ECONOMIA E SOCIETA' |
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CRISTIANESIMO ED ECONOMIA
La storia moderna e contemporanea ha dimostrato che nessuna religione è stata in grado di opporsi al capitalismo… Anche quando il capitalismo ha avuto momenti di crisi e di sconvolgimenti interni, la religione al massimo ha saputo approfittarne per ritagliarsi una fetta di potere, ma non per costruire un'alternativa globale al sistema. Né si può sostenere che i paesi est-europei siano crollati col loro "socialismo reale" a causa dell'alternativa rappresentata dalla religione. Tant'è che in questo momento la vera alternativa sembra essere costituita, ancora una volta, dal modello capitalistico. Il cosiddetto "socialismo reale" è crollato per motivi endogeni (statalismo, conflitti sociali, privilegi della burocrazia ecc.), che nulla hanno a che vedere con la religione, benché l'intolleranza manifestata dai vari governi comunisti nei confronti della religione abbia pesato sui motivi suddetti. Oggi infatti il crollo di quei regimi ha comportato un nuovo rapporto, più democratico, tra istituzioni e religioni. In ogni caso tutte le religioni esprimono una concezione fatalistica dell'esistenza, in quanto ritengono l'uomo subordinato a dio. Anche quando le religioni sono aggressive (p.es. attraverso crociate, guerre sante…), l'intenzione è sempre quella di predicare la sottomissione a dio e ai suoi portavoce terreni (laici o chierici che siano). La diversità tra una religione e l'altra è dunque solo di tipo formale-esteriore (p.es. una può essere tribale e l'altra universale, una politeistica e l'altra monoteistica). E, in tal senso, si può dire che alcune religioni, meglio o più di altre, possono aver influenzato (certo non "determinato") la nascita del capitalismo (p.es. il calvinismo ha giocato un ruolo molto più importante del cattolicesimo). In particolare si può sostenere che laddove il cristianesimo si è maggiormente allontanato dai suoi ideali originari, lì è potuto maturare più facilmente, sul piano pratico, la tendenza verso il modo di produzione capitalistico (p.es. i primi elementi di proto-capitalismo si sono avuti nell'Italia comunale). Tuttavia, laddove ha dominato la religione cristiano-ortodossa, non s'è mai sviluppato il moderno capitalismo industriale (oppure lo si è subito in maniera coloniale, come processo importato, soprattutto in Russia). Quasi tutti questi paesi est-eruopei sono passati, attraverso una rivoluzione politica, dal feudalesimo al socialismo, saltando la fase del capitalismo (cosa che in Europa occidentale non è avvenuta da alcuna parte - gli unici tentativi sono stati la Comune di Parigi e la Repubblica di Weimar). Poi il socialismo è stato quello che è stato… E' comunque difficile sostenere che questi atteggiamenti storici, favorevoli o contrari al capitalismo, siano dipesi dalla religione tout-court. Meglio sarebbe dire che la religione, facendo parte della cultura di un popolo, in cui altri elementi (p.es. la psicologia sociale, le tradizioni etniche ecc.) hanno giocato ruoli non secondari, può aver contribuito, direttamente o indirettamente, a influenzare le scelte degli uomini in una direzione piuttosto che in un'altra. In tal senso si può forse dire che la religione può rallentare o accelerare determinati processi storico-sociali, i quali poi trovano una loro giustificazione (o delegittimazione) laico-umanistica sul piano più propriamente politico-istituzionale. La religione è una costruzione artificiosa dell'uomo, che ha il potere di influire sui processi sociali, secondo varie modalità: non può quindi essere paragonata alle favole, ai miti e alle leggende, che spesso sono prodotti di individui singoli che hanno una funzione di tipo intellettuale, diversivo (o anche pedagogico, ma solo in riferimento a un'utenza specifica: p.es. il giovane in fase evolutiva). La religione presuppone, intorno ai propri principi, un'organizzazione di tipo collettivo, in grado di condizionare gli aspetti socio-culturali e politici di un'intera società. Ecco perché non può essere combattuta solo con gli strumenti della critica razionale. RELIGIONE E PROPRIETA' PRIVATA Al pari di altri socialisti del suo tempo, di cui oggi s'è persa memoria, Marx aveva capito perfettamente che religione e proprietà privata marciano di comune accordo. L'una senza l'altra praticamente non esiste. L'illusione del cosiddetto "socialismo reale" è stata quella di credere che la realizzazione del collettivismo (cioè l'abolizione della proprietà privata) avrebbe portato, sic et simpliciter, alla fine della religione. Si credette cioè ingenuamente che la sovrastruttura dipendesse totalmente dalla struttura e non avesse invece una relativa autonomia. Non solo, ma, ancor più ingenuamente, si pensò che una socializzazione forzata (socialismo burocratico) avrebbe portato, più facilmente, al libero collettivismo (cioè al comunismo). Un ideale (politico, sociale, ecc.), per quanto giusto possa sembrare, non può mai essere imposto, anche perché, così facendo, normalmente si ottiene il risultato contrario. Infatti, là dove esiste un collettivismo forzato, esiste anche un'ideologia (politica, culturale) che assomiglia molto da vicino alla religione. L'ateismo del "socialismo reale" non era che una forma di religione, coi suoi dogmi (il marxismo-leninismo), i suoi riti laicisti, i suoi sacerdoti di partito, i suoi testi sacri da divulgare… Nel "socialismo reale" è mancata l'esperienza della libertà, o almeno è mancata la continuazione di quella istanza di liberazione che all'inizio, in Russia, aveva portato alla distruzione del feudalesimo e del capitalismo insieme. Oggi non solo non si può più parlare di abolizione tout-court della religione, ma neppure si può parlare di una sua "graduale estinzione" o "progressivo superamento". Oggi bisogna limitarsi a chiedere al lavoratore d'impegnarsi per la realizzazione di una vera proprietà sociale (non statale), senza mettere in discussione le opinioni in materia di religione. D'altra parte, anche se esiste una religione che contesta p.es. il capitalismo o lo sviluppo scientifico, non per questo essa riesce oggi a fare dei seguaci. L'Occidente è troppo smaliziato per credere in un legame propositivo di economia e religione. Persino i teologi della liberazione non riescono a vedere nella religione un motore propulsivo dell'economia; al fine di modificare i rapporti neocoloniali, essi cercano degli agganci con l'economia politica marxista (almeno fino a ieri facevano così, ed è assai improbabile che abbandoneranno i principi dell'economia marxista o socialista -nei quali oggi, invero, non crede più nessuno- in nome di un'economia fondata su principi cristiani, che in duemila anni non hanno mai prodotto alcuna società egualitaria. Molto più probabile è che in loro avvenga uno spostamento del baricentro politico-culturale dai temi dell'economia a quelli, non meno globali, dell'ecologia). Lo stesso capitalismo oggi è disposto a tollerare qualunque forma di ateismo, se questo lo agevola nella propria riproduzione. Credere che il passaggio dalla socializzazione dei mezzi produttivi all'umanesimo integrale sia automatico, è non meno illusorio che credere nell'automatismo del processo inverso. Qui tuttavia bisogna intendersi. Se si dovesse scegliere tra una di queste due strade: socialismo + religione e ateismo + capitalismo, la prima sarebbe sicuramente migliore (ammesso che si tratti di "socialismo democratico" e non di una sua caricatura). Al cospetto delle idee socialiste non si può porre sullo stesso piano il credente che lotta contro la proprietà privata e l'ateo che la giustifica. E' sicuramente migliore il primo. E' più facile infatti che un credente arrivi all'ateismo dopo aver realizzato il socialismo, che un ateo arrivi al socialismo senza lottare, fattivamente, contro il capitalismo. Chi fa una rivoluzione politica per il socialismo senza una contestuale rivoluzione culturale, sicuramente rischia di cadere, ad un certo punto, in forme brutali di dittatura o di burocratismo; ma chi pensa di non aver bisogno di alcuna rivoluzione politica in direzione del socialismo e che sia sufficiente democratizzare il capitalismo solo sul piano culturale, cade in un errore dal quale difficilmente riuscirà a liberarsi. Quale contraddizione risulterà più insopportabile agli intellettuali progressisti: quella di chi, dopo aver scelto la strada della rivoluzione politica socialista, ad un certo punto s'accorge che la presenza massiccia della religione costituisce un'antinomia irrisolta; oppure quella di chi, dopo aver scelto la strada della rivoluzione culturale (laicista), ad un certo punto s'accorge che l'umanesimo raggiunto sul piano dei valori morali e intellettuali è in contrasto con l'alienazione che produce la proprietà privata? Il cosiddetto "socialismo reale" sta ora pagando le conseguenze dovute all'incapacità di risolvere il primo problema; cosa accadrà al capitalismo quando s'accorgerà di non aver risolto il secondo problema? Il leninismo e il gramscismo se si escludono a vicenda muoiono entrambi. LA FINE DEL CRISTIANESIMO Il cristianesimo è un'ideologia così sofisticata, specie per la sua pretesa di unire teoria e prassi, che fino a quando il socialismo non svilupperà un'elevata concezione morale dell'esistenza e un'articolata ritualità a livello di vita sociale (che riguardi non solo il rapporto tra gli esseri umani ma anche il rapporto tra loro e la natura), non ci sarà modo di sottrarsi ai pericoli del clericalismo. Infatti, fino a quando sopravviverà il capitalismo, esisterà anche la religione, poiché i drammi dell'uno hanno bisogno della consolazione dell'altra, qualunque sia la forma in cui questa si esprima. Il capitalismo ha eliminato le sembianze medievali del cristianesimo (che parzialmente permangono nel cattolicesimo), ma non ha eliminato l'alienazione sociale che produce il bisogno di una religione. Anzi, proprio sotto il capitalismo s'è verificato il proliferare delle religioni rivali del cristianesimo. Le moderne sette religiose sono un'espressione tipica della frustrazione sociale che si vive appunto sotto il capitalismo. Viceversa il protestantesimo aveva assolto altri compiti: combattere la Scolastica decadente, aprire la strada a nuove forme di pensiero e di agire religioso, non irrazionale, anzi più razionale del vecchio modo di pensare cattolico, che era legato alla magia dei sacramenti e delle indulgenze, al potere politico della gerarchia, alla figura idolatrata del pontefice... Il socialismo democratico dovrà essere una sorta di cristianesimo senza religione, cioè uno stile di vita basato sull'uguaglianza, sulla giustizia sociale, sulla libertà e dignità della persona... Obiettivi che il cristianesimo non ha mai saputo realizzare appunto perché si poneva come una religione. Infatti, quando queste cose si realizzano, la religione non serve più, né servono quei surrogati della religione che il moderno secolarismo ha fatto nascere, nell'ambito sia del capitalismo che del socialismo amministrato. E' tuttavia curioso che laddove lo sviluppo storico porta a queste conclusioni teoriche, lì è proprio il luogo dove manca la volontà di metterle in pratica. La maggioranza della gente, infatti, si è lasciata talmente condizionare dalla cultura antidemocratica che ormai non ha più la forza per reagire, pur sapendo che dovrebbe farlo. Questo sta a significare solo una cosa: che il male bisogna estirparlo appena mette radici, perché in quel momento è ancora debole. Se si perde l'occasione buona, occorrono poi mezzi molto più grandi, che comportano ingenti spese e sacrifici. Quando la gente s'illude di poter estirpare il male in qualunque momento, solo al momento di farlo si accorge di non averne la forza. E' stato il cristianesimo a insegnarci che bisogna avere fiducia nella provvidenza; il che in sostanza vuol dire: non essere capaci di reagire al momento opportuno. Molti si lasciano demoralizzare anche per un'altra ragione: credono che sia inutile lottare per la democrazia finché la gente gode di un relativo benessere, che le impedisce di assumere decisioni coerenti. Il fatto però è questo: nessuno può rinunciare a lottare solo perché gli altri non partecipano alla lotta. Questo significa crearsi degli alibi. La partecipazione nasce proprio quando la gente si convince che c'è qualcuno che fa sul serio. Chi sente di avere dentro di sé il desiderio di cambiare le cose, deve solo imparare ad avere pazienza, poiché il senso di responsabilità della gente ha tempi e modi di maturazione che non possiamo conoscere in anticipo. Proprio perché non li conosciamo, dobbiamo essere sempre solerti, attivi, guardinghi... Non esiste un momento particolare a partire dal quale si possa con tranquillità dire: "Ecco, ora è nata la volontà di cambiare le cose". Quando questi momenti appaiono, sono come degli eventi improvvisi: non come i miracoli che i cristiani attendono dal padreterno, ma come gli eventi che la gente comune, che lotta per la democrazia, attende con sicurezza, pur senza conoscere il momento del loro arrivo. |
Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"