse con una teoria logicamente fallace. D’altra parte, anche quegli economisti che coraggiosamente abbandonano l’individualismo metodologico, non hanno alcuna alternativa organica da opporgli e forniscono contributi davvero deludenti, aiutando così, paradossalmente, il consolidamento della teoria dominante. Vi sono poi economisti che traggono invece con coerenza la lezione da noi esposta e cioè che, in definitiva, non c’è alcun modo di aggregare preferenze di soggetti distinti se i soggetti sono effettivamente diversi. D’altronde, l’utilità ordinale venne introdotta nell’economia proprio perché impediva l’aggregabilità delle preferenze, era questo il suo ruolo ideologico, come Pareto aveva ben capito (e del resto già Jevons scrisse: “ogni mente è imperscrutabile per le altre”). Così, i più conseguenti teorici dell’individualismo metodologico, ovvero gli
economisti della scuola austriaca, sono giunti a proporre la lettura più spinta
dell’individualismo filosofico, il solipsismo[5].
Che una teoria solipsista sia implicitamente inutile e insignificante va da sé.
A che pro scrivere qualcosa se non c’è nessuno con cui condividerla? Così, la
linea di coerenza massima nell’interpretazione della filosofia che sta alla base
della teoria economica moderna prevede la riduzione della conoscenza alla
disamina di se stessi, unici soggetti sicuramente esistenti. La microfondazione in fisica Giova forse un’ultima notazione concernente il rapporto tra teoria economica e fisica. Gli economisti credono di fare buona scienza imitando quella che loro ritengono essere l’attività dei fisici e che, quando va bene, è in realtà un’immagine stereotipata delle ricerche che si svolgevano ai tempi di Laplace e Newton. La cosa interessante è che proprio in ambito fisico (ma anche chimico e biologico), molte teorie hanno scoperto quanto l’equivalente naturale dell’ipotesi di agente rappresentativo sia inadeguata a spiegare i processi reali. Ad esempio nella fisica dei gas:
O, ancora nella fisica statistica,
Questo è il senso dell’uso che in fisica si fa del moto browniano che, in sostanza, ci dice: è impossibile conoscere il moto della singola particella, ma è facile prevedere le proprietà medie, complessive ovvero macroscopiche del sistema:
Lo stesso discorso varrebbe considerando la teoria dei frattali di Mandelbrot, la teoria del caos ecc. Non è questo il luogo per una disamina di queste teorie; quello che interessa è semplicemente che anche i fisici hanno compreso come in molte circostanze la “particella rappresentativa” non rappresenti nulla, perché le sue proprietà derivano dal sistema e non viceversa. Gli economisti dell’Ottocento, da Smith a Marx, lo sapevano; quelli successivi sono stati costretti a dimenticarselo per continuare a servire fedelmente i loro padroni. [1] Intendiamo, ovviamente, Microeconomic
Theory, di Mas-Colell e altri, 1995. (torna su) |